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COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA

Seduta di mercoledì 14 dicembre 2005

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 13,50.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Propongo che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante la trasmissione attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

MAURA COSSUTTA. Le obiezioni ci sono state, ma... pazienza!

Audizione del ministro della salute, onorevole Francesco Storace.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione del ministro della salute, onorevole Francesco Storace.
Vorrei preliminarmente dare il benvenuto al ministro Storace, che abbiamo l'onore di ascoltare per primo nell'ambito dell'indagine conoscitiva relativa all'attuazione della legge n. 194 del 1978. Come è noto, sono state espresse molte osservazioni in merito a questa indagine conoscitiva: alla fine si è giunti alla definizione del programma attraverso il contributo di tutti, circostanza che ha fatto molto piacere a me personalmente, ma immagino anche all'intera Commissione. Come del resto ha auspicato anche il Presidente Casini nella sua lettera, è importante avere una platea la più ampia possibile di soggetti auditi per comprendere come venga applicata, in tutte le sue «sfaccettature», la legge n. 194 del 1978. A mio parere, tali informazioni non si possono evincere soltanto dalla lettura dei dati contenuti nella relazione annuale redatta dal Ministero della salute, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità.
Questa indagine, pertanto, è tesa a comprendere se la legge n. 194 del 1978 sia applicata integralmente, come funzionano i consultori (sempre nell'ambito dell'applicazione della suddetta legge) e se esistano le possibilità di una eventuale migliore attuazione della normativa. Queste sono le premesse sulla base delle quali è stata richiesta l'indagine conoscitiva.
Do subito la parola al ministro della salute, onorevole Francesco Storace, ringraziandolo per la sua presenza.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Innanzitutto rivolgo un saluto all'intera Commissione. Immagino che questa audizione preveda, ai fini della pubblicità dei lavori, anche la stesura di un resoconto stenografico. Intendo svolgere oralmente la mia relazione - ho ricevuto ieri sera la richiesta da parte del presidente Palumbo - per la cui illustrazione mi avvarrò di alcuni appunti.
Considero doveroso esordire sottolineando con un apprezzamento la volontà del Parlamento di verificare l'attuazione di una normativa vigente dal 1978. Mi piace sottolineare le parole riportate nella lettera di invito del presidente Palumbo, che ha ricordato che l'obiettivo dell'indagine è quello di «verificare lo stato di attuazione della legge, con riferimento alle finalità attribuite dalla legge ai consultori» e «acquisire ulteriori elementi di conoscenza rispetto a quanto già contenuto nelle relazioni annuali che il Governo presenta alle Camere, in attuazione dell'articolo 16 della legge in questione». Abbiamo, quindi, un quadro abbastanza chiaro dell'oggetto sul quale coloro che verranno invitati in questa sede dovranno fornire le informazioni in loro possesso.
È evidente che la relazione, che è già a disposizione della Commissione, è stata redatta sulla base delle informazioni ricevute all'inizio dell'anno, come previsto dalla legge. Naturalmente la mia firma è stata apposta in calce ad essa a seguito dei lavori che sono stati svolti dagli uffici ministeriali e dall'Istituto superiore di sanità, ma ciò non toglie che personalmente faccio mia quella relazione (e sarebbe sbagliato un atteggiamento diverso). Ritengo giusto che il Parlamento verifichi quanto della legge n. 194 sia effettivamente nella disponibilità dei cittadini, attraverso la sua attuazione.
Mi consenta, signor presidente, di svolgere un'ulteriore premessa, alla quale tengo particolarmente, dal momento che nelle scorse settimane si è acceso un vivacissimo dibattito intorno alla vostra iniziativa. Ricordo, peraltro, che questo dibattito - nel quale ognuno legittimamente manifesta le proprie posizioni - si è riaperto a seguito di un'iniziativa da parte dell'ospedale «Sant'Anna» di Torino, concernente la sperimentazione della cosiddetta pillola abortiva.
Devo dire che tra le posizioni che mi hanno colpito particolarmente, vi è stata quella sostenuta da una persona alla quale voglio dare atto di essere assolutamente in buona fede sul tema, l'onorevole Moroni, che oggi non vedo presente in quest'aula. Ribadisco, a lei e a tutti, che non è intenzione del Governo proporre una modifica della legge n. 194. Spero che questa dichiarazione sia sufficiente a sgombrare il campo - l'ho già detto tante volte, e lo ripeto nella sede istituzionale propria - da qualsivoglia attribuzione di intenzioni in capo all'esecutivo. Credo che ce ne voglia prima di modificare una norma che, per una parte, ha dato prova dell'efficacia del suo funzionamento. Come scrivo anche nella relazione a vostra disposizione, sono orgoglioso del modo in cui il sistema sanitario nazionale è riuscito ad attuare quella parte della legge legata al diritto di aborto.
Ciò che è assente - è questa la preoccupazione, inespressa nella relazione per le motivazioni che vi esporrò, e per tale ragione è corretta la previsione di una indagine conoscitiva - è la parte relativa alla prevenzione. Credo che il Parlamento faccia bene a soffermarsi su questo aspetto. Se riuscirete a concludere i vostri lavori sarà un bene; altrimenti, saranno proseguiti dal nuovo Parlamento. In ogni caso, credo sia importante avere elementi di conoscenza più certi. Al termine di questa relazione, lascerò alla Commissione un documento, che intendo inviare oggi stesso alle regioni, in uno spirito di assoluto rispetto istituzionale sia del Parlamento sia delle regioni stesse, per far sì che tale questione possa essere sottratta al fuoco della polemica ed affrontata con la necessaria serietà istituzionale.
Credo che l'indagine conoscitiva alla quale avete dato corso, attraverso le audizioni programmate, possa risultare utile per il sistema paese a patto che tutti lavoriamo con lo spirito di arrivare ad una corretta applicazione della legge n. 194, proprio a partire dagli aspetti legati alla prevenzione nei consultori. Cito, in particolare, i consultori perché essi sono oggetto della vostra indagine. Siamo oggi nelle condizioni di poter dire che l'attività di prevenzione nei consultori si è svolta? Questa è la domanda principale, che probabilmente potrà trovare risposta soprattutto nelle audizioni dei numerosi soggetti che avete deciso di ascoltare, ovvero quelli che conducono sul campo l'esperienza di vita e di lavoro - sia esso volontario o professionale - all'interno dei consultori.
Non disponiamo di elementi certi che possano testimoniare che questa attività di prevenzione si svolga, e in quali forme eventualmente questo avvenga. Vorrei muovere da un articolo della legge n. 194, citato peraltro nella lettera del presidente Palumbo: mi riferisco all'articolo 16, che rappresenta il meccanismo regolatore del percorso in termini di domanda e di risposta che si deve attivare da parte del Ministero della salute. Penso che questo articolo abbia impegnato anche chi, prima di me, ha svolto tale attività, trovandosi di fronte alle stesse difficoltà.
Cerchiamo di comprendere cosa prevede l'articolo 16 (altrimenti non saremo in grado di giungere al nodo delle risposte di cui abbiamo bisogno). Ebbene, l'articolo 16 impegna il ministro della salute - in realtà, l'articolo parla di ministro «della sanità» nella definizione pre-riforma - a presentare «al Parlamento una relazione sull'attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione».
Non ho preso visione delle 20-21 relazioni presentate dai miei predecessori al Parlamento, ma ho avuto modo di colloquiare con i dirigenti che, negli anni, hanno preparato questo imponente dossier per il Parlamento. Ebbene, non vi è alcun riferimento alle attività di prevenzione. Questo è un dato che affido alla vostra riflessione.

MAURA COSSUTTA. Lei ha detto di aver parlato con i dirigenti...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. In questi giorni, sapendo della mia audizione, ho parlato con i dirigenti e ho lavorato con i miei uffici...

MAURA COSSUTTA. Non ha però convocato ufficialmente l'Istituto superiore di sanità, che ha redatto la relazione.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Questo no. La ringrazio, onorevole Cossutta, dell'interruzione, che mi permette di chiarire meglio la questione. L'Istituto superiore di sanità è responsabile dei dati che vengono elaborati. Quello che mi interessa, proprio per rispondere al quesito che voi ponete attraverso la vostra Commissione, è capire quali sono le domande che richiedono una risposta. Questa, a mio avviso, è la questione principale. Dal punto di vista del diritto all'aborto, questa legge probabilmente risponde ai dati che noi chiediamo. Sappiamo quanti aborti vengono effettuati e dove; sappiamo quali donne vi ricorrono. Quello che è assente, però, è il dato che consente di capire se il diritto a non abortire sia garantito.
Questa è una legge che proprio all'articolo 1 - chiedo scusa al presidente se mi «allontano» dagli appunti che avevo preparato, ma l'interruzione dell'onorevole Cossutta è utile da questo punto di vista - nega che l'aborto possa essere uno strumento di limitazione e di controllo delle nascite. È un principio importante, ma come si sostanzia? In seguito, sottoporrò alla vostra attenzione alcune cifre che devono indurci ad una riflessione. È vero: il numero degli aborti è diminuito ed hanno ragione taluni a sottolinearlo, ma sarebbe ben curioso se questo fosse cresciuto. Il problema è capire quanto incida tutto ciò sul tasso di natalità di un paese che, se non è il più basso del mondo, si attesta su quel livello. Possiamo intuire che un'attività di prevenzione possa esserci stata, ma nel sostenere con certezza che vi sia stata abbiamo qualche difficoltà. Come dicevo, l'articolo 16 stabilisce chiaramente che le regioni sono tenute - specifico che si tratta di un'affermazione di principio, perché, come vedremo, non si prevede alcunché nel caso in cui una regione si sottragga a tale compito - a fornire le informazioni necessarie per la relazione entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base dei questionari predisposti dal ministero.
Innanzitutto, come sono compilati i questionari? Ho reperito una circolare del 1990 sull'attività consultoriale, che però ha il limite di essere, appunto, una circolare! Ogni tanto essa veniva riproposta oralmente o per iscritto dagli uffici e, ovviamente, non dai ministri. Alcune regioni rispondevano: il Friuli-Venezia Giulia ed il Molise sono le uniche due regioni che hanno sempre risposto - e continuano a farlo - a quelle domande. Per il resto, qualche regione «salta» un anno, qualcun'altra non risponde affatto, e via dicendo. Quello che voglio dire è che probabilmente non vi è stata la comprensione dell'importanza di quei dati. La nostra «fortuna», in questo caso, è che essendosi avvicendate, sia al governo delle regioni che al Governo nazionale, tutte le maggioranze possibili e immaginabili, non è possibile accusare alcuno. Semmai occorre ragionare sul domani.
Qual è il nodo che si deve attivare? Questo sarà l'oggetto della proposta che formulerò al sistema delle regioni e che esporrò anche all'attenzione del Parlamento, ritenendo che tale questione debba interessare tutte le parti costitutive della Repubblica. Ha senso porre domande alle quali nessuno risponde? Probabilmente, occorre innescare un meccanismo nuovo, che concerti le domande alle quali si è certi che sarà data una risposta. Questo è il percorso che ho in mente: verificheremo successivamente se esso avrà il conforto del Parlamento. È una deminutio di potere rispetto alle attribuzioni che mi conferisce la legge, nella quale mi si chiede di predisporre i questionari. Preferisco tuttavia concertare le domande con chi dovrà rispondere, per far sì che la legge diventi efficace.
Ritengo che questa sia un'azione necessaria, in quanto i dati in possesso del Ministero della salute indicano che le uniche risposte fornite correttamente e con continuità dalle regioni sono proprio quelle relative all'interruzione volontaria di gravidanza. Per questa ragione, nel documento che accompagna la relazione annuale, potete leggere che «con orgoglio possiamo dire che questo sistema funziona». Tale affermazione, tuttavia, si riferisce a quello che ho detto, non ad altro, ovvero a quello che non c'è.
Sono assolutamente insufficienti, a mio giudizio, i dati relativi ai consultori e all'attività di prevenzione: è una personale valutazione, che ho il dovere di rappresentare alla vostra attenzione. Del resto, ho detto in precedenza che soltanto un paio di regioni - il Friuli-Venezia Giulia ed il Molise - forniscono dati completi, in un caso relativi solo ad una parte dei consultori presenti nel territorio. Ho chiesto ai miei uffici quanti sono i consultori esistenti in Italia: sono 2.494, mi è stato risposto. Questa è una prima differenza rispetto alla relazione, che ne conta 2.300; si tratta dunque di un aggiornamento di dati rispetto ai consultori censiti. La relazione si ferma ai dati certi del 2003 e del 2004; quindi, è possibile che vi sia stato un aggiornamento sul numero, più per effetto delle notizie fornite sulla legge n. 405 del 1975 che non sulla legge n. 194.
Non vorrei fare confusione con i numeri delle leggi, come mi è successo qualche giorno fa, allorché durante un dibattito ho confuso la legge n. 194 con la n. 149 del 2005, che è invece la legge sui farmaci. Ogni tanto, quando parliamo di numeri, rischiamo anche di darne...!

MAURA COSSUTTA. Ma le donne ricordano bene questi numeri!

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Sì, li ricordano. Personalmente, credo che i figli riguardino sia gli uomini che le donne. Certo, nessuno nega la sofferenza delle donne.
Onorevole Cossutta, valuterò le sue posizioni, se ne avremo il tempo, con grande attenzione; spero che lei abbia la stessa disponibilità nei miei confronti. Talvolta, qualcuno organizza contestazioni vere e proprie: ho letto sulla stampa: «Fischi dalle donne a Trieste». Erano in dieci e quindi non è che vi sia stata tutta questa grande mobilitazione! Occorre essere accorti nel presumere di interpretare un universo intero. Si tratta di questioni sulle quali abbiamo tutti il dovere di riflettere. Del resto, avendo premesso che il Governo non intende affatto modificare la legge, credo sia interesse di tutti attuarla, proprio sulla base delle cifre che riferirò.
Questo è un tema che ci appassiona, sul quale dobbiamo concentrare la nostra attenzione, anche per evitare che qualcuno abbia l'impressione di assistere, onorevole Cossutta, ad una disputa fra laici e credenti. Non credo infatti che la decisione di far nascere un bambino sia un problema che riguarda solo chi è credente, perché penso che attenga all'universalità dei valori.
Stavo parlando dei dati che arrivano con regolarità. Ebbene, arrivano con regolarità le informazioni sulle attività abortive, in merito alle quali riferisco alcune cifre, una delle quali la ritengo spaventosa; questo, tuttavia, non vuol dire mettere in discussione la legge, bensì affermare che ne viene applicata solo una parte, e non la prima. Specifico che le cifre riguardano gli anni dal 1978 al 2004, quindi si tratta degli ultimi dati disponibili. Come sapete, infatti, per il 2004 l'attività di calcolo è in corso. Nella stessa relazione avrete letto - cito a memoria - il dato relativo al 36 per cento di informazioni fornite dalla Campania: quindi, non c'è una conoscenza totale dei dati del 2004.
Dal 1978 al 2004 sono nati nel nostro paese circa 14,5 milioni di bambini. Nello stesso identico periodo, sono stati praticati 4 milioni 350 mila aborti. In pratica, una gravidanza su quattro finisce con un aborto (il 23 per cento, per essere più precisi). Questo significa forse contestare il diritto di abortire? No, significa reclamare una politica di prevenzione, ma questo è un argomento sul quale mi soffermerò successivamente, citando altri dati.
Ha ragione chi afferma che oggi, in Italia, l'aborto è in netto calo rispetto al 1978, anno nel quale si registrarono 234.801 aborti. I circa 135 mila aborti dell'ultima rilevazione statistica testimoniano un decremento - così dice, giustamente dal suo punto di vista, chi agita questa cifra -, nel giro di 26 anni, di oltre il 40 per cento.
È un dato interessante...

