Incontri di studio e aggiornamento per Amministratori

“L’ ENTE LOCALE E I GIOVANI”

a cura di Comunità dell’ Isola,   Provincia di Bergamo-Assessorato ai servizi sociali; Azienda USSL n. 11- Ponte S. Pietro 

4 Ottobre 1996 ore  20.30 - 23.30 

COME OCCUPARSI DI PREADOLESCENTI, ADOLESCENTI E GIOVANI ?

STRUMENTI, RUOLI E FUNZIONI A DISPOSIZIONE DI UN ENTE LOCALE

relazione del dott. Paolo Ferrario - esperto in formazione e Politiche sociali e dei servizi 

 

Introduzione

Scopo di questa serata è quello di riflettere sugli strumenti a disposizione degli Enti Locali per produrre iniziative o servizi nel campo delle politiche giovanili.

In primo luogo vorrei proporvi uno schema che si può dimostrare di qualche utilità per leggere e comprendere il sistema dei servizi sociali. Nel proporvi questo strumento parto dalla consapevolezza che ciascuno dei presenti ricopre un significativo ruolo nelle comunità locali in quanto consiglieri comunali.

In secondo luogo passerò ad esaminare le problematiche giovanili così come si pongono in relazione alle azioni politiche in campo giovanile.

In terzo luogo entrerò nel merito della attuale rete di servizi socio-sanitari ed in particolare sulla attuale posizione istituzionale del Comune nella rete dei servizi.

Già fin d’ora intendo dichiarare quale sarà la conclusione dei ragionamenti sviluppati nel corso della serata: la situazione nel campo dei servizi è tale per cui si possono compiere azioni di sviluppo solo se tutto l’insieme dei soggetti pubblici e privati collabora nel mantenimento e nello sviluppo di progetti socio-sanitari. Ancora più in particolare il punto vero è quello di trovare le più idonee forme di comunicazione fra soggetti istituzionali diversi che interagiscono tra di loro. Comuni, Azienda USSL, privato-sociale hanno ciascuno ruoli e funzioni differenti e tuttavia solo realizzando progetti integrati possono creare strutture di servizio vantaggiose per lo sviluppo e la crescita culturale delle comunità locali.

 

Trasformazioni sociali e offerte di servizio: uno schema di riferimento

 

Partiamo da un interrogativo piuttosto semplice e chiediamoci che cosa è una offerta di servizio.

Possiamo dire che un’offerta di servizio è una organizzazione composta da persone che intervengono su una domanda sociale che ha alle sue spalle un retroterra di bisogni che si modificano nel corso del tempo. Per fare un esempio la scuola elementare viene istituita in Italia nella seconda metà dell’800 per rispondere a importanti problemi di alfabetizzazione delle popolazioni italiane in rapporto ad un certo tipo di sistema produttivo e per sviluppare abilità lavorative. Quindi la scuola elementare corrispondeva ad una domanda di alfabetizzazione che veniva stimolata dalla estensione dei bisogni culturali dei cittadini italiani.

Questo esempio della scuola può forse chiarire bene lo schema di ragionamento che vi propongo. Il grafico n. 1 consente di approfondire ancora meglio queste argomentazioni.

 

Grafico n. 1

 

 

 

 

I bisogni sono caratterizzati da una grande variabilità: il disegno tenta di esprimere con la forma della stella variabilità. I bisogni mutano in riferimento al trascorrere dei tempi storici, mutano in rapporto alle generazioni e mutano ancora in rapporto alle variazioni socio-culturali.

I bisogni a loro volta determinano la domanda sociale, che tuttavia si presenta più strutturata. Le offerte a loro volta si diversificano e si specializzano in un certo senso in rapporto sia alla variabilità della domanda sociale, sia in rapporto alla variabilità dei bisogni.

Ho voluto iniziare proponendovi questo semplice schema proprio perché questa mappa problematica  può essere di una certa utilità per comprendere lo sviluppo di tutti i servizi che sono cresciuti su specifiche fasce di bisogno (minori, handicappati, malati psichici, tossicodipendenti, malati di AIDS, anziani, demenze senili).

Potremmo chiederci cosa c’entra tutto questo con le problematiche giovanili.

Ebbene non vi è dubbio che le generazioni giovanili di oggi sono profondamente diverse dalle generazioni del passato. La stessa comunicazione che potremmo definire “generazionale” (es. fra genitori e figli) è fortemente condizionata dai diversi modelli culturali introiettati da tali gruppi sociali. La generazione dei padri o ancor più la generazione dei nonni si è presentata sul mondo sociale all’interno di un quadro socio-culturale profondamente diverso da quello che si presenta oggi alle giovani generazioni. In sintesi potremmo dire che sono radicalmente mutate le modalità stesse della socializzazione, cioè a dire dell’apprendimento delle regole sociali che si realizza nel corso delle biografie personali. Per non lasciare in sospeso questa analisi propongo di riflettere su alcuni dati demografici.

