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Le ragioni della sfida dell’Europa unita

Le possibili radici comuni per costruire una vera nazione nel saggio di Biagio de Giovanni

recensione del sito Eguaglianza e Libertà

Biagio de Giovanni ha scritto un libro importante sull’Europa (“L’ambigua potenza dell’Europa”, Guida Editori, Napoli 2002). In estrema sintesi, la tesi di de Giovanni è che per il futuro del mondo bisogna scommettere sulla sfida dell’Europa unita. Cioè sulla possibilità che la ricchezza della storia culturale europea riesca ad esercitare un ruolo nella costruzione di una realtà nuova. Il processo di costruzione europea, in corso da mezzo secolo, appare spesso complicato, ambiguo, esasperatamente lento, ma questo – scrive de Giovanni - succede perché complessa è la sua storia, le molte idee che l’hanno formata e che la attraversano.

C’è poi il peso delle circostanze. Come ben sappiamo, il difficile cammino verso l’unità europea inizia sulle macerie della seconda guerra mondiale. Di fronte al disastro umano e materiale prodotto dalla ferocia e dall’insensatezza nazista, l’obiettivo prioritario dei padri fondatori dell’Europa fu, innanzi tutto, quello di cercare di neutralizzare la tendenza al conflitto che per secoli ha contrassegnato i rapporti tra Germania e Francia. Al punto che – come ricorda de Giovanni - solo negli ultimi quattro secoli francesi e tedeschi si sono combattuti in ben 23 guerre.

Dalla volontà di disinnescare le cause del conflitto franco-tedesco nasce la CECA (la Comunità del carbone e dell’acciaio). Lo scopo principale della CECA è appunto quello di impedire la ricostruzione, soprattutto in Germania e Francia, di basi industriali-militari separate.

Conseguito questo primo risultato, alla conferenza di Messina (1955) viene avviata anche la strategia di integrazione economica ed istituita la CEE.

Per tre decenni, malgrado nel frattempo i paesi aderenti siano saliti a quindici, la costruzione europea rimarrà limitata al piano dei rapporti economici. D’altra parte la scena politica internazionale era dominata dalla divisione del mondo in due blocchi politico-militari contrapposti e la possibilità di far uscire la CEE dall'ambito strettamente economico erano praticamente inesistenti.

La situazione cambia improvvisamente alla metà degli anni 80’. Infatti, nel marzo dell’85, Gorbaciov diventa segretario del PCUS. Il suo stile appare immediatamente diverso da quello dei predecessori. Ma con lui cambia anche il contenuto della politica sovietica. Prima con l’offensiva sul disarmo e poi con l’allentamento della presa dell’Unione Sovietica sui paesi satelliti. La storia subisce quindi una accelerazione. Al punto che, nel giro di tre anni, l’Europa occidentale può incominciare a porsi il problema della propria integrazione politica. Mentre, nel giro di 4 anni, l’Europa orientale si disintegra.

Due uomini si sono trovati al centro di questi eventi. Uno è Gorbaciov, l’altro è Delors. Entrambi vengono accusati dai rispettivi avversari di mancanza di realismo. Il primo per il tentativo di riformare l’rriformabile. Il secondo per il proposito di integrare il non integrabile.

Jaques Delors (cattolico, socialista, ex ministro delle Finanze francesi) è inizialmente percepito, e per questo accettato, come un perfetto tecnocrate. In realtà si rivelerà un protagonista assoluto, capace di imprimere una svolta alla prospettiva dell’Unione Europea. Riuscirà infatti ad utilizzare l’Atto Unico (un contorto documento di ben 282 capitoli che, nelle intenzioni, doveva esclusivamente servire ad abolire le barriere commerciali ed a consentire la mobilità interna per uomini e merci) come un cavallo di Troia per realizzare progetti di più ampia portata.

Appena messo in moto il meccanismo si impegna tenacemente a dimostrare che il mercato interno non può essere concretamente realizzato senza l’abolizione di altre barriere. Riesce in tal moto ad innescare una reazione a catena che porta progressivamente a discutere di integrazione sociale, legale, politica e finanziaria, fino alla moneta unica. Dopo tre decenni di progressi impercettibili la CEE può finalmente cambiare decisamente passo ed avviarsi verso l’unione politica.

Nel frattempo, mentre Delors cammina speditamente in avanti, Gorbaciov cade. Chi tende a ridimensionare il ruolo avuto da Gorbaciov sostiene che egli sia stato, più che l’architetto della libertà nell’Europa orientale, una sorta di guardiano della diga. Quando si rese conto che la diga stava cedendo decise di aprire le chiuse e lasciare fluire l’acqua. La diga alla fine ha ceduto lo stesso, ma senza provocare la catastrofe violenta che sarebbe avvenuta se la pressione dell’acqua non fosse stata abbassata. Quand’anche questo fosse stato l’unico merito di Gorbaciov, si dovrebbe onestamente riconoscere che l’Europa ed il mondo gli devono molto per averli messi al riparo da conseguenze altrimenti rovinose.

