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Il futuro fuori da Palazzo Chigi

   TITO BOERI Non ci risulta che le rappresentanze dei giovani e degli studenti siano state invitate ai tavoli sulla riforma della previdenza che vedranno l’avvio dopo l’incontro di ieri. Ma anche chi oggi ha già un lavoro deve seriamente preoccuparsi di vedere rappresentati i propri interessi.

Si resta allibiti a leggere le dichiarazioni di ieri del ministro Cesare Damiano, da cui traspare l'intenzione solo di aumentare ulteriormente la spesa pensionistica, dunque le tasse che gravano su chi lavora. Nelle prossime settimane avremo un modo molto efficace per capire chi davvero sta dalla parte dei lavoratori.

Tutto dipende da come si comporterà durante i sei mesi in cui i lavoratori possono decidere cosa fare degli accantonamenti per il trattamento di fine rapporto (Tfr), la cosiddetta liquidazione.
In ritardo di tre settimane rispetto al decollo dell'operazione e di quasi due mesi rispetto alla tabella di marcia, il governo sta in questi giorni varando i decreti che regolano lo smobilizzo del Tfr. Sin qui ci sono alcune sorprese e molte lungaggini in vista. I lavoratori saranno, infatti, obbligati a esprimere la propria scelta solo attraverso un modulo che non è stato ancora reso disponibile. Paradossalmente le imprese che colpevolmente non avevano ancora informato i propri dipendenti si troveranno avvantaggiate rispetto a quelle che avevano già inviato ai propri dipendenti, assieme alla busta paga di dicembre, un prospetto informativo «fatto in casa», cominciando a raccogliere le adesioni alle diverse opzioni prospettate. Tutto da rifare per loro. Come sempre, i vuoti e i ritardi normativi si ripercuotono sui comportamenti più virtuosi, tanto delle imprese quanto dei lavoratori.

Diverso trattamento
Le sorprese riguardano soprattutto il modo con cui verranno trattati i lavoratori che decidono espressamente e subito cosa fare del Tfr rispetto a coloro che, decorsi i termini senza avere espresso una scelta, ricadranno nel regime del «silenzio-assenso». Ai primi verrà concesso di trasferire i fondi alla destinazione da loro preferita a partire dal mese successivo. Nel caso optassero per i fondi di pensione di categoria, potranno in molti casi ricevere anche un contributo aziendale (attorno all'1,2% del salario annuale, più di 200 euro per un lavoratore medio). Per i secondi, il trasferimento avverrà solo dal 1° luglio 2007 e sarà a condizioni meno vantaggiose: senza contributo aziendale e con rendimenti più bassi. Il fatto è che i fondi che ricevono il Tfr in silenzio-assenso sono tenuti a un profilo di investimento molto prudenziale, che rende più o meno come il Tfr, inadatto soprattutto per i lavoratori più giovani. Chi non sceglie avrà così un triplo svantaggio: smobilizzo più tardi, meno soldi versati e che rendono di meno. Quindi la mancata espressione della propria volontà può costare molto ai lavoratori, facendo loro perdere gran parte dei vantaggi offerti dallo smobilizzo del Tfr nel costruirsi una previdenza complementare. Pur ipotizzando rendimenti netti per i fondi pensione non superiori al 4%, nel giro di 30 anni la mancata scelta potrebbe costare per un lavoratore medio fino a 6.000 euro, quasi il 10% del capitale accumulato versando il Tfr su un fondo pensione.

Chi non sceglie ci perde
Insomma il lavoratore che non sceglie, o tarda a scegliere, ci perde e parecchio. Mentre il governo (che vede aumentare le entrate al proprio fondo di tesoreria) e le imprese (che si tengono il Tfr più a lungo) ci guadagnano. Ecco allora un'occasione formidabile per tracciare i veri confini della lotta di classe, al di là di tanti proclami e ipocrisie, frequenti in una repubblica a parole «fondata sul lavoro». Chi sta dalla parte dei lavoratori deve oggi, pancia a terra, studiarsi attentamente la normativa e incalzare il governo affinché completi al più presto gli adempimenti previsti (a partire dal famoso modulo mancante e dall'accelerazione del trasferimento effettivo del Tfr optato ai fondi pensione) per dare a tutti la possibilità di scegliere al più presto. Vorrà anche organizzare incontri in tutti i posti di lavoro, favorendo una scelta consapevole e il più possibile coordinata fra le maestranze. C'è chi, nel sindacato, lo sta facendo. Ad esempio, la Filcem-Femc-Uilcem (chimici) di Milano o il patronato della Cisl hanno predisposto utili volantini e guide alla pensione complementare in cui vengono messi in luce i costi di una mancata (o tardiva) scelta da parte del lavoratore. Vedremo nelle prossime settimane se molti alfieri (per non parlare dei cavalieri) del lavoro e teorici della lotta di classe saranno capaci di fare altrettanto.