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«Che tristezza lo scetticismo del mio governo»

Lo strappo di Ruggiero: ho una missione, la politica bipartisan in Europa. Non c’è continuità, sono preoccupato

ROMA - «Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi è stato bellissimo. Mentre nel governo si sono sentite poche voci e tutte di forte scetticismo se non addirittura di critica per l’avvenimento. E poi un grande silenzio». E’ amareggiato, il ministro degli Esteri Renato Ruggiero. Le sue sembrano le parole di chi ha la tentazione di sbattere la porta, anche se si capisce che non sta ponendo un problema personale, ma di linea del governo. Se la prende con l’accoglienza riservata da molti ministri dell’esecutivo di cui fa parte alla moneta unica europea. Un’accoglienza che l’agenzia britannica Reuters ha così sintetizzato nel titolo di una corrispondenza da Roma sulle reazioni politiche all’arrivo dell’euro: «I ministri italiani fanno del loro meglio per intaccare l’euroforia». La «Reuters» ha ragione?
«Purtroppo questa è la pura verità».
Magari nessuno se l’è sentita di intervenire dopo il discorso di Ciampi.
«Il discorso di Ciampi ha certamente riempito la scena. E certamente nessuno si è sentito in grado di poter replicare alle sue grandi affermazioni di europeismo. Affermazioni che non sono una sorpresa per me: mi sento molto vicino a lui sia sul piano politico che su quello dei principi etici. Del suo discorso condivido ogni parola. Per il resto non voglio fare polemiche. Ma leggendo le autorevoli interviste sui giornali che esprimevano principalmente critiche alla nascita della moneta unica europea sono stato assalito dalla tristezza».
Tristezza?
«Mentre tutti i governi sottolineavano il valore politico ed etico altissimo della nascita dell’euro, che per due generazioni di europei significa aver cambiato il senso della storia del continente, a casa nostra si è fatto proprio tutto il possibile per sminuirlo».
Se si riferisce a Bossi, lui ha sempre parlato chiaro. Due settimane fa ha detto: «Noi siamo per dare all’Europa il meno possibile».
«In Italia esiste il problema di un vero dibattito politico sull’Europa. Non solo. Ma credo che il dibattito politico sull’Europa sia uno dei più difficili in questo governo. Le contrapposizioni non sono forti: sono molto forti».
Quindi non c’è solo un problema di dialogo fra i poli, come ha richiamato Ciampi, ma anche di dialogo nella maggioranza di governo?
«Sono un diplomatico, e vedo la politica in termini di dialogo. Ma dev’essere un dialogo civile, non arrogante. Che deve cercare di perseguire, da entrambe le parti nell’ambito delle rispettive posizioni politiche, l’interesse del paese. Queste affermazioni sull’euro, che non sorprendono, diventano conferma di una contrapposizione molto forte. Che non sia una novità lo riscontra anche la stampa internazionale, ma è un fatto molto pericoloso».
Lei fa parte di un governo di centrodestra che finora non si è mostrato euroentusiasta. Non è una contraddizione?
«Sono entrato in questo governo su richiesta principalmente di Silvio Berlusconi. Il presidente del Consiglio me l’ha fatta avendo tracciato anche pubblicamente, a Porta a Porta , prima ancora delle elezioni, l’identikit del suo candidato per questo ruolo: un uomo in grado di fare una politica bipartisan per l’Unione Europea e l’Alleanza atlantica. E io sento che questa è la mia missione».
Missione di continuità in politica estera.
«Certamente. Però non vedo questa continuità. Anzi, vedo questa continuità messa in pericolo da affermazioni molto gravi. Non nego di essere molto preoccupato».
Non crede che possa essere sorto anche qualche equivoco? Tremonti, per esempio, non dice di essere contrario all’euro, ma che bisogna passare dall’Europa della tecnocrazia a quella della politica.
«Tecnocrazia? Chi ha fatto prima il sistema monetario europeo, e poi l’euro? L’hanno fatto Giscard D’Estaing, Helmut Schmidt, capi di stato e di governo. Promotore fu Roy Jenkins, una delle personalità politiche più importanti del Regno Unito».