PIERGIORGIO MASSIDDA. Anche le nascite sono calate...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Non esiste la stessa proporzione. Apparentemente il dato è spiegabile in questo modo, ma in realtà bisognerebbe approfondire l'esame. Il dato è spiegabile soltanto in parte con il calo demografico: non è pensabile che ad un certo numero di bambini non nati corrisponda un certo numero di aborti.
Dobbiamo valutare con attenzione questo dato. Nel 2004, sono nati 78 mila bambini in meno rispetto al 1978, con un calo del 12 per cento. Le percentuali, quindi, sono differenti. Questo, però, non deve essere un alibi - perdonate l'espressione - per ignorare le politiche di prevenzione, proprio per il tasso di natalità che si registra nel nostro paese.
Il tasso di abortività - lo leggerete nella relazione: anche in questo caso cito a memoria - dimostra che l'Italia si trova in una situazione intermedia. È vero che alcuni paesi presentano un tasso di abortività molto più alto del nostro, ma la Germania, ad esempio, ha un tasso dell'8 per cento, rispetto all'11 per cento dell'Italia. Non siamo nel migliore dei mondi e, secondo alcuni, non siamo neanche nel peggiore!
I dati che ci forniscono le regioni, in definitiva, mostrano che il numero degli aborti è diminuito di oltre tre volte rispetto al numero dei nati (circostanza che potrebbe apparire anche consolatoria). Aumentano costantemente le donne straniere che fanno ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza. La loro «disponibilità» all'aborto - scusate l'infelice espressione - indica una frequenza tre volte superiore a quella delle donne italiane. I dati del 2004 mostrano, come segnale di tendenza, che un aborto su quattro è di una donna straniera.
Intendo invece soffermarmi con particolare attenzione sui dati non presenti nella relazione. Ho inteso ampliare le informazioni a vostra disposizione, sia pur riprendendole dalla relazione, per tentare di concentrarmi sugli obiettivi dell'indagine deliberata dalla Commissione. Il ministero, nel corso degli anni, ha messo in atto alcuni tentativi - ho citato prima il caso di una circolare del 1990 - volti ad attivare un sistema informativo, che abbiamo definito routinario (potrebbe essere sufficiente inviare una circolare e, per automatismo, trovare una risposta per ogni anno: non è così tuttavia che accade), sull'attività di prevenzione offerta dai consultori. In previsione dell'audizione, ho chiesto se esista a partire dal 1990 una corrispondenza che attesti la richiesta rivolta dal ministero alle regioni di inviare i dati relativi ai consultori. Ebbene, non è facile effettuare una ricerca negli archivi. Dal momento che non si era ancora entrati nell'era dell'informatizzazione, esistono scaffali pieni di carte: qualcosa si trova, ma non in maniera sufficientemente esaustiva per far comprendere alla Commissione quale sia stato il lavoro dei ministri della sanità (e poi della salute) fino ad oggi.
Probabilmente, emerge una modesta collaborazione - se non vogliamo chiamarla «insensibilità» (può darsi che lo sia) - anche da parte delle regioni. Si tratta di un dato storicamente ampio e non dell'attività di un presidente o di un assessore; stiamo parlando del sistema delle regioni e delle modalità, efficaci o meno, attraverso le quali si è data risposta alla domanda di collaborazione sui consultori e sulle attività di prevenzione avanzata dallo Stato. In alcune regioni, vengono raccolti i dati relativi alle attività consultoriali, ma non sono disponibili dati nazionali. Ho già citato l'esperienza del Friuli-Venezia Giulia e del Molise; ci sono altre regioni che forniscono i dati, ma lo fanno ad anni alterni.
Purtroppo, non abbiamo le informazioni; per questo vi invito, nelle audizioni che seguiranno, a porre ai soggetti auditi le questioni in maniera approfondita. Non possiamo infatti dare l'idea di un'indagine che proceda in maniera superficiale: occorre consentire un'efficace politica di prevenzione sull'attività consultoriale.
In precedenza ricordavo un dato spaventoso, riferendomi ai 4 milioni 350 mila aborti di questi anni. La domanda che, a mio avviso, deve porsi qualunque persona - esponente politico o della società civile, che sia - è la seguente: se si fosse attuata una politica di prevenzione, ovvero se avessimo avuto i dati in grado di stimolare lo svolgimento di un'attività di prevenzione, quanti di questi aborti si sarebbero potuti evitare?
Questa domanda chiarisce per quale ragione su tale questione non è possibile agire con sufficienza. Se fosse stato praticato il 10 per cento dell'attività di prevenzione, su 4 milioni e 350 mila aborti, avremmo avuto 400 mila bambini in più. Credo che questa sia una riflessione importante: attraverso una maggiore attività di prevenzione, magari sarebbe stata abbassata la percentuale degli aborti e sarebbe aumentata quella delle nascite nel nostro paese.
Dico queste cose proprio per capire se esiste una condivisione generale (bipartisan, direbbe qualche intellettuale) sui due diritti che, a mio parere, sono garantiti dalla legge n. 194; una legge - ripeto - che il Governo non ha alcuna intenzione di modificare. Se individuiamo questi due diritti come, da un lato, quello della donna di abortire e, dall'altro, quello di non abortire, attraverso un'efficace opera di prevenzione, dobbiamo lealmente, istituzionalmente, politicamente e civilmente riconoscere che esiste un debito informativo. La questione del debito informativo è rilevante proprio rispetto al compito affidato al ministro e al ministero ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 194.
In sintesi, abbiamo tante (non troppe) informazioni sull'aborto, ma non abbiamo informazioni, almeno nazionali, nella disponibilità del ministero - può anche darsi che le regioni ne dispongano, ma che non le abbiano poi trasmesse, proprio perché non è stato probabilmente affinato un modello in termini di domanda e di risposta -, sulle attività di prevenzione, sulle attività di consulenza e assistenza alle donne, sull'attività informativa della popolazione e sulle altre attività previste dagli articoli 2 e 5 della legge. Cosa manca, ad esempio, a livello nazionale? È assente una nozione di indicatori di risultato. Sarà possibile un giorno sapere quante donne, dopo i colloqui nei consultori, hanno rinunciato ad abortire? Credo che questo rappresenti un elemento interessante ai fini dei risultati che la Commissione si propone di raggiungere. Per questa ragione appare opportuno colmare quello che ho definito come un debito informativo, costruendo un sistematico flusso informativo in grado di far confluire dalle regioni i dati sulla completa attuazione della legge n. 194.
In queste settimane, abbiamo lavorato per approntare un apposito questionario ai fini della rilevazione dei dati aggregati per regione. Avverto di questo la Commissione, proprio per restare nel «solco istituzionale» nel quale ho voluto esordire: anticipo quindi in questa sede quello che farò tra un'ora, ossia inviare la proposta di protocollo alle regioni.
In pratica, chiedo alle regioni di decidere insieme in ordine al genere di dati ai quali è possibile fare riferimento. Credo che questa sia una risposta qualitativamente elevata ad una domanda che proviene dal Parlamento e che sicuramente esiste nella società. Ripeto: nessuno sta parlando di modificare la legge, bensì di applicarla, a meno che non si voglia negare il diritto alla sua attuazione, come se essa fosse in realtà stata modificata attraverso l'abrogazione implicita dei primi articoli. Credo tuttavia che questo non sia presente nell'animo di alcuno dei membri di questa Commissione.
Il ministero, avvalendosi anche della collaborazione dell'Istituto superiore di sanità, procederà all'analisi dei dati, offrendo al ministro gli elementi per la compilazione della prevista relazione annuale al Parlamento. È evidente che il questionario è integrativo rispetto a quello esistente. Noi non intendiamo annullare la rilevazione statistica dei casi di interruzione volontaria di gravidanza prevista dal modello 12 ISTAT, che è già in corso ed è richiamata nella circolare (di gran lunga precedente rispetto al mio incarico) del 29 febbraio 2000 adottata dal Ministero della salute (mi sembra che il ministro dell'epoca fosse il professor Veronesi), bensì intendiamo integrare tale informativa. Se richiedessimo alle regioni un numero maggiore di dati, agiremmo probabilmente non nello spirito che ho ricordato; chiediamo, invece, alle regioni di decidere insieme quali altri dati sia importante raccogliere. Questa è la lettura che vi propongo. Questa rilevazione rientrerà, ovviamente, fra quelle obbligatorie, previste ai sensi dell'articolo 16 della legge.
Se insisto sull'aspetto della codeterminazione dei questionari è perché diversamente i dati ricevuti sarebbero privi di efficacia. Si potrebbe procedere unilateralmente - il ministro ha un certo potere -, ma si ritiene di coinvolgere le regioni proprio per la natura che questo sistema ha sempre più assunto nelle politiche sanitarie, legate all'attuazione della legge n. 194.
Le modalità attraverso le quali le regioni raccoglieranno i dati ai fini della trasmissione è un problema che non ci riguarda. Saranno esse, infatti, a stabilire le modalità. Intendo lasciare alla Commissione la proposta di protocollo, che formuleremo alle regioni nel pomeriggio; anticipo tuttavia fin d'ora che occorrerà del tempo, in quanto le regioni dovranno riunirsi per decidere. Non avremo la loro risposta domani mattina, poiché i meccanismi sono complessi e, trattandosi di una novità, è giusto che le regioni abbiano la possibilità di discuterla.
L'articolo 2 - cito questo esempio poiché l'argomento è stato oggetto di fortissime polemiche politiche - prevede la possibilità per i consultori di avvalersi, attraverso convenzioni e regolamenti, della collaborazione delle associazioni di volontariato. Al riguardo, viene citato sbrigativamente il Movimento per la vita, ma abbiamo sempre fatto riferimento, in ogni nostra dichiarazione, al pluralismo associativo. Personalmente sono d'accordo con chi sostiene che celebrare un processo dentro il consultorio sarebbe profondamente sbagliato. Noi dobbiamo sempre mantenere aperto un colloquio finalizzato a risolvere i problemi, non ad aggravarli; tuttavia è necessario che il colloquio ci sia.
Ad esempio, mi piacerebbe sapere dalle regioni - la domanda è contenuta nel protocollo che proponiamo loro (quindi nel questionario) - quanti dei 2.494 consultori esistenti abbiano in essere regolamenti o convenzioni con associazioni di volontariato. Questa è una domanda che credo debba essere posta. Quante e quali sono queste associazioni?
Altre domande dovranno riguardare la prevenzione. Ad esempio, quali profili professionali sono impegnati per porre domande sulla prevenzione? Tali profili hanno notizie da rendere disponibili sul passato?
Spero che il Parlamento, attraverso le vostre autorevoli persone, possa cogliere un segnale di rispetto nei confronti della Commissione, se anticipo, in questa sede, la bozza di accordo fra lo Stato e le regioni in merito alla raccolta dei dati. Nella sostanza, intendiamo proporre alle regioni di promuovere una rilevazione periodica, a carattere nazionale, che sarà condotta dal ministero, e congiuntamente dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, sulle attività dei consultori familiari connesse ai compiti di assistenza alla donna in stato di gravidanza, per registrare la situazione delle varie realtà regionali.
L'obiettivo - lo scriverò nella lettera che accompagnerà questa proposta - è quello di integrare il quadro informativo contenuto nella relazione annuale al Parlamento, nonché di convenire interventi specifici per il potenziamento delle attività dei consultori. Questo è un altro dato sul quale probabilmente, a seguito dei vostri lavori, il Parlamento rifletterà nella sua nuova composizione, nel tentativo di verificare se per i consultori esiste o meno un monte risorse interessante.
La legge sui consultori, presidente Palumbo, prevedeva un fondo di circa 50 miliardi di vecchie lire a favore dei consultori.

GRAZIA LABATE. Questa è la 194...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. La legge sui consultori, così ci intendiamo. Quel fondo oggi è parte del monte complessivo del fondo sanitario nazionale, vale a dire che è nelle disponibilità delle amministrazioni regionali. Non esiste più quindi una «linea di credito» dello Stato attraverso la legge finanziaria. Occorre, dunque, intervenire nuovamente?
Il consiglio regionale delle Marche mi ha inviato una proposta di legge presentata da un consigliere che propone alla sua amministrazione di finanziare i consultori che hanno attivato regolamenti o convenzioni con le associazioni di volontariato. Quella di prevedere un incentivo a stipulare queste convenzioni può essere una buona strada, come ce ne sono tante; tuttavia lo decideranno il Parlamento e le regioni, per le rispettive competenze.
La bozza di accordo - definita bozza di accordo per un'indagine sulla legge n. 194 del 1978 - fa riferimento ai principi stabiliti dalla legge n. 281 del 1997 in materia di rapporti fra lo Stato e le regioni. È una normativa che vi segnalo, in quanto essa è la disposizione che dà vita all'intesa, ovvero al patto fra lo Stato e le regioni. È una norma che ha una efficacia in sè, poiché nessuno può tradire l'accordo siglato insieme. Pertanto, si compie un percorso in termini di condivisione delle diverse realtà istituzionali su questo tema.
Si fa riferimento, altresì, alle previsioni della legge n. 405 del 1975 sull'istituzione dei consultori familiari e su quello che la legge affida a queste strutture: ad esempio, si parla di compiti di assistenza della donna in gravidanza, attraverso l'informazione sui suoi diritti, in base alle legislazioni statali e regionali. Non dimentichiamo che la legge sui consultori risale al 1975, e, da quel momento, il sistema delle competenze regionali è cresciuto a dismisura. Probabilmente, occorrerà prevedere un giorno una formazione professionale per coloro che devono garantire alle donne la possibilità di conoscere cosa prevede la legislazione regionale sui servizi sociali, sanitari, assistenziali che sono concretamente offerti dalle strutture operanti sul territorio.
La legge in questione prevede anche modalità idonee al fine di garantire l'osservanza delle norme in materia di legislazione sul lavoro a tutela della gestante. Occorre forse intervenire, nella legislazione sul lavoro, a tutela delle donne in gravidanza...

MAURA COSSUTTA. Anche nella legge finanziaria avete previsto molte cose!

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Mi permetto di ricordarle che questa Commissione si è data, quale scadenza temporale, quella del 31 gennaio. La legge finanziaria, come è noto, si approva prima.

MAURA COSSUTTA. Appunto.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Non credo intendiate fare propaganda elettorale su questo tema. Lo spero, anzi (Commenti)!

GRAZIA LABATE. Ci pensate già voi!

MARIDA BOLOGNESI. È un'idea vostra!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi rammento che i lavori sono trasmessi sul circuito audiovisivo.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Sono simpatiche contestazioni che potrebbero anche essere inserite nel resoconto integrale dei lavori. Rispetto a quello che si dichiara alle agenzie di stampa, mi sembra che in questa Commissione si respiri un'aria migliore.

CESARE ERCOLE. È bello vedere una Commissione così al completo con la presenza anche di coloro che non partecipano mai ai lavori!

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Un vecchio film diceva: sono fatti loro.

LUANA ZANELLA. Onorevole Ercole, si rivolge forse alla sua maggioranza?

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, lasciamo concludere il ministro.

ROSY BINDI. Ha contato tutte le volte che vi è mancato il numero legale, onorevole Ercole?

MARIDA BOLOGNESI. Ministro Storace, non faccia il provocatore, anche se la sua indole...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. In questo modo, sembra trattarsi di una contestazione. Nelle interruzioni non si percepisce il clima di ilarità! Il presidente vi ha chiesto di lasciarmi terminare, ma in realtà ho appena cominciato, in quanto ritengo che molti argomenti debbano essere inseriti nei nostri lavori, al fine di consentire che il Parlamento abbia dal Governo seri elementi di valutazione.
Cosa è chiamato a fare un consultorio, in base alla legge che ho prima citato? Il consultorio - e questo può farlo nel momento in cui mette in opera le previsioni dell'articolo 2 circa le convezioni con l'associazionismo - propone all'ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi; segnala se esiste una lacuna nella normativa locale quando la gravidanza o la maternità determinino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi. Credo che questo sia un altro elemento importante di valutazione: per svolgere politiche di prevenzione, si attribuisce ai consultori la possibilità di individuare, insieme all'ente locale di riferimento, uno strumento normativo adeguato per assistere le donne in gravidanza.
Nella sostanza, nella legge sui consultori (la n. 405 del 1975) si anticipa quello che poi sarà scritto nella legge n. 194, espressione della volontà del legislatore dell'epoca di contribuire a superare le cause che possono indurre la donna all'interruzione della gravidanza.
Ho colto positivamente l'interruzione precedente sulla legge finanziaria, perché dal 1978 sono stati approvati quasi trenta di questi atti e pertanto sarebbe inutile una polemica su questo profilo. Il problema è quello di comprendere cosa accadrà domani, se riusciamo a trovare una soluzione comune rispetto ai temi complessi che vengono posti alla donna in gravidanza. Dobbiamo rassegnarci e registrare, fra vent'anni, 8,5 milioni di aborti, perché avremo rinunciato ad esercitare quell'azione di prevenzione? Ricordo alla Commissione che lo Stato, proprio in virtù della legge n. 194 - ed è uno dei motivi in ragione del quale sarebbe insensato pensare ad una sua modifica -, garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità, tutela la vita umana dal suo inizio e prevede che Stato, regioni ed enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovano e sviluppino i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie al fine di evitare che il ricorso all'aborto sia uno strumento per limitare le nascite.
Credo si possa dire che l'iniziativa di coinvolgere le regioni attraverso un apposito protocollo sia assolutamente necessaria. Abbiamo la disponibilità di numerosi strumenti normativi, ai quali fare riferimento per far sì che si addivenga ad un accordo stringente, convinto e condiviso fra lo Stato e le regioni. Penso a quanto è stato previsto nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del novembre 2001 sui livelli essenziali di assistenza. In quel caso, la base di partenza fu l'accordo fra lo Stato e tutte le regioni, nell'individuare i livelli essenziali di assistenza, successivamente recepiti in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
L'allegato 1/A individua il livello di assistenza territoriale ambulatoriale e domiciliare: a questo riferimento è necessario adeguarsi rispetto all'assistenza sanitaria e socio-sanitaria alle donne, alle coppie e alle famiglie, all'educazione alla maternità responsabile e alla somministrazione dei mezzi necessari per la procreazione responsabile, alla tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento, all'assistenza alle donne in stato di gravidanza e per l'interruzione volontaria di gravidanza.
L'allegato 1/C individua, tra i microlivelli legati al macrolivello di assistenza territoriale ambulatoriale e domiciliare, «l'assistenza sanitaria e socio-sanitaria rivolta alle donne, alle coppie e alle famiglie a tutela della maternità, per la procreazione responsabile e l'interruzione della gravidanza».
È evidente che siamo di fronte a norme che, attraverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato, si prefiggono di garantire universalisticamente e solidaristicamente i livelli essenziali di assistenza, individuando fra questi ultimi anche le questioni di cui ci stiamo occupando.
Dobbiamo comprendere cosa il servizio di assistenza consultoriale deve fornire alla donna. Questo profilo è quello a cui ho fatto riferimento poc'anzi, a proposito delle numerose disposizioni che già la legge sui consultori ci dà la possibilità di attivare, se vi fosse una volontà del legislatore, e successivamente da parte di chi amministra, di metterne in campo le potenzialità.
Tali numerose previsioni troverete citate nel protocollo, che chiederò alla presidenza di trasferire a ciascuno dei membri della Commissione. È difficile pretendere una valutazione su una proposta che sottoporremo alle regioni. Tuttavia, ritengo importante capire, anche attraverso quanto emergerà dal prosieguo dei lavori, se sarà necessario un ulteriore e successivo intervento del ministro. Dipenderà dall'articolazione delle domande. Personalmente, mi riprometto di seguire i vostri lavori in progress, anche al fine di apportare ulteriori contributi.
Come dicevo, proporremo alle regioni la rilevazione periodica dei dati, alla quale ho fatto riferimento in precedenza e, come troverete nell'allegato 2 della mia proposta, per quanto riguarda i consultori familiari pubblici e privati convenzionati, presenti sul territorio, faremo riferimento ai giorni medi settimanali di apertura, alle ore settimanali di apertura e ai profili professionali. Abbiamo individuato una serie di figure, sulle quali chiediamo notizie: si tratta delle figure del ginecologo, dello psicologo, del sociologo, dell'assistente sociale, dell'ostetrica, dell'assistente sanitario, dell'infermiera, del mediatore familiare, del mediatore linguistico-culturale, del consulente legale ed altre figure da specificare a cura delle regioni.
Chiederemo informazioni sull'età delle donne, nei colloqui che precedono l'interruzione volontaria di gravidanza.