 

Tabella n. 1

Le famiglie italiane nei censimenti 1961 - 1991

 

 

 

 

 

 

1961

1971

1981

1991

 

 

 

 

 

Popolazione

residente

50.623.569

54.136.547

56.556.911

56.778.031

 

 

 

 

 

Famiglie

13.746.929

15.981.177

18.632.337

19.909.003

 

 

 

 

 

N. medio di componenti

3,7

3,4

3

2,8

 

 

 

 

 

Famiglie con un componente

1.410.232

2.031.232

3.323.456

4.099.970

 

 

 

 

 

% di famiglie

con un componente

10,3

12,7

17,8

20,6

 

 

 

 

 

Famiglie con 5 comp. e più

3.512.845

3.341.732

2.780.676

2.249.300

 

 

 

 

 

% di famiglie con 5 comp. e più

25,6

20,9

14.9

11,3

 

La tabella n. 1 propone i dati dei censimenti relativi alle famiglie italiane. Anche da una rapida ricognizione su questi grandi numeri è possibile vedere i grandi mutamenti sociali che hanno attraversato il nostro paese. La popolazione residente è aumentata da 50.600.000 circa a più di 56.700.000 circa di abitanti nel periodo 1961-1991. Nello stesse trentennio le famiglie italiane sono passate da circa 13.700.000 a ben 19.900.000 e nello stesso periodo ancora il numero medio dei componenti delle famiglie stesse è passato da 3,7 a 2,8. Inoltre le famiglie composte da un solo componente sono passate da 1.410.000 a più di 4.000.000 mentre le famiglie con 5 e più componenti si sono ridotte da 3.500.000 a 2.200.000. Cosa ci dice tutto questo? Questi dati ci parlano di una frammentazione dell’universo familiare. Le famiglie sono più piccole e conseguentemente aumentano i bisogni di relazione al di fuori del sistema famigliare. Oggi la famiglia pur essendo ancora la principale e fondamentale agenzia di socializzazione non può più essere la sola istituzione sociale in grado di rispondere alle complesse aspettative di crescita socio-culturale delle giovani generazioni. Aumenta l’importanza della scuola, dell’organizzazione del tempo libero e sicuramente anche della più specifica promozione culturale che può essere svolta anche dagli enti locali.

Questo è uno dei punti centrali cui volevo arrivare: gli enti locali possono giocare un ruolo significativo nell’integrarsi con le altre grandi agenzie di socializzazione e promuovere lo sviluppo della comunità locale, proprio come con chiarezza indica l’art. 2 della Legge 8 giugno 1990 n. 142:

“il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo”.

Le proposte rivolte agli adolescenti non possono prescindere dall’esistenza di due fasi distinte dell’adolescenza stessa: quella compresa fra gli 11-14 anni circa e quella fra i 18-19 anni. Nella prima fase compaiono e man mano si consolidano le iniziative dei ragazzi e delle ragazze per definire un proprio modo di essere e di agire indipendente dalla famiglia; l’apertura al mondo esterno trova negli amici/amiche del cuore, in seguito nei gruppi di coetanei, i mediatori più rilevanti e il sostegno sociale più frequente. Ciò che è essenziale in questa fase è che l’uscita dal controllo pieno della famiglia non avvenga in forma di rottura o di conflitto esasperato e che l’esperienza scolastica non si traduca in un annientamento della stima di sé. Naturalmente i problemi più gravi sono quelli dei soggetti che non hanno avuto nella famiglia un sostegno reale per affrontare i primi problemi scolastici. Gli abbandoni scolastici, nel corso della scuola media, spesso mascherati da frequenza e promozioni puramente formali, sono un grave sintomo di disagio sociale. Nella fase di età fra i 15 e i 18 anni invece l’esperienza del gruppo di coetanei è, in genere, uno dei momenti chiave per sperimentare ruoli sociali diversi senza impegni definitivi per vagliare criticamente richieste e proposte del mondo adulto, per orientarsi nei confronti delle esperienze affettive e sessuali, per trovare sostegni nei momenti di incertezza, di insuccesso, di delusione. Quello che è essenziale in questa fase è che i gruppi non costituiscano un mondo a parte per cui la comunicazione col mondo esterno (adulti, istituzioni sociali, altri tipi di gruppi) diventi impossibile.

Un altro dato molto significativo della società italiana su cui riflettere è quello della sempre maggiore presenza dei figli all’interno della famiglia anche in età ormai definibile come adulta.

