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LE POLEMICHE SUL FILM «MAGDALENE»

FIGLIE SENZA DIRITTI

La Stampa settembre 2002


CAPISCO l´irritazione degli opinionisti cattolici di fronte al film Magdalene. Quel particolare pezzo di chiesa cattolica rappresentato dalle suore responsabili di quel riformatorio e dai parroci e vescovi che ne avevano la sorveglianza morale e religiosa non ne esce bene. Innanzitutto perché dimostra che la vocazione e motivazione religiose non sempre bastano a superare le meschinità della natura umana ed anzi talvolta le possono offrire un paradossale rinforzo.

Ma non c'è nulla di nuovo in questo e la cronaca dell'ultimo anno ne aveva già dato ampie prove con la denuncia di fenomeni non occasionali di pedofilia e di violenze sessuali perpetrate da religiosi. Ha dovuto persino intervenire il Pontefice, anche se non con la radicalità di condanna che molti avrebbero auspicato proprio per poter continuare a distinguere tra Chiesa come istituzione e suoi singoli rappresentanti deviati, tra religione e singole persone che di quella religione si fanno scudo per coprire la propria meschinità e violenza.

Mi sembra tuttavia che guardare solo al ruolo della chiesa cattolica irlandese - o di una sua parte - nella vicenda delle Magdalene sia troppo parziale. Quella vicenda (non solo nel film) testimonia infatti una delle varianti del modo in cui il comportamento sessuale - voluto o subito - delle donne è al centro di preoccupazioni di onore familiare e di integrità sociale. E perciò rende vulnerabili le donne al controllo e al potere - dei genitori, dei responsabili della comunità - in modo più radicale e pervasivo di quanto succeda agli uomini.

Se oggi nel mondo della sharia islamica le donne possono venire frustate o lapidate a morte per uno sgarro sessuale, nell'Europa soprattutto, ma non solo, cattolica fino a non molto tempo fa potevano essere radiate dalla comunità, sepolte vive in casa o, come in Irlanda, in riformatorio.

Ciò che rende particolare e terribile il caso delle Magdalene è che fin dentro gli anni sessanta in Irlanda il potere delle famiglie sulle proprie figlie non aveva limiti nei principi pur altrimenti esistenti dell'habeas corpus e del diritto ad un giusto processo. Un genitore poteva, con l'avallo del parroco, chiedere che la propria figlia venisse rinchiusa insieme a ragazze che avevano subito una condanna per reati penali; senza che lei potesse opporre resistenza e senza che nessuno intervenisse a difenderne i diritti. Solo una nuova e contraria decisione della famiglia poteva riaprirle le porte e riammetterla nella convivenza civile. La complicità in questa lesione fondamentale dei diritti civili e della dignità personale da parte di uomini e donne di chiesa, per quanto storicamente e culturalmente comprensibile, rimane una ferita imperdonabile più delle crudeltà e meschinità perpetrate tra le mura delle Magdalene.

Chiara Saraceno