In ogni caso, la velocità di disintegrazione dell’impero sovietico è stata impressionante. Senza riscontri paragonabili in tutti gli altri sommovimenti che hanno attraversato la storia europea moderna. Lo smembramento dei domini spagnoli, la spartizione della Polonia, il ritiro degli ottomani, la disintegrazione dell’impero Austro-Ungarico non hanno infatti avuto gli stessi effetti per l’insieme dell'Europa. Sia all’Est, che all’Ovest. Il collasso del comunismo ha, di fatto, spianato la strada ad una nuova dimensione dell’Europa ed alla sua possibile integrazione politica.

Da quel momento in poi l’Europa può tornare a riassumere il significato che aveva nell’antichità. Europa significa infatti “Occidente”. Ma “Occidente” rispetto al Medio Oriente, non rispetto all’Elba. Come invece ha dovuto essere intesa per quasi tutta la seconda metà del XX secolo.

Il ripristino dell’antico orizzonte geografico dell’Europa (sanzionato anche dalla imminente ammissione nella UE di altri 10 paesi) è un cambiamento cruciale che apre straordinarie potenzialità, anche se probabilmente renderà meno spedito il cammino verso la piena integrazione sociale, economica e politica. Si dovrà infatti, tra l’altro, cercare di affrontare e risolvere gradualmente ancora complessi problemi di sovranità e di legittimità democratica.

Per il momento infatti sono ancora gli Stati nazionali a disporre di una funzione essenziale di “legittimità democratica”. E per di più è indispensabile prendere atto che non è soltanto dall’alto (con il progetto di una Costituzione) che potrà essere avviata la democratizzazione dell’Unione Europea. Dovrà svilupparsi anche dal basso: attraverso l’europeizzazione del sistema dei partiti, dei sindacati, dell’associazionismo e la creazione di una opinione pubblica europea.

Oltre tutto, circa il progetto di Costituzione, non sappiamo ancora quale documento uscirà dalla Convenzione presieduta da Giscard D’Esteng. E non sappiamo nemmeno se verrà chiamato “costituzione”, “trattato costituzionale”, “carta, o “legge fondamentale”. Quello che conta non sarà però come verrà denominato, ma i suoi contenuti. A questo riguardo possiamo solo fare qualche ragionevole supposizione.

Molto probabilmente il documento si aprirà con la carta dei diritti fondamentali già elaborata, seguita dal capitolo per disciplinere la divisione delle competenze fra le istituzioni europee: il Parlamento, il Consiglio (o la Camera degli Stati) e la Commissione, che dovrà assumere una più marcata funzione di governo europeo. Il testo cercherà inoltre di definire i meccanismi di controllo della sussidiarietà e stabilire quali elementi dell’acquis communautaire debbano assumere valore costituzionale.

Sarà quindi un documento che presumibilmente stabilirà qualche principio e cercherà anche di mettere un po’ d’ordine in una prassi che si è sviluppata come ha potuto. Cosa senz’altro utile. Tuttavia, si deve tenere presente che per parlare di Costituzione europea è necessario ben altro che qualche norma ben formulata. E’ necessario un senso di appartenenza europea. Cioè la consapevolezza di una comune identità europea.

Anche a questo riguardo però non si parte da zero. In realtà, come documenta ampiamente il libro di de Giovanni, questa identità ha radici antiche. Essa è infatti il paradossale risultato tanto dei violenti conflitti fortunatamente (e definitivamente si spera!) superati, quanto e soprattutto di un comune patrimonio culturale. Perciò solo se saprà attingere ad esso l’Europa allargata potrà politicamente integrarsi e diventare così un vero protagonista della politica internazionale.

Cosa tanto più necessaria ed urgente in una fase incerta della storia, come quella che stiamo vivendo, nella quale il vecchio ordine è definitivamente tramontato mentre un nuovo ordine non riesce a sorgere. Le ragioni di questa difficoltà sono molte. Non ultima, anche se ultima in ordine di tempo, è che a livello mondiale il bisogno di giustizia, sicurezza e pace, appare difficilmente conciliabile con la inopinata ed improvvida dottrina della “guerra preventiva”.

Biagio de Giovanni, L’ambigua potenza dell’Europa, Guida Editori, Napoli 2002, pp 316 17,04 Euro

P.C. (14 OTTOBRE 2002)