 

Tabella n. 2

Popolazione residente in famiglia per classi di età e ruolo nel nucleo familiare (valori percentuali - 1991)

 

Tipologie familiari

0 - 14

15 - 19

20 - 24

25 - 29

30 - 34

 

 

 

 

 

 

Marito

 

0,3

2,8

17,7

32,9

Marito con figli

 

0,1

1,4

10,0

25,4

Marito senza figli

 

0,2

1,4

7,7

7,5

 

 

 

 

 

 

Moglie

 

1,0

10,5

28,5

38,2

Moglie con figli

 

0,5

5,7

19,7

33,0

Moglie senza figli

 

0,5

4,8

8,8

5,2

 

 

 

 

 

 

Figlio

98,7

93,4

79,2

42,5

16,6

con entrambi i genitori

91,3

83,1

67,6

33,6

11,3

con un solo genitore

7,4

10,3

11,6

8,9

5,3

 

La tabella n. 2, anch’essa costruita sulla base dei dati dell’ISTAT mette in evidenza che nella fascia di età 20-24 anni il 79,2% hanno una posizione di figlio/a all’interno del nucleo famigliare e che nella fascia 25-29 anni tale percentuale è ancora del 42,5%, cioè a dire la condizione di figlio/a riguarda in Italia una quota consistente di giovani adulti. Si tratta di un fenomeno che distingue l’esperienza italiana da quella di molti altri paesi. Si può ricordare che nei primi anni 80 solo il 26% dei giovani uomini danesi tra i 20  e i 24 anni e l’11% delle giovani donne viveva ancora coi genitori. Nella Repubblica Federale tedesca questo valeva rispettivamente per il 43% e il 31% dei giovani uomini e donne della stessa età. Tale situazione italiana è spiegabile attraverso il doppio fenomeno del ritardo del matrimonio e della persistenza di un modello di comportamento per cui si esce dalla famiglia di origine solo quando ci si sposa.

In una simile situazione è indispensabile porsi il problema dell’orientamento da imprimere allo sviluppo delle giovani generazioni.

Si può dire che vi è un duplice compito. Da una parte vi è il compito di preparare all’età adulta. Nello sviluppo di questi processi vi è una grande responsabilità sociale: una società che non si pone questi obiettivi rischia di mettere  in forte difficoltà la costruzione dell’età adulta. Le politiche giovanili dovrebbero porsi anche l’obiettivo di favorire il processo di passaggio dall’età giovanile all’età adulta.

D’altra parte vi è un secondo compito che è quello di aumentare la quantità di informazioni necessarie ad entrare in relazione con la complessità del mondo moderno.

Oggi non vi è più solo il problema di acquisire gli strumenti della comunicazione scritta ed orale, ma vi è, ad esempio, l’assoluta necessità di padroneggiare i nuovi linguaggi comunicativi che ci derivano dall’espansione dell’informatica. Oggi più che nel passato un liceale che non ha le basi di tali nuovi linguaggi è sicuramente più debole e più fragile nei confronti dei mercati lavorativi. Vi è di più: oggi non esiste un unico mondo socio-culturale. Il giovane si trova davanti ad una pluralità di mondi culturali. Il suo percorso nel confrontarsi con tali mondi è accidentato, difficile, ansiogeno e deve poter essere accompagnato nel costruirsi tutti questi nuovi apprendimenti. Dunque pluralizzazione dei mondi culturali e conseguentemente pluralizzazione delle politiche giovanili.

 

Condizione dei minori e politiche giovanili

 

Dopo aver tracciato queste linee interpretative che mi auguro possano accompagnare una riflessione sulla situazione locale, vorrei fare alcune considerazioni sulle politiche giovanili.

Se osserviamo il sistema dei servizi sociali ed educativi, constatiamo l’esistenza di una offerta concentrata prevalentemente sulle situazioni a rischio dei minori e dei giovani. La giovinezza rischia di essere vista esclusivamente attraverso la lente degli aspetti più drammatici come la tossicodipendenza, la devianza giovanile, la piccola criminalità, o , in tono minore, il vandalismo giovanile. Ancora, le politiche si concentrano sui minori senza famiglia, attraverso le azioni giuridiche connesse alle adozioni ed agli affidamenti. Certo tutto questo è necessario e tuttavia rischia di mettere in ombra un intervento più diffuso, più articolato, più attento ai cosiddetti giovani “normali”. Voglio dire che le politiche giovanili, per essere tali, non possono concentrarsi esclusivamente sulle aree rischio. Debbono, piuttosto, intervenire in chiave promozionale e preventiva sull’insieme della condizione minorile e giovanile. E’ un compito per realizzare il quale occorre ricercare e sviluppare vere e proprie strategie inter-organizzative fra le varie agenzie di socializzazione: famiglia, scuola, enti locali, servizi sanitari, servizi educativi, servizi culturali.

