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Ritorno al passato: la riforma Bindi e la proposta Sirchia
Giacinta Cestone
23-01-2003

Il Governo si accinge a presentare un progetto di riforma del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che mira a cancellare il principio cardine della Riforma Bindi del 1999, .....

 

 

Il Governo si accinge a presentare un progetto di riforma del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che mira a cancellare il principio cardine della Riforma Bindi del 1999, ovvero l’esclusività del rapporto di lavoro per i medici che operano in aziende sanitarie pubbliche.

La Riforma Bindi e i programmi del Governo

La Riforma Bindi aveva imposto in alcuni casi, e in altri fortemente incoraggiato, la scelta di un rapporto contrattuale di esclusiva per i medici impegnati nelle strutture del SSN. In particolare, laddove una scelta fosse possibile, solo optando per l’esclusiva, un medico ospedaliero poteva aspirare a posizioni di dirigenza come il primariato. Tra i programmi dell’attuale Governo vi è il ritorno allo status quo precedente al 1999: dunque, libertà per i medici del servizio sanitario nazionale di esercitare la professione privata "extramoenia" senza alcun vincolo, e senza che questo precluda avanzamenti di carriera (1). Non è ancora chiaro cosa accadrà alla cosiddetta intramoenia, ovvero la possibilità per i medici che operano in esclusiva di effettuare visite private, ma all’interno dell’ospedale e girando allo stesso una parte degli emolumenti.

Conflitto d’interessi

L’abolizione del rapporto di esclusiva è stata proposta, come parte integrante del progetto di riforme del Governo, dal Ministro Sirchia e da vari esponenti della maggioranza, e sostenuta da Confindustria. E’ interessante notare che questi stessi soggetti difendono la libertà delle imprese di scrivere con il proprio personale i contratti che meglio rispondono ai propri obiettivi. Anche, se necessario, ricorrendo a clausole di esclusiva. Non è chiaro allora perché le aziende sanitarie pubbliche dovrebbero fare a meno di questo utile strumento contrattuale. È anche interessante notare che nella campagna contro l’esclusività si afferma spesso che "i medici non sono impiegati qualsiasi". Appunto. Proprio un’impresa che impieghi personale altamente specializzato ha interesse a vincolarne la libertà di offrire servizi alla concorrenza. Prendiamo il caso di un medico ospedaliero che possa lavorare in studi e cliniche private, partecipando ai profitti, senza alcun vincolo. Una simile situazione non può che generare un conflitto di interessi dalle conseguenze spesso disastrose per la qualità dei servizi ed i bilanci dell’ospedale (2). Vediamo perchè.

I problemi

Tradizionalmente, i pazienti con maggiore disponibilità a pagare un servizio medico - ad esempio, un esame diagnostico urgente - tendono a rivolgersi a strutture private, che spesso garantiscono maggiore efficienza e rapidità degli ospedali. Nulla di grave, se non fosse che l’efficienza di un’azienda ospedaliera dipende dall’impegno dei suoi medici, e dunque dagli incentivi di questi ultimi. È prevedibile che un medico che percepisca uno stipendio sostanzialmente fisso dal SSN sarà tentato di spendere maggiori energie nell’attività privata - che genera la parte variabile del suo reddito – a scapito della qualità dei servizi offerti all’ospedale. Una posizione dirigenziale può poi aprire altre strade per accrescere i benefici privati del medico a scapito della struttura pubblica. Ad esempio, un primario può rimandare l’installazione di apparecchiature nel proprio ospedale al solo scopo di attrarre clientela in una clinica privata dotata delle stesse apparecchiature. È evidente che un contratto di esclusiva per i medici ospedalieri allevia questo problema di incentivi, riducendo inefficienze e sprechi nel Servizio Sanitario Nazionale.

