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La base era a Leeds, dove ieri è stato arrestato un presunto complice. Lo choc inglese, l’autocritica dei musulmani
Svolta a Londra: «Ecco gli attentatori»
Sono quattro cittadini britannici di origine pachistana. «Kamikaze morti nell’attacco»
 

  dal Corriere - 13 luglio 2005


LONDRA - Quattro terroristi sono «probabilmente» morti negli attentati. E un quinto uomo è stato arrestato ieri come loro complice. La polizia inglese ha chiuso in cinque giorni l’indagine-base sull’attacco terroristico del 7 luglio. Tra le 52 vittime c’è «quasi sicuramente» uno degli attentatori, morto dilaniato dalla sua bomba nel metrò di Aldgate, e «molto verosimilmente» anche gli altri tre terroristi: tutti «cittadini britannici» di origine pachistana, almeno tre sono residenti nell’area di Leeds, nel West Yorkshire. La polizia sospetta che fossero kamikaze. I musulmani di Londra fanno autocritica: «Troppo spazio ai predicatori estremisti». Gli inglesi sono sotto choc, per la speranza multiculturale è un duro colpo.
Alle pagine 5, 6 e 9 Altichieri, Biondani Imarisio, Nicastro, Olimpio, Persivale, Taino


«Quattro terroristi morti negli attentati»
I loro documenti trovati sul luogo delle esplosioni: cittadini britannici di origine pachistana. Un arresto
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

LONDRA – Quattro terroristi sono «probabilmente» morti negli attentati. E un quinto uomo è stato arrestato ieri come loro complice. La polizia inglese ha chiuso in cinque giorni l’indagine-base sull’attacco terroristico del 7 luglio. E il primo punto fermo è che tra le 52 vittime c’è «quasi sicuramente» uno degli attentatori, morto dilaniato dalla sua bomba nel metrò di Aldgate e «molto verosimilmente» anche gli altri tre terroristi: sono tutti «cittadini britannici» di origine pachistana e almeno tre sono residenti nell’area di Leeds, nel West Yorkshire. La polizia sospetta che fossero kamikaze, ma ha «appositamente» evitato di usare questa parola, lasciando aperta l’ipotesi di una trappola: eliminati perché non parlassero dei mandanti.
I quattro terroristi sono arrivati a Londra la mattina dei quattro attentati. «Tre hanno viaggiato insieme su un treno partito dallo Yorkshire - spiega Peter Clark, capo dell’ antiterrorism branch - il quarto si è unito a loro alla stazione di King’s Cross, dove le tv a circuito chiuso li hanno ripresi insieme poco prima delle 8.30». La polizia aggiunge solo di aver trovato «un veicolo collegato» davanti alla stazione di Luton, ma autorizza «la deduzione» che il quarto uomo sia arrivato con quell’auto e l’abbia parcheggiata per raggiungere i complici con un altro treno: il sospetto è che fosse lui a trasportare le quattro bombe, dato che la vettura è stata fatta saltare dagli artificieri (e secondo Sky news «conteneva esplosivo»). Identificati i quattro terroristi, ieri all’alba la polizia ha perquisito le case dei tre di Leeds e altre tre abitazioni nel West Yorkshire (310 chilometri a nord di Londra), dove è stato arrestato un presunto complice con «un ruolo di supporto». Nel blitz l’Antiterrorismo cercava altro esplosivo e sembra averlo trovato: Clark ha confermato la scoperta di «materiale pericoloso per la popolazione», ma non ha specificato dove.
La svolta nell’indagine (che è «intensa, complessa» e «continua a grande velocità») è la combinazione di una telefonata, tre foto, un video e un’indagine precedente. La sera degli attentati, attorno alle 22, i genitori di uno dei quattro anglo-pachistani chiamano l’apposita linea di Scotland Yard denunciandone la scomparsa. Da quel momento la polizia ha un nome e un volto: Hasib Hussain, 18 anni, di Leeds. Il ragazzo, nato in Gran Bretagna da famiglia oggi benestante, è tra le 13 vittime del bus numero 30: la testa è staccata dal corpo, segno che la bomba era vicinissima al tronco e, tra i resti, si scoprono suoi «oggetti personali». Lo stesso diciottenne compare nei filmati di King’s Cross accanto ad altri tre uomini in un momento chiave: circa venti minuti prima delle tre esplosioni (ore 8.50) nel metrò. A quel punto la polizia sa chi cercare sulle telecamere a circuito chiuso. «L’esame di 1.500 video - spiega il capo dell’Antiterrorismo - ci ha permesso di ricostruire tutti i movimenti dei quattro uomini». Il cerchio si chiude quando la polizia trova «i documenti d’identità di tre» del commando e «oggetti personali» di altrettanti «accanto ai sedili dove sono esplose le bombe». Tra i quattro presunti attentatori figura anche Shahzad Tanweer, 22 anni, sicuramente scomparso dal 7 luglio e amico di Hasib.
Scotland Yard non lo dichiara, ma a identificare quelle quattro vittime come probabili terroristi è un precedente decisivo: almeno alcuni di loro erano già schedati dai servizi segreti britannici. Pochi mesi fa, proprio nel West Yorkshire, la polizia aveva arrestato un gruppo di pachistani, accusandoli di progettare bombe «fatte in casa» con un carico (sequestrato) di fertilizzanti chimici.
Dei quattro presunti terroristi, forse suicidi, la polizia ieri dava per certa solo l’identità di un giovane morto nel metrò di Aldgate, che è confermata da «indagini scientifiche»: impronte digitali e Dna. «Stiamo verificando - avverte Clark - se tutti e quattro siano morti suicidi negli attentati».
La caccia ai terroristi però continua, anche dopo l’arresto del quinto uomo nello Yorkshire. Una seconda «auto sospetta» è stata trovata parcheggiata vicino a una stazione a 16 chilometri da Luton. La polizia teme che altri complici siano ancora in possesso di esplosivi. Ieri sera è stata bloccata al traffico e transennata (ma non evacuata) la zona del Parlamento, uno dei luoghi simbolo di Londra. La polizia cercava un’altra «auto sospetta». Tra terroristi e polizia, è una corsa contro il tempo.
Paolo Biondani


