www.segnalo.it - Saggi ed articoli

Home page

Formazione Biblioteca e Cineteca Politiche e Leggi  Tracce e Sentieri

 

DEMOCRAZIE SOTTO ATTACCO
EZIO MAURO
 

  da Repubblica - 4 settembre 2004


È in Ossezia il primo cimitero di bambini del nuovo secolo. Di nuovo quelle immagini che sembrano venire dal fondo più oscuro del Novecento, piccoli corpi insanguinati, madri che abbracciano un cadavere, sguardi innocenti che hanno già visto, e per sempre, tutto il male del mondo.
E invece non bisogna cedere alla suggestione della memoria che cerca di dare forme e significati già conosciuti all´orrore. Tutto è nuovo ciò che stiamo vivendo, ciò di cui stiamo morendo, ciò che fatichiamo a comprendere nelle vecchie categorie della nostra cultura politica sfidata nella sua essenza: la normalità civile, la democrazia quotidiana, la semplice libertà, due grattacieli a New York, un treno a Madrid, una scuola a Beslan.
È nuova la sfida di questo terrorismo islamico che si carica in Ossezia di significati ceceni, uccide Quattrocchi e Baldoni in nome dell´Iraq, minaccia la Francia per il velo. Ma ovunque, replica la stessa condanna totale e definitiva al nostro modo di vivere, ad un sistema di regole, di valori e di diritti che chiamiamo Occidente, a ciò che ha saputo vincere i totalitarismi europei: la democrazia.
Guai a non comprendere che questa è la sfida, e dunque è mortale, perché non è minacciato uno Stato ma un mondo con i suoi valori e a causa di questi. E se quel mondo della democrazia si chiama Occidente, guai a non capire che Europa e Stati Uniti sono uniti per sempre, al di là delle singole volontà, nella buona e nella cattiva sorte, come i terroristi dimostrano di sapere più di noi.
Proprio per questo abbiamo il diritto di contestare fino in fondo la scelta unilaterale di George Bush di ridurre l´Occidente ad un sistema di delega, portando la guerra in Iraq con ragioni false e sbagliate, incrementando il terrorismo dopo aver cacciato il dittatore. Ma possiamo farlo soltanto se insieme con gli Usa ? invece di lasciarli soli dopo l´11 settembre ? ci facciamo carico della sfida islamista, ripudiamo il terrorismo, condividiamo la necessità per le democrazie di difendersi, restando se stesse.
La vicenda francese, in ogni caso, dimostra che l´Europa può aprire un canale di interlocuzione con l´Islam moderato, separandolo dall´Islam più radicale e assassino, per isolarlo e condizionarlo. Tutto questo, senza cedere ai ricatti e senza ambiguità, sapendo che nessuna cultura politica, nessuna furbizia statuale, e tantomeno nessuna connivenza colpevole ci metteranno al riparo.
Questa globalizzazione del terrore ? con dieci arabi trovati tra i terroristi ceceni ? ci porta comunque al centro della sfida, ognuno di noi, coinvolti per forza in un teatro di morte lontano come l´Ossezia per un´identità storica, civile e culturale comune. Quella che manda i bambini a scuola, riunisce i parlamenti, crede nella democrazia delle istituzioni e dei diritti. Qualcosa a cui non vogliamo rinunciare, e che dobbiamo imparare a difendere.