Una conseguenza meno nota del conflitto di interessi dei medici ospedalieri è poi la "selezione avversa dei pazienti". Un medico può spostare clientela da un ospedale ad una clinica privata in cui pure opera; l’incapacità del paziente di giudicare se la struttura pubblica è davvero inadeguata a fornire in tempi ragionevoli il servizio facilita tale "furto di clientela". Il problema sta nel fatto che il medico ha interesse a sottrarre solo i pazienti "migliori", ad esempio effettuando in ospedale quelle operazioni che presentano maggiori rischi, e nella clinica privata solo operazioni particolarmente redditizie ma a basso rischio. Questo fenomeno non trascurabile lascia gli ospedali con una clientela "peggiore" in termini di classe di rischio, e dunque con dei costi molto più elevati rispetto a quelli delle cliniche private con cui concorrono. Ancora una volta, un contratto di esclusiva elimina il problema alla radice.

Una concorrenza più equilibrata tra sanità pubblica e privata

I vantaggi attesi dalla Riforma Bindi non si limitano ai pazienti del Servizio Sanitario Nazionale (beneficiati da una maggiore efficienza degli ospedali), ma riguardano anche quei pazienti disposti a pagare per essere curati. È ragionevole pensare che il sistema dell’esclusività associato all’intramoenia abbia accresciuto la concorrenza nel mercato della sanità. Non solo gli ospedali sono più capaci di attirare pazienti, e dunque più competitivi, se i propri medici non hanno conflitti di interesse; grazie al sistema dell’intramoenia, questi iniziano anche a concorrere con studi e cliniche private per la clientela disposta a pagare le cure. Questa maggiore concorrenza finisce con l’avvantaggiare sia i pazienti del SSN che quelli della sanità privata.

Misurare i benefici del rapporto di esclusiva

Le critiche più recenti alla Riforma Bindi si basano su un rapporto presentato in Parlamento dall’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali, dal quale emerge che il pagamento delle indennità di esclusiva ai medici è costato al SSN circa 1,129 miliardi di euro (3), laddove l’esercizio della libera professione intramoenia avrebbe generato ricavi per soli 90 milioni di euro. Per i sostenitori del progetto del Governo, la sproporzione tra uscite ed entrate associate al sistema esclusiva-intramoenia dimostrerebbe il fallimento della Riforma Bindi (4). In realtà, alla luce di quanto si è detto fin’ora, i ricavi degli ospedali imputabili all’attività intramoenia rappresentano solo uno dei potenziali vantaggi di quella riforma. Infatti, il sistema dell’esclusività - inducendo comportamenti più virtuosi da parte del personale medico, riducendo gli sprechi e accrescendo la competitività delle aziende sanitarie pubbliche – può generare numerosi benefici, sia di breve che di lungo periodo, per i bilanci del Servizio Sanitario Nazionale. Prima di archiviare frettolosamente la Riforma Bindi, sarebbe forse opportuno valutare l’entità di questi benefici.

(1) Un emendamento alla Finanziaria che apriva la strada al progetto di Sirchia è stato ritirato e sostituito da un impegno del Governo ad adottare iniziative legislative in tal senso entro due mesi dall’approvazione della Finanziaria.

(2) Va precisato che il conflitto si manifesta in modo eclatante nel caso della professione medica, a causa di due fattori: (a) come per altre professioni, l’intensità dell’impegno non è osservabile, il che genera un problema di azzardo morale; tuttavia, nel caso dei medici anche i risultati ottenuti sono difficilmente misurabili, rendendo più complessa l’adozione di schemi d’incentivo che inducano un impegno elevato; (b) tra medici e pazienti esiste una peculiare forma di asimmetria informativa: il paziente non conosce il tipo e l’intensità del trattamento di cui ha bisogno e deve dunque affidarsi completamente al parere esperto del medico. Questo moltiplica le possibilità per i medici di operare in conflitto con gli obiettivi dell’ospedale e del Servizio Sanitario Nazionale.

(3) La Riforma Bindi prevedeva un’indennità di esclusiva media di 750 euro al mese.

(4) Cfr il Sole 24 Ore Sanità, 29 Novembre 2002 e 24-30 Dicembre 2002.

 

 

 


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