Per meglio comprendere quanto detto basti pensare che alcuni finanziamenti rivolti al mondo giovanile possono essere rintracciati all’interno della legislazione sulla tossicodipendenza. Il D.P.R. 9/10/1990 n. 309 regolamenta alcune attività di prevenzione sociale da realizzare nelle scuole e prevede interventi a livello periferico coordinati dal Provveditorato agli Studi per organizzare i corsi di formazione ed informazione per il personale docente in relazione ai danni conseguenti all’uso di droghe. Come già dicevo è indubbiamente necessario, ma occorre richiamare che tali interventi inevitabilmente si connotano sulla parte a rischio della condizione giovanile  e non sulla più generale promozione dello sviluppo della personalità adulta.

E’ qui che può diventare significativo il ruolo dei comuni. Infatti il Comune è un ente generale, ha indubbiamente competenze specifiche, ma soprattutto rappresenta gli interessi complessivi della comunità locale. I comuni, proprio per la loro specificità istituzionale consistente nel doversi occupare di servizi sociali, assetto ed utilizzazione del territorio e sviluppo economico (L. 142/1990 art. 9) possono giocare un ruolo assai significativo per evitare quella specie di trabocchetto consistente nell’elaborare politiche minorili e giovanili esclusivamente sotto il versante del rischio sociale. In questo senso i Comuni, ed i loro rappresentanti costituiti dai consiglieri comunali, interpretano i bisogni della comunità locale e ricercano le soluzioni compatibili. Tale condizione istituzionale del Comune è particolarmente significativa anche se raffrontata a quella delle aziende USSL. Queste ultime intervengono su particolari bisogni sociali e cioè quelli sanitari. Il Comune è un ente generale, viceversa l’USSL è un ente specifico. Entrambi hanno specifiche responsabilità e tuttavia è al Comune che spetta il compito di trovare soluzioni nuove e innovative.

Il Comune è nella condizione strategica di interpretare i bisogni locali. In questo lavoro di interpretazione ciascuno ha un ruolo da giocare: consiglieri comunali, funzionari, operatori professionali possono applicare la propria competenza di ruolo nelle operazioni necessarie a generare risorse.

Per essere ancora più precisi oggi la legislazione riconosce ruoli distinti anche se interagenti a: consigli comunali, giunte comunali, sindaci, apparati amministrativi e professionali.

 

Il sistema dei servizi socio-sanitari ed i minori

 

Passerei ora ad esaminare la rete dei servizi socio-sanitari locali rivolti alle fasce minorili e giovanili.

Come è certamente a voi noto, attualmente in Lombardia tale materia è regolata dalla Legge Regionale 7/1/1986 n. 1 e dal relativo piano regionale socio-assistenziale. Tale legge, che nei prossimi mesi sarà rivista, stabilisce l’ordinamento dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia.

La L.R. 1/1986 distingue l’offerta dei servizi in servizi generali e di prevenzione (segretariato sociale, educazione alla salute, promozione sociale); servizi di sostegno alla famiglia (assistenza domiciliare, assistenza economica, centri diurni, ecc.) e servizi di sostituzione alla famiglia (comunità alloggio, istituti per minori ed anziani, ecc.).

Il grafico n. 2 visualizza in modo sintetico tale modalità di articolare le unità di offerta.

Nella parte bassa del grafico troviamo gli interventi appartenenti al primo gruppo, nella parte intermedia quelli appartenenti al secondo gruppo, fino ad arrivare alla parte alta che comprende la sfera delle unità di offerta sostitutive della famiglia.


 

Grafico n. 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fatta questa indispensabile premessa sulle tipologie di offerta di servizi sociali rivolti all’età minorile e giovanile, occorre ora inquadrare gli enti che hanno competenza nella creazione, mantenimento e sviluppo di tale rete di servizi. Il grafico n. 3 fornisce una rappresentazione estremamente sintetica e tuttavia completa degli attori  che si collocano nel campo delle politiche locali.
 

Grafico n. 3

 

 


 

Come si può osservare, c’è un settore pubblico che interagisce con un sistema del privato-sociale. Il sistema pubblico è costituito da un soggetto che svolge un’azione che potremmo chiamare di “regia” del sistema: la Regione. A livello locale esiste poi la fondamentale coppia Comuni-USSL. Questi ultimi due enti costituiscono l’impalcatura fondante a livello locale delle azioni di servizio. Assieme ad esse un significativo ruolo è svolto dalle Province (formazione degli operatori, autorizzazione al funzionamento dei servizi sociali, competenze amministrative per alcune fasce di minori) e un’altra rilevante presenza è rappresentata dalle IPAB- Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza. Ciascuno di questi enti ha posizione e ruoli differenziati all’interno del sistema: le linee di collegamento tra enti esprimono visivamente che tali soggetti sono in differente tipo di relazione tra di loro.

