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Gellner,Ernest, Le condizioni della libertà. La società civile e i suoi rivali
Milano, Edizioni di Comunità, 1996, pp. 247
Recensione di Vincenzo Cuomo - 13/11/2001

Recensione di Vincenzo Cuomo

Le condizioni della libertà di Ernest Gellner è, nello stesso tempo, un tentativo di comprendere la specificità storica delle democrazie occidentali e un'appassionata difesa delle loro ragioni I pregi e i limiti del suo tentativo devono essere per forza di cose valutati rispetto a questo duplice intento.

Per analizzare e valutare quanto egli scrive, bisogna necessariamente partire dal concetto di "società civile". Che cosa egli intende con questa espressione? Perché non utilizza il termine più comune di democrazia, giacché è subito chiaro che solo alle cosiddette democrazie occidentali può essere attribuito tutto ciò che egli rubrica sotto il concetto di "società civile"? La risposta di Gellner è che il concetto di democrazia è troppo astratto e ingenuo, mentre quello di "società civile" è più realistico giacché "include le condizioni che la rendono possibile, invece di darle per scontate" (p. 216). I teorici della democrazia "che operano in astratto, senza alcun riferimento a condizioni sociali concrete, finiscono per considerare la democrazia un ideale valido per tutti, ma poi sono costretti ad ammettere che in molte società quell'ideale non è realizzabile" (p. 215). Essi quindi concepiscono un prodotto storico come un dato d'ordine universale. Inoltre, "il modello democratico ignora il fatto che le istituzioni e la cultura precedono le decisioni, anziché seguirle" (p. 212).

Come definire, allora, il concetto di società civile? Gellner ne dà prima una definizione generale, poi una caratterizzazione per "differenza specifica", attraverso la sua doppia contrapposizione da un lato alle società tradizionali di tipo "segmentale", dall'altro agli stati autoritari. Cominciamo, quindi, dalla sua definizione generale: "la società civile è un insieme di svariate istituzioni non-governative abbastanza forti da fare da contrappeso allo stato, e che, pur senza impedire allo stato di svolgere la sua funzione di custode della pace e di arbitro tra i maggiori interessi in gioco, riesce tuttavia a impedire allo stato di dominare il resto della società e di renderla atomistica" (p. 10). Questa definizione, egli afferma, è corretta, ma dice ancora troppo poco. C'è bisogno di caratterizzare la società civile opponendola a ciò che essa non è. Innanzi tutto, essa differisce dalle società tradizionali di tipo rurale caratterizzate dalla presenza di numerose sotto-comunità (i clan) relativamente autonome anche se sottoposte ad un'unica autorità politica centrale (in genere di tipo monarchico). In queste sottocomunità, che "segmentano" la società tradizionale, la disciplina interna e la solidarietà tra i membri che le compongono è mantenuta grazie a una notevole varietà di riti cui tutti sono obbligati. Ora, sebbene la comunità a segmenti possa ben essere pluralista, non conferisce certo ai suoi membri "quel tipo di libertà che noi esigiamo e ci aspettiamo dalla società civile" (p. 13). Per Gellner, infatti, "l'uomo tradizionale può magari sfuggire alla tirannia dei re, ma solo al prezzo di sottomettersi alla tirannia dei cugini e del rito" (p. 12). Dall'altro lato, la società civile si contrappone anche a tutti i regimi politici in cui lo stato ha accentrato ogni potere su di sé, dominando, in particolare, la vita economica. Esempio emblematico di tale stato autoritario, cui Gellner dedica moltissime pagine - spesso un po' ripetitive e con qualche generalizzazione di troppo, come quando utilizza il termine "marxismo" come sinonimo di "comunismo sovietico" - è stato il regime sovietico fino al suo crollo nel 1991.