LE CINQUE SFIDE
di GUIDO OLIMPIO

dal Corriere - 4 settembre 2004

Beslan è l’ultimo quadro di sangue nella galleria dell’orrore, dove guerriglieri e terroristi competono per dimostrare chi è più feroce. Anche se le informazioni sono ancora confuse, possiamo individuare cinque sfide. Primo. Dopo l’11 settembre, che sarà ricordato tra qualche giorno, i gruppi eversivi sono spinti a cercare l’effetto spettacolo. Una volta si accontentavano di dirottare gli aerei, oggi li fanno saltare. I ceceni in passato avevano già organizzato sequestri di massa, ora avevano bisogno di far accorrere le tv internazionali. Ecco allora la cattura di centinaia di bimbi indifesi. Cosa c’è di meglio - o di peggio - per creare sgomento?
Secondo. Nella presa d’ostaggi, a Beslan come a Bagdad, il valore del ricatto sta non nella vita dell’ostaggio, ma nella sua morte. Il civile fatto prigioniero non è una pedina di scambio, piuttosto un agnello da sacrificare. E non basta ucciderlo con un colpo di pistola: il terrorista deve infierire sul corpo per dare forza alle sue rivendicazioni. E, soprattutto, per provocare un dibattito lacerante nelle opinioni pubbliche tra il partito della fermezza e quello della trattativa.
Terzo. Le azioni dei guerriglieri/terroristi tendono a essere di «non ritorno». I ceceni avevano minato la scuola e tra loro - dicono le ricostruzioni - c’erano donne con le cinture esplosive. I pianificatori dell’operazione non si devono preoccupare delle vie di fuga, il loro unico obiettivo è uccidere. È accaduto a Madrid, Mosca, Beslan.
Quarto. Il governo russo ha sostenuto che Al Qaeda ha «finanziato» l’attacco e ha rivelato che tra i sequestratori vi erano molti arabi. Occorre non fare confusione. La guerriglia cecena è un fenomeno locale, animata da elementi locali.
Ma da quasi un decennio ha contatti con militanti mediorientali. Un rapporto dettato più dalla convenienza che dalla convinzione. Osama, nei suoi messaggi, non dimentica mai di citare i fratelli ceceni, è vero che parte dei fondi per la guerriglia vengono dal Golfo Persico ed è altrettanto vero che diverse decine di volontari islamici hanno raggiunto il Caucaso. Lo racconta la propaganda dei fondamentalisti, diffusa su Internet e con le videocassette vendute nelle moschee. Prima il giordano Abu Khattab, poi il saudita Abu Walid, quindi il giordano Abu Hafs e il saudita Omar Al Seif sono stati celebrati come coraggiosi emiri dei mujahidin in Cecenia. Altro sintomo del contagio: il ricorso agli attacchi suicidi, tipica forma di lotta delle organizzazioni mediorientali.
Quinto. Mosca avrebbe dovuto attendersi qualche sorpresa dai ceceni. Sin da aprile, i leader separatisti avevano annunciato l’estendersi delle operazioni militari a nuovi settori. E le precedenti prese d’ostaggio costituivano un indizio. I generali prima hanno sottovalutato la minaccia e poi l’hanno affrontata nel peggiore dei modi.
Guido Olimpio


Notte e nebbia
di Antonio Padellaro

da l'Unità - 4 settembre 2004

È uno spaventoso massacro ed è la sola cosa che sappiamo con certezza. Tutto il resto non si deve vedere, non si deve sapere, non si deve capire, nascosto oltre il sipario di polvere densa e cattiva che si alza dalle macerie della scuola di Beslan dove il terrorismo ceceno ha impiantato la propria macelleria. Non si conosce nemmeno il numero dei morti: 150 secondo le autorità dell’Ossezia, molti di più secondo Mosca, non meno di 250 secondo i giornalisti che hanno assistito al blitz, molte centinaia secondo la Cnn. Blitz che prima viene negato dal Dipartimento osseto dei servizi segreti russi che, però, poi ammette: «siamo stati costretti all’azione». Oltre la sequenza Cnn dei bianchi sudari allineati sull’erba, dei bambini nudi scampati, delle barelle inutili, del tetto crollato sotto i colpi non si sa di chi, dell’autoblindo che corre intorno come un giocattolo senza molla, s’intuisce il problema di Putin. Allontanare da sè e dai suoi famosi reparti speciali l’onta della carneficina frutto dell’improvvisazione, dell’inettitudine e forse anche del disprezzo per gli ostaggi. Che prima erano 300 e poi si sono moltiplicati, come la anime morte di Gogol, fino a gonfiarsi nella statistica più aggiornata a «oltre 1200». Oltre 1200 tenuti a bada da trenta o quaranta terroristi? Facendo pensare che, qualcuno, nelle stanze del Cremlino non sapendo come sottrarsi alla lugubre forza dei numeri abbia escogitato un’apposita contabilità. Perché 150 morti su 350 ostaggi è ancora un rapporto, per così dire, presentabile davanti al mondo civile. In fondo ne abbiamo salvati più di uno su due, potrebbe dire il nuovo zar giustificando il devastante assalto delle sue teste di cuoio. Ma se i morti diventano 250, e i feriti 400, gli ostaggi dovevano essere per forza molti di più. «Oltre 1200» appare perciò una cifra abbastanza equilibrata nel contesto di un bagno di sangue. E forse anche un risultato spendibile nel consesso internazionale desideroso di conoscere i nuovi concreti progressi nella lotta al terrorismo.