Da «East is East» a «My beautiful laundrette», dal cinema alla letteratura: il fascino dell’integrazione messo in crisi dagli attentatori britannici
Finisce l’illusione multiculturale: i film non sono la realtà
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

LONDRA - Shamira Islam, 20 anni, cassiera di banca, suddito britannico di fede musulmana, arrivava giovedì mattina a King’s Cross dall’East End, per andare al lavoro. Nello stesso momento quattro sudditi britannici di fede musulmana, probabilmente della stessa generazione, arrivavano a King’s Cross da Luton, per ammazzare Shamira con una bomba. Sul suolo europeo, inglese, di Londra, s’è combattuta giovedì scorso la prima battaglia di quella che può diventare una guerra civile in casa nostra. Si fatica a rendersene conto. A metà pomeriggio, quando Scotland Yard convoca la conferenza stampa che dovrebbe liberare una nazione dall’incubo, arriva lo shock: sono terroristi suicidi, e sono tutti britannici. Non stupisce che Andy Hyman, portavoce della polizia, avverta: «Coloro che hanno compiuto questi atti sono estremisti e criminali. Non c’è motivo perché una comunità sia colpevolizzata». Come dire: non accusate i musulmani, i terroristi erano mele marce. Fosse, davvero, vero...
Chissà perché, non ce l’aspettavamo. Il cinema, che trasforma ogni realtà in fiaba, illudeva: ancora ieri, «Bend it like Beckham» («Sognando Beckham») parlava d’una ragazzina Sikh che s’emancipa col football femminile: confortevole sceneggiatura. Oppure «East is East» raccontava dei figli d’un matrimonio misto, lui pachistano lei inglese, che si ribellano al dogma islamico. Era ovvio che sarebbe finita bene: i costumi contano più della fede, Londra e libertà sono un’equivalenza.
Ora si scopre che la minaccia non viene da fuori, bensì da dentro: i terroristi suicidi li conoscevamo, perché già due sudditi musulmani erano andati in Israele a fare una strage, ma ora la realtà dei kamikaze con passaporto di Sua Maestà colpisce in casa, a Londra. La gioia del multiculturalismo, oggi, è un incubo.
Lo shock della rivelazione è il prezzo che si paga per avere ignorato troppo a lungo un gigantesco fenomeno, che si fa beffe dell’ottimismo sociologico: si pensava che l’integralismo dell’Islam fosse limitato ai nuovi arrivati, agli immigrati di prima generazione. Con il tempo si sarebbero moderati, i loro figli si sarebbero integrati. Oggi non è più così: nelle città europee ad alta densità islamica (il Nord dell’Inghilterra, le periferie di Parigi) le donne che non portano il velo vengono apostrofate, chi non digiuna durante il Ramadan è indicato a dito, molte famiglie non accettano che le loro figlie siano visitate da un medico maschio. «Spesso i giovani musulmani sono disancorati dalle credenze tradizionali e maturi per il reclutamento da parte dei radicali», ha detto Olivier Roy, esperto d’Islam e consigliere del governo francese, al Wall Street Journal . Fossimo stati più attenti, avremmo dovuto vederlo anche in Inghilterra.
Ora lo shock è enorme. Ieri sera su Channel 4, il conduttore Jon Snow, dopo che tutti hanno condannato questo terrorismo endogeno, è sbottato: «Condannare è facile, bisognerebbe capire». Qualcuno, in verità, aveva capito: Hanif Kureishi aveva condiviso la speranza dell’integrazione, con l’assurdo «My beautiful laundrette», dove un pachistano apre una lavanderia con l’amante (gay) inglese, ma poi aveva dato alle stampe «Mio figlio il fanatico», dove già l’illusione diventava delusione: era l’emancipato padre, il tassista Parvez, che aveva fatto l’impossibile per ripudiare il Pakistan, che assisteva alla ri-conversione del figlio Farid, il quale rifiutava la fidanzata inglese e s’allineava a un gruppo di fondamentalisti islamici. Il «teorema Kureishi» diventava l’«anti-teorema Kureishi», ma ancora con ironia, nella commedia. Ora non c’è più di che sorridere.
Il trauma ci richiede uno sforzo di comprensione: è vero che è un terrorismo che viene da fuori, ma non può essere fermato in frontiera. Non entra fisicamente, ma marcia nelle menti. La politica proporrà rimedi (controlli, repressione) e prevenzione («jobs, jobs, jobs», lavoro contro l’emarginazione). Ci vorrà di più: è pur vero che quattro terroristi non fanno una società, eppure l’Inghilterra ieri sera voleva, come Jon Snow, capire.

Alessio Altichieri