MAURA COSSUTTA. Questi dati ci sono già, signor ministro.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Il problema è che questi dati non sono nella disponibilità del ministero. Abbiamo solo alcuni dati, mentre il protocollo riguarda l'attività complessiva dei consultori. Questa tabella - forse non è emerso chiaramente - non è redatta dal ministro, bensì da chi ogni anno predispone la relazione e successivamente, alla luce della richiesta della Commissione, verifica se vi sono dati utili che non sono mai stati richiesti. Credo che almeno sulle modalità attraverso le quali si redige una tabella non si possa polemizzare!. Se mi consente, vorrei che i dati li riferissero le regioni, considerato che esse hanno una competenza specifica al riguardo. Diversamente, non comprendo quale possa essere il ruolo delle istituzioni regionali, se a queste non è attribuita la possibilità di interloquire.
In ogni caso, se dalla Commissione verranno suggerimenti in corso d'opera, ne terremo debitamente conto. Quella che proponiamo è un'intesa; pertanto, avremo anche il tempo di verificarla.
È necessario individuare il numero dei consultori che effettuano uno o più colloqui utili per ottenere la certificazione. Chiederemo di indicare se il colloquio viene svolto da una specifica figura professionale o da un'équipe multidisciplinare. Si farà riferimento al numero delle certificazioni di interruzione volontaria di gravidanza rilasciate e all'assistenza offerta dai consultori familiari alla donna in stato di gravidanza. Nella documentazione leggerete, in sintesi, ciò che ho riferito prima su quanto possono fare i consultori (e vogliamo essere certi che lo facciano).
In buona sostanza, si propone al sistema delle regioni un percorso istituzionale, affinché si possa attuare anche la normativa in tema di prevenzione contenuta nella legge n. 194.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua relazione. Credo che lei, nella sua ampia e documentata esposizione, abbia chiarito molti profili della relazione che ogni anno ci viene inviata e che molti componenti della Commissione chiedevano di discutere apertamente. Lei ha colto, altresì, in maniera precisa alcuni spunti che già erano emersi nel corso dell'ampia discussione che si è svolta sulla richiesta di questa indagine conoscitiva. Credo che molti dubbi che lei ha espresso nella sua relazione abbiano colto anche numerosi componenti della Commissione, quando si è discusso in merito a tale indagine conoscitiva.
La Commissione farà tesoro della documentazione fornita dal ministro, che sarà messa a disposizione di tutti coloro che vorranno consultarla. Avverto che il documento sarà pubblicato in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna. Nell'ambito delle audizioni successive, i componenti della Commissione potranno offrire il proprio contributo ed avanzare qualche suggerimento.

ROSY BINDI. Intervengo sull'ordine dei lavori per chiedere quanto ancora il ministro, che ha svolto un'esposizione non molto contenuta nel tempo, potrà trattenersi. Poiché è prevedibile che vi saranno diversi interventi, vorrei capire se abbiamo la possibilità di farlo oggi e se il ministro è disponibile a ritornare, a breve, per continuare ad interloquire con la Commissione.
Credo che questo sia un modo corretto di lavorare. Diversamente, sarebbe stato sufficiente leggere una relazione scritta del ministro.

PRESIDENTE. Hanno chiesto di intervenire molti colleghi. Non conosco i tempi del ministro, ma ho appreso favorevolmente la sua disponibilità a tornare in questa sede, eventualmente - così ha detto, se non ho compreso male - dopo le audizioni previste, che comunque egli si preoccuperà di seguire. Potremmo incontrarci anche più tardi; noi dobbiamo riprendere i lavori in Assemblea alle 16,30. Assicuriamo comunque la nostra disponibilità.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Dispiace che l'onorevole Bindi pensi che avrei potuto limitarmi ad inviare una relazione scritta. Personalmente, non mi sarei mai permesso di rivolgermi con queste parole ad un mio interlocutore. Tuttavia, ognuno ha lo stile che gli è proprio!

ROSY BINDI. È per interloquire...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Ho capito, ma esiste un lavoro dietro la stesura della relazione, e non credo che sia la stessa cosa inviarla per iscritto. Ritengo che si debba mettere un po' d'anima nelle notizie che si riferiscono al Parlamento!

ROSY BINDI. I poeti mettono la propria anima nelle poesie che scrivono. Non è sufficiente la mimica facciale.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Abbia la compiacenza di ascoltarmi.

ROSY BINDI. Lei abbia la compiacenza di non fare battute fuori posto.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. E lei può farle con me?

ROSY BINDI. Di certo non l'ho rimproverata.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Lei non vuole che si proceda con i lavori, probabilmente.

ROSY BINDI. No, io voglio che si vada avanti nei lavori con la sua presenza, signor ministro!

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Stavo cercando di spiegare che ieri, dopo aver ricevuto questa lettera, ho contattato il presidente della Commissione ed ho immaginato un tempo di discussione di circa un'ora e mezza. Non potevo immaginare che questa mattina la Camera avrebbe aggiornato i propri lavori alle 16,30. Gli impegni ministeriali, e me ne scuso - soprattutto lei, onorevole Bindi, dovrebbe saperlo -, non mi consentono altro tempo. Sono comunque disponibile a tornare in Commissione. Come è ovvio, vorrei avere la possibilità di approfondire i temi che vengono posti dal Parlamento, altrimenti mi vedrei costretto a fornire una risposta priva di contenuti, ed io non intendo farlo.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi per la formulazione di quesiti ed osservazioni.

GIULIO CONTI. Vorrei ringraziare il ministro per la sua puntuale esposizione e per le notizie interessanti che ci ha riferito. Certamente questo è un esempio di grande democrazia, ma anche senza ricorrere ad una parola così importante, parlerei di un fatto molto positivo, che poche volte è accaduto, soprattutto negli ultimi anni. Tenevo particolarmente a questa precisazione.
Ho preso alcuni appunti, ascoltando la sua relazione. Innanzitutto, abbiamo appreso che vi è stata scarsa collaborazione da parte delle regioni nel lavoro svolto dal ministero. Questo è accaduto non soltanto durante il suo incarico, signor ministro, ma anche in precedenza. Le regioni più assenti sono state proprio quelle sulle quali, invece, si pensava di poter contare, considerata la loro impostazione «ideologica». Al termine del suo intervento, lei ha affermato che proporrà - dopo averla distribuita anche a noi, per conoscenza - una bozza di accordo...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Scusi se la interrompo. Stiamo affrontando un argomento molto serio e dunque non mi attribuisca un atto di accusa verso le regioni. Io sostengo che il meccanismo non ha funzionato, ma è lungi da me l'idea di individuare il colpevole.

GIULIO CONTI. Lei non lo pensa, ma io sì. Credo di potermi concedere questa libertà, anche perché in questi giorni abbiamo sentito (Commenti dell'onorevole Bolognesi) ... Sono contento che il ministro abbia rilevato alcune cose, basandosi sui dati che, da anni, alcune regioni non forniscono mai. Il ministro ha avuto la bontà di dire che le regioni rispondono in maniera discontinua, ma io direi che alcune non rispondono affatto. Non specificherò i nomi di queste regioni, per non sollevare ulteriori polemiche.
Tuttavia, l'obiettivo del ministro, attraverso il protocollo che verrà distribuito, è quello di ottenere la collaborazione delle regioni. Obiettivo più che giusto, anche per verificare l'applicazione delle due leggi che presentano profili di intersezione. Innanzitutto, vorrei far notare anche ad alcuni colleghi che la legge n. 405 del 1975 precede la n. 194, dalla quale viene poi ricompresa. Questo significa che la legge n. 405 diventa parte integrante della legge n. 194 dopo essere stata in vigore, addirittura per tre anni, in sua vece.
Da questo punto di vista, l'indagine ha una base logica ed un certo valore di natura statistica e ideologica. Nei dati citati dal ministro della salute, ma anche da quello della giustizia, è assente un aspetto molto importante, quello riferito all'eventuale ripensamento di una donna che esce dal consultorio rifiutando l'aborto. Questo dato mancante, che il ministro definisce un problema di prevenzione, è essenziale. Non possiamo pensare soltanto ai dati relativi al sì all'aborto e non sapere nulla del no all'aborto.
Dal punto di vista politico e sostanziale, ritengo che si debba tenere conto, nella discussione che stiamo affrontando, del problema del calo delle nascite, ovvero della denatalità. Una migliore applicazione delle leggi n. 194 e n. 405 potrebbe aiutarci, se non a superare questo problema, quanto meno a renderlo meno grave, anche tenendo conto di quanto ha riferito il ministro circa il numero enorme di aborti che si sono verificati, ancorché si tratti di un dato in diminuzione.
Un altro dato assente - credo che nel questionario dovrebbe essere inserita, al riguardo, una relativa domanda, per quanto mi sembra che difficilmente questo potrà avvenire - è quello che riguarda il numero di aborti praticati in base non alla prescrizione del consultorio, ma a quella del medico di base, il quale, a meno che non sia un obiettore, è il primo ad avere un contatto con la donna che decide di abortire. Anche di questo profilo credo che si debba tenere conto.
Abbiamo sentito - ed è un dato allarmante - che il numero delle donne straniere che abortiscono è tre volte superiore a quello delle donne italiane. Credo che questa realtà, che io definirei tragica, dipenda dalle condizioni di vita di queste donne. Non si tratta soltanto di un approccio di natura culturale: occorre considerare che molte delle donne che abortiscono sono prostitute o ragazze sole, quindi in difficoltà, che ricorrono all'aborto per non aggravare la loro condizione.
A questo riguardo è la regione che deve intervenire; non è tanto il consultorio a dover dissuadere dalla decisione di abortire queste donne che, trovandosi nelle condizioni che abbiamo ricordato, forse considerano l'aborto come l'unico modo per risolvere immediatamente un problema.
Possiamo dichiararci soddisfatti del numero relativo alla percentuale di aborti praticati in Italia. Il numero degli aborti in Russia è sei volte superiore a quello dell'Italia, negli Stati Uniti è il doppio, in Inghilterra, Francia e Norvegia la percentuale si aggira intorno al 16 per cento. Soltanto la Germania registra una percentuale dell'8 per cento, insieme alla Finlandia (10 per cento), percentuali inferiori al dato italiano dell'11 per cento.
Per offrire una lettura diversa alla problematica che stiamo affrontando, voglio rilevare che dal 1978 al 2004 il numero degli aborti è diminuito anche perché si è verificata una grande diffusione della pillola antifecondativa, che ha ridotto automaticamente il numero delle richieste di aborto. Sul piano generale, quindi, dobbiamo tener conto anche di questo elemento.
Mi auguro che l'attività di prevenzione venga presa in grande considerazione anche da noi stessi e che vi sia un diverso approccio, all'interno del consultorio, nei confronti della donna che vi si rivolge.
Ritengo doveroso sollecitare la collaborazione delle regioni, necessaria per migliorare la situazione attuale. Vorrei far presente al ministro che il documento approvato ieri all'unanimità dalla nostra Commissione, in sede di ufficio di presidenza, ha evidenziato un dato che in precedenza non era molto chiaro. Si tratta di una proposta emendativa...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Approvato all'unanimità?

GIULIO CONTI. All'unanimità. Le onorevoli colleghe non lo sanno perché sono andate via.

TIZIANA VALPIANA. Le minoranze hanno abbandonato l'aula.

MARIDA BOLOGNESI. È stato approvato all'unanimità della maggioranza!

GIULIO CONTI. L'unanimità è riferita ai presenti e non tiene conto di chi si dà alla fuga!
La proposta emendativa è stata avanzata a firma degli onorevoli Conti, Mancuso e Castellani, ed ha determinato un'aggiunta nel documento di programma alla base di questa indagine conoscitiva: «Sulla base di queste premesse, l'indagine conoscitiva, dai cui obiettivi esula l'intento di mettere in discussione i contenuti della legge n. 194 del 1978 [...]». Ribadisco questo concetto perché l'abbandono dell'aula da parte delle nostre colleghe di sinistra è dipeso proprio dal fatto che esse avevano interpretato questa indagine, l'intervento del ministro e le successive polemiche come il tentativo di mettere in discussione la legge n. 194 e di modificarla, per evitare che su questo argomento si ricorresse addirittura, da parte dei cattolici, ad un nuovo referendum.
Ritengo che questi timori - non so su quale base essi si fondassero - siano stati fugati proprio dall'inserimento di questa nota nel documento ufficiale posto alla base dell'indagine conoscitiva, proposto dalla Commissione e approvato all'unanimità.

PRESIDENTE. Il ministro ha fatto presente che può trattenersi fino alle 15 ed ha dato la propria disponibilità per domattina dalle ore 9,30 - io ho chiesto dalle 10 - fino alle ore 13. In questo modo, avendo a disposizione tutta la mattinata, domani potremo concludere la prima audizione.
A questo punto, ritengo sia inutile concedere la parola a qualche collega per soli cinque minuti. Considerato il clima che si respira, non credo che qualcuno si limiterebbe ad un intervento di così breve durata. Propongo tuttavia di chiudere questa sera l'elenco degli iscritti a parlare, per evitare che domani diventi un elenco infinito.
Propongo quindi di aggiornare i lavori alle giornata di domani, alle ore 10.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Mi scusi, presidente, ho chiesto di cominciare i lavori alle 9,30 per evitare che, dovendomi allontanare alle 13, sia poi costretto a commettere una scortesia nei confronti della Commissione.

PRESIDENTE. Aggiorniamo allora i lavori a domattina alle ore 9,30.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Come è ovvio, tenterò di rispondere alle questioni che mi verranno poste; tuttavia, laddove non fossi in possesso di elementi sufficienti per soddisfare le vostre richieste dovrei rimandare le risposte.

ROSY BINDI. Ringrazio il ministro per la disponibilità accordata alla Commissione per la giornata di domani. Inoltre vorrei tranquillizzarlo: la natura dell'indagine conoscitiva è tale per cui non siamo qui a chiedergli risposte, ma sarà lui a dover ascoltare noi!.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Come sempre.

ROSY BINDI. In questo modo, gli atti conseguenti che egli dovrà assumere dovranno tenere conto di quei pochi risultati che riuscirà a produrre questa indagine.

PRESIDENTE. Questo è da vedere, onorevole Bindi. Lei parla già di «pochi» risultati: speriamo, intanto, di conseguire dei buoni risultati, anche se di modesta entità. Parlare molto non significa necessariamente ottenere buoni risultati!

TIZIANA VALPIANA. Intervengo sull'ordine dei lavori, in quanto vorrei evitare che il ministro si allontani con un'opinione errata. Mi riferisco a quanto ha affermato l'ex sottosegretario Conti, attribuendo alla minoranza una posizione che questa in effetti non ha assunto. Siamo usciti dall'aula non perché temiamo che l'indagine conoscitiva nasconda la finalità di «manomettere» la legge n. 194, ma in quanto consideriamo inutile e pretestuosa - mera propaganda elettorale - un'indagine conoscitiva svolta in un mese e al termine della legislatura (quando noi ve la chiediamo da cinque anni). Pregherei i colleghi di non interpretare il pensiero altrui senza conoscerlo!

MARIDA BOLOGNESI. Come la collega Valpiana, anch'io tengo a sottolineare che decidere di non votare nel merito di qualcosa che riteniamo dannoso per i consultori - le donne continueranno a rivolgersi ai consultori dopo un'inutile, e forse rischiosa, indagine conoscitiva natalizia - deve essere considerato un atto politico. Vorrei anticipare una domanda al ministro, affinché, nel caso in cui non abbia i dati necessari, possa procurarseli e rispondere nella giornata di domani. Parto dal presupposto che il suo rapporto al Parlamento sia per noi l'atto di partenza e che al suo interno si individuano chiaramente quali sono i soggetti esposti ad una qualche fragilità socio-sanitaria, ad esempio le donne immigrate e quelle giovanissime. Ebbene, vorremmo capire se, oltre al protocollo che ci ha consegnato oggi, sia in corso qualche altra iniziativa del Governo, sia del ministro dell'istruzione, sia di altri suoi colleghi che si occupano, per competenza, del tema delle scuole e dei giovanissimi. Dai dati che abbiamo, infatti, risulta che sono soprattutto le giovanissime, insieme alle donne immigrate, a ricorrere all'interruzione di gravidanza.
Vorrei chiedere al ministro di verificare presso il Ministero dell'istruzione se esista una campagna di informazione nelle scuole, e presso il Ministero dell'interno o quello degli esteri se esistano eventuali iniziative sui temi del welfare, della mediazione familiare, del rapporto con le immigrate e, in particolare, con le associazioni di immigrati in Italia. In sostanza, intendiamo sapere se sia prevista qualche iniziativa rivolta a queste donne, che evidentemente non conoscono bene i percorsi assistenziali e di prevenzione. Credo che queste notizie possano essere di un qualche interesse per il nostro lavoro.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Francamente è difficile comprendere una richiesta così vaga; comunque mi attiverò.

PIERGIORGIO MASSIDDA. Signor presidente, chiedo che vengano contingentati i tempi degli interventi. Vorrei chiarire che anche Forza Italia non ha alcuna intenzione di intervenire sulla legge n. 194 per modificarla. Tuttavia, considerata la diffusa sensibilità su questa materia, come apprendiamo anche dai giornali, domando che sia consentito a tutti i parlamentari che vogliano intervenire di poter utilizzare come credono questa indagine. Se è vero che da una parte esiste una strumentalizzazione, è ancora più grave il continuo boicottaggio di un'indagine, che rientra nelle prerogative del Parlamento.
Per questa ragione, a nome del mio gruppo chiedo - non l'ho mai fatto prima - che vengano contingentati i tempi degli interventi. Se domani ciascun iscritto intervenisse per 15 minuti, oltrepasseremmo ampiamente le ore 13! Deve essere invece consentito a tutti i parlamentari di partecipare e di esercitare il proprio mandato, formulando le rispettive domande. Diversamente, reagiremo anche noi come riterremo opportuno.

