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LA SOLITUDINE DELL´ISLAM
KHALED FOUAD ALLAM
 

  da Repubblica - 6 settembre 2004


SONO ore tragiche quelle che il mondo sta attraversando: una violenza inaudita si scatena, lasciando sul campo morti e feriti. E quando il volto di un morto o di un ferito è quello di un angelo, di un bambino, l´umanità intera è sconfitta. Ed è grave è che da oltre vent´anni la violenza si scateni in nome di una fede e di una civiltà, quella dell´Islam. In vent´anni il mondo è cambiato, ma gli uomini sono stati incapaci di cambiare il mondo. Sul banco degli imputati, che lo si voglia o no, è sempre chiamato l´Islam: e nel mondo è diventato difficile essere musulmani. Questo nuovo ciclo della storia ha la paurosa capacità di cortocircuitare la storia, incidendo nelle menti e negli sguardi: come se il succedersi degli avvenimenti richiamasse a un´unica logica di fondo che mette sempre a confronto l´Islam da una parte e l´Europa o l´Occidente dall´altra. Così fra noi e l´Occidente si sta alzando un muro d´incomunicabilità sempre più impenetrabile.

La solitudine dell´Islam

Da oltre vent´anni studio il mondo islamico, vale a dire la mia cultura, e i suoi mutamenti, le sue crisi, la sua capacità di rigenerarsi, anche se a volte la violenza che lo attraversa sembra incomprensibile, e il mondo sembra crollarti addosso. Certo, bisogna osservare razionalmente l´andamento delle cose, e riconoscere che da molti anni il mondo musulmano è in crisi, e che questa crisi richiede oggi il suo riformularsi su nuove categorie sociali e culturali, su categorie più critiche, in grado d´affrontare il XXI secolo. Senza una tale riformulazione le cose nel mondo islamico andranno sempre peggio; e senza un´educazione umanista e critica, senza nuove autentiche cittadinanze, sempre più ragazzi andranno a cercare nel teatro del mondo ciò che il mondo non ha dato loro.
Scrivo queste righe e piango per quei bambini, la cui colpa era solo quella di essere bambini; e non posso non stare male di fronte all´orrore perpetrato dal terrorismo. E anche se è imprescindibile ripensare le categorie politiche con cui si affrontano oggi i drammi dell´umanità, questo non può sminuire il fatto che, nei rapporti fra islam e occidente, una frattura che era già presente nel passato storico stia ora esplodendo come lava da un vulcano. Si tratta del divorzio fra memoria e storia, di cui ho parlato più volte: da tempo affermo che il mondo musulmano ha interiorizzato la sua espulsione dalla memoria collettiva occidentale: perché l´Islam è visto in Occidente come un segmento della storia dell´umanità che non è riuscito a diventare memoria condivisa, e dunque è sempre catalogato nella dimensione del diverso perché legato a lingue e valori diversi da quelli occidentali, che gli impediscono di collocarsi sul piano dei valori universali. E oggi questa frattura che si sta allargando ha enormi conseguenze sul piano dei rapporti fra genitori e figli nel mondo musulmano, come se in esso la stessa filiazione si fosse spezzata: i figli non si riconoscono più nella religiosità dei genitori, li accusano di aver ceduto alla logica del dominio occidentale. È una gioventù triste e angosciata, che si inventa un modello di religiosità seguendo i cattivi maestri.
E così la violenza sta strutturando un´intera generazione, che combatte un suo corpo a corpo contro l´Occidente ma anche contro di noi, contro quella parte dell´Islam che pensa sia sempre possibile ricostruire i rapporti, gettare dei ponti fra Islam e Occidente, fra Islam e mondo. Oggi è grande la tentazione di passare dalla colpa individuale alla colpa collettiva, investendo tutti i musulmani della responsabilità di pochi assassini: e questo rappresenta un grave rischio per l´intero mondo islamico, perché nei momenti bui della storia si tende ad addossare a un unico capro espiatorio tutti i mali e tutte le colpe del mondo.
Per dissolvere questo spettro che aleggia sull´alba del nuovo secolo, siamo tutti chiamati alle nostra responsabilità nel mondo e nella storia. Perché la malattia che ci attraversa - Occidente e Islam - è anche questo: una strana asimmetria fra un Occidente che vede nell´Islam una religione di conquista, e i musulmani che vivono come minoranza incompresa e non amata. Ed è un´asimmetria esplosiva, che non permette un dialogo né un negoziato.
Si impone dunque una profonda riflessione; e quella che parte dai musulmani dovrà dirigersi in una doppia direzione: entro l´Islam, ma anche verso l´Occidente. Ma questo l´Islam non lo può compiere da solo, in un pianeta globale: l´Islam ha bisogno di uno sguardo diverso, più comprensivo; i musulmani hanno bisogno d´esser considerati cittadini come gli altri, hanno bisogno di sentirsi dire che, anche per loro, la democrazia è possibile, che non è un lusso per popoli privilegiati, e che la prima arma contro il terrorismo è una cultura democratica.
Vorrei ricordare le parole che un grande scrittore egiziano, Taha Hussein (1889-1973), che fu anche ministro della Pubblica istruzione, scrisse durante un viaggio in Grecia, osservando l´Acropoli: "In quei tre secoli, su questa particella di terra che il nostro sguardo non ha difficoltà ad abbracciare interamente e i nostri passi a percorrere, l´uomo ha imparato che possiede una ragione, un sentimento, una coscienza, e che tutto ciò gli dà il diritto alla libertà e alla dignità; e anche il dovere di riconoscere ai propri simili il loro diritto alla libertà e alla dignità, come pure quello di proteggersi dal male. In quei tre secoli, su questa particella di terra, è nata la democrazia. L´uomo vi ha riconosciuto che il potere non scende dal cielo, ma nasce dalla terra".


