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FISCO/CHI BENEFICIA LA RIFORMA TREMONTI
Per 300 euro in più
È lo sconto massimo previsto dalle nuove tasse del Polo. Meglio di quelle dell'Ulivo? Una ricerca fa il confronto. E scopre che è scomparso il fiscal drag

di Luca Piana in Espresso 7 novembre 2002

 

Di chi si sono presi cura Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti? A chi hanno pensato, il presidente del Consiglio e il ministro dell'Economia, firmando la riforma dell'Irpef, l'imposta sui redditi delle persone fisiche, la tassa più importante per le casse dello Stato? La loro risposta, ripetuta in ogni occasione, è sempre la stessa: ai poveri e ai deboli. I quali, se la finanziaria verrà approvata così come l'ha pensata il governo, dal prossimo anno potranno contare su una soglia di esenzione ben definita, chiamata "no tax area". In pratica, l'esenzione sarebbe totale per i redditi imponibili inferiori a 7.500 euro per i lavoratori dipendenti, a 7 mila euro per i pensionati e a 4.500 euro per gli autonomi.

Berlusconi e Tremonti hanno battuto ripetutamente anche su un altro tasto: grazie alla riforma, i cittadini meno ricchi nel 2003 pagheranno 5,5 miliardi di euro di Irpef in meno, pari a 10.650 miliardi delle vecchie lire. Una cifra, quest'ultima, su cui il capo del governo ha insistito molto, inserendola nel Patto per l'Italia firmato in estate con Cisl e Uil e battezzando la riforma come «la più grande riduzione delle tasse della storia». Ecco perché desta qualche stupore leggere nella "Relazione tecnica" preparata dal governo, che il provvedimento avrà sul fabbisogno dello Stato un impatto di soli 3,7 miliardi di euro. Dove sta la verità? E quanto finirà davvero in tasca ai cittadini più deboli? "L'espresso" ha fatto alcuni conti.

La differenza tra i 5,5 miliardi di euro annunciati e i 3,7 miliardi di euro contabilizzati nella relazione tecnica è dovuta al fatto che già il precedente governo, guidato da Giuliano Amato, aveva programmato per il prossimo anno un alleggerimento dell'Irpef. Ecco perché, per fare i calcoli su quanto ci guadagneranno gli italiani con la riforma, il confronto va fatto con le regole predisposte dall'ultimo governo dell'Ulivo. Su questa base sono elaborati i calcoli effettuati dal Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche dell'Università di Modena (Capp), riassunti nelle tabelle riportate in queste pagine. Questa elaborazione è importante perché, a differenza di molte simulazioni teoriche, tiene conto di quanto ogni famiglia italiana realmente guadagna, e di quanto paga effettivamente in tasse.

Prendiamo le famiglie dove solo uno dei due coniugi lavora. Quelle in cui il reddito imponibile si colloca fra i 10 e i 15 mila euro all'anno avranno il vantaggio massimo e pagheranno, in media, 137 euro di Irpef in meno. Per le famiglie in cui il capofamiglia guadagna di più, il risparmio scende rapidamente e scompare, in media, quando il reddito imponibile supera i 25 mila euro all'anno. Andrà un po' meglio alle famiglie dove tutti e due i coniugi lavorano: se il loro reddito imponibile totale è compreso fra i 15 e i 20 mila euro all'anno, il risparmio raggiungerà i 300 euro in media, per scendere progressivamente e scomparire quando l'imponibile supera i 50 mila euro l'anno.

Contando con le vecchie lire, le famiglie più fortunate avranno in tasca 600 mila lire in più, le altre meno. Non è poco: secondo l'Istituto di studi e analisi economica (Isae), un certo numero di famiglie potranno in questo modo superare la soglia di povertà. È però altrettanto vero che, mentre mostrano di comportarsi come novelli Robin Hood, Berlusconi e Tremonti tacciono su tre questioni che, a ben vedere, rischiano di rovesciare il senso della loro riforma.

