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Alla lettera risponde l ' Avv. Wanda Lops
della Redazione di www.divorzionline.it

Vincenzo C. ci scrive a proposito di una recente
sentenza della Corte di Cassazione, in base alla
quale i genitori sarebbero tenuti a provvedere al
mantenimento dei figli maggiorenni e non autonomi,
anche quando il mancato raggiungimento
dell
' indipendenza economica deriva dal fatto che
il figlio continua a rifiutare offerte di lavoro
"non adeguate" alla sua preparazione ed ai suoi
interessi.
Il nostro lettore ci scrive:" ho un figlio di
diciannove anni, studente in ingegneria, per il
mantenimento del quale verso alla mia ex moglie
un assegno mensile. Sono disposto a sostenere
qualsiasi spesa per permettere a mio figlio di
terminare il suo corso di studi ed anche ad aiutarlo
economicamente quando, nei primi anni della sua
carriera, lo stipendio sarà più basso (...) Però
vi chiedo: sulla base di questa sentenza sarò
obbligato in eterno a versare alla mia ex moglie
l
' assegno di mantenimento per mio figlio? Anche se
il ragazzo, ormai laureato, non dovesse trovare mai
il lavoro ideale? Come potrò insegnare a mio figlio
a diventare adulto e a confrontarsi con il difficile
mondo del lavoro se la legge gli consente di
restare a casa, accudito dalla mamma e mantenuto
dal papà, fino a trent
' anni e oltre?".

La bella lettera di Vincenzo (che, purtroppo, per
ragioni di spazio non possiamo pubblicare per intero)
 ci consente di affrontare un argomento che nelle
ultime settimane ha suscitato l
' interesse di
 moltissimi lettori ed ha avuto, in generale, grande
risonanza nei media e nell
' opinione pubblica.
La sentenza della Suprema Corte alla quale Vincenzo
fa riferimento è la n. 4765 del 3.4.2002.
Tale pronuncia recepisce, in buona sostanza, il
costante orientamento già espresso dalla Corte in
materia, ampliandone tuttavia la portata in modo
considerevole.
La legge prevede che i genitori hanno l
' obbligo di
mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo
conto delle capacità, dell
' inclinazione naturale
e delle aspirazioni dei figli (art. 147 c.c.).
La separazione ed il divorzio non attenuano in
alcun modo gli obblighi dei genitori nei confronti
dei figli. L
' obbligo di mantenimento, inoltre, non
cessa con il raggiungimento della maggiore età da
parte del figlio, ma solo quando quest
' ultimo
diviene maggiorenne ed economicamente autonomo.
Secondo la consolidata giurisprudenza della
Suprema Corte, peraltro, l
' obbligo in questione
non deve ritenersi perpetuo: il figlio deve seguire
con profitto un regolare corso di studi e poi
cercare attivamente lavoro (v. ex plurimis, Cass.
Sent. Sent. n. 1353 del 1999; n. 6950 del 1998).
Il dovere di mantenimento dei genitori, pertanto,
cessa se il figlio maggiorenne, per sua colpa, non
si rende autonomo economicamente, ovvero cessa
quando il mancato svolgimento di una attività
remunerativa dipende da un atteggiamento di
inerzia del giovane o da un rifiuto ingiustificato
di svolgere una attività lavorativa.
La sentenza che ha suscitato le perplessità e le
(giuste) preoccupazioni del nostro lettore, dunque,
recependo l
' orientamento sopra esposto, afferma
un ulteriore principio: la valutazione della
"colpa" del figlio per il mancato raggiungimento
dell
' indipendenza economica va effettuata con
riguardo alle "aspirazioni, percorso scolastico,
universitario e post-universitario del soggetto",
senza dimenticare "la situazione attuale del mercato
del lavoro, con specifico riguardo al settore nel
quale il soggetto abbia indirizzato la propria
formazione e la propria specializzazione".
E pertanto, secondo tale pronuncia, "deve in via
generale escludersi che siano ravvisabili profili
di colpa nella condotta del figlio che rifiuti
una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto
a quella cui la sua specifica preparazione, le
sue attitudini, i suoi interessi, siano rivolti
(...) e sempre che tale atteggiamento di rifiuto
sia compatibile con le condizioni economiche
della famiglia"
Il giovane appartenente ad una famiglia agiata,
pertanto, potrà rifiutare le offerte di lavoro
che non ritiene adeguate alle proprie attitudini
ed aspirazioni, "nei limiti temporali in cui dette
aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità
di essere realizzate".
Tali limiti temporali, poi, si deve ritenere che
possano essere molto dilatati, considerato che
la massima di cui trattiamo è stata pronunciata
in relazione ad una fattispecie in cui il figlio
era un ragazzo (o meglio, un uomo) di circa
trent
' anni, avvocato civilista, laureato da
tempo.

Tanto premesso possiamo rispondere al nostro
lettore che non possono non condividersi le sue
preoccupazioni. Insieme ai genitori come Vincenzo,
possiamo augurarci che la pronuncia sopra citata
resti un precedente isolato nella giurisprudenza
e che non contribuisca a rafforzare una tendenza
in atto in molti paesi europei, consistente in un
patologico e prolungato stato adolescenziale in
persone adulte, intorno ai trent
' anni di età, ma
ancora dipendenti dalle figure genitoriali.
Possiamo dunque augurarci che le nuove generazioni
riescano a raggiungere la consapevolezza che,
come afferma lo psicanalista Claudio Risè in un
interessante articolo pubblicato su "Io Donna" del
Corriere della Sera, "l
' uscire di casa, il cimentarsi
con i lavori che si trovano - e non con quelli che
si sognano - imparare ad accudirsi, a darsi un
ordine, sono esperienze insostituibili nella
formazione della personalità. Che gettano gradualmente
le basi di una autentica sicurezza in se stessi.
Qualcosa di molto più solido e vitale
dell
' assonnata attesa di un lavoro prestigioso,
mentre si rimane accuditi dalla mamma e finanziati
dal papà o da entrambi".

Alla lettera risponde l ' Avv. Wanda Lops
della Redazione di www.divorzionline.it

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