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la repubblica GIOVEDÌ, 08 SETTEMBRE 2005
 
 
 
La fede considerata superiore a tutto
 
 
CORRADO AUGIAS

 

C aro Augias, il mio rispetto verso chi "crede" è totale, anche se la mia simpatia è più spontanea verso chi "crede" in un Dio senza nome e senza attributi antropomorfi. Ciò premesso, sono rimasto colpito dall'affermazione di Pietro Citati, su la Repubblica di lunedì 5, secondo la quale, il cristianesimo non è una morale o un insegnamento civile, bensì: " una religione, una fede, una grazia; ossia qualcosa d'immensamente superiore a qualsiasi morale o insegnamento civile".

Francamente, l'idea che una religione, una fede, una grazia, siano immensamente superiori a qualsiasi, faticosissimo, umano, insegnamento civile, capace di condensarsi in una morale, sempre, umanamente e faticosissimamente, da aggiornare, mi lascia perplesso, per non dire, anche alla luce dell'alta considerazione che nutro per Citati, triste.

Mi fa tristezza, che la condizione umana, oltre che così autorevolmente pensata, oltre che dai più vissuta con inevitabile fatica, possa anche essere considerata "immensamente" inferiore a quanto esistente solo in grazia di una fede che nei secoli non ha saputo produrre di meglio che cento religioni diverse. Credo ogni giorno di più, che il processo tutto umano che produce insegnamento civile e porta l'uomo a "liberarsi" dalle religioni e ad avere fede solo nella propria umanità, sia immensamente superiore a qualsiasi processo che conduca, per grazia ricevuta, ad un presunto salvifico divino.

Vittorio Melandri

vimeland@alice.it Immanuel Kant, che com'è noto ha riflettuto a lungo sui problemi analizzati da Citati e ripresi, con diversa ottica, in questa lettera, ha scritto: «L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro». Il concetto è lo stesso esposto sia pure in termini diversi dal signor Melandri. Il grande filosofo rifletteva lo spirito dei suoi tempi, enunciava un principio (o forse solo un auspicio) in grado di rendere l'uomo un'entità 'morale' non in base a una volontà 'santa' non esposta al contrasto tra virtù e inclinazioni naturali, ma solo in base a una volontà 'buona', fondata sulla rappresentazione di un dovere. Donde il famoso 'imperativo catogorico' nella memoria di ogni liceale.

Credo (presumo) di sapere perché Citati ha esposto quel concetto. La mia presunzione è che le sue parole sgorghino dal disincanto; dall'aver constatato quanto poco una moralità laica, basata cioè solo sul rispetto razionale delle leggi, sull'obbedienza al comando che impone di comportarsi come se il proprio agire fosse regola del comportamento universale, di quanto poco, dicevo, una moralità di questo tipo sia capace d'incidere sugli effettivi comportamenti degli individui.

La mancanza di una fede, una fede vera intendo non le sciocchezze new age, ha sicuramente peggiorato le cose; si è capito ormai che fidare su un'etica collettiva generalizzata "come se Dio non ci fosse" è un'impresa ardua, se non addirittura utopica. Nietzsche profetizzava, in un futuro che per noi è in parte già il presente, la morte di Dio come una liberazione. In realtà s'è visto che la morte, o quanto meno la lontananza, di quel Dio "che atterra e suscita, che affanna e che consola" rende tutto molto più difficile.