L´ANALISI
Quel difficile dialogo con gli arabi moderati
GUIDO RAMPOLDI

CON i tempi che corrono non è irrilevante che alte autorità dello Stato e del governo ora invochino all´unisono il dialogo con l´Islam moderato. Già il fatto che si ribadisca l´esistenza d´un Islam diverso dalla fede dei tagliatori di teste e scannatori di bambini non è cosa da poco, in un Paese in cui perfino il presidente del Senato pare convinto che esista una monolitica "civiltà islamica" fondata su un unico credo, aggressivo e invasore. Ma è curioso che in queste reazioni s´ometta di spiegare cosa sia quell´Islam moderato, e quali strumenti concreti siano necessari per avviare quel dialogo invocato per ultimo dal presidente della Camera Casini, in un´intervista al nostro giornale gradita da molti musulmani.
SEGUE A PAGINA 11


L´ANALISI
Le ambiguità della comunità islamica e un dialogo che non parte anche per i veti della Lega

Musulmani, quella zona grigia tra tolleranza e integralismo

Nelle moschee italiane si ripudia spesso la violenza contro prigionieri e civili ma si considerano i soldati americani in Iraq come un obiettivo legittimo
Fermo da un anno il progetto di Pisanu della consulta con gli islamici moderati. La scelta sempre urgente: rafforzare o indebolire lo Stato di diritto
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
GUIDO RAMPOLDI