Ebbene, questo particolare tipo di società, in cui, potremmo affermare, vige un equilibrio tra la libertà socio-economica dei cittadini e i poteri politici dello stato, questa "società civile" è, per Gellner, il prodotto di particolarissime condizioni storiche che non è detto possano ripresentarsi tutte insieme. Volendo schematizzare, potremmo sostenere che essa nasce nell'Europa d'area anglosassone tra il XVI e il XVIII secolo, in conformità ad un particolare intreccio tra sviluppo economico, evoluzione dei rapporti politici e diffusione di concezioni religiose. Gellner fa un'analisi puntuale delle caratteristiche e delle condizioni di tale particolare prodotto storico. La prima condizione/caratteristica fu una crescita economica "costante ed esponenziale" che cominciò a realizzarsi nell'Europa del XVIII secolo e che avrebbe provvisto il nuovo sistema sociale "di un illimitato Fondo Sociale per la Corruzione, che era in grado di comprarsi con una bustarella la via d'uscita da qualunque situazione di pericolo interna o esterna" (sic); come a dire che lo sviluppo economico e tecnologico è quel che ha consentito fino ad ora alla società civile, a partire dal XVIII secolo, d'avere ragione dei "barbari" che erano (e sono) ai suoi confini. E ciò non con la forza militare, ma con la forza di sottomissione (e di corruzione) del denaro. Una conseguenza, che delinea un'altra importante condizione/caratteristica della società civile, è la particolare divisione del lavoro che, a partire da un certo momento storico, si è realizzata in essa, differenziandola da tutte le altre società fino allora esistite: la separazione del cittadino dal soldato. La società moderna, infatti, - come individuò già Adam Ferguson nel suo Saggio sulla storia della società civile (1767) - "ha dei soldati, ma non una casta guerriera", e la specializzazione militare diviene simile a tutte le altre professioni. Lo stesso vale per la politica. Questa tesi di Ferguson, fatta propria da Gellner, pone in evidenza la diversità storica della "società civile" - in cui vale la separazione tra l'economico e il politico, nonché la subordinazione di quest'ultimo al primo - nei confronti di tutte le altre società storiche, in cui il politico aveva (ed ha) la preminenza. Da ciò consegue un'altra caratteristica importante della società civile: in essa la produzione diventa una via per accedere alla ricchezza migliore del potere politico. Essa, infatti, non è una società di status, ma una società fondamentalmente "economica" in cui elevata è la mobilità sociale e facile il raggiungimento del potere politico partendo da posizioni di dominanza economica. In essa, inoltre, i legami tra gli individui sono forti pur essendo flessibili, specifici e strumentali: è quel che Gellner chiama "modularità" e che caratterizza uno specifico legame sociale non riscontrabile nelle società tradizionali segmentali, o in quelle totalitarie "atomizzanti". L'uomo modulare "è in grado di formare associazioni e istituzioni efficienti, senza che queste siano totalizzanti, multitematiche, caratterizzate dai riti e rese stabili grazie al collegamento con un insieme di relazioni interne, tutte legate l'una all'altra e perciò immobilizzate. L'uomo modulare può unirsi ad altri in associazioni ad hoc che hanno un obiettivo specifico e limitato, senza legarsi con un vincolo di sangue; può lasciare l'associazione quando entra in disaccordo con le sue politiche, senza prestare il fianco ad accuse di tradimento" (p. 116). Particolari condizioni storiche portarono alla creazione di tale tipo di società; tra queste, oltre il già citato sviluppo economico, bisogna ricordare non solo la sconfitta dei tentativi assolutistici nell'Inghilterra del XVII secolo, che portarono alla riaffermazione del tradizionale equilibrio "costituzionale" tra monarchia e rappresentanza delle comunità locali (quel che Gellner chiama lo "stallo politico"), ma anche l'affermazione delle correnti religiose protestanti moderate su quelle zelanti ed "entusiaste". Quest'ultimo evento portò alla diffusione di quello spirito di "tolleranza" ideologica (definito dal nostro autore "stallo ideologico") che è un'ulteriore caratteristica della società civile.