PRESIDENTE. Comunico fin d'ora che concederò 10 minuti di tempo per ciascun intervento. Ribadisco che gli iscritti a parlare sono coloro che ne hanno già fatto richiesta e che non accetterò altre richieste. Agli interventi dei colleghi - quindici, per un totale di 150 minuti - seguirà eventualmente la replica del ministro.
Rinvio pertanto il seguito dell'audizione alla seduta che sarà convocata per domani.

La seduta termina alle 15,05.

 
 

 

 
 

 
 


 

COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA

Seduta di giovedì 15 dicembre 2005

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 9,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del ministro della salute, onorevole Francesco Storace.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, il seguito dell'audizione del ministro della salute, onorevole Francesco Storace.
Ricordo che nella seduta di ieri il ministro Storace ha svolto la relazione sui temi oggetto dell'indagine ed è quindi intervenuto, per porre quesiti e formulare osservazioni, l'onorevole Giulio Conti.
Come abbiamo già stabilito ieri, in conclusione della seduta, essendo elevato il numero degli iscritti a parlare, gli interventi dovrebbero contenersi entro dieci minuti.

Do quindi la parola ai colleghi.

MAURA COSSUTTA. Signor ministro. Noi lo aspettavamo e puntuale è arrivato l'attacco alla legge n. 194. Lo avevamo detto, del resto, durante la discussione molto accesa, direi lo scontro che si è verificato sulla legge sulla procreazione assistita, in particolare sul famoso articolo 1, che sancisce i cosiddetti diritti dell'embrione. Sapevamo che quella legge avrebbe trascinato l'attacco alla legge n. 194, nella sostanza. Ed ecco che l'attacco è arrivato, puntuale.
Le sue parole, signor ministro, purtroppo non ci rassicurano. Lei afferma che non verrà modificata la legge n. 194, ma in realtà dà il via a quella che è una vera operazione mediatica, di grande propaganda, ma anche politica e ideologica, per rompere un tabù. Prima di entrare nel merito, credo che sia necessario fare alcune riflessioni, pur nel tempo limitato che abbiamo a disposizione, che io comunque rispetterò.
A mio parere, siamo in tempi di vera restaurazione, nel senso che un pezzo intero di storia del nostro paese sta per essere riscritto. Questo è il vero tabù. Avete cominciato ad attaccare, di fatto, uno dietro l'altro tutti i pilastri della legislazione degli anni settanta: prima l'attacco allo Statuto dei lavoratori (non riuscito, anche se voi ci avete provato), poi l'attacco alla previdenza pubblica - nonostante il ministro Storace lo neghi - ed al Servizio sanitario nazionale, pilastri che assieme avevano contribuito a costruire una grande stagione di emancipazione.
Tra queste leggi - non dimentichiamo la n. 180 - sulla psichiatria c'erano anche la legge n. 194 e quella sul divorzio, sebbene ci aspettiamo che, prima o poi, secondo i diktat delle gerarchie vaticane, anche quest'ultima verrà messa in discussione. In quella cultura c'era un nesso strettissimo fra diritti del lavoro e diritti sociali, fra diritti sociali e diritti individuali. Credo che la cultura delle donne abbia contribuito in grande parte a costruire questa cultura politica. Parlo di una cultura riferita ad una democrazia sostanziale e ad un'uguaglianza sostanziali, nonché ad una laicità dello Stato che rispetti la libertà di scelta delle persone.
Ritengo, quindi, che il primo tabù che voi volete rompere sia il ruolo di protagonismo delle donne in questo grande pezzo di storia. A mio parere, quello che abbiamo messo in campo in quegli anni resta scritto nella legge n. 194, dall'inizio alla fine. Signor ministro, noi rivendichiamo e vogliamo applicare tutta la legge; non abbiamo scheletri nell'armadio. In quella legge c'è questa cultura, nella quale è l'assunzione prioritaria, consapevole del punto di vista di genere: una vera grande rivoluzione che noi volevamo mettere in atto.
Lei ieri ha parlato di diritto a non abortire, di difesa della maternità, di desiderio di maternità. Negli anni settanta era sicuramente molto impegnato, ovviamente dall'altra parte...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Quando ero giovane...!

MAURA COSSUTTA. Era giovane, ma molto impegnato. I suoi errori si sono trascinati dalla giovinezza alla maturità. Comunque, all'epoca noi donne eravamo in piazza a dire «contraccezione per non abortire», «aborto libero per non morire». Nessuna donna ha mai considerato l'aborto un diritto; si tratta invece di un profondo trauma, un'esperienza dolorosa e faticosa che lascia un segno e che tutte le donne affrontano con grandissima emotività.
Lei parlava, signor ministro, della difesa della maternità. Questa difesa della maternità, del desiderio di essere madre, della libertà di scegliere di diventare madre, la difesa del diritto alla salute riproduttiva, quindi alla sessualità delle donne - di questo, signor ministro, lei non ha parlato - è per noi un patrimonio irrinunciabile. Anzi, il movimento delle donne ha posto esattamente al centro delle politiche pubbliche la maternità, il desiderio di maternità, che per noi deve rimanere al centro delle politiche pubbliche. Parlo del desiderio di maternità sempre, anche quando viene da una donna che vuole ricorrere alla procreazione assistita perché ha una grave malattia genetica o infettiva. Sempre il desiderio di maternità va riconosciuto e rispettato.
Credo che la consapevolezza di mettere al centro delle politiche pubbliche questa maternità sia per noi una consapevolezza politica, perché significa ribaltare le priorità delle politiche pubbliche, mettere in discussione questo modello di sviluppo, queste regole del mercato del lavoro, le finalità del sistema di welfare. È un approccio assolutamente coerente.
Voi oggi parlate in nome delle donne, ma avete approvato la legge n. 30 sul mercato del lavoro e la legge Bossi-Fini sull'emigrazione, per cui le donne immigrate - quelle che maggiormente ricorrono all'aborto, come lei sa - sono tutte irregolari, magari lavorano clandestinamente nelle nostre famiglie e oggi voi le ricacciate nella clandestinità, negli aborti clandestini.
Avete dimezzato il fondo sociale e adesso, nella legge finanziaria, inserite il bonus per il bebè. Francamente, la vostra è una politica che non è andata incontro alla tutela della maternità e delle donne. Avete voluto questa indagine conoscitiva che, in realtà, non è conoscitiva di nulla, perché come lei ben sa per conoscere bisognerebbe disporre dei tempi e dei modi atti a costruire un'indagine seria, andare nei luoghi dove si lavora per verificare le criticità, discutere, ascoltare direttamente gli operatori e non quelli che parlano in nome loro.
Al di là di questa indagine, che conoscitiva non sarà, le propongo di fare un'altra indagine, questa sì conoscitiva. Lei sa benissimo che oggi una ragazza precaria deve firmare una letterina, davanti al datore di lavoro, per garantirgli che non diventerà madre. Procediamo ad un'indagine conoscitiva su queste discriminazioni, su questo peso che ancora oggi le ragazze sopportano! Altro che desiderio di maternità! Facciamo un'indagine conoscitiva per appurare quante ragazze ancora sono costrette a vivere in famiglia, a non potersi costruire una propria famiglia. Altro che politiche per la natalità o per la maternità!
Il punto, signor ministro, è che noi abbiamo sancito, in quella legge, il valore sociale della maternità, ma voi oggi volete tradurre questo valore nel controllo sociale sulle scelte delle donne. Questa è la rottura del paradigma. Lei non cambia la legge n. 194, ma la stravolge esattamente rompendo quel tabù. Il punto è il controllo sociale sulle scelte delle donne. Noi chiediamo coerenza.
Approfitto per chiedere la presenza del ministro per le pari opportunità che, credo per una svista, non è indicato tra le persone da audire. Credo che sia fondamentale il contributo di quel ministero: non può esserci discussione sui diritti delle donne, quindi sul diritto alla maternità e all'interruzione volontaria di gravidanza, senza un punto di vista di genere. Questo Governo non ha assunto quello che tutte le conferenza internazionali e mondiali dicono, ossia gli indici di sviluppo di genere: il lavoro, il reddito, l'istruzione, la salute delle donne. Questo vuol dire difendere la maternità. Signor ministro, lei ieri ha parlato dei consultori. Ebbene, i consultori sono stati inventati dalle donne; sono nati sotto la spinta del movimento delle donne, con una grande consapevolezza. I consultori, oggi, hanno trent'anni, ma le loro finalità sono da ribadire, la loro funzione da ripromuovere.

PRESIDENTE. Onorevole Cossutta, la invito a concludere.

MAURA COSSUTTA. Ancora un attimo, poi recupererò...

PRESIDENTE. Non si può recuperare.

MAURA COSSUTTA. Mi dispiace di essere andata fuori dei termini stabiliti, ma lei capisce che questa è un'audizione molto delicata, e vorrei poter terminare, se me lo consente.
Nella legge era scritto cosa dovevano rappresentare i consultori; la partecipazione straordinaria delle donne non deve essere vista come un di più, ma come una misura di efficacia e di qualità del servizio. I consultori come servizi di prevenzione. Anche qui, signor ministro, quanta confusione! La prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza non c'entra nulla con le politiche per la natalità e ciò è stato dimostrato attraverso dati scientifici.
Probabilmente, prima di avanzare questa proposta alle regioni avrebbe dovuto coinvolgere direttamente i tecnici e i dirigenti dell'Istituto superiore di sanità che hanno costruito, con grande sapienza e competenza, esattamente quel sistema di sorveglianza che lei nella relazione sostiene essere il migliore al mondo. «Eccellente sistema di sorveglianza» lo definisce. Oggi viene qui senza aver svolto una discussione «scientifica» di merito su questo sistema di sorveglianza.
La legge n. 194 - e non è un caso - aveva affidato ai consultori l'interruzione volontaria di gravidanza, esattamente perché i consultori avevano questa funzione. Credo che qui ci sia una grande ipocrisia e un grande opportunismo politico. Lo ripeto, la prevenzione non c'entra niente con le politiche per la natalità. Sulla prevenzione è tutto scritto e tutto detto e gli operatori che da anni lavorano nel settore ne hanno denunciato le carenze: mancano i consultori, mancano le strutture, mancano le équipe multidisciplinari, gli operatori non vengono pagati.
Tutte queste criticità gli operatori le hanno denunciate da tempo. La prevenzione attiva si attua attraverso programmi diretti alle fasce di popolazione a rischio e lei, signor ministro, su questo non ha detto una parola - attraverso la diffusione dei metodi anticoncezionali. La libertà e la responsabilità rispetto alla scelta di maternità sono strettamente connesse alla consapevolezza concernente la salute riproduttiva, e i metodi contraccettivi.
Lei dice che non intende modificare la legge n. 194, ma in realtà la sta scardinando. Questa è un'operazione per dare diritto di tribuna al Movimento per la vita. Vorrei che lei dicesse una parola a proposito di quelle immagini indecenti di presidi di fedeli, con una croce da processione, davanti ad un ospedale pubblico di Modena, che pregavano per la vita e distribuivano opuscoli a colori raffiguranti feti a tutti gli stadi della gestazione.
Vorrei che lei dicesse qualcosa su questo, perché il Movimento per la vita entrerà nei consultori e probabilmente distribuirà i questionari e organizzerà i dati. Probabilmente saranno i servizi di questi centri cristiani fondamentalisti a garantire la difesa della vita.
Questa indagine conoscitiva è il vostro cavallo di Troia. Sulla legge n. 194 è in atto una prova di egemonia: del resto, l'avete fatto prima con la procreazione, adesso con la legge n. 194, con la scuola privata e con le coppie omosessuali. Non si tratta di dare e garantire parola pubblica alla Chiesa - questa è riconosciuta dalla nostra Costituzione -, ma di non riconoscere l'ingerenza della Chiesa, che detta oggi l'agenda politica ai parlamentari della Repubblica.
La legge n. 194 è una diga e questa indagine conoscitiva, lo ripeto, è un cavallo di Troia, perché di fatto smantellerete quella cultura che è alla base della legge n. 194; non il valore sociale della maternità, ma controllo sociale sulla scelta delle donne.

MARIDA BOLOGNESI. Signor presidente, l'argomento in discussione, come è stato più volte ribadito, è piuttosto serio e delicato. Devo dire che il modo in cui questa Commissione e il ministro hanno deciso di discuterne è un po' meno serio. Purtroppo, l'operazione politica preelettorale che è stata innestata su questa indagine conoscitiva e sulla legge n. 194 in realtà mi sembra abbia poco a che vedere con il diritto alla salute delle donne. Ritengo che questa sia, peraltro, una competenza specifica del ministro, il quale dovrebbe occuparsi di temi sensibili dal punto di vista etico e risponderne al Parlamento e ai cittadini.
L'unica necessità che potevamo avvertire, in chiusura di legislatura, poteva essere quella di procedere ad una discussione vera con il ministro, piuttosto che dare vita a un circo Barnum per ascoltare pro-abortisti e contro-abortisti. Ho notato, anche nella stessa maggioranza, uno smarcamento da parte di Alleanza nazionale e del ministro stesso, che ieri ci ha ripetuto diverse volte che non è intenzione del Governo cambiare la legge n. 194.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Non ieri, sono mesi che lo diciamo!

MARIDA BOLOGNESI. Sì, ma il giocattolo è un po' sfuggito di mano, nel senso che, alla sue prime boutade, qualcuno dalla fine mente politica ha deciso di impostare su questa battaglia la campagna elettorale. Se questo non piace alla maggioranza nel suo insieme, è un altro problema. Per quanto mi riguarda, ritengo che il Parlamento sia un'istituzione seria e che leggi importanti come questa si debbano discutere, senza tabù, in tempi, luoghi e modalità adeguate per dare risposte ai problemi. Non vedendo nulla di tutto questo all'orizzonte, provo comunque a porre delle questioni.
A mio avviso, l'ho detto e lo ripeto, avrebbe dovuto esserci, da parte del presidente, l'indicazione di un relatore sul rapporto annuale del ministro al Parlamento. Avremmo quindi dovuto analizzare quei dati, che sono i nostri dati, e capire se veramente sia utile - forse sì - discutere con le regioni modalità di rilevamento diverse.
Sinceramente il questionario, così come il ministro ce lo ha proposto ieri, mi sembra un po' debole rispetto agli obiettivi. Intendo dire che forse lei, prima di redigere la bozza, non si è confrontato abbastanza sia con le regioni sia in questa sede, su quale possa essere il ruolo dei consultori dopo tanti anni. A mio parere, si poteva e si può ancora partire dal ruolo e dalla funzione dei consultori, ossia dal tipo di rilancio che vogliamo attuare nei confronti di queste strutture dopo tanti anni di attività.
Come è avvenuto quando si è condotta la campagna ideologica sulla procreazione assistita, senza parlare della salute delle donne, anche adesso cercate di aggirare l'ostacolo, non potendo attaccare direttamente la legge n. 194, perché è una legge che garantisce la salute delle donne, dentro un quadro ormai consolidato di cultura del paese. Questo non vuol dire che sia una legge a favore dell'aborto; si tratta di una legge che sancisce la responsabilità e il diritto alla salute delle donne.
Detto questo, il questionario poteva e può scaturire da un'analisi di quello che sono i consultori a distanza di anni, del loro possibile rilancio, del ruolo che possono avere sul territorio rispetto alle fragilità sociosanitarie femminili, ad esempio, o della famiglia.
Questo potrebbe essere, a mio avviso, un filo conduttore su cui discutere seriamente con le regioni della necessità di presidiare il territorio con attività di prevenzione. Sarebbe importante una rilevazione per capire chi sono gli utenti dei consultori. Oltre a questo, il questionario può essere mirato sugli obiettivi dei consultori. Li vogliamo utilizzare per gli anziani, per le persone sole, oppure per la prevenzione di problemi di altro genere? Discutiamone, ma non approvo l'idea che il consultorio sia il luogo al quale ci si rivolge per abortire. Peraltro, gli stessi dati ci dicono che questo non è vero e che una percentuale minima delle donne che abortiscono passa per quella sede.
I dati indicano anche che, probabilmente, le donne che si rivolgono al consultorio appartengono a una particolare fascia sociale che, alla fine, viene considerata una fascia debole. Sono magari le donne straniere, le donne con minor supporto familiare o del partner, e via dicendo. Questo le colloca in una situazione di difficoltà psicologica a cui sicuramente non giova il terrorismo psicologico che si sta facendo sui consultori.
Non sapete che per una propaganda elettorale ben mirata, promossa dall'UDC e cavalcata in modo diverso da altre forze politiche della maggioranza, alla fine uccideremo i consultori. Quelle poche donne (poche perché sono una minoranza) che si rivolgono ai consultori per abortire non ci andranno più, perché in giro per l'Italia si sta conducendo - il meccanismo della comunicazione è potente - un terrorismo psicologico, che paventa l'ipotesi della presenza di dissuasori nei consultori, di tribunali di controllo sulle donne. Insomma, è già difficile rivolgersi ai consultori e così lo sarebbe ancora di più, poiché questa operazione rischia di far perdere la loro funzione di struttura pubblica. Una funzione che, a mio avviso, dovrebbe essere incrementata rispetto alle modalità di utilizzo dei consultori in futuro.
La legge n. 194 deve essere applicata interamente. Semmai, il questionario potrebbe anche rilevare quanti obiettori ci sono, se il servizio è garantito su tutto il territorio nazionale...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. I dati sugli obiettori li abbiamo.

MAURA COSSUTTA. Anche gli altri dati, ministro, li conosciamo.