Tale articolato sistema pubblico interagisce con un altrettanto articolato sistema del privato-sociale. Quest’ultimo è costituito dagli enti privati che producono servizi e cioè cooperative sociali , fondazioni, associazioni e da quel vastissimo mondo identificato come volontariato all’interno del quale agiscono sia i volontari singoli sia le organizzazioni di volontariato.

Vale la pena di ricordare che ciascuno dei soggetti sopra indicati attualmente sono regolati da una recente legislazione: la già citata legge 142 del 1990, il decreto legislativo 7.12.93 n. 517 sulle aziende USSL, la legge 8.11.91 n. 381 sulle cooperative sociali, la legge 11.8.91 n. 266 sul volontariato.

Quello sopra rappresentato è dunque il sistema dei servizi socio-assistenziali così come si presenta nella nostra Regione.

In questi anni ciascuno dei soggetti istituzionali del sistema sono profondamente cambiati. Si può usare una metafora per comprendere ciò che è avvenuto: è come se fossero mutate le regole di gioco. Le azioni possibili di ciascun attore sono cambiate e conseguentemente è cambiato l’intero sistema di relazioni tra quegli attori. Per esempio la rilevante modifica avvenuta nei servizi sanitari attraverso il passaggio dalle USSL territoriali alle aziende USSL ha certamente cambiato la configurazione sia organizzativa che la qualità delle relazioni tra USSL e Comuni.

In questo contesto diventa importante il ruolo degli enti pubblici, consistente nell’individuare i bisogni prioritari, nell’intervenire sulla domanda sociale e nel promuovere servizi che possono essere o gestiti direttamente dal sistema pubblico o agire in un quadro di rapporti contrattuali fra enti pubblici ed enti privati.

Vorrei ritornare ancora un momento sulla relazione fra Comuni ed USSL. Il grafico  n. 4 mostra la titolarità dei compiti comunali in materia di servizi sociali (minori, handicap, anziani) e quella delle USSL (produzione di servizi sanitari e di servizi socio-sanitari nell’area dei consultori, delle tossicodipendenze e della psichiatria).


 

Grafico n. 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come si vede dal grafico, lo sviluppo dei servizi sociali nell’area minorile richiede una necessaria collaborazione fra gli enti ed anche fra le organizzazioni di servizio.

 

Il Comune nella rete dei servizi 

Vorrei ora approfondire le problematiche del Comune nel quadro della suddetta rete dei servizi.

I punti chiave della legge 142/1990 sono i seguenti:

- gli enti locali hanno un’autonomia politico-amministrativa e finanziaria e come tali si dotano di appositi statuti e regolamenti;

- i Comuni devono valorizzare le associazioni, ed in particolare le organizzazioni di volontariato, e la partecipazione dei cittadini prevedendo forme di consultazione della popolazione e procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte ed inoltre devono assicurare il diritto di accesso agli atti amministrativi;

- in rapporto ai piccoli comuni sono promosse forme associative e di cooperazione inter-comunale;

- in rapporto agli assetti organizzativi si prevedono specifiche forme di gestione dei servizi pubblici locali (gestione in economia, in concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, a mezzo di istituzioni, a mezzo di società per azioni).

In questa sede vorrei in particolare mettere a fuoco le forme associative fra Comuni.

Si tratta di un problema di azione amministrativa particolarmente rilevante in zone come quelle del bergamasco o anche quelle del comasco, cioè in zone nelle quali la frammentazione demografica dei comuni è particolarmente accentuata. In tali contesti territoriali credo che sia di evidente rilievo la necessità di elaborare appositi strumenti  di rafforzamento delle intese fra enti locali di piccole dimensioni. In proposito la L. 142 del 1990 individua una pluralità di strumenti: le unioni di comuni (art. 26), le fusioni fra comuni (artt. 12 e 26), le comunità montane (arrt. 28 e 29), le convenzioni intercomunali (art. 24), i consorzi intercomunali (art. 25) e gli accordi di programma (art. 27).

Prendiamo in considerazione la eventuale fusione fra Comuni. Il successivo grafico n. 5 ne rappresenta la procedura.

 

Grafico n. 5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima fase sarebbe la realizzazione di una unione inter-comunale effettuata mediante un atto costitutivo ed un regolamento e conseguentemente attraverso la creazione di un presidente, una giunta e un consiglio di unione. Dopo un’eventuale sperimentazione di tale assetto istituzionale si potrebbe arrivare alla fusione e infine alla costituzione di un nuovo Comune, legittimato dalla Regione. Attraverso tale procedimento si arriverebbe dunque alla costituzione di un nuovo Comune. Tuttavia alle comunità di origine verrebbero assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi, nonché l’istituzione di “municipi” con il compito di gestire i servizi di base e le altre funzioni delegate dal Comune. L’attuale legge finanziaria in fase di approvazione in sede parlamentare prevede incentivi finanziari per favorire tali processi istituzionali.