Conviene soffermarsi un momento su quest'ultimo concetto, data l'importanza che Gellner gli attribuisce. Con esplicito riferimento a Weber, egli ritiene notevole l'apporto dell'ideologia religiosa allo sviluppo delle società. Lo vedremo anche dopo quando tratteremo dell'Islam. Per ora conviene porre l'accento su quel che, secondo Gellner, sembra essere il ruolo che, ad un certo punto della storia dell'umanità e della loro storia, sembra abbiano avuto le grandi religioni monoteistiche (specie il Cristianesimo e l'Islam, poiché, a differenza dell'ebraismo, hanno potuto caratterizzarsi come religioni "mondiali") nella messa in crisi della società tradizionale segmentale. Egli ritiene che tali tipi di fedi religiose abbiano progressivamente esautorato il ruolo della superstitio antica, legata al rito e strumento di coesione sociale. Ciò si realizzò definitivamente, ad esempio, per quanto riguarda il Cristianesimo, con la Riforma protestante che eliminò quanto ancora c'era di superstizioso e di rituale nel cattolicesimo romano: "una fede astratta, individualistica, dottrinocentrica, che abolisce il sacerdozio trasformando ogni uomo nel sacerdote di se stesso e lo carica del peso della propria sorveglianza e dell'ansia costante e intensa che il sacerdozio individuale porta con sé, strano, ma vero, tutto questo è l'alleato della libertà!" (p. 55). Ora, secondo Gellner, la storia c'insegnerebbe che tali fedi astratte ed "entusiaste" solo agli inizi sono seguite con inflessibilità e zelo ma che poi, quando vengono a compromesso col mondo, essendo impossibile la realizzazione piena della loro dottrina, diventano tolleranti e moderate. Inizialmente nemiche della libertà, esse divengono poi sue alleate. In entrambi i casi, tuttavia, contribuiscono all'affermazione della libertà: nel momento della loro inflessibilità, infatti, distruggono i preti e i riti; nel momento della loro moderazione diventano direttamente propizie alla tolleranza ideologica. Avviene in questi casi, secondo Gellner, quel che Max Weber definiva processo di routinizzazione della fede religiosa astratta. L'ideale puro viene, così, a compromesso col mondo. Almeno così è in genere avvenuto, con le debite eccezioni. Non v'è niente di più disastroso, secondo Gellner, degli zelanti-entusiasti che vogliono realizzare il loro ideale puro ed astratto. Per farlo essi non possono che distruggere ogni libertà nella società. E ciò si è verificato non solo per opera degli entusiasti delle religioni "trascendenti", ma anche per opera di quei fedeli alla religione laica del comunismo, che, in nome della realizzazione di un ideale puro, hanno, di fatto, attuato una dittatura totalitaria ed "atomizzante" dello stato (e del partito sullo stato) sulla società e sugli individui, impedendo la costituzione della "società civile". La decisa critica di Gellner al comunismo sovietico trova, a nostro avviso, un suo punto qualificante nel legame esplicito che egli instaura tra il comunismo storico e gli ideali illuministici settecenteschi. Come l'illuminismo, anche il comunismo credeva di poter realizzare un "ordine razionale basato sul consenso e sulla verità" (p. 43), anzi ritenne che un tale ordine "si sarebbe inevitabilmente realizzato" (ivi). E questo fu il loro errore, secondo Gellner. Non è concepibile una società in cui non ci sia un certo tasso di coercizione e di menzogna. In generale, egli afferma, "le società umane hanno mantenuto l'ordine usando la coercizione e la superstizione. L'illuminismo aveva visto giusto a questo proposito, ma commise un grave errore nel ritenere che sarebbe stato possibile semplicemente sostituire questo sistema con un altro, nel quale la società sarebbe stata fondata sulla verità e sul consenso" (p. 39). In effetti, egli argomenta, con implicito riferimento alla tradizione giusnaturalistica, vi sono ragioni valide per cui l'ordine coercitivo dello stato sia preferibile dagli individui rispetto alla sua assenza: se tutti perseguissero il loro interesse privato è facile immaginare che la conclusione sarebbe la guerra guerreggiata di tutti contro tutti. Altre valide ragioni, secondo Gellner, chiariscono il motivo per cui la società debba fondarsi sulla menzogna: "la verità è indipendente dall'ordine sociale e non è al servizio di nessuno e se non viene ostacolata finisce per minare il rispetto per qualunque struttura data d'autorità" (p. 40). Come si vede, la visione di Gellner è esplicitamente improntata ad un cinico realismo, a volte un po' annacquato da quel tipico "buon senso" di chi, per intolleranza verso i puri e zelanti paladini dell'ideale, finisce per esaltare il "compromesso morale" e il doublethink. Tuttavia, il suo discorso, depurato dagli eccessi di tono, è un contributo utile alla comprensione dell'attuale situazione storica delle democrazie occidentali, dei loro (dei nostri) problemi e delle strategie politiche della loro possibile risoluzione. La società civile occidentale, infatti, rispetto a quanto prima affermato circa l'ineliminabilità della coercizione e della menzogna, per fortunate contingenze storiche, è riuscita a far sì che un massimo di libertà possibile si coordinasse con un minimo di coercizione e menzogna necessarie. Tuttavia, tale equilibrio tra libertà e coercizione e verità e menzogna non solo è il prodotto di una fortunata contingenza storica, ma, come Gellner lascia chiaramente capire, non è affatto detto che possa essere considerato acquisito una volta e per tutte. Certo, può e deve essere difeso, ma i problemi che le moderne democrazie occidentali devono affrontare sono anche estremamente impegnativi e non è scontato che, quell'equilibrio, possa mantenersi inalterato.