MARIDA BOLOGNESI. Il questionario è una bella trovata per far emergere la contrarietà alla legge n. 194, per dire che si vuole garantire di più e così via. Il questionario si fa rispetto ad obiettivi ed io credo che alcune finalità in alcune realtà si siano raggiunte. In alcune regioni si sta lavorando anche sulla maternità. A mio parere, questo polverone ideologico sollevato da taluni, secondo i quali le donne non fanno figli perché i consultori sono degli abortifici, è francamente un messaggio volgare, oltre che falso.
Mi permetto di dire che l'intervento di ieri del collega Giulio Conti, a mio parere, prende le mosse da una cultura che non ha interiorizzato abbastanza cosa sono i consultori, cosa è la rete di prevenzione, qual è l'evoluzione, rispetto a venti o trent'anni fa, dal punto di vista dell'interruzione di gravidanza. Dunque, il questionario andrebbe ripensato rispetto agli obiettivi. I dati che qui si chiedono li avete già. Per quanto riguarda la maternità, devo dire che in Italia è difficile da praticare perché mancano politiche per la famiglia, perché non si applica interamente la legge n. 194 sulla prevenzione e perché non si parla abbastanza ogni anno di investire sul diritto e sul desiderio di maternità.
Giustamente qualcuno ricordava che le donne non fanno figli perché non trovano lavoro e quando lo trovano lo perdono in caso di gravidanza, perché non hanno un sostegno vero di politiche per la famiglia, perché non trovano casa, e via dicendo. Sono tanti i problemi dei giovani e delle giovani coppie e mettere sotto giudizio la responsabilità delle donne in merito ad uno dei vissuti più importanti della donna - il suo rapporto con la maternità - credo che sia un modo di pensare sbagliato, volgare, antistorico e ingiusto.
Dai dati contenuti nelle relazioni al Parlamento si evince che la legge n. 194 ha funzionato, che le interruzioni di gravidanza, in questi anni, sono diminuite, che rimangono sacche di intervento sulla prevenzione e sull'applicazione della prima parte della legge suddetta. Credo che il discorso del coinvolgimento del Movimento per la vita e dei dissuasori all'interno dei consultori sia sbagliato; sarebbe opportuno prevedere soggetti del mondo della solidarietà e del volontariato che operino in questa direzione, fuori dalla struttura pubblica, affinché queste opportunità siano conosciute dalle donne. Sicuramente non è la situazione economica che può far decidere in un senso o in un altro; in realtà, i motivi per cui le donne decidono di non portare avanti una gravidanza sono molto più complessi.
Tra i soggetti che il ministro ci ha indicato vi sono le giovanissime. Oggi si accede in maniera sempre più precoce alla sessualità, ma è chiaro che tra sessualità e maternità c'è una larga differenza ed evidentemente non tutte le giovani generazioni hanno una formazione riguardo alla prevenzione, all'educazione e alla libertà di vivere la propria sessualità senza rischi di una gravidanza non desiderata.
Questo aspetto, insieme a quello dell'elevato numero di aborti praticati dalle donne immigrate, sono i grandi temi sui quali vorrei discutere con lei, signor ministro. Chiudendo un inizio di discussione sulla legge n. 194 che è avvertito nel paese come un attacco pesante alle donne, vorrei che ci concentrassimo - questo è anche il suo compito istituzionale - su come si possa fare prevenzione con le giovani e le giovanissime, come si possa fare educazione alla sessualità, ma soprattutto alla contraccezione e alla prevenzione, come si possano promuovere campagne e accordi con i produttori di contraccettivi, dal preservativo alla pillola.
Le pillole anticoncezionali dell'ultima generazione, signor ministro, si pagano. Questo significa che i prodotti farmaceutici che hanno minori controindicazioni - di solito sono, appunto, i farmaci dell'ultima generazione - possono essere utilizzati da chi ha maggiori disponibilità economiche, mentre quelli che continuano a presentare controindicazioni maggiori sono destinati alle fasce più deboli. Si potrebbe prevedere consultori vicino alle scuole superiori, organizzare con il ministro dell'istruzione una campagna sull'educazione e sull'informazione alla maternità responsabile; vorrei sapere se esistano iniziative in tal senso e se prima o poi potremo vederne la luce.
Urgono iniziative nei confronti delle donne immigrate, quelle che vivono ai margini del servizio socio-sanitario. Le donne che vivono ai margini del sistema e dell'assistenza socio-sanitaria ci interessano o non ci interessano? Sono forse cittadine di serie B o di serie C? Se i dati sono quelli che conosciamo, serve fare terrorismo dentro il consultorio o serve ragionare con le comunità di appartenenza, con i mediatori culturali, organizzare campagne mirate di prevenzione?

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Guardi che il terrorismo è una cosa grave!

MARIDA BOLOGNESI. Parlo di terrorismo psicologico, un'espressione usata nella lingua italiana, che credo di aver utilizzato finora in maniera appropriata. Ed è un'espressione adeguata per indicare questa campagna contro la legge n. 194. Ci rifletta, signor ministro. Commissioni un sondaggio, magari lo faccia realizzare a Berlusconi, a cui i sondaggi piacciono tanto: magari servirà a qualcosa. Credo che il terrorismo psicologico nei confronti delle donne sia la scelta più rischiosa anche rispetto a queste fasce di fragilità rappresentate dalle donne immigrate e dalle giovanissime che, comunque, hanno minori possibilità di accoglienza nel percorso socio-assistenziale.
Vorrei capire se per andare incontro alle esigenze di queste due categorie di donne caratterizzate da maggiore fragilità socio-assistenziale - ripeto la domanda che le ho anticipato ieri e che lei non aveva capito - si possono utilizzare i consultori per una maternità e per una contraccezione responsabile.

CARLA CASTELLANI. E per la famiglia!

MARIDA BOLOGNESI. Della famiglia ho parlato all'inizio del mio intervento, proprio perché noi difendiamo la vita, difendiamo la famiglia, difendiamo la maternità responsabile. Su questo non accetto lezioni da nessuno.

FRANCESCA MARTINI. Sento di dover ringraziare il ministro Storace per la condivisione che ha mostrato di avere per questa iniziativa della Commissione di svolgere un'indagine conoscitiva su una materia così delicata e importante. Lo ringrazio non solo per la precisione con cui ieri ha riferito sulla materia e sull'oggetto che ci vedrà impegnati nel prossimo periodo, ma anche per la pacatezza con cui l'ha fatto.
Personalmente sono da anni impegnata su questo tema e sono stata l'unico parlamentare ad aver presentato una proposta di riforma della legge n. 405, nel luglio 2004. Già allora esplicitavo il principio secondo cui una donna è veramente libera (lo sottolineo alla collega Bolognesi, che dice di non accettare lezioni da nessuno, mentre io sono convinta che tutti abbiamo bisogno di imparare qualcosa dall'altro) di scegliere solo quando è informata in maniera completa. Penso non soltanto alla centralità della salute della donna, ma anche alla vita di cui la donna è portatrice. Pertanto, ritengo che la donna dovrebbe essere informata sullo stato di sviluppo della vita che porta dentro di sé, sulle tecniche abortive - cosa sono, cosa comportano, come avviene l'aborto - e soprattutto sulla possibile elaborazione, a suo favore e a favore della vita nascente, di un progetto individualizzato.
In questo senso, proprio in nome del pluralismo, nella mia proposta ho previsto la presenza, nelle strutture consultoriali, anche di un medico obiettore. Oggi questo non avviene, se non in maniera molto sporadica. Nella proposta specifico, inoltre, l'aspetto della collaborazione con le associazioni a tutela della vita, attraverso semplici convenzioni. Verona, ad esempio, attraverso l'USL/20, ha stipulato una convenzione di questo tipo già un anno e mezzo fa. Quello che voglio sottolineare è che entrambe le leggi - n. 194 e n. 405 -, per chi ha buona volontà di applicazione, offrono le opportunità di un'interpretazione positiva e costruttiva.
Rispetto alla cosiddetta pausa di riflessione, mi sembra opportuno specificare che al rilascio del certificato che permette di recarsi in una struttura autorizzata dopo sette giorni, dovrebbe seguire una reale presa in carico e una reale assistenza psicologica della donna.
Va però sottolineato che l'aborto non avviene soltanto per tramite del consultorio. Tale criticità vorrei esplicitare al ministro, anche come una preoccupazione per un positivo svolgimento della nostra indagine. Infatti, è possibile accedere all'interruzione volontaria di gravidanza anche attraverso una certificazione del medico di famiglia - sarà molto interessante ascoltare la loro rappresentanza - o presentandosi direttamente presso una struttura ospedaliera autorizzata. È ovvio che presso il medico di famiglia e presso la struttura ospedaliera non esistono quelle équipe complete che noi auspichiamo, composte dall'esperto in materia giuridica, dall'educatore e da tante altre figure. Ci sarà l'ostetrica, il ginecologo, ma non credo figure di tipo sociale.
Ritengo che siano queste le criticità che dobbiamo affrontare nella nostra indagine.

MAURA COSSUTTA. Bisogna assumere le persone!

FRANCESCA MARTINI. Da molti anni mi occupo di questo tema e mi è capitato di incontrare molti medici di famiglia che riferiscono di sentirsi spiazzati di fronte alla richiesta del rilascio del certificato. Spesso il passaggio attraverso il consultorio diventa difficile da affrontare, anche sul piano psicologico, perché probabilmente c'è anche il timore di veder aprire quel dibattito che, invece, noi auspichiamo.
Non ho ancora presentato una proposta normativa che definisca come obbligatorio il passaggio attraverso il consultorio, ma credo che, anche attraverso direttive ministeriali, si potrebbero mettere in rete, in maniera più forte, i medici di famiglia, i consultori e le strutture ospedaliere. Se da domani i consultori dovessero lavorare in maniera ottimale, rispettando il percorso dettato dalla legge n. 194 - credo che ce ne siano già molti che lavorano bene -, in realtà avremmo un doppio o triplo canale, con una scorciatoia rappresentata dal rilascio del certificato, una settimana di cosiddetta riflessione, seguiti dall'ingresso nella struttura ospedaliera per la diagnostica e per le prime valutazioni dell'età gestazionale, per verificare se sia corretta. Del resto, il solo elemento di rispetto della legge n. 194 che si riscontra oggi nella struttura ospedaliera è la verifica che l'età gestazionale sia inferiore a tre mesi (12 settimane). Dopodiché, si fissa un appuntamento per l'intervento e si va avanti.
Lo sviluppo di un progetto individualizzato richiede, senza dubbio, una mentalità e una capacità progettuale e di coordinamento tra le istituzioni molto elevata. Questo è, a mio avviso, il grande passaggio di tipo culturale che lei, signor ministro, può facilitare con il suo lavoro e che anche noi, come membri della Commissione, possiamo non soltanto auspicare, ma anche favorire attraverso queste audizioni.
La ringrazio nuovamente per averci supportato nel nostro lavoro e per quello che potrà ancora fare.

CARLA CASTELLANI. Voglio anch'io ringraziare il ministro Storace per la profondità della relazione che ieri abbiamo ascoltato e per l'approccio estremamente ragionato e ragionevole su una tematica così delicata e di così difficile approccio.
Nel corso della deliberazione di questa indagine conoscitiva, siamo stati accusati - perlomeno qualcuno della coalizione lo è stato - di aver voluto strumentalizzare l'indagine a fini elettoralistici. Credo che sia realmente sgradevole approcciare il problema in questi termini. Chi formula queste accuse sostiene che a fine legislatura non ci sarebbero né i tempi, né i modi per arrivare a un risultato apprezzabile. Credo, invece, che mai come in questo momento sia necessaria una valutazione dell'applicazione di questa legge. Ritengo, altresì, che non sfugga a nessuno che, con la risposta al referendum sulla procreazione assistita - mi rivolgo anche ai colleghi di centrosinistra affinché facciano una valutazione politica, tenuto conto che molti loro elettori hanno percepito il valore laico di questa legge -, dal paese è partita una riflessione su un certo percorso, anche in tema di aborto.
Questo non significa che la legge sull'aborto debba essere rivisitata o cancellata. Nessuno si è mai sognato - il ministro l'ha ribadito ieri con parole chiare - né si sognerà mai di rivisitare la legge sull'aborto.
È anche vero, però, che un paese che deve affrontare il problema della grande denatalità deve anche valutare in maniera corretta l'applicazione di questa legge. Sappiamo tutti - lo sanno anche le colleghe Bolognesi e Cossutta, le cui posizioni sono abbastanza diversificate nell'approccio a questo problema - che con il risultato dell'indagine conoscitiva e la possibilità di creare le condizioni per applicare in maniera più compiuta questa legge si possono aiutare le donne a scegliere veramente. Chi può dire quanti sarebbero stati gli aborti, anziché gli oltre 4 milioni che sappiamo, se ci fosse stata un'attenzione maggiore verso le donne e verso la coppia, visto che i figli spesso si fanno in due...

MAURA COSSUTTA. Ma nascono sempre da una donna!

CARLA CASTELLANI. Questo vuol dire che i maschi presenteranno una proposta di legge per avere anch'essi la possibilità di diventare mamme. Questa è la legge di natura, onorevole Cossutta. I figli nascono dalle donne, ma si fanno in due (a parte i casi di violenza, dove manca un consenso reciproco).
Chi ci dice che, se fosse stata applicata compiutamente la legge n. 194, alcuni degli aborti praticati in questi anni non sarebbero stati evitati? Per scelta della donna e della coppia, onorevole Bolognesi, e non per terrorismo psicologico.
Questo rientra, a mio avviso, nel campo delle politiche sociali e delle politiche per la famiglia: aiutare una coppia a scegliere liberamente il proprio percorso. È evidente che se la donna e la coppia sono estremamente convinti di procedere all'aborto, non ci sarà nessuno in grado di fermarli ed è una loro libera scelta. Quello che noi chiediamo, con questa indagine conoscitiva, è di verificare se sia possibile creare tutte le condizioni perché questa libera scelta possa determinarsi.
Quando nel mio ospedale sono iniziate le interruzioni volontarie di gravidanza - eravamo due donne anestesiste - i maschietti avevano deciso tutti di fare obiezione di coscienza. Da medico cattolico, mi sono trovata di fronte al dramma se scegliere in base al mio orientamento cattolico o in base alla mia professionalità. Anche per tutelare le donne, non ho scelto di fare obiezione di coscienza. Il mio compito era quello di valutare, dal punto di vista anestesiologico, la condizione delle donne che dovevano affrontare il giorno stesso o il giorno dopo l'intervento; tantissime volte mi è capitato di avere di fronte a me donne particolarmente ansiose e agitate. Quando chiedevo se il loro stato d'animo fosse dovuto alla preoccupazione per l'intervento, alcune si mettevano a piangere. Queste donne non erano state valutate in maniera congrua da nessuno. Alcune di esse, dopo che le ho invitate a ragionare, hanno scelto un percorso diverso. Non rientrava nelle mie funzioni un lavoro di approfondimento psicologico, ma ho dovuto farlo, perché nessuno lo aveva fatto prima. Devo aggiungere che, dopo due anni, quando ho visto che nel mio ospedale tornavano periodicamente sempre le stesse donne, ho fatto obiezione di coscienza. Questa è la mia esperienza personale, che credo possa essere utile per capire come non sia affatto necessario ideologizzare le posizioni, ma semmai ragionare in maniera serena.
Chiedo alle colleghe - soprattutto alla collega Cossutta, che ritiene questa iniziativa un modo per mettere in discussione un percorso ideologico di una parte della sinistra - di restare con i piedi per terra. Il nostro obiettivo è quello di aiutare le donne e le famiglie a scegliere liberamente. Nessuno intende giudicare in maniera negativa le donne che decidono di abortire. Questa scelta rientra nella sfera privata, ma è un dovere sacrosanto del Parlamento far sì che, laddove è possibile, lo Stato intervenga perché le donne siano libere di scegliere anche di non abortire.

GIUSEPPE PETRELLA. Vorrei iniziare questo breve intervento partendo da un'affermazione dell'onorevole Castellani, che ha ribadito che nessuno si sogna di modificare la legge sull'aborto. Se questo è vero - considero attendibili le affermazioni della collega - non capisco a cosa serva questa indagine conoscitiva.

CARLA CASTELLANI. Come ho spiegato, a lasciare le donne libere anche di non abortire.

GIUSEPPE PETRELLA. Certo, ma questo deriva direttamente dalla legge. Non può essere un'indagine a modificare il senso della legge n. 194.
Ho letto con estrema attenzione la relazione del ministro della salute e devo riconoscere che ne ho apprezzato la puntualità dal punto di vista scientifico (vedo, alla destra del ministro Storace, il professor Greco, uno dei migliori epidemiologi a livello non solo nazionale, ma anche europeo). Ebbene, dai dati presentati, chi di noi abbia una minima competenza può capire come viene applicata questa legge. È vero, i numeri hanno un valore preciso, ma sono anche aridi, signor ministro. Per quanto mi riguarda, il primo dato che mi colpisce è che dal 1983 al 2003 c'è stato un calo degli aborti del 43,5 per cento.
Tutti, insomma, dovremmo riconoscere che questa legge ha contribuito, attraverso i consultori e attraverso la conoscenza delle problematiche, all'abbattimento di circa il 50 per cento del numero delle donne che abortiscono. Dunque, se è vero che nessuno si sogna di modificare la legge, è una farsa quella che stiamo facendo, è il teatrino della politica, oppure è qualcosa di serio? Indagare significa vedere, verificare: qui, invece, stiamo semplicemente ascoltando delle posizioni di parte.
Ieri ho letto con molta attenzione le dichiarazioni dell'onorevole Fini, che su questo argomento, come già sulla fecondazione, ha mostrato un'apertura mentale ben superiore a tanti altri esponenti del centrodestra. Anche il vicepremier, infatti, si chiedeva perché l'indagine dovesse concludersi il 31 gennaio. Evidentemente, dobbiamo ritenere, non si vuole fare una vera indagine conoscitiva.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. L'indagine si può fare, il problema sono i tempi.

