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Le pensioni e l’Europa
Onorato Castellino e Elsa Fornero
09-01-2003
In più occasioni, negli ultimi tempi, il Presidente del Consiglio ha riconosciuto la necessità di intervenire sul sistema previdenziale, ma ha mostrato di volerne in qualche modo ribaltare l’iniziativa e la responsabilità sull’Unione Europea. .....

 

 

In più occasioni, negli ultimi tempi, il Presidente del Consiglio ha riconosciuto la necessità di intervenire sul sistema previdenziale, ma ha mostrato di volerne in qualche modo ribaltare l’iniziativa e la responsabilità sull’Unione Europea.

Incongruenze

A stretto rigore, la previdenza sociale non ricade tra le competenze dell’Unione; non sembrano quindi esservi fondamenti giuridici per questo rinvio. Tuttavia sotto un certo profilo è sorprendente che l’autonomia degli stati in questa materia sia compatibile con un Trattato il quale prevede, tra gli stati aderenti, "la creazione di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l’instaurazione di un’unione economica". E’ sorprendente che l’Unione non possa intervenire su un campo che ha tanta rilevanza, tra l’altro, sulle scelte tra consumo e tempo libero, sulla stipulazione e sulla risoluzione dei contratti di lavoro, sui saldi del bilancio pubblico, sull’equità intergenerazionale.

Indipendentemente dalla formulazione del Trattato, quindi, appare inevitabile considerare i sistemi previdenziali dei diversi paesi come un aspetto fondamentale della loro vita associata. E domandarsi sino a che punto le ricordate finalità possano essere raggiunte in presenza di ordinamenti tanto diversi. Alcuni paesi, come l’Italia e la Spagna, hanno generosi sistemi pubblici a ripartizione, mentre altri (come la Gran Bretagna, i Paesi Bassi e l’Olanda) si appoggiano più significativamente sul secondo pilastro (fondi pensione) e sul terzo (polizze di assicurazione). Inoltre, alcuni paesi usano la previdenza sociale a scopi redistributivi tra o entro le generazioni; o a fini di politica industriale (quando il pensionamento anticipato viene utilizzato a fini di ristrutturazione): oppure con un obbiettivo politico, alla vigilia di una tornata elettorale, quando le promesse sono fatte senza tenere conto del loro costo. In altri paesi, il sistema è meno redistributivo nei suoi scopi, con aliquote più basse e formule pensionistiche più vicine all’equità attuariale.

 

Effetti dei diversi sistemi

Queste differenze hanno effetti profondi e ramificati. Il più noto e dibattuto è l’effetto sul saldo finanziario di ciascun sistema, in molti paesi squilibrato in parte per l’invecchiamento della popolazione, ma anche in conseguenza di regole stabilite con insufficiente attenzione alle loro conseguenze di lungo periodo. Altrettanto importanti sono gli effetti sull’offerta di lavoro, in alcuni paesi fortemente scoraggiata, per le classi di età matura (indicativamente: oltre i 55 anni), da una forte tassazione esplicita e implicita. Infine, senza dimenticare che le aliquote contributive devono almeno in parte considerarsi una forma di risparmio (sia pure forzato), una loro eccessiva differenziazione può avere effetti distorsivi sul costo e sulla domanda di lavoro.

In un’area che si sta velocemente integrando, la sostenibilità dei singoli sistemi previdenziali non può più essere trattata come problema meramente nazionale. Le politiche previdenziali influenzano indirettamente, ma in misura rilevante, la crescita e l’occupazione non soltanto del paese che le adotta ma dell’intera Unione. Il summit tenutosi nel 2001 a Göteborg ha infatti posto le pensioni in primo piano tra le questioni di interesse comune.

Tutti i paesi debbono perciò guardare a misure convergenti, come quelle che allungano la durata della vita lavorativa o promuovono lo sviluppo delle pensioni private. Le formule pensionistiche devono essere riviste in direzione dell’equità attuariale, così che i lavoratori vicini all’età pensionabile non siano indotti al ritiro anticipato. Al tempo stesso, meritano appoggio le soluzioni miste che combinano, se pure in proporzioni diverse, la componente pubblica a ripartizione e la componente privata a capitalizzazione.

E, tornando all’Italia, se il quadro generale è quello sopra descritto; se parecchi problemi sono comuni a molti paesi; se, al tempo stesso, istituzioni previdenziali troppo diverse l’una dall’altra possono rappresentare un ostacolo al funzionamento del mercato comune; se tutto ciò è vero, appare fondata l’attesa di un orientamento comunitario. Non sarebbe la prima volta che il nostro paese adotta una politica virtuosa sotto lo stimolo delle indicazioni provenienti dall’Europa. Né sarebbe la prima volta che misure implicanti un qualche sacrificio per una parte della collettività, e come tali da essa avversate, vengono successivamente riconosciute come un passo necessario verso un obbiettivo di interesse comune.

Per saperne di più:
Una fonte per l’approfondimento di questi problemi su base comparata è offerta dagli atti di un convegno tenutosi presso il CeRP (un centro di ricerca indipendente operante in collaborazione con l’Università di Torino, http://Cerp.unito.it), di prossima pubblicazione presso Edward Elgar (Pension Policy in an Integrating Europe).

 

 

 


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