Un moderato è certamente l´imam di Valdelsa, Feras Jabareen: col suo digiuno "per la pace e contro il terrorismo" sta dando visibilità all´angoscia con cui tanti suoi correligionari assistono alle feroce d´un terrorismo che si proclama islamico. Ma a ben vedere non v´è imam d´Italia oggi disposto ad assolvere il massacro di bambini in Ossezia o l´assassinio di ostaggi in Iraq. Eppure non tutti quegli imam sono moderati. Quanti sono legati alle filiazioni dei Fratelli musulmani hanno espresso dal pulpito e in documenti inequivoci il ripudio della violenza contro prigionieri e civili, come anche oggi ci ripetono. E tuttavia essi ritengono che i soldati americani in Iraq siano un obiettivo legittimo, insomma che sia giusto ammazzarli, come spiega ad esempio l´imam romano Samir Khladi riecheggiando Yussef Kardawi, il telepredicatore più seguito dalle comunità musulmane in Europa, cui parla dal pulpito offerto da al Jazeera. Molti di questi imam, e tra questi Khaldi, tendono a sospettare invisibili mani straniere dietro un terrorismo che si proclama islamico: e così esorcizzano il sospetto che vi siano anche interpretazioni del Corano all´origine di certe pratiche omicide. Oppure si assolvono dalla mancata mobilitazione per la salvezza di Enzo Baldoni, contestata ieri da Abderrhmane Dihmane, presidente dei musulmani di Francia.
Ma c´è un´ambiguità simmetrica anche nel governo italiano. Prendete Giuseppe Pisanu. Nel complesso un discreto ministro dell´Interno, di recente Pisanu ha rilanciato l´idea del dialogo con l´islam moderato attraverso una Consulta in cui il Viminale chiamerebbe un certo numero di musulmani saggi e tolleranti: appunto i moderati. Così congegnata, la Consulta avrebbe l´indubbio merito di promuovere un islam di cultura e mentalità "occidentali", laddove oggi c´è soprattutto caos, improvvisazione e teologia d´importazione araba. Ma quei musulmani così "occidentali" sarebbero rappresentativi?. Se si esclude in partenza come "non moderato" chi per esempio ha sull´Iraq le stesse posizioni grossomodo espresse in Italia da comunisti e no global, si finisce per rinunciare in partenza a moderare, dialogando, chi domani potrebbe slittare verso l´estremismo. Parliamo di quella zona grigia, probabilmente maggioritaria, che rifiuta tanto il jihadismo quanto il moderatismo. Dobbiamo giudicare sgradevoli e sfuggenti le posizioni difformi che la rappresentano, ma non possiamo ignorare che quello è il territorio decisivo. È lì che un Occidente saggio dovrebbe cercare interlocutori, senza rinunciare mai ai principi fondativi dello Stato di diritto liberale ma senza neppure scagliare anatemi preventivi o peggio, considerare "filoterrorista" chi non lo è. Infatti quell´area vastissima è molto più complessa e articolata di quanto l´immaginiamo in Occidente. Perfino le sue periferie estreme, da noi classificate dentro lo stereotipo di wahabismo, sono assai più frastagliate di quanto ci appaiano. Indagare l´arcipelago degli Islam sarebbe dunque cruciale per capire dove trovare potenziali alleati o almeno interlocutori. Ma in Italia questo sforzo di comprensione non è frequente. Chi ci osserva dall´esterno ha l´impressione che da noi, al contrario che in Francia o in Gran Bretagna, le gabbie ideologiche prevalgano sulla realtà e "in genere orecchino lo schema dello scontro tra civiltà, come se in definitiva lo volessero" (come ci dice Salah Bachir, commentatore del londinese Dar al Hayat).