GIUSEPPE PETRELLA. Nessuno deve avere paura di verificare se l'applicazione di una legge avvenga in modo compiuto o meno, ma non è neanche giusto, al termine di una legislatura, strumentalizzare qualcosa di estremamente importante. A meno che non vogliamo essere farisei e ipocriti, dobbiamo ammettere che l'aborto colpisce profondamente ogni donna. Sfido chiunque a dire che una qualsiasi donna possa essere contenta di abortire.
Se vogliamo parlare in maniera seria e competente, convochiamo pure tutti i soggetti che vogliamo audire, ma prendiamo in considerazione realtà del nord, del centro e del sud; vediamo come viene applicata questa legge e cosa, eventualmente, nella sua applicazione deve essere modificato. Questo è il mio invito. Non voglio fare nessuna crociata, ma essere responsabile, in questo Parlamento, di uno strumento che è importantissimo per ogni donna e per la vita umana.
Un'ultima osservazione, prima di concludere. Mi rivolgo a lei, signor presidente, che è un ginecologo e un cattedratico e conosce questi argomenti meglio di me. Se non c'è la prevenzione, se non c'è l'educazione, se non ci sono le risorse, di che cosa parliamo? Se vogliamo abbattere in maniera ancora più evidente il tasso di aborti, dobbiamo investire su questo. Dovremmo verificare cosa succede, cosa manca, cosa bisogna aggiungere nei consultori.
Per quanto mi riguarda - parlo in maniera libera da qualsiasi vincolo parlamentare - sono disponibile a svolgere questa indagine, a patto che sia seria.

ROSY BINDI. Non aggiungerò molte altre parole a quelle che ho già detto sul limite oggettivo e, a mio avviso, insuperabile di questa indagine conoscitiva. Parlo di un limite oggettivo che è temporale, politico e, da alcuni punti di vista, almeno per quanto mi riguarda, anche etico, altrettanto insuperabile.
Questa è forse la legge più monitorata del nostro ordinamento giuridico. Tuttavia, sono convinta che qualunque legge, e questa in particolare, possa essere applicata meglio di quanto accade. Personalmente, dunque, non ho nessuna remora a introdurre elementi di conoscenza maggiori di quelli che abbiamo. Sono sicura, però, che non riusciremo ad ottenerli con questa indagine conoscitiva, entro il 31 gennaio.
A mio parere, quella che ha spinto la maggioranza a dare il via all'indagine conoscitiva non è certamente una motivazione nobile. L'indagine è solo un modo strumentale per inserirsi all'interno di un dibattito, che si è riaperto nel nostro paese nel modo meno opportuno e meno congruo, data la delicatezza del tema.
Dico questo senza paura di essere smentita. Se ci fosse stato, da parte di tutti, e soprattutto da parte della maggioranza, questo amore nei confronti della corretta applicazione della legge, non si sarebbe arrivati al quinto anno della legislatura senza aver dedicato neanche una seduta all'esame delle relazioni che puntualmente, ogni anno, i ministri ci hanno fornito. Non posso non sottolineare questo aspetto del quale, francamente, mi rammarico.
Sarà interessante andare a rileggere gli atti di questa indagine conoscitiva, anche perché sarà inevitabile che ciascuno di noi faccia la propria storia intorno a questa vicenda. Questo è un tema che tocca ognuno di noi nel profondo della propria vita, dei propri convincimenti, della propria storia personale. Anch'io, al riguardo, voglio raccontare una piccolissima esperienza personale. Come è noto, sebbene non fossi in Parlamento, nel 1981 mi sono impegnata a fondo per promuovere il referendum per l'abrogazione di questa legge. Tuttavia, il giorno dopo la sconfitta del referendum, ebbi modo di dire alle persone con le quali avevo condiviso questo percorso, che da quel momento bisognava smettere di fare la guerra alla legge n. 194 ed occorreva applicarla. Affermavo, infatti, che se nell'applicazione di questa legge fosse venuta meno la partecipazione da parte di chi, più di altri, per proprio convincimento, si dichiarava contrario all'aborto e a quella legge, sicuramente la stessa avrebbe finito per essere meno applicata proprio nella parte che veniva rubricata come tutela sociale della maternità.
Quando, in questi giorni, ho sentito affermare da eminenti esponenti della Chiesa italiana, laici e non laici, vescovi e cardinali, che si dovrebbe applicare la legge n. 194 nel suo complesso, mi sono sentita sollevata. Sono passati tanti anni, ma finalmente si è arrivati a un punto cruciale: se queste parole fossero state pronunciate il giorno dopo la sconfitta del referendum, probabilmente ci sarebbe stata, da parte di tutti, una partecipazione all'applicazione più completa di questa legge.
Sicuramente, indagine conoscitiva o meno, nessuno può dire di aver fatto abbastanza per applicare totalmente questa legge e per interpretarne il vero spirito. La legge n. 194, per quanto sia stata oggetto di un referendum, è uscita dal Parlamento come il frutto di una grande mediazione e di un grande lavoro di incontro tra coloro che volevano e coloro che non volevano introdurre l'aborto. Basterebbe andare a rileggere gli atti parlamentari per verificare con quale finezza, da parte di tutti, si è lavorato. Sebbene non siano mancati toni scomposti, si è trattato di un lavoro parlamentare serio e approfondito. Questa legge rappresenta, in qualche modo, un punto di equilibrio.
Credo alle dichiarazioni di chi afferma che non vi è nessuna volontà di modificare la legge n. 194. Non ho motivo di ritenere che stiate affermando una cosa falsa. Meno male, dunque, che nessuno ha in mente di modificare la legge, perché apriremmo una lacerazione profonda.
Stiamo attenti, però, anche ad assumere toni di contrapposizione, caratterizzati da venature ideologiche, anche nel riflettere sulla sua corretta applicazione. Gli effetti sul paese e sulle donne, in questo caso, potrebbero essere uguali a quelli che si verificherebbero se si riaprisse una discussione sulla legge. Inviterei tutti, pertanto, a rifarsi allo spirito del legislatore, che è stato lo spirito di un legislatore responsabile, equilibrato. È sempre molto difficile interpretare le leggi che rappresentano un punto di equilibrio, perché tutto sommato esse richiedono un'azione complessiva molto più impegnativa.
Permettetemi di citare un'altra esperienza personale. Come è noto, mi sono trovata a dover inoltrare al Parlamento, per tre volte, la relazione annuale (l'ultima era stata preparata, ma venne inoltrata con la firma del ministro Veronesi). Ieri ho ascoltato con molta attenzione il ministro e credo di essermi trovata in una posizione tale per cui non faccio fatica a condividere la sua intenzione di avere maggiori elementi conoscitivi. Esiste una relazione, che reca la mia firma, nella quale ho voluto inserire il riparto dei fondi e dei finanziamenti ai consultori. Non era difficile allora e non è difficile ora affermare che il consultorio, prima struttura dei servizi territoriali a integrazione socio-sanitaria, è stato il primo servizio alla famiglia, la prima struttura con qualche riferimento istituzionale che ha servito la famiglia, la maternità e i bambini nel nostro paese, ha subito diverse evoluzioni. In alcuni casi, si è trattato di un'evoluzione volta all'inserimento nella rete dei servizi ad integrazione socio-sanitaria, nei piani di zona, che purtroppo sono presenti in pochissime parti del nostro paese, anche per la guerra, palese o meno, condotta in questi anni per l'integrazione socio-sanitaria, con le leggi n. 328 e n. 229, che rilanciavano questa rete di servizi.
Non si fa fatica a capire, dunque, che i consultori hanno subito una trasformazione, ma forse non sono stati sufficientemente monitorati, perché ce ne siamo dimenticati - per questo invito tutti ad evitare di assumere toni ideologici su questa vicenda - e spesso e volentieri si sono fortemente indeboliti.
Quello che ci chiediamo è se la relazione annuale che il ministro presenta al Parlamento sia in grado di cogliere e riferire tutta la complessità di questo fenomeno, di questa realtà. È in grado di farlo, al di là dei numeri? È un interrogativo sul quale ho riflettuto diverse volte. Credo che il dottor Greco potrebbe testimoniare, insieme a qualche altro dirigente del ministero e dell'Istituto superiore di sanità, che non ho mai ricevuto le carte inoltrandole automaticamente al Parlamento, ma ho sempre voluto approfondire, integrandole con una relazione redatta di mio pugno.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Insomma, lei era più brava di me!

ROSY BINDI. No, ministro, non sto dicendo questo. Capisco che lei possa aver trovato un limite in questo tipo di azione, perché è un'esperienza che ho vissuto anch'io, provando a fare qualcosa di diverso.
Ora sottoporrò alla vostra attenzione alcune questioni. Innanzitutto, sono d'accordo sul fatto che il protocollo non debba calare dall'alto, ma debba essere sottoposto all'attenzione delle regioni, attraverso un metodo di responsabilità concorrente che apprezzo. Comincio con il dire, però, che alcuni dei dati in più che il ministro vorrebbe ottenere dalle regioni sono già noti. Li hanno sicuramente le regioni, li ha sicuramente il Senato, dove peraltro è stata condotta un'indagine conoscitiva proprio sui consultori. Consiglio, intanto, di acquisire questi dati.
In secondo luogo, come si pensa di conoscere gli altri due terzi di accessi alle strutture ospedaliere? Intendo dire che ai consultori arriva un terzo delle donne che vogliono abortire. C'è stato un piccolo aumento, rispetto alle altre strutture, perché è aumentato il numero delle immigrate che vi si rivolgono, a dimostrazione del fatto che, laddove ci sono, i consultori rappresentano un servizio utilissimo.
Come si pensa di agire sui medici di famiglia? Come si pensa di agire sulle strutture ospedaliere? Faccio notare che lo stesso Movimento per la vita, a fronte della proposta avanzata da qualcuno di inserirne qualche esponente nei consultori (proposta da certi punti di vista offensiva, considerato che esponenti del Movimento spesso sono già nei consultori o nei piani di zona dei servizi), ha chiesto di sottrarre ai consultori la scelta dell'interruzione della gravidanza e di essere inserito, semmai, nell'ambito degli ospedali, che rappresentano le strutture alle quali maggiormente si rivolgono le donne per abortire. Bisogna fare i conti con questa complessa situazione.
L'interrogativo che pongo in maniera più urgente è il seguente: siamo davvero convinti che sia rilevabile questa fase della prevenzione? Siamo davvero convinti che sia trasferibile in dati statistici la complessità di un colloquio fra un operatore e una donna, ammesso che l'operatore ci sia, che sia in grado di farlo, e quant'altro?
Vorrei che si avvertisse il senso del limite, questa volta ancora più insuperabile. Non voglio essere io a rilevare la delicatezza del tema, per non aver fatto esperienza diretta, ma le colleghe che hanno messo al mondo dei figli credo siano in grado più di me di farlo. Chiederei, a questo punto, agli uomini di «arrestarsi», come atto di rispetto. Mi viene in mente il presepio: prendete esempio da san Giuseppe, figura per la quale ho sempre nutrito grande ammirazione, per la capacità che ha avuto di arrestarsi. Attenti a pensare che sia possibile fotografare, filmare, trasferire in meri dati statistici quello che avviene, in quel momento, nella vita di una donna. Per cortesia, la politica - a proposito del limite della politica - deve fare come san Giuseppe.
Un elemento fondamentale è quello dell'altra prevenzione, che ha un ruolo enorme. Non ho mai fatto e non farò mai il rapporto diretto fra diminuzione delle nascite e aumento degli aborti. Guarda caso, nel nostro paese si registra la diminuzione delle nascite e la diminuzione degli aborti, mentre in Svezia si è verificato l'aumento delle nascite e l'aumento degli aborti. Sappiamo perfettamente che il fenomeno è ben più complesso. La scelta che porta all'aborto appartiene a qualcosa di assolutamente originale rispetto alla decisione complessiva di mettere o di non mettere al mondo un figlio. C'è comunque una relazione, altrimenti la legge n. 194, se ne vogliamo interpretare lo spirito, non si sarebbe arrestata in maniera così chiara alle cause economico-sociali. Badate, la legge n. 194, nei punti nei quali specifica l'attività di prevenzione da svolgere, non impone certo di indagare sulle motivazioni, ma prevede che si verifichi, se possibile, la rimozione delle cause economico-sociali.
Automaticamente, fra questo tipo di prevenzione, che agisce in quella settimana, e l'altra, che non chiamerei prevenzione, ma impegno per la maternità, per i figli, per la famiglia, non c'è indagine conoscitiva che tenga. Occorre un esame di coscienza della politica di questo paese, nel quale ciascuno si assume la propria responsabilità e si richiama con chiarezza al senso del limite e del pudore. La nostra è una politica che da trent'anni - non sto parlando degli ultimi cinque anni - ignora che questo paese ha gli andamenti demografici che sappiamo. Il nostro è l'unico paese europeo che non ha una politica organica sulla famiglia. Questa politica abbia il pudore di assumere, nei confronti delle donne, un atteggiamento rispettoso delle loro scelte. Non ha titoli diversi, a parte quelli che mi pare si stia arrogando negli ultimi tempi.

RENATO GALEAZZI. Non ero sicuro di intervenire, ma lo faccio dopo aver ascoltato la relazione del ministro - che ringraziamo per la disponibilità - e la discussione che ne è scaturita. Considero doverose alcune riflessioni su una legge così importante, che segna la vita e il costume di questo paese.
La prima è una riflessione di metodo. Non si comprende l'urgenza di questa indagine conoscitiva a quattro mesi dalla scadenza della legislatura. Il Presidente Casini ha chiarito che non ha potuto negare l'assenso, avendo accolto tutte le richieste di deliberare indagini conoscitive.
Al di là del merito, ben altra importanza possono aver avuto le Commissioni Mitrokhin o Telecom Serbia, che peraltro sono state istituite all'inizio della legislatura e non a pochi mesi dalla chiusura della stessa. Il ministro sostiene la necessità di conoscere come ha funzionato questa legge. Poteva funzionare meglio? Certamente tutto è migliorabile, ma mi sorprendono le sue dichiarazioni quando afferma, da un lato, che il ministero non ha a disposizione alcun dato relativamente ai consultori - le domando, dunque, come spera di ottenere nuovi dati, se mancano quelli di partenza: mi sembra una contraddizione in termini - e dall'altro che sicuramente la legge non è stata applicata bene.
A me pare, leggendo la relazione, che abbiamo molti dati; se vogliamo ragionarci sopra, abbiamo molte informazioni importanti. Del resto, è stato già detto che la legge n. 194 ha funzionato: 42 per cento in meno di aborti dal 1982, se non sbaglio. È vero che i numeri diminuiscono per le donne italiane e aumentano di tre volte per le donne straniere, ma sappiamo che la nostra società sta diventando multietnica e che abbiamo sempre più donne straniere, tenendo conto peraltro che sono quelle che fanno più figli. Basta andare in una corsia di ospedale per verificare quanto siano numerosi i figli di colore: i due terzi del totale. Lo dico perché il relativo incremento demografico che conosciamo è dovuto ai cittadini stranieri, non italiani.
Come diceva la collega Bindi, il calo demografico ha cause complesse e non ci si può chiedere quanti bambini in più sarebbero nati se la legge avesse funzionato meglio. Non posso accettare questo ragionamento. Si tratta di due elementi scollegati: una cosa è una legge di civiltà, altra cosa è il problema del calo demografico, che prescinde da questa legge. Allo stesso modo, non si può introdurre il discorso della procreazione assistita, per dire che su di essa avremmo dovuto insistere per incrementare le nascite. Anche quello è un altro problema, che peraltro riguarda una fascia minima della popolazione.
Il problema del calo demografico, lo ribadisco, è più complesso e rientra nel discorso delle politiche per la famiglia, richiamate poco fa dall'onorevole Bindi. Credo che si debba assumere una politica adeguata in questa direzione.
Personalmente posso dire di avere la coscienza a posto, perché da sindaco fui tra i primi a istituire il pacchetto famiglia e a promuovere agevolazioni per le mense, per il trasporto, per la scuola, insomma per una serie di ambiti che possono rendere tranquilla una donna che decide di avere un figlio, senza considerare la gravidanza come una disgrazia o un danno economico.
Il problema è molto complesso e va affrontato dal suo giusto verso. Non vorrei - e vengo alla seconda riflessione - che questa legge limiti il problema a un fatto burocratico e statistico. Non è questo che ci serve. Non vorrei che il fatto di rendere i consultori ultraefficienti possa avere l'effetto di spaventare molte donne, renderle diffidenti o addirittura farle scappare da una struttura pubblica, con il conseguente aumento degli aborti illegali.
Francamente mi pare che questa discussione avvenga fuori tempo massimo per questa legislatura. Signor ministro, il presidente del suo partito ha richiamato tutti a evitare tentativi di cambiare la legge n. 194, che potrebbero rivelarsi un boomerang politico in fase di campagna elettorale. Questo significa che l'argomento è davvero delicato ed è preferibile non infilare la testa in un vespaio che rischia di diventare incontrollabile.
La mia impressione è che si sia voluto stuzzicare qualche nicchia di elettorato; me lo lasci dire, signor ministro. In una fase in cui i destini elettorali del centrodestra non appaiono molto felici, almeno per quel che sappiamo, si è cercato di sollevare un problema, a mio parere, in maniera un po' strumentale. È mia opinione che si debba abbandonare questo intendimento, proprio perché questa legge riguarda la vita, riguarda i sentimenti primi, ancestrali, gli istinti della conservazione della specie. Lasciamo fuori dalla nostra campagna elettorale argomenti che sono molto al di sopra di essa.