Come si vede, si tratta di un’azione piuttosto impegnativa per gli amministratori comunali e sicuramente di una strada  difficile e poco motivata a causa dei municipalismi che contraddistinguono la nostra cultura amministrativa.

Una seconda forma di associazione ben conosciuta nelle nostre zone sono le comunità montane.

 

Grafico n. 6

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si tratta, in questo caso, di apposite associazioni inter-comunali che hanno propri compiti e che coesistono in rapporto al sistema dei Comuni. Nel passato la legislazione ha favorito l’acquisizione di compiti specifici da parte di questi enti, quando ad essi vennero affidati anche i servizi sanitari. Oggi la situazione è diversa e le comunità montane sono titolari solo in ordine ad interventi speciali per la montagna stabiliti dalla Comunità Europea o dalle leggi statali e regionali. Anche in questo ambito, tuttavia, sarebbe possibile l’esercizio delegato di funzioni previa decisione dei Comuni, della Provincia o della Regione. In fondo la comunità montana potrebbe effettivamente svolgere l’esercizio associato di funzioni anche nel campo dei servizi sociali: tale possibilità è tuttavia resa possibile solo se i comuni decidessero in tal senso.

Vorrei invece soffermarmi e insistere con voi sull’importanza che ha un nuovo strumento di gestione inter-comunale previsto nel nostro ordinamento per la prima volta nella L. 142/1990.

Parlo della convenzione inter-comunale.

Il grafico n. 7 illustra questo strumento.

 

Grafico n. 7

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se una pluralità di comuni ed eventualmente la stessa Provincia convengono sull’obiettivo di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi, questi ultimi possono elaborare un patto amministrativo denominato convenzione inter-comunale che stabilisce fini, durata, rapporti finanziari e consultazioni fra gli enti. L’affidamento di attività o di servizi mediante convenzione è di competenza del Consiglio Comunale (art. 32, c.2, lett. f), legge 142/1990). La convenzione regola lo svolgimento “in modo coordinato” di funzioni e servizi. Deve pertanto essere individuato l’ente, fra quelli partecipanti, che ha il compito di coordinare la gestione e che deve designare, fra i suoi dipendenti, il coordinatore responsabile. La deliberazione, adottata da tutti i comuni partecipanti, e il relativo schema di convenzione, individuano le finalità dell’accordo, i servizi e  le funzioni che saranno oggetto della gestione  coordinata.

Il vantaggio di questa soluzione amministrativa consiste, a mio avviso, nella sua flessibilità (adattamento al problema su cui si vuole intervenire) e nel fatto che alla convenzione non consegue  la costituzione di un ente giuridico che potrebbe sovrapporsi all’autonomia del singolo Comune. Più precisamente la convenzione può stimolare la stessa creatività dei consiglieri comunali e la loro capacità di andare oltre al territorio del singolo Comune, proprio per rispondere nel modo più efficiente ed efficace ai bisogni della comunità locale. Ci sono infatti servizi alla persona (es. asili nido, servizi domiciliari, centri socio-educativi, ecc.) che non possono essere adeguatamente organizzati se riferiti a piccoli gruppi di popolazione. L’economia di scala nella gestione dei servizi si realizza attraverso una buona saturazione degli stessi ed un significativo rapporto fra utenti serviti e personale impiegato.

E’ chiaro che anche in questo caso si richiede agli amministratori comunali un notevole lavoro relazionale: essi debbono non solo convincere i propri colleghi, ma anche quelli degli altri Comuni. E tuttavia quando tali accordi venissero elaborati su base equa, curando la definizione con la massima chiarezza delle condizioni che regolano i reciproci rapporti organizzativi e finanziari ed assicurando forme di consultazione costante fra i soggetti delle amministrazioni partecipanti, tale gestione coordinata risolverebbe molti problemi e certamente offrirebbe buoni risultati. Poiché ritengo che la convenzione inter-comunale sia veramente uno strumento utile, vorrei anche precisare alcuni punti chiave relativi alla sua elaborazione.

La convenzione deve comprendere i seguenti punti:

- individuazione dell’ente coordinatore;

- durata dell’accordo;

- definizione delle forme di consultazione degli enti contraenti individuando nel Sindaco o nell’assessore o funzionario incaricato il soggetto che per ciascun Comune ad esso partecipa;

- definizione della periodicità delle consultazioni ordinarie e di quelle straordinarie;

- definizione del numero e delle qualifiche dei dipendenti di ciascun ente che, pur mantenendo il loro rapporto giuridico ed economico con il Comune di appartenenza, opererebbero nell’ambito dell’organizzazione coordinata;

- dotazione dei mezzi strumentali con i quali ciascun ente concorre alla necessità dei servizi;

- rapporti finanziari relativi  alla gestione dei servizi coordinati;

- rimborsi dovuti al Comune coordinatore per le spese da esso sostenute;

- forme e modalità di collegamento tra gli uffici dei comuni convenzionati e quello del coordinatore del servizio per la segnalazione di esigenze, disfunzioni ed interventi straordinari;

- modalità di collegamento fra i cittadini dei comuni convenzionati con il coordinatore;

- organizzazione del servizio sul territorio.