Quali sono le questioni che potrebbero mettere in discussione le acquisizioni in termini di libertà della società civile occidentale? Gellner ne individua due: 1) la potenza della tecnologia, che impone un "controllo" statuale (e ne imporrebbe uno sopranazionale) dello sviluppo della tecno-scienza; 2) il rischio, collegato al primo, del terrorismo internazionale, cui il quadro internazionale creatosi con la fine della "guerra fredda" offre inedite opportunità. In questa situazione storica la difesa delle libertà della società civile potrebbe diventare problematica, potendo diventare primarie le esigenze del mantenimento dell'ordine e della sicurezza, rispetto all'unica preoccupazione dell'aumento della ricchezza che ha caratterizzato lo sviluppo della società occidentale, in controtendenza rispetto alla storia di tutte le altre società. In tutta la storia dell'umanità, afferma Gellner "le società hanno dovuto dare la priorità a considerazioni di mantenimento dell'ordine e della sicurezza rispetto a considerazioni d'aumento della produzione [...]. L'equilibrio è cambiato una sola volta, in circostanze estremamente favorevoli: l'Inghilterra del XVIII secolo [...]. Tutto è cambiato: quella situazione non si ripeterà mai più. La tecnologia moderna è enormemente potente ed è dotata di un potenziale disastroso per l'equilibrio ecologico, perché apre ampie possibilità al terrorismo, poiché produce armi devastanti che possono essere controllate da un piccolo numero di persone" (p. 192). Insomma, la società civile rischia non poter mantenere più la sua specificità, di società delle libertà.

Prima di concludere il discorso sul libro di Gellner, riportandone le conclusioni, è opportuno riassumere quanto egli scrive sulla società islamica. All'Islam il suo libro dedica, infatti, particolare attenzione. Ne viene fuori un quadro molto realistico.