GRAZIA LABATE. Credo che questa vicenda sia legata, in modo particolare, alla maniera in cui si è pervenuti alla richiesta di indagine conoscitiva. Pur apprezzando il suo tentativo di trovare una sorta di sistematizzazione nella valutazione di dati quantitativi, di ricercarne un'omogeneità per capire cosa succede sul territorio nazionale, mi permetto di dirle, signor ministro, che le fonti non sono così rare, al di là delle schede e delle notizie che riceviamo dalle regioni.
Le questioni che lei ha posto, signor ministro, chiamano in causa funzioni, compiti e modalità operative; quindi una grezza analisi del numero delle strutture funzionanti, del numero delle professionalità presenti ci aiuterebbe poco, se le finalità di questa indagine conoscitiva fossero quelle ufficialmente dichiarate in questa sede. Ed io vorrei prendere per buone quelle, evitando di considerare, al di là di quel che è stato fatto in queste settimane, questo argomento come un tentativo strumentale da campagna elettorale, per sollevare polveroni ideologici di cui il paese non ha bisogno in questo momento.
Quando abbiamo dibattuto, signor ministro, nella trasmissione 8 e mezzo, è emersa una discordanza di opinioni fra me e lei sulle analisi che in questo paese sono state fatte, dal 1978 ad oggi, in materia. Ce ne sono state anche di intelligenti, che hanno affrontato il problema dal punto di vista complessivo; altre - mi riferisco, ad esempio, alle indagini multiscopo dell'ISTAT - hanno fotografato dati ponderati, ma grezzi, sia delle strutture sia dell'andamento demografico della popolazione e dell'interruzione volontaria di gravidanza. Questa analisi, ad esempio, è uscita molto prima delle relazioni presentate a ottobre al Parlamento.
In generale, però, chi vuol fare una valutazione attenta del fenomeno nel nostro paese non può prescindere da un testo che io ho sempre considerato la mia bussola, per capire cosa accadeva in ordine all'applicazione della legge n. 194 in Italia. Mi riferisco al testo di Grandolfo, Spinelli, Donati «Epidemiologia dell'interruzione volontaria della gravidanza in Italia e possibilità di prevenzione»: si tratta di un rapporto davvero molto interessante, sebbene risalente al 1991.
Tenga conto, ministro Storace, che chi le parla è una donna che ha assunto molte iniziative politiche, ancorché da consigliera comunale, per ottenere nel 1975 quelle strutture. Consideri, inoltre, che in Italia la struttura consultoriale, a differenza di quello che avviene in Europa, è fortemente incentrata sulle attività di ordine psicologico e sociale, cosiddette di counseling. La coppia, di fronte a tematiche molto complesse, sia quelle contraccettive sia quelle inerenti il desiderio di maternità, immaginiamo inerenti la decisione di interromperla, ancorché si tratti di una decisione autonomamente assunta, ha bisogno di colloquiare intorno a quella decisione e ricevere delle risposte.
Ieri si diceva che la legge del 1975 è datata. Io sono certa, invece, signor ministro, che se lei la considera in funzione di quanto ci ha detto ieri, la troverà di estrema attualità (Commenti del ministro Storace).
Sul tema delle risorse mi soffermerò in seguito, in quanto esso richiama una coerenza etico-morale anche di questa Commissione in sede di indagine; altrimenti ci laviamo la coscienza approvando un documento conclusivo entro il 31 gennaio, ma il problema non muterà.
Tornando al testo che ho citato, si trattò di un'indagine epidemiologica molto seria, perché paragonò interruzione volontaria di gravidanza e possibilità di prevenzione. Quell'indagine disse al paese - è un'affermazione che ho ritrovato sempre, in tutte le relazioni - che per la piena applicazione della legge occorreva innanzitutto rimuovere gli ostacoli per la pienezza delle professionalità presenti dentro le strutture consultoriali. Signor ministro, potrà verificare che dentro le strutture consultoriali più che un ginecologo, un'ostetrica e, quando va bene, lo psicologo - questo avviene solo in grandi aree metropolitane, che si sono attrezzate da tempo -, è difficile trovare.
In realtà, dal 1975 queste strutture hanno subito, in base ai decreti (stampati 1, stampati 2 e così via) che si sono susseguiti, diverse evoluzioni. Chi le parla ha messo in piedi, a Genova, nove consultori, in parte anche contravvenendo alla legge: non si poteva assumere e, con la Facoltà di ostetricia e ginecologia, si utilizzò, per la prima volta in Italia, lo strumento della convenzione degli specializzandi in ginecologia all'ultimo anno, altrimenti non avremmo potuto applicare la legge (cito il professor De Cecco, noto luminare sui cui testi di fisiopatologia della riproduzione e del parto studia l'Italia intera).
Certamente, signor ministro, lei ha offerto uno strumento; mi auguro che lo negozierà con la Conferenza Stato-regioni e con le regioni italiane, proprio perché lei ieri ha affermato - e io l'ho molto apprezzato - una volontà fortemente concertativa. Non c'è gesto autoritativo, in questo campo, che potrà ottenere un risultato, anche perché la dimensione dell'applicazione regionale è molto variegata nel nostro paese.
Le strutture consultoriali hanno una funzione già completa, per la materia che noi discutiamo. Dobbiamo cercare di capire in che modo hanno attuato pienamente o meno i dispositivi della legge e, quando lo avremo capito, dovremo essere conseguenti. Questa sera approveremo una legge finanziaria in cui non è mancato, né dalla maggioranza né dall'opposizione - per quanto mi riguarda, è il quinto anno che presento lo stesso emendamento -, un richiamo al Governo al rifinanziamento della legge. Dal 1978, noi abbiamo una legge dello Stato non rifinanziata.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Da allora, la differenza è che oggi c'è il fondo sanitario nazionale, che è indistinto.

GRAZIA LABATE. Lo so bene.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. È fatto male, ma queste cose già le conosciamo.

GRAZIA LABATE. Non c'è dubbio, ma, come lei sa, quando approviamo le leggi finanziarie guardiamo alla complessità della manovra sulla politica sanitaria e poi abbiamo anche le leggi di settore.
Siamo d'accordo che il fondo sanitario nazionale vale per tutto, ma questo Parlamento può finanziare - cosa che non ha fatto negli ultimi anni - anche una legge di settore: ebbene, sarebbe opportuno che lei, come ministro della salute, vi inserisse adeguate linee-guida perché quegli stanziamenti sulla legge di settore possano coprire una gamma di funzioni più ampia e dare un po' più di ossigeno al sistema applicativo a livello regionale, per far sì che le strutture possano stipulare convenzioni, magari assumere il sociologo, se il consultorio si trova in una zona a densità di popolazione con rilevanti problemi sociali, oppure il mediatore culturale, e così via. Non agito la questione del rifinanziamento come un fatto ideologico, senza sapere come stanno le cose. Noi abbiamo il dovere di applicare la legge generale sul fondo sanitario nazionale, ma anche di rifinanziare questa legge di settore. Delle due l'una: o la legge di settore si cancella e confluisce tutto nelle linee del piano sanitario nazionale, oppure, se la legge di settore vige nel mio ordinamento, ho il dovere di chiedermi, con quei pochi finanziamenti e con un fondo globale destinato a tanti piani applicativi, cosa succede di quella legge.
Al di là della scheda che lei negozierà con le regioni, signor ministro, noi vogliamo ottemperare il mandato della legge secondo il quale deve essere istituito un consultorio ogni 20 mila abitanti? Al riguardo, i dati ci sono, non c'è da scoprire niente: noi abbiamo 0,8 consultori ogni 20 mila abitanti. Non solo, ma oggi mi porrei anche il problema di verificare se per una struttura che deve avere tutte quelle caratteristiche sia giusto il rapporto di 1 a 20 mila. Intanto, però, cerchiamo di raggiungere almeno quel rapporto, che in tanti anni non è stato raggiunto.
Infine, signor ministro, il retropensiero non mi appartiene per formazione culturale (Commenti del ministro Storace).
La sua relazione parla di 0,8 consultori ogni 20 mila abitanti. So bene che ci sono anche dati aggiornati al 2004, ma solo per alcune regioni. Sappiamo che alcune regioni comunicano dati completi, altre parziali. Comunque, aggiorneremo i dati e può darsi che la scheda ci dica ancora di più e meglio. Sta di fatto, però, che il rapporto previsto dalla legge in questo paese non è stato raggiunto.
Questa indagine conoscitiva, a mio modo di vedere, avrebbe prodotto i suoi effetti se, oltre al sistema delle audizioni, si fosse indicata una metodologia, con schede appropriate e argomenti di rilevazione, e un tempo giusto. Ho molto apprezzato le parole del Vicepresidente del Consiglio dei ministri, nonché ministro degli esteri, l'onorevole Fini, il quale ha affermato che non si può svolgere un'indagine conoscitiva entro la data bloccata del 31 gennaio. Se di indagine conoscitiva seria deve trattarsi, questa data può essere traslata nel tempo.

MAURA COSSUTTA. Fini ha detto che il termine non poteva essere rigido.

GRAZIA LABATE. In conferenza stampa l'onorevole Gianfranco Fini ha detto che questo termine così perentorio non poteva essere assunto in maniera rigida. Un'indagine conoscitiva seria, se vuole approfondire (Commenti del ministro Storace).
Signor ministro, per dimostrarle che su questa partita le visioni ideologiche non hanno alcun senso, è giusto che le forze politiche ascoltino con attenzione, quando le affermazioni giuste provengano dette da qualsiasi parte. La mia opinione è la seguente: procediamo, ma con quella serenità culturale e mentale necessaria per affrontare una partita delicata.
Questa crociata relativa al rapporto tra 4,5 milioni di aborti e la possibilità che con una più compiuta applicazione della legge n. 194 avremmo avuto 4,5 milioni di bambini in più, chiamerebbe a una stringente coerenza. In tal caso, mi domanderei come mai il suo predecessore, a marzo di quest'anno, abbia presentato un progetto obiettivo per la prevenzione che non contiene una parola - parliamo di prevenzione cardiologica, di ictus, di tumori - sulla prevenzione per affermare la maternità consapevole.
Non faccio polemiche, ma dico che quando si affronta un problema bisogna essere intimamente coerenti, altrimenti il dubbio rimane. A chi giova fare un'indagine in 30 giorni? Per raggiungere quale obiettivo? Se mi consente, signor ministro, questo dubbio mi rimane; in corso d'opera, vedrò se il sistema delle audizioni lo fugherà oppure lo confermerà.

MARIA BURANI PROCACCINI. Riconosco su questa materia la competenza del ministro della salute e tutt'al più, per quello che dirò dopo, del ministro del welfare. Sono molto contenta che il ministro degli esteri esprima le sue idee, come è giusto, ma non vedo cosa c'entri questo continuo richiamarsi alle sue parole. È un cittadino qualunque quando parla di questa materia...

MAURA COSSUTTA. È il vicepremier!

TIZIANA VALPIANA. È il vicepremier!

GRAZIA LABATE. Se tiene una conferenza stampa e rilascia una dichiarazione, non è un cittadino qualunque.

MARIA BURANI PROCACCINI. Farà le conferenze stampa che vuole; potrei farne anch'io.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. La interrompo per evitare ulteriori polemiche. Non aspiro a fare il vicepremier, accontentatevi...

MAURA COSSUTTA. Vedo che c'è polemica all'interno della maggioranza.

MARIA BURANI PROCACCINI. Avendo ascoltato in silenzio gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, credo di avere il diritto di ricevere un analogo trattamento, anche se qualche mia affermazione dovesse darvi fastidio.
Il mio discorso parte da questa indagine conoscitiva e dalla sua necessità. Signor ministro, lei ha colto in pieno, e di questo la ringrazio, una necessità che è emersa - e fu accolta dal Governo precedente - quando fu presentata la legge n. 285 del 1997, relativa alle politiche sull'infanzia, che all'articolo 4 parlava di consultori e della necessità della loro azione. A quel punto, presentai un ordine del giorno molto circostanziato, che il Governo precedente accolse. Se si volesse essere conseguenti, da un punto di vista istituzionale, all'accoglimento di un ordine del giorno dovrebbero seguire le azioni in esso previste, che invece non sono state poste in essere.
Lei, signor ministro, ha avuto la sensibilità - la ringrazio, perché neppure il precedente ministro di questo Governo l'ha avuta - di recepire alcuni miei suggerimenti contenuti nell'ordine del giorno del 1997, relativo alla legge n. 285, e nell'ordine del giorno del 1999, relativo alla prima stesura della legge sulla maternità assistita, entrambi accolti dal Governo di allora.
L'ordine del giorno del 1997 impegna il governo «a riorganizzare i consultori familiari come servizio prevalentemente sociale e psicologico, orientato decisamente alla famiglia, alla coppia e ai problemi relazionali della persona; a far sì che la componente medico-sanitaria sia ristretta ad una componente tecnico-funzionale, introducendo la figura del consulente familiare; a far sì che i consultori promuovano il raccordo istituzionale con il volontariato singolo e associato, particolarmente in funzione del colloquio di sostegno alla maternità/paternità, e in funzione di concreti interventi di rete, nel mondo vitale della coppia o del singolo».

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. L'ordine del giorno fu accolto?

MARIA BURANI PROCACCINI. Fu accolto. Ho voluto citarlo, signor ministro, perché esso risponde a tutto quello che lei ha affermato. La ringrazio, dunque, per aver recepito indicazioni che il governo precedente aveva trascurato, pur avendole accolte. Non posso che dirle che lei è sulla strada giusta, che fu considerata tale già dal governo di centrosinistra, come una strada di verifica.
Tutti conoscono - tutti quelli che vogliono vedere - le condizioni in cui operano i consultori. Una giornalista ha condotto un'indagine - pubblicata su Il Mattino di qualche giorno fa - sui consultori di Napoli: fingendosi una ragazza alle prese con la decisione di interrompere o meno la gravidanza, non ha incontrato una sola persona, nei diversi consultori che ha visitato, che si informasse sui suoi problemi reali, per affrontarli insieme; ovunque le è stato chiesto il certificato del medico di famiglia, prima che le venissero indicate la struttura nella quale abortire.
Cominciamo col dire che questo scaricabarile sul medico di famiglia è orrendo; il medico di famiglia oggi non segue più la famiglia come accadeva prima (addirittura è stato denunciato un medico che si faceva sostituire dalla moglie) e spesso il paziente è solo un numero.
Torniamo al concreto ed io, signor ministro, le chiedo la concretezza di un'azione politica. Questa è un'azione politica alta, che può nobilitare la politica stessa. Basta con l'ideologizzazione dell'attività politica! Non possiamo dire che tutto va bene solo perché siamo da una parte o dall'altra.
I consultori non funzionano. Possono essere uno, cento o mille, ma la realtà non cambia. Dovrebbero essere consultori per la famiglia; ad esempio, dovrebbero seguire la donna anche nel post partum. Signor ministro, le riconosco di aver avuto un'idea brillante, ma lei è da poco in carica e purtroppo siamo alla fine di una legislatura. Lei avrebbe dovuto concordare questa iniziativa anche con il Ministero del welfare. I consultori devono essere il centro di un'attività socio-antropologica di cui il nostro paese ha bisogno. Allora si potrà avere la sensazione che la famiglia venga presa in considerazione, anche la famiglia monoparentale, quella allargata, quella piena di problemi. Trattandosi di consultori familiari, e non di consultori da parto - anche la legge del 1975 parlò da subito di consultori familiari - anche i bambini saranno tenuti in considerazione.
Ci vogliamo riappropriare di tutto questo? Usciamo fuori dalle ideologie, chiamiamo a raccolta le persone di buona volontà, di sinistra o di destra che siano. Perché dobbiamo essere divisi su un tema così delicato? Perché riabbracciare la barriera ideologica? Perché di certe cose non si può parlare senza scendere nella fossa dei serpenti dell'ideologia che ci sta massacrando?
Signor ministro, le chiedo di volare alto con questa indagine conoscitiva e di dire a chiare lettere alla nostra nazione che non stiamo parlando di aborto, ma di famiglia e delle sue necessità, di persona e delle sue necessità, di donna e delle sue necessità. Stiamo parlando della parte debole della società, che tale è tuttora.