Ho voluto dedicare più tempo alla convenzione proprio per il suo significato strategico nell’amministrazione locale.

Il successivo strumento associativo è costituito  dal più noto consorzio inter-comunale.

Il grafico n. 8  ne mostra l’assetto istituzionale.

 

 Grafico n. 8

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Attraverso il consorzio viene essenzialmente costituito un ente consortile che gestisce per conto  dei comuni associati  uno o più servizi. Si tratta certamente di uno strumento molto importante ed anche molto utilizzato dagli enti locali e, tuttavia, che presenta qualche difficoltà proprio per la costituzione di un ente di natura territoriale che coesiste con i comuni stessi.

L’ultima forma di tipo associativo di cui è necessario parlare è quella degli accordi di programma. Anche in questo caso, il grafico n. 9 ne illustra le caratteristiche istituzionali.

 

Grafico n. 9

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo strumento dell’accordo di programma può rappresentare una condizione istituzionale per realizzare obiettivi di politiche sociali locali unitarie, coordinate ed integrate.

L’accordo di programma è promosso da un soggetto rappresentativo delle realtà locali (Comune, Provincia, Regione) cui spetta la competenza primaria o prevalente che ha interesse alla realizzazione di un programma e se ne assume la responsabilità politica e giuridica, promuovendo la conferenza dei servizi, stimolando la conclusione dell’accordo, adottando il provvedimento finale di approvazione e presiedendo il collegio di vigilanza sulla puntuale esecuzione degli obblighi previsti dall’accordo. Attraverso l’accordo di programma ciascun ente rimane titolare della propria sfera di competenza (es. un compito amministrativo, la sede di un servizio, la presenza di operatori professionali, ecc.) e, tuttavia,  si rende disponibile a realizzare interventi che richiedono l’azione integrata di più soggetti ([.1] [1]).

 

Progetti di area e rapporti inter-istituzionali

 

Il tema della mia comunicazione era per l’appunto strumenti, ruoli e funzioni a disposizione di un ente locale. In precedenza ho elaborato il tema sviluppando la parte relativa all’ente locale  Comune.

Occorre però anche comprendere la necessità di favorire rapporti collaborativi fra sistema pubblico e sistema del privato-sociale.

Il grafico n. 10 aiuta a riprendere l’inizio del nostro ragionamento e a procedere oltre.

  

 

 

Grafico  n. 10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come si vede, ai bisogni differenziati ed articolati dell’utenza oggi corrispondono una pluralità di enti che possono promuovere interventi. Il grafico suggerisce l’opportunità di intervenire attraverso progetti integrati in una situazione nella quale i bisogni dell’utenza sono unitari, mentre l’offerta è frammentata. Solo un processo organizzativo finalizzato ad integrare le risorse dei Comuni, delle USSL, del volontariato e delle cooperative sociali può favorire gli effetti perversi della polverizzazione delle offerte.

Detto in altri termini, occorre evitare che ciascun ente o soggetto territoriale intervenga in modo settoriale, e questo è possibile farlo sviluppando intelligenti relazioni contrattuali fra sistema pubblico, sistema del privato-sociale o sistema privato (grafico n. 11).

 Grafico n. 11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli enti pubblici devono necessariamente acquisire risorse professionali dall’esterno delle amministrazioni, ma tali processi devono essere accompagnati con grande cura amministrativa e gestionale.

A conclusione della mia comunicazione vorrei suggerire alcuni criteri progettuali, in riferimento ai quali anche i consiglieri comunali, potrebbero contribuire nel rispetto del ruolo che ricoprono.

Il successivo quadro è stato pensato per  riflettere sui percorsi necessari a costruire  azioni amministrative basate sulla esternalizzazione dell’offerta dei servizi.