Il primo punto riguarda il dimenticatoio nel quale è caduto il recupero del fiscal drag, ovvero la maggiore imposta che i contribuenti pagano solo per effetto dell'inflazione, e non per l'aumento del reale potere d'acquisto degli stipendi. Su questo tema Tremonti aveva dovuto difendersi già lo scorso anno, quando aveva sostenuto che nella finanziaria 2002 il recupero del drenaggio fiscale, pari a un valore stimato in 750 milioni di euro, non era previsto in quanto già inserito dal governo Amato nell'alleggerimento dell'Irpef. L'anno scorso Tremonti non aveva però dato corso al taglio delle imposte già previsto da Amato: abolendone in pianta stabile il recupero, il fiscal drag rischia di ritorcersi in maniera continuativa sui redditi delle famiglie.

«La riforma Tremonti dell'Irpef diventa conveniente rispetto a quella del governo Amato solo escludendo l'effetto del recupero del fiscal drag, che è tuttora previsto dalla legge e che, magari non direttamente ma con contributi mirati ad esempio per i familiari a carico, è sempre stato garantito», osserva Massimo Baldini, economista del Capp di Modena: «Si può calcolare che in media ogni famiglia pagherà con le nuove norme 5.607 euro di Irpef, rispetto ai 5.560 euro che avrebbe versato se si considerano i tagli previsti da Amato più il recupero del drenaggio fiscale».

C'è di più. Il secondo interrogativo che mina la credibilità della riforma dell'Irpef è il suo costo occulto. Perché con la finanziaria è forte il sospetto che il governo dia con una mano solo per togliere con l'altra. Nella legge di bilancio è infatti previsto il congelamento per il prossimo anno delle addizionali Irpef che, in molte regioni, gli italiani stanno già pagando. Più in generale la legge di bilancio per il 2003 rappresenta un vero colpo alla capacità di spesa degli enti locali, che per questo sono scesi sul sentiero di guerra contro il governo.

L'Anci, l'associazione dei comuni italiani, ha calcolato che, se la finanziaria venisse approvata così com'è, i sindaci avrebbero da spendere in servizi 1,73 miliardi di euro in meno, ovvero la metà di quanto il governo concede effettivamente con la riforma dell'Irpef. «Solo per Torino si tratterebbe di circa 25 milioni di euro in meno, vale a dire più dei 15 milioni di euro che il Comune spende in cultura o la metà dei 50 milioni di euro che garantisce invece per i servizi di assistenza», sottolinea il sindaco torinese Sergio Chiamparino, responsabile della finanza locale dell'Anci. Il rischio è che, in molte città, a causa anche del contemporaneo blocco alle assunzioni, finiscano nel mirino servizi come le mense scolastiche, l'assistenza agli anziani o i servizi di polizia effettuati dai vigili urbani.

«Le addizionali Irpef che sono state congelate avevano l'unico pregio, tutto sommato, di essere almeno progressive: ogni cittadino paga a seconda delle proprie possibilità», spiega Chiamparino: «Al contrario, non è stata bloccata l'Ici, l'Imposta comunale sugli immobili, che invece colpisce un bene di prima necessità come l'abitazione. A Torino quest'anno l'abbiamo ridotta, per la prima casa, dal 5,75 al 5,25 per cento, ma ora una nuova riduzione è difficilmente immaginabile».

Il vero segno di classe della loro riforma Berlusconi e Tremonti l'hanno in mente per il futuro. Basta fare un po' di attenzione alle cifre. Le novità del 2003 costano 5,5 miliardi di euro e riguardano, a detta di Tremonti, la «stragrande maggioranza dei contribuenti». Eppure, sostiene sempre il governo, si tratta solo del primo passo di una riforma che costerà molto di più e che, in futuro, coinvolgerà solo i redditi più elevati, che il ministro dell'Economia si propone di beneficiare con la riduzione dell'aliquota Irpef dal 45 al 33 per cento, quando i conti pubblici lo permetteranno. «Il costo complessivo di tutta la riforma è stimato in circa 20 miliardi di euro, come lo stesso governo ha calcolato», dice l'economista Paolo Bosi, fondatore del Capp: «Questo significa che, se un quarto del costo della riforma va a beneficio dei più poveri, i tre quarti andranno a favore dei più ricchi».

07.11.2002