E poi la sterlina è rimasta fuori dall’euro.
«Ma c’è stato un dibattito politico enorme in tutta Europa. In Italia c’era Giulio Andreotti, che non può certamente essere accusato di tecnocrazia. E anche a Maastricht c’era Andreotti. Dove sono questi tecnocrati?»
Magari è un riferimento alla sua figura.
«Insieme a Ciampi e Rainer Masera ho svolto certamente un ruolo importante all’inizio del percorso. Nel 1978 ero il capo del coordinamento delle politiche europee del ministero degli Esteri, Ciampi era direttore generale della Banca d’Italia e Masera era del centro studi di via Nazionale. Noi abbiamo fatto il negoziato tecnico. Ma tutte le decisioni sono state prese da capi di stato e di governo. E in Italia c’erano Andreotti, Arnaldo Forlani, Filippo Maria Pandolfi. Se poi vogliamo fare un paragone fra me e Tremonti, io sono meno tecnocrate di lui. Sono stato ministro per quatto anni, lui in tutto poco più di un anno. Quando ero ministro del Commercio estero l’attuale responsabile dell’Economia presiedeva una commissione tecnica del mio ministero».
Autorevoli ministri sostengono che la cessione di sovranità da parte degli stati nazionali verso l’Unione Europea deve finire. Lei che ne pensa?
«Tutto quello che abbiamo fatto finora è stata una cessione di sovranità nazionale inefficiente per acquisire una sovranità molto più ampia ed efficiente negli interessi del paese. E chi nega questo nega completamente la costruzione dell’Europa comunitaria. Adesso si tratta di fare un modello politico, la federazione degli Stati nazione, in cui ci sia una parte dei poteri devoluti alla federazione».
La devolution di Bossi complicherà le cose?
«Dipende da come sarà fatta. Ma fare una devoluzione verso l’alto e una verso il basso può veramente indebolire lo Stato nazionale. Ci vorrà molto equilibrio su come si cederanno queste competenze. Il dibattito europeo è però solo sulla devoluzione verso l’alto, almeno a questo stadio».
Qualche critica al «tecnocrate» Ruggiero è arrivata anche da An per la gestione degli Esteri. Dicono che alla Farnesina lei ha piazzato troppa gente di sinistra. E’ vero?
«Se si riferisce all’articolo dell’ Espresso in cui si parlava di un rapporto di un alto funzionario di An su come bisognerebbe gestire il ministero, debbo ritenere allo stato delle conoscenze che si tratti di un episodio isolato, un brutto episodio. Se si seguissero i consigli di quell’alto funzionario di An si tornerebbe di fatto a una politica dell’amministrazione basata sulle tessere di partito. E sarebbe un momento molto brutto».
Gli scontri sull’Airbus con Antonio Martino. Le critiche sulla Farnesina. E ora le polemiche sull’euro. Non si sente un po’ isolato?
«Altro che isolato. Nell’ultimo sondaggio ho avuto il voto più alto di tutti i ministri. Anche per la sensibilità politica. In parlamento ho il sostegno della maggioranza e di gran parte dell’opposizione...».
Con l’aria che tira, di contrapposizione fra i poli, questo la dovrebbe preoccupare....
«Siccome sono stato nominato per fare una politica bipartisan, è logico che oltre al consenso della maggioranza cerchi anche quello dell’opposizione. Nel parlamento e nel paese non sono solo. Nel governo trovo delle difficoltà. E sono palesi, non ne faccio una questione personale. E’ evidente che tra quello che dice Ciampi, e che dico anch’io, e quello che dicono alcuni altri, c’è una gran differenza».
E il presidente del Consiglio?
«Per il momento non ha avuto modo di esprimersi molto sul piano dei principi generali, ma quello che ha detto dimostra un’inclinazione europeista».
Che fondamento hanno le voci che periodicamente la vogliono dimissionario?
«Il mio compito oggi è di fare tutto il possibile perché la continuità della politica estera nei confronti della costruzione europea sia garantita».

Sergio Rizzo

Corriere della sera 3.1.2002