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MAURIZIO VIROLI

 

"Dio ci aiuti a scrivere la nostra Costituzione

NEL 1787 DODICI STATI POSERO LE BASI DELLA DEMOCRAZIA AMERICANA. PRIMO DOVERE: ASCOLTARE LE RAGIONI DEGLI ALTRI

Scrivere una Costituzione che dia vita ad un nuovo Stato, come si accingono a fare i membri della Convenzione Europea, è impresa che richiede un alto grado di saggezza politica e una profonda motivazione interiore a voler realizzare un´opera che sappia guardare oltre gli interessi contingenti delle parti e definire principii e regole capaci di sfidare il tempo. Fu con questa disposizione d'animo che nella torrida estate del 1787 cinquantacinque delegati di dodici Stati americani che avevano conquistato l'indipendenza dalla Gran Bretagna - New Hampshire, Massachusetts, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland, Virginia, Georgia, North Carolina, South Carolina (Rhode Island non inviò delegati) - si riunirono per redigere il testo che diventò la Costituzione degli Stati Uniti d'America. "Che Dio ci aiuti - scriveva al figlio George Mason, delegato della Virginia e vecchio amico di George Washington - a istituire un governo saggio e giusto... "Se vogliamo porre le basi di un grande Stato, scriveva James Wilson (Pennsylvania), dobbiamo identificare gli aspetti permanenti e non guardare solo alle circostanze del momento". Più esplicito James Madison (Virginia), vero padre della Costituzione: il progetto che abbiamo definito "deciderà per sempre il destino del governo repubblicano negli Stati Uniti". In realtà la Convenzione era stata autorizzata dal Congresso degli Stati per "il solo ed espresso scopo di rivedere gli articoli della Confederazione" del 1781. Nessun accenno ad una nuova Costituzione. Chi più chi meno, tutti gli stati avvertivano la necessità di realizzare una Confederazione più solida e di rafforzare i poteri del Congresso federale. Molti delegati erano tuttavia diffidenti nei confronti di un potere centrale capace di usurpare i diritti dei singoli Stati, e i piccoli Stati e gli Stati poco popolati temevano di diventare, in un Congresso nazionale, vassalli dei più forti. Con questi sentimenti contrastanti i delegati arrivarono a Philadelphia e presero posto ai tavoli coperti di panno verde nella east chamber della State House (oggi Independence Hall). Alla presidenza sedeva George Washington, il generale della guerra d'Indipendenza. Fermo, gentile, inflessibile: prese la parola poche volte nel corso del dibattito. La sua vera forza stava nel silenzio e nell'autorevolezza. Come aveva saputo tenere unito un esercito male armato e male assortito durante la guerra, così seppe tenere unita e condurre alla meta la litigiosa e polemica Convenzione di Philadelphia. Le regole erano semplici ma inflessibili: nessuno poteva prendere la parola più di due volte sul medesimo argomento senza speciale autorizzazione del Presidente, e prima di parlare per la seconda volta il Presidente chiedeva a chi era rimasto silenzioso se intendeva pronunciarsi. Al termine delle sedute i delegati potevano lasciare la sala solo dopo che il Presidente era passato davanti al loro tavolo. Erano le regole di una società formale ma esprimevano anche l'aspirazione di fare della Convenzione un'assise solenne, in cui i delegati volevano essere liberi di cambiare idea senza sentirsi vincolati dalle opinioni prevalenti degli Stati che essi rappresentavano. Per questa ragione la Convenzione stabilì la regola che il voto dei delegati non fosse registrato nei verbali. Senza la libertà di seguire le proprie convinzioni e ascoltare le ragioni degli altri, i delegati non sarebbero stati in grado di redigere una nuova Costituzione. Il compito al quale erano chiamati richiedeva una grande capacità di invenzione politica e una capacità altrettanto grande di capire la natura e le aspirazioni di fondo del popolo. In alcuni casi prevalse la prudenza, come quando i delegati deliberarono che il nuovo Congresso nazionale dovesse essere composto da una Camera dei Rappresentanti e da un Senato eletto dai parlamenti dei singoli stati. Nonostante l'ammonimento di James Wilson a non imitare passivamente il modello inglese, i delegati ritennero che una Camera dei Rappresentanti eletta dai cittadini dovesse essere affiancata da un Senato formato da uomini di particolare distinzione per le loro proprietà e il loro status sociale e dunque scelti non dal popolo ma dalle Legislature dei singoli Stati (la norma fu poi modificata nel 1913 con il XVII emendamento che stabilì l'elezione diretta dei senatori, due per ogni Stato). I delegati della Convenzione furono tuttavia più audaci quando si trattò di definire il delicato problema del diritto a ricoprire cariche pubbliche. Quasi tutti gli Stati (tranne la Pennsylvania, il Delaware e il New Hampshire) avevano leggi che limitavano il diritto di voto in base alla proprietà. In South Carolina bisognava possedere una piantagione o una casa del valore di almeno dieci mila sterline senza debiti, mentre per essere eletto deputato erano sufficienti tremilacinquecento sterline. I delegati della Convenzione erano proprietari terrieri o facoltosi commercianti convinti che solo persone di vaste e solide proprietà avevano interesse a rispettare le leggi. Erano repubblicani che guardavano con sospetto il popolo. Eppure non imposero nessun requisito in termini di proprietà o di censo per chi era chiamato a governare. Accanto alle norme che aprivano la strada verso un pieno regime democratico rimanevano nel testo costituzionale le macchie della schiavitù. Il testo approvato a Philadelphia sancisce (articolo I, sezione 2) la distinzione fra "persone libere" ("free persons") e le altre persone ("all other persons"); rinvia al 1808 il diritto del Congresso di vietare l'importazione di schiavi (sezione 9), e contiene anche una norma punitiva nel caso di schiavi fuggiti: "nessuna persona sottoposta a prestazione di servizio o di lavoro in uno degli Stati, secondo le leggi vigenti, e che si sia rifugiata in un altro Stato potrà, in virtù di qualsiasi legge o regolamento quivi in vigore, essere esentata da tali prestazioni di servizio o di lavoro; ma su richiesta dell'interessato, verrà riconsegnata alla parte cui tali prestazioni sono dovute" (art. IV, sez. 2). Senza quelle norme i delegati degli Stati del Sud non avrebbero accettato la Costituzione. Per l'abolizione della schiavitù bisogna aspettare il XIII emendamento, dopo la Guerra di Secessione (1865): "Né schiavitù né servitù involontaria potranno sussistere negli Stati Uniti". Ma le condizioni per l'abolizione della schiavitù furono poste proprio alla Convenzione di Philadelphia, quando i delegati accettarono il principio che questioni di interesse generale come la libertà personale non potevano essere delegate ai singoli Stati ma erano di pertinenza del Congresso nazionale, e soprattutto quando diedero vita ad un governo federale democratico con l'autorità e la forza di abolire la schiavitù. Oltre al coraggio e alla saggezza, una delle virtù più preziose del costituente è quella di saper piantare semi che germoglieranno in tempi più propizi.