 

·      ANALISI DEL CONTESTO TERRITORIALE

 

 

DA QUESTI ELEMENTI DERIVANO:

 

LE FINALITA’: QUALI RISPOSTE E QUALI SERVIZI FORNIRE

IL MODO CON CUI SI INTENDE RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI

 

 

POI SI ENTRA NELLE FASI ISTITUZIONALI:

 

·      ISTRUTTORIA

 

·      INDIVIDUAZIONE DELLE RISORSE ECONOMICHE NECESSARIE

 

·      APPROVAZIONE DELLO SCHEMA DI PROGETTO DEL SERVIZIO

 

·      ATTI DELIBERATIVI DI ATTUAZIONE GESTIONALE

 

IN TUTTI QUESTI PASSAGGI E’ CRUCIALE LA

 

·       DEFINIZIONE DEL CAPITOLATO DI APPALTO (DOCUMENTO IN CUI SONO RICOMPRESE LE MODALITA’ RELATIVE ALL’ESERCIZIO DEL SERVIZIO ESTERNALIZZATO)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Più precisamente, all’amministratore locale sono possibili due scelte nell’organizzare l’offerta: da una parte potrebbe procedere alla gestione diretta, per es. costituendo il servizio sociale comunale oppure riorganizzandolo attraverso un suo potenziamento; dall’altra potrebbe invece fare la scelta di acquisire dall’esterno le risorse necessarie.

In rapporto a quest’ultima strada è importante fare riferimento ai rapporti interistituzionali da sviluppare con il sistema del privato sociale. Questa scelta oggi è sostenuta da una serie di importanti leggi statali e regionali ([2]) .

Qual è l’asse strategico sul quale il Comune dovrebbe posizionarsi per stabilire collaborativi rapporti con i soggetti esterni?

Il primo passaggio è certamente quello di effettuare un’accurata analisi del contesto territoriale, cioè di leggere i bisogni del territorio. Questa è una responsabilità che appartiene innanzi tutto agli amministratori locali e agli operatori amministrativi e sociali.

Dai primi elementi informativi che si ricaveranno dall’analisi del contesto territoriale discendono due ulteriori passaggi. Da una parte occorrerà definire con precisione le finalità e cioè stabilire quali risposte e quali servizi fornire. Dall’altra occorrerà decidere in ordine alle modalità attraverso le quali raggiungere gli obiettivi.

Secondo la L. 142/90 le forme di gestione dei servizi possono essere di due tipi: diretta e indiretta.

La gestione diretta comporta:

- la possibilità per l’ente di guidare direttamente con risorse proprie l’attività amministrativa, potendo anche valutare direttamente il vantaggio per il cittadino utente;

- la possibilità di creare una propria rete di monitoraggio e la semplificazione dei processi di valutazione e controllo, in quanto tali funzioni appartengono allo stesso soggetto.

Nella gestione indiretta si hanno altri tipi di vantaggio:

- la distinzione dei momenti di programmazione, controllo, valutazione, vigilanza e finanziamento che spettano ancora all’ente titolare della funzione e quelli di gestione che invece vengono esternalizzati;

- maggiore flessibilità nell’uso di risorse finanziarie ed umane;

- valorizzazione e promozione del privato sociale, ossia di realtà imprenditoriali motivate presenti nel territorio.

Nel caso ci si orienti in questa seconda direzione, ci saranno altri momenti operativi e decisionali.

Ci sarà un’istruttoria: analisi dei profili amministrativi, giuridici, ecc.

Occorrerà poi individuare le risorse economiche necessarie: scelta del capitolo di bilancio, valutazione delle disponibilità finanziarie, eventuale introduzione di tariffe proporzionate ai redditi.

In terzo luogo si passerà all’approvazione dello schema di progetto del servizio; infine si passerà alla elaborazione di tutti gli atti deliberativi necessari all’attuazione gestionale.

In tutti questi passaggi acquista un significato importantissimo il capitolato di appalto. Quest’ultimo è l’atto amministrativo che consente di mantenere al Comune la propria responsabilità pur facendo svolgere ad altri soggetti una serie di compiti. All’attenta stesura del  capitolato di appalto è affidato la funzione di definire con precisione i contenuti del lavoro sociale di servizio.

Se assumiamo come schema di pensiero il percorso appena tracciato, la gestione diretta o indiretta diventano strade differenti per raggiungere i medesimi obiettivi.

Con questo spero di aver contribuito alla vostra iniziativa di formazione e mi auguro che possiate trarre vantaggio da questo corso organizzato dalla comunità dell’Isola, dalla Provincia di Bergamo-Assessorato ai Servizi Sociali dall’azienda USL n. 11.


 

[1] In proposito si rimanda al documento finale del seminario di ricerca su “Gli accordi di programma come strumento di politica sociale” organizzato dalla Fondazione Zancan e pubblicato in Servizi Sociali n. 4, 1994, p.66-71

[2] L. 8/11/1991 n. 381, Disciplina delle Cooperative Sociali; L.R. 1/6/93 n. 16, Attuazione dell’art. 9 della L. 381/1991; L. 11/8/1991 n. 266, Legge quadro sul volontariato; L.R. 24/7/93 n. 22, Legge regionale sul volontariato.