Così ignoriamo la distinzione tra musulmani e islamisti, insomma tra laici e integralisti. E tendiamo a dare la patente del "moderato" soltanto a chi, per esempio, si tiene dentro l´avversione alla guerra in Iraq. A nostra parziale discolpa possiamo dire che è nella tradizione occidentale costruire in modo equivoco il concetto di "Islam moderato". Ma l´Italia ha una colpa aggiuntiva. Al contrario dei grandi Paesi europei, non ha mai tentato seriamente di inventare strumenti per dialogare con i musulmani, immigrati e non. Se è positivo che Pisanu rilanci la sua idea della Consulta, congelata da un anno almeno, per onestà egli dovrebbe spiegare perché quel progetto non va avanti: altrimenti si potrebbe sospettare che il ministro dell´Interno ci prenda in giro. È pronta da tempo perfino la lista dei musulmani che vi sarebbero cooptati, come ci conferma chi sa già d´essere previsto in quel consesso: ma non accade nulla. Infatti il governo è paralizzato dal veto della Lega e dal dissenso di altri settori della maggioranza, timorosi di apparire troppo cedevoli verso il formicolante islam. Peraltro la Consulta non è fondamentale quanto invece la legge-quadro sulla libertà di culto, primo firmatario Bondi: senza provocare alcun sconquasso o cambiamento clamoroso, permetterebbe tecnicamente quel dialogo da tutti invocato a cominciare da questioni minime, che però premono ai musulmani. L´opposizione sarebbe d´accordo (il progetto ricalca una proposta varata durante il governo Prodi) ma settori della maggioranza recalcitrano. In altre parole una questione considerata da molti cruciale per la nostra patria è ostaggio d´un pezzo della maggioranza. Questo dovrebbero dire finalmente i Pisanu, i Frattini, i Casini, quando proclamano la necessità di trovare un canale di comunicazione con gli Islam.
Ma la questione è più vasta di quanto non dica il programma di dialogare con l´Islam moderato. La presenza in Europa di 15 milioni di musulmani obbliga noi e loro a decidere cosa siamo. Quando in Italia parliamo di islam in realtà parliamo di noi stessi. Siamo una tribù cristiana? Uno Stato di diritto liberale? Una democrazia ottomana, insomma una sommatoria di comunità, ciascuna libera di autoregolarsi purché dentro una gerarchia che vede i battezzati al primo posto? E l´Europa può contenere la Turchia musulmana, oppure deve escluderla e aprire la porta, nel 2007, a quella Croazia che tuttora osanna in piazza gli imputati dell´Aja, però è cristiana? Qual è il nostro progetto di società, e quale il progetto che ancora fonda la parola Occidente? Di questo in realtà stiamo discutendo, e l´argomento è intricato e penoso. Altrettanto lo è per i musulmani arrivati in Europa, chiamati a inventarsi islam nuovi che in qualche modo interagiscano con noi. Se ora dobbiamo interpretare la reazione dei musulmani d´Italia davanti all´oscenità del massacro in Ossezia, potremmo cogliere disgusto e disagio. Ma anche la difficoltà, e la volontà, d´esprimere una posizione che conceda nulla alla "guerra al terrorismo" così come l´ha immaginata l´amministrazione Bush. E infine un certo disorientamento, spesso figliato dalla stessa mancanza di coraggio per la quale si vorrebbe che una cospirazione straniera muova le fila del terrorismo. Però non possiamo pretendere che i musulmani, per essere "moderati", abbiano la stessa idea consolante che noi abbiamo delle nostre società. Anche il pachistano più laico e "occidentale" faticherebbe a concludere che siamo davvero la civiltà della tolleranza e dello stato di diritto, a fronte di ciò che gli offrivano le cronache del 2002. Nove clandestini pachistani assassinati a freddo dalla polizia macedone, e spacciati per un commando di al Qaeda, perché il ministero dell´Interno voleva acquisire benemerenze presso Washington. Altri immigrati catturati dalla polizia spagnola come "cellula di bin Laden", ma liberati presto perché vittime d´una montatura. Cinquantasei pachistani arrestati in Italia in due ondate, anche loro presentati come sicari di bin Laden cui venivano i piani più fantasiosi, e infine rimessi in libertà senza una scusa. E così continuando. Ora sembra vicino il bivio in cui dovremo decidere, in Italia come in Europa, se per combattere il terrorismo occorra indebolire lo Stato di diritto, come vorrebbero alcune destre, o al contrario rafforzarlo. Su questa biforcazione potrebbe decidersi cosa sarà in futuro l´Occidente.