Dispiace soffermarsi sui conti che non tornano, trattandosi di conti che riguardano il dolore incommensurabile delle povere famiglie di Beslan. E neppure si può lontanamente paragonare la ferocia disumana di chi ha attaccato con violenza cieca di chi ha reagito. Ma se tutto ci viene impedito di sapere sulla cause, reali, autentiche, che quel dolore hanno scatenato, sarà sempre più difficile difendersi da altro dolore, altro orrore, altri massacri. Esiste come una perversa simmetria tra terrorismo e menzogna.

Si direbbe quasi che l’uno e l’altra si sostengano a vicenda nel provocare infinite sofferenza e nell’impedire al resto dell’umanità di sapere perché. Il combinato disposto tra Al Qaeda e la manipolazione delle notizie ci sta precipitando in una cupa notte della ragione. E della informazione. A tutt’oggi nessuno sa cosa ha veramente scatenato l’11 settembre. E perché Bin Laden? E dov’è Bin Laden? E perché la guerra a Saddam? E dove sono le armi di distruzione di massa? E cosa sta succedendo, davvero, in Iraq? E come è possibile che trenta o quaranta ceceni possano entrare indisturbati nella misteriosa Ossezia e possano tranquillamente prendere in ostaggio 1200 (milleduecento) persone? Eppure, mentre il terrorismo s’impadronisce delle nostre menti, in attesa di farlo con le nostre vite, alla Convention di New York George W. Bush viene osannato quando dichiara che, oggi, con lui il mondo è più sicuro. Una frase insensata, ma che può passare indenne nel sonno della conoscenza. Una frase dal suono amichevole e patriottico se il presidente degli Stati Uniti intende, invece, comunicarci che siamo già entrati nella Terza o Quarta guerra mondiale. E che dunque è molto più conveniente per tutti stare dalla sua parte. Nella Terza o Quarta guerra mondiale non c’è posto per gli indecisi e i codardi. E non c’è posto per la politica, e non c’è posto per la diplomazia, e non c’è posto per l’Onu. O sei contro il terrorismo o sei con il terrorismo ammonisce il governatore della California “Conan” Schwarzenegger, quello che deride i democratici di Kerry chiamandoli «girlie men», femminucce. E quanto agli ostaggi, peggio per loro. Se in Francia un governo sovrano e responsabile cerca di fare il possibile per salvare la vita dei cittadini Chesnot e Malbrunot, quel governo «bacia il culo del nemico» («Il Foglio»). Ma poiché in Italia non esiste un governo del genere, da noi si dirà semplicemente che il cittadino Baldoni «se l’è cercata».

In una guerra mondiale, nello scontro di civiltà evocato dal pensatore Pera, i fatti devono adeguarsi per forza alle opinioni. Nessuno sa cosa è successo a Beslan, ma Bush dichiara lo stesso: ecco cosa fanno i terroristi. Berlusconi segue a ruota. Terrorismo e menzogne. Per arrivare dove? Chi taglia la gola dei prigionieri, chi massacra i bambini non ha nessuna civiltà da imporre. Sono criminali che ci faranno ancora soffrire molto, ma che hanno già perso. Norman Mailer ha un’altra risposta ancora. Cita il pensiero di un tipo che in vita sua è diventato obiettivo un po’ troppo tardi: «Ovviamente la gente comune non vuole la guerra, ma in fin dei conti sono i leader di un paese a fare la politica, ed è sempre semplice trascinare un popolo - che si tratti di una democrazia, di un regime fascista, di un regime parlamentare o di una dittatura comunista. Che faccia o no sentire la sua voce, il popolo può sempre essere piegato agli ordini dei capi. E facile. Basta dirgli che è sotto attacco e accusare i pacifisti di non essere patriottici e di mettere la patria in pericolo. Funziona nello stesso modo in tutti i paesi». Queste parole, spiega Mailer,le pronunciò Hermann Goering nella sua deposizione al processo di Norimberga. Ma forse, con l‘aria che tira, era una citazione da dimenticare.