Nella parte del mondo in cui l'Islam è stato accolto, esso è riuscito a creare un'Umma, una comunità transnazionale fondata sulla comune fede e sulla legge coranica. Anche se nell'Islam non s'è mai formata una casta religiosa, con uno specifico ruolo "sacerdotale", la sua storia è stata caratterizzata dalla contrapposizione tra un Islam "alto", dottrinario, puritano, legato alla legge coranica, antirituale, egualitario ed anti-estatico, e un Islam "basso" e popolare (in specie rurale), estatico, legato ai riti e al culto dei santi (che, a differenza di quanto accadeva nel Cristianesimo, erano personaggi ancora viventi). Ad un certo punto, la modernizzazione delle società islamiche prodotto anche dalla colonizzazione occidentale, coincise con lo spostamento del baricentro economico dalla campagna alle città, facendo sì che la variante "alta" dell'Islam prevalesse anche tra i ceti più bassi della popolazione: "praticando una fede basata sull'osservanza delle regole invece di quella basata sull'invocazione dei santi, la popolazione inurbata, o per lo meno separata dai suoi legami tribali e rurali, aspirava ad essere all'altezza degli ideali urbani [...]. Per le masse, la forma alta dell'Islam sancì la loro promozione alla condizione sociale urbana" (p. 29-30). Ora, quest'identificazione collettiva alla tradizione "alta", puritana e scritturale, afferma Gellner, "rese possibile evitare brillantemente un dilemma doloroso, che in genere perseguita i paesi del Terzo Mondo, le cui società cercano normalmente di sfuggire alle umiliazioni dell'arretratezza. La scelta che hanno di fronte, visto che il debole ancien régime e la sua cultura alta sono screditati, è tra l'emulazione dello straniero (‘l'occidentalizzazione'), o l'idealizzazione della tradizione popolare locale in quanto portatrice di valori profondi (‘il populismo'). I musulmani non sono obbligati a scegliere né l'una né l'altro [...]. [Essi] sono stati in grado di idealizzare una tradizione che era davvero locale, ma che non era affatto folcloristica" (p. 31). Ciò che Gellner vuole rilevare è che la versione scritturale e puritana che ha prevalso nell'Islam è perfettamente adeguata, a dispetto di un luogo comune contrario, ad essere l'ideologia di una società "disciplinata, moderna e industriale" (p. 31). Questo Islam "protestante" (in quanto antirituale ed antimagico) e fondamentalista, poiché legato all'interpretazione della legge coranica, "è stato in grado di svolgere la stessa funzione che il nazionalismo ha svolto da altre parti: fornire una nuova immagine di sé a persone che non possono più identificarsi con la loro posizione nel villaggio, nella stirpe, nel clan o nella tribù" (p. 32). In tal modo si è creata una comunità etica assoluta che sembra "funzioni in modo accettabile in un contesto moderno o quasi moderno" (p. 37). Ciò evidenzia ancora meglio la diversità e la contingenza storica di una "società civile" assediata, da un lato, dai suoi problemi di sviluppo, dall'altro da alternative sociali in cui la modernità sembra essere coniugabile con la mancanza (relativa) di libertà. "La società civile - infatti - può essere come non può essere l'unico corollario sociale del tipo di vita scientifico-industriale al quale l'umanità è ormai unita ineluttabilmente". Insomma, non è detto che il progresso tecnologico ed economico continui sposarsi con il sistema delle libertà cui siamo abituati. Il Denaro e la Tecnica non creano "libertà" in forza della loro natura!

Che fare? È possibile difendere le conquiste di libertà e, al contempo, convivere con società che non le condividono? La risposta di Gellner dà da pensare per il suo cinico realismo: le società occidentali, egli afferma "possono convivere con quelle che non condividono lo spirito della società civile, a patto che conservino la loro posizione di supremazia e una minima coesione, e fintanto che la coorte più recente di paesi che si stanno industrializzando continua ad avere più interesse per la ricchezza che per qualunque altra cosa" (p. 228).

Le analisi di Gellner hanno un indubbio merito: contribuiscono alla spiegazione di come va il mondo, anche se, forse, ci dicono poco su come cambiarlo in meglio.

Ringraziamenti;
I È nato uno slogan; II I due vicini; III L'Islam; IV Il fallimento marxista; V L'Umma che ha avuto successo; VI Una differenza di fondo tra le fedi di Abramo; VII La società civile chiude il cerchio; VIII Adam Ferguson; IX L'Oriente è l'Oriente e l'Occidente è l'Occidente; X Accentramento politico e decentramento economico; XI Pluralismo ideologico e doublethink liberale, ovvero la fine dell'illusione illuminista; XII L'uomo modulare; XII L'uomo modulare è un nazionalista XIV Amico o nemico?; XV I fusi orari d'Europa; XVI I vari tipi di esperienza nazionalista; XVII Il fuso orario dell'Europa orientale (continua); XVIII Una nota sull'atomizzazione; XIX La fine di un ordine morale; XX Dagli interstizi di un sistema economico dirigistico; XXII La definizione di socialismo; XXII Una nuova definizione positiva; XXIII Verso una desiderabile non santa alleanza; XXIV Democrazia o società civile; XXV Un excursus storico; XXVI Le prospettive future; XXVII I problemi interni; XXVIII La gamma delle possibilità; XXIX La convalida?
Note

Ernest Gellner (1925-1995), sociologo britannico, è stato studioso dai molteplici interessi (si è occupato di politica, religione, psicanalisi, storia). Tra le sue opere più note, Nazioni e nazionalismo (1983, tr. it. 1985); Causa e significato nelle scienze sociali (1973; tr. it. 1992); L'astuzia della non ragione (1985; tr. it. 1993).