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LA REPUBBLICA,  07 SETTEMBRE 2005
 
Pagina 16 - Commenti
 
I guai di una legge rimasta incompiuta
 
 
CORRADO AUGIAS

 

C aro Augias, alcuni anni fa abbiamo adottato una bambina di 8 anni. Nel periodo dell'adolescenza ha affrontato i problemi tipicidell'età, aggravati dal suo tragico vissuto. Ci siamo rivolti agli operatori di un Centro psicologico specializzato nei problemi adolescenziali, in un quartiere residenziale di Roma, con strutture più che adeguate. Per oltre due anni gli operatori ci hanno parlato del suo passato terribile, del bisogno di affetto, di essere accettata (ma questo lo sapevamo) e quant'altro, senza rendersi conto che intanto i comportamenti che loro interpretavano come miglioramenti, erano d'altra natura esplodendo in episodi di aggressività e violenza nei nostri confronti.

La perizia successiva di uno specialista ha evidenziato infatti seri problemi psichiatrici e la necessità di terapie diverse per il loto trattamento. Alla vigilia dei 18 anni, con problemi sempre maggiori aggravati dalla vita diciamo 'libera' che aveva cominciato a svolgere, gli psicologi, nonostante conoscessero la situazione ad alto rischio, ci congedano perché il caso "non è più di loro competenza". Senza indirizzare la ragazza ancora minorenne, verso uno specialista o un Centro in grado di aiutarla.

Lei, compiuti 18 anni rifiuta qualsiasi terapia. "Nessuno può farci niente è la legge" ci ripetono i medici del Distretto Sanitario mentale. Fingono di non capire che ragazzi con questo tipo di disturbi rifiutano ogni terapia proprio perché hanno dei problemi. Certamente la legge non consente di intraprendere cure contro la loro volontà, ma temo che i medici considerino questi ragazzi solo come "pratiche" da evadere, trascurando che racchiudono tutta la disperazione di una vita.

Lettera firmata

Q uesta lettera piena di dignità e di dolore ci mette di fronte a uno dei tanti problemi irrisolti della nostra convivenza così spesso sciatta, degradata. Pochi giorni fa su questo giornale Umberto Galimberti ha ricordato i 25 anni dalla morte di Franco Basaglia che si batté per la chiusura dei manicomi riuscendo a imporre il problema all'attenzione dell'intero paese, compreso il Parlamento.

Gli asili per i matti, nati alla fine del XVIII secolo come segno di progresso, erano diventati un residuo barbarico, andavano aboliti. La chiusura doveva essere però un primo passo nella direzione che lo stesso Basaglia aveva indicato: servizi di Salute Mentale diffusi sul territorio, residenze comunitarie, gruppi di convivenza con la partecipazione di maestri, educatori, accompagnatori.

Queste strutture non sono mai state attivate, i fondi per le cure psichiatriche sono rimasti irrisori; ma ciò che forse è ancora peggio è la scarsa motivazione degli operatori, il disimpegno, trattare i malati e i loro parenti angosciati come pratiche da sbrigare. So di commettere un'ingiustizia con affermazioni tanto generiche, sono sicuro, anzi so per esperienza di persone vicine, che si trovano medici e assistenti dediti al loro lavoro fino al sacrificio personale.

Ma quei pochi eroi non cambiano l'avvilimento del quadro generale che del resto corrisponde al clima generale del paese. Viene il terribile sospetto che lo slancio dal quale derivò la chiusura dei manicomi, la comprensione verso i più deboli, gli infelici, gli inermi, sia stato il portato di un'atmosfera presente negli anni Settanta e oggi spazzata via dalla cultura dell'egoismo, della forza, del denaro.