LUANA ZANELLA. Intanto contesto l'idea che le donne siano la parte debole di qesta società: se non ci fossero le donne, la società sarebbe sprofondata già da tempo in un buco nero senza ritorno.
Innanzitutto voglio ringraziare il ministro, perché è la prima volta che un ministro risponde alle richieste di un confronto. Come ne ho criticato altri comportamenti, pur nella distanza ideologica, politica e culturale, esprimo il mio apprezzamento per questo atteggiamento.
Sappiamo tutti che questa è un'indagine, per così dire conoscitiva, che consentirà di conoscere poco, forse male, e di sicuro non porterà alcunché. Non finirà la nostra polemica, che è iniziata con una stigmatizzazione dell'origine politica e della strumentalizzazione che purtroppo è stata fatta sulla testa delle donne. Saremo sempre molto attente e attenti all'evoluzione di questa indagine, per dire la nostra quando lo riterremo opportuno. Non passerà sotto silenzio, quindi, questo tentativo che riteniamo indegno.
Mi auguro, tuttavia, che uno degli esiti dell'indagine possa essere rappresentato dal rilancio dei consultori familiari. Ricordo che nella mia - il Veneto - e in altre regioni, non molto tempo fa, si organizzò una raccolta di firme da parte delle donne, con grande impegno, ad esempio, delle donne della CGIL, proprio perché i consultori, come tutta la prevenzione, erano la Cenerentola della sanità. Meglio dovremmo parlare, forse, di socio-sanità, essendo i consultori istituzioni socio-sanitarie, come ben si sa.
Di fatto, i vari piani sanitari regionali hanno sacrificato non soltanto la prevenzione, ma anche la medicina territoriale. Pertanto, quando si parla del consultorio e delle figure professionali che vi dovrebbero operare mi viene da sorridere. Giustamente prima l'onorevole Burani Procaccini parlava dell'assistenza post partum, ma io chiedo se qualcuno sia al corrente di quanto costa un progetto di assistenza vera alle mamme «fragili», a livello di un comune di media consistenza. È una spesa enorme, se si vuole assicurare un'assistenza reale. È necessario, quindi, fare un ragionamento relativamente alle risorse e alle priorità; soprattutto bisogna potenziare, razionalizzare e rendere efficienti le strutture che esistono già. Partiamo, quindi, dai consultori che già esistono, per affrontarne il rilancio e il potenziamento, attraverso progetti speciali. Tali progetti, però, non sono nel programma del Governo, così come emerge dall'ultima legge finanziaria, dove tutti questi aspetti sono abbondantemente sacrificati.
Cercherò di approfondire, tra le tante che lo meriterebbero, alcune questioni molto delicate e complesse che riguardano il rapporto con le donne straniere. Abbiamo sottolineato più volte il calo degli aborti delle donne italiane, ovviamente a causa di una maggiore capacità di controllare la propria fecondità, nonché di gestire il problema drammatico - tale è per ogni donna - dell'aborto. Le donne straniere, invece, sono quelle che aumentano il proprio tasso di abortività. Tutti questi anni di tagli finanziari alle realtà locali hanno significato un'aggressione di quel welfare municipale che ha affrontato queste questioni molto delicate e complesse.
Individuo tre tipologie di donne straniere che ricorrono all'aborto. In primo luogo, le straniere mogli di lavoratori regolari. Di solito, si tratta di donne molto isolate, il cui unico rapporto con la società e con la realtà istituzionale è costituito dai figli che vanno a scuola. Queste donne frequentano le istituzioni sanitarie con grande difficoltà, nonché con grande diffidenza, se non c'è una mediazione culturale. Di qui la necessità, sul territorio - non tanto nel consultorio, ma prima di tutto nelle scuole -, della figura istituzionale della mediazione culturale.
Poi ci sono - è la seconda tipologia - le donne sole, che fanno le badanti o le assistenti domiciliari di varia natura. Queste, anch'esse molto isolate, con forti reti di solidarietà fra di loro, difficilmente potranno garantire la maternità, perché sono le classiche soggettività che, in caso di gravidanza, perderebbero tutto. Moltissime di queste donne - è esperienza comune - sono clandestine, quindi dobbiamo chiederci come affrontano il problema i consultori e le strutture pubbliche. Le realtà locali lo affrontano, ma siamo in bilico fra legittimità ed illegittimità. Del resto, la parte rimossa del nostro confronto riguarda l'aborto clandestino, una realtà di cui sappiamo poco, ma che esiste. In certi settori della popolazione esiste, eccome!
Infine, ci sono le donne prostitute, le quali, oltre ad essere a rischio, spesso sono inserite all'interno di organizzazioni non certo legali. È chiaro, quindi, che per aiutare queste donne è necessario prevedere servizi molto specializzati, ben finanziati, professionalizzati, che siano in grado di stare sulla strada e di dare loro la possibilità innanzitutto di uscire dalla rete di sfruttamento della prostituzione, ma soprattutto di avere un'alternativa.
Quello delle donne straniere costituisce, a mio avviso, il problema più grave. È diverso, infatti, il discorso per quanto riguarda le donne italiane. Al di là del fatto che possano rivolgersi al consultorio, esse sono già inserite nell'ambito di reti familiari, amicali, che rappresentano il sostegno vero, il più importante. Una donna, giovane o meno, che pensa di dover abortire difficilmente troverà in una figura estranea la vera possibilità di confronto. È più probabile che una figura estranea rappresenti un sostegno per le persone nell'emarginazione più totale. Le donne in difficoltà che affrontano questo problema hanno bisogno di altro, ed è un altro che per fortuna esiste e non possiamo cancellarlo; al contrario, dobbiamo favorirlo. Insomma, lo Stato non può sostituirsi alle reti di solidarietà e deve sostenere la capacità dei consultori di funzionare davvero.

LUIGI GIACCO. Anch'io sottolineo con piacere la presenza del ministro, che essendo stato parlamentare conosce le attività e il funzionamento del Parlamento. La sua presenza, dunque, è significativa ed importante.
Per quanto riguarda il metodo, a me sembra - ribadisco ciò che hanno già detto alcuni colleghi - assolutamente strano che si decida di effettuare un'indagine conoscitiva alla fine di una legislatura. Questa circostanza, evidentemente, non può che alimentare dubbi e perplessità.
Sottolineo inoltre il tempo limitato previsto per lo svolgimento di questa indagine, tenendo peraltro conto della prossima pausa natalizia. È chiaro che, se vogliamo lavorare seriamente e raggiungere obiettivi concreti, il termine del 31 gennaio appare alquanto inadeguato e, come tale, difficile da accettare. Ci chiediamo, quindi, per quale motivo sia stata indicata questa data.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Non ne avete già discusso in Commissione?

LUIGI GIACCO. Sì. Per quanto riguarda i contenuti, tuttavia, anche se si riafferma a diversi livelli la volontà di non modificare la legge n. 194, mi sembra che questa indagine potrebbe essere letta come una nuova modalità di controllo sociale su alcune scelte e sulle donne, che ne sono le protagoniste. Sappiamo, peraltro, che la scelta dell'aborto riguarda non solo la struttura consultoriale, ma anche le strutture ospedaliere e, quindi, i medici di base. Se volessimo avere un quadro completo, dunque, dovremmo considerare almeno tutti e tre i punti di riferimento che ho citato.
Tornando alla funzione consultoriale, certamente andrebbe valutata in termini quantitativi - è un dato, questo, che il ministro ci ha già riferito, sebbene possa essere integrato e precisato -, ma soprattutto in termini qualitativi. Vorrei ricordare alla collega Burani Procaccini che, essendo stato relatore della legge n. 285 del 1997, sono stato uno dei promotori, all'articolo 4, della scelta di riaffermare il valore del consultorio, e l'ordine del giorno presentato dalla collega Burani Procaccini è stato ripreso nel progetto materno-infantile del 1998. Non è vero, dunque, che non sia stato preso in considerazione.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Può ripetere questo concetto?

LUIGI GIACCO. L'ordine del giorno presentato dall'onorevole Burani Procaccini alla legge n. 285 del 1997, che è stato accolto dal Governo, è stato ripreso dal progetto materno-infantile del 1998.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Dovrebbe leggere quello del 1999, che è più interessante.

LUIGI GIACCO. Certamente esiste la necessità di rilanciare i consultori, non solo nella loro funzione sanitaria, ma recuperandone anche l'aspetto sociale, culturale e soprattutto di prevenzione, in particolare integrando le professionalità mancanti. D'altra parte, il protocollo che lei ieri ci ha presentato e che deve essere confrontato e negoziato con le regioni ritengo che rappresenti un modo importante, anche dal punto di vista metodologico, di confrontarsi e di coinvolgere le diverse istituzioni.
Prima di concludere, permettetemi una breve considerazione sulla denatalità. Personalmente ritengo che le cause della denatalità siano molteplici. Vorrei brevemente ricordare che in Italia il 70 per cento dei giovani fino a trent'anni vivono ancora con la famiglia d'origine, che spesso i datori di lavoro, nell'atto di assumere una donna, le chiedono di impegnarsi a non avere figli nel periodo dell'assunzione, e via discorrendo. Insomma, diversi aspetti contribuiscono a determinare il dato della denatalità che sappiamo. Sicuramente, legare il discorso sull'aborto a quello sulla denatalità è una semplificazione estremamente pericolosa.
Infine, per quanto riguarda la questione delle donne immigrate, tempo fa ho presentato un'interrogazione riguardante la possibilità per le donne di ricoverarsi negli ospedali e mantenere il loro anonimato pur di portare a termine la gravidanza. Da questo punto di vista, apprezzo l'azione del Ministero per le pari opportunità, che ha avviato una serie di iniziative per informare su questo tema. Ritengo che sia un modo concreto e operativo per far sì che le donne, soprattutto immigrate, siano informate della possibilità di portare a termine la propria gravidanza, senza avere altre responsabilità.
È necessario, altresì, utilizzare figure professionali come quella del mediatore culturale, che concretamente facciano conoscere alle donne straniere i diritti e le opportunità che la legislazione italiana prevede al fine di permettere di portare a termine la gravidanza.

TIZIANA VALPIANA. Sono molto contenta della presenza del ministro della salute in questa Commissione. Mi riferisco, in questo caso, al ministro Storace, ma parlo del Ministero della salute in generale, in quanto, fin dall'inizio di questa legislatura, ad ogni predisposizione trimestrale del calendario dei lavori della Commissione ho inserito la richiesta della discussione sulla relazione annuale, richiesta che tuttavia non è mai stata accolta da questa Commissione. Non abbiamo discusso le relazioni del 2001, del 2002, del 2003, ed ora, finalmente, arriviamo a discutere l'ultima del 2004, depositata il 19 ottobre. Peraltro, ancora una volta la Commissione aveva cassato la mia richiesta di discuterla. Comunque, meglio tardi che mai, e siamo molto contenti che, colpita sulla via di Damasco dalle future imminenti elezioni, anche la maggioranza abbia pensato di raggranellare - ma non so se questo giochetto riuscirà - qualche voto, richiamando l'attenzione sulle donne cattive, malefiche, che rifiutano di svolgere il loro ruolo e, chissà perché, hanno la mania di abortire a casaccio.
A me fa veramente molta impressione il fatto che voi riusciate a parlare di questi temi senza nominare il corpo della donna e la relazione d'amore che sta dietro al desiderio di fare un figlio. Capisco che siete ministri e parlamentari, ma credo che davanti a certi temi - lo diceva prima l'onorevole Bindi - la politica debba compiere un passo indietro, essere rispettosa, creare le condizioni perché le persone compiano le proprie scelte, nelle quali, però, essa non deve assolutamente entrare.
Quello che, a mio parere, deve essere inserito come «cappello» ad ogni discussione sul tema della maternità, delle relazioni affettive, della relazione madre e figlio - la relazione fondante della società umana - è esattamente il fatto che la donna deve decidere della propria vita e solo essa può scegliere se, quando e come divenire madre. Pertanto, ogni tentativo di colpevolizzare le donne o di delegittimare la loro autodeterminazioneè destinato a fallire. Non ci può essere nel mondo alcuna autorità - autorità di un compagno o di un marito, ma anche autorità politica di uno Stato e autorità etica di una chiesa o di una religione - che possa impedire ad una donna che non desidera diventare madre di attuare tutto quello che è nelle sue possibilità, legali o meno, per non farlo.
A me spiace tantissimo, quando vi sento parlare di prevenzione, vedere dietro le vostre parole la volontà di soffocare la scelta di una donna, che si è ritrovata incinta contro la sua volontà e non desidera portare avanti la gravidanza. Voi parlate di prevenzione, riferendovi a interventi a casaccio, fatti male e tardivi, nella famosa settimana di ripensamento. La prevenzione, signori colleghi, è tutta un'altra cosa. Come abbiamo ascoltato negli ultimi interventi, prevenzione significa creare le condizioni perché alle donne torni il desiderio di maternità. Affinché questo avvenga, credo che la condizione fondamentale sia avere una prospettiva di vita sicura: ciò significa pensare che se si mette al mondo un figlio si potrà ugualmente continuare a lavorare - perché magari un asilo nido aiuterà ad affrontare il lavoro e la vita familiare - e pensare di poter entrare in aspettativa senza percepire il 30 per cento dello stipendio (gli stipendi attuali non permettono assolutamente di prolungare l'aspettativa, quindi di svolgere decentemente il ruolo di madre). Tornare a desiderare di essere madri significa non avere lavori precari, non cominciare ad avere i primi lavori sicuri intorno ai 30-35 anni, vuol dire poter trovare casa e non dover convivere con i genitori fino a trent'anni. Insomma, pensare di avere un figlio vuol dire una serie di cose su cui dovremmo lavorare.
Credo che questo «cappello» sia stato indispensabile, altrimenti non sappiamo di cosa stiamo parlando. Vorrei ringraziare il ministro anche perché questa discussione mi dà modo di fare un bagno di gioventù: io, che allora lavoravo all'AIED, sono stata audita in questa Commissione nel 1975 - avevo 19 anni, ma ero molto furba - sulla legge relativa ai consultori familiari. Siamo stati noi dell'AIED a chiedere l'introduzione del famoso comma dell'articolo 2. Il Movimento per la vita, che mai si era sognato di costituirsi quando c'erano gli aborti clandestini, per aiutare le donne a non abortire in quelle condizioni...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. È un'ammissione di colpa, questa?

TIZIANA VALPIANA. Interpretazione autentica. Abbiamo inserito questo elemento perché ci sembrava fondamentale che, nel mettere in piedi un servizio innovativo come quello dei consultori familiari, chi aveva un know-how, una professionalità - io parlo dell'AIED perché da quel mondo provengo e perché l'AIED ha aperto i primi consultori in Italia nel 1957 - e soprattutto una capacità relazionale di stare accanto alle donne nei momenti importanti della loro vita, potesse collaborare con i consultori pubblici, proprio per aiutare gli operatori dei consultori a crearsi, a loro volta, un know-how. Lo scopo di quel comma era di avviare il nuovo servizio, perché il nuovo servizio pubblico andasse avanti.
A mio parere, quando si propone di introdurre il Movimento per la vita nei consultori non si tiene conto della professionalità degli operatori dei consultori e della preparazione professionale che un volontario non potrà mai avere; un volontario potrà essere, semmai, di supporto all'esterno, se la persona lo sceglie. Soprattutto, l'aspetto fondamentale di un operatore che svolge un lavoro di mediazione è il fatto di non essere giudicante. Allora, ciò che non può fare un'associazione di parte è essere presente all'interno di un servizio pubblico, che deve essere terzo ed altro rispetto alle scelte individuali. Inserire un'associazione di parte nell'ambito dei consultori è una scelta completamente sbagliata, perché vieta la professionalità dell'operatore...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Il questionario l'ha letto?

TIZIANA VALPIANA. Sì.

MAURA COSSUTTA. Era già tutto detto e scritto, ministro Storace. Da anni gli operatori dicono le stesse cose.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Però state dicendo che sono pochi.

TIZIANA VALPIANA. Ieri lei ha espresso un'osservazione fondamentale, signor ministro: «Noi vogliamo sapere - lei ha detto - se nel nostro paese è garantito il diritto a non abortire». Io invece vorrei sapere se nel nostro paese è garantito il diritto a non avviare gravidanze indesiderate. Dove, nel nostro paese, si parla di contraccezione? Dove, a scuola, le ragazze hanno un'educazione sessuale? Perché nei consultori la spirale si paga, almeno nella mia regione? Perché le ragazze - io parlo con le amiche di mia figlia - sono molto più ignoranti in questa materia di noi ragazze degli anni Settanta, non avendo strutture, relazioni, rete d'informazioni? Questi sono gli interrogativi che dobbiamo porci.
Quando la donna rimane incinta non volendolo, è tardi per garantire il diritto a non abortire; garantiamo il diritto solo alle gravidanze desiderate, facciamo quell'opera di informazione e di igiene sessuale che in Italia manca. E non sto parlando della pillola del giorno dopo, ma della necessità nel 2005 - mi mortifica doverlo dire - che le donne siano padrone della propria sessualità e possano decidere di iniziare solo le gravidanze che scelgono, come mi sembrerebbe normale in tutto il mondo.

GIULIO CONTI. Chi glielo impedisce?

TIZIANA VALPIANA. Lo impedisce il fatto che non se ne parla, quando invece la salute sessuale fa parte del diritto alla salute, garantita costituzionalmente nel nostro paese. E la cosa mi sta a cuore soprattutto perché io sono una persona che desidererebbe prevenire gli aborti, non conculcando il diritto ad abortire di colei che non può portare avanti una gravidanza, ma facendo sì che la gravidanza indesiderata non ci sia.
Per il resto, io sono abituata a parlare solo di quello che so, per questo farò solo due esempi. In Veneto, l'AIED, fino ad una decina di anni fa, aveva convenzioni come consultorio familiare: faceva quindi parte della rete dei servizi sul territorio. Senonchè, da quando il centrodestra governa la regione, queste convenzioni sono state estinte e vengono finanziati solo dei progetti. Ora, è evidente che il finanziamento a progetto comporta l'eliminazione della continuità dei servizi. Pertanto, se questa è una delle emergenze che ci poniamo, perché chi lavora per lenirla viene continuamente taglieggiato?
Inoltre, tutti conoscono la legge n. 509 del 1996, ma vi ruberò lo stesso due minuti. Quella legge integra un emendamento - da me presentato e approvato dall'Assemblea - che, nel 1996, introduceva una disposizione, secondo me, sacrosanta (altrimenti non l'avrei scritta). Con riferimento al finanziamento dell'edilizia sanitaria di cui all'articolo 20 la legge dice: «Una quota di 200 miliardi è destinata alla costruzione, ristrutturazione o attivazione dei consultori familiari, in ragione di una unità ogni ventimila abitanti - e qui la domanda è: dove sono? - e all'attivazione e al sostegno di strutture che applicano le tecnologie appropriate previste dall'Organizzazione mondiale della sanità alla preparazione e all'assistenza al parto, al fine di assicurare la realizzazione, in ogni distretto, delle attività e degli obiettivi di sostegno alla famiglia e alla coppia, di promozione e tutela della procreazione responsabile, di prevenzione dell'interruzione volontaria di gravidanza, nonché le finalità previste dal progetto obiettivo materno-infantile del piano sanitario nazionale 1994-1996 e quelle previste dalle azioni finalizzate e dai progetti dei piani sanitari regionali».
Questo ho scritto ed è sancito in una legge del 1996. Perché non l'abbiamo mai più rifinanziata e mai abbiamo saputo dove sono finiti quei 200 miliardi? Io ho fatto numerose...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Stanno nel Fondo sanitario nazionale. Abbiamo approvato il Titolo V, ricordatevelo!

TIZIANA VALPIANA. Non può dirlo a me che ho votato contro il Titolo V. Però, se un fondo di 200 miliardi è destinato all'obiettivo che, se siamo qui tutti, evidentemente consideriamo importante, bisogna che ci rendiamo conto di quali realizzazioni e di quali progetti possiamo portare a termine.
Altro aspetto è quello relativo alla rete delle associazioni di donne che fa sostegno alla maternità e che lavora volontariamente, senza specifici sostegni finanziari. Noi gestiamo (dico «noi» perché io faccio parte del direttivo nazionale di queste associazioni) alcuni servizi di assistenza alla gravidanza difficile e quindi alle donne che non ce la fanno da sole a portarla avanti e, soprattutto, non ce la fanno a sostenere la relazione materna nei primi mesi di vita. Si tratta di un progetto che gestiamo solo con i fondi della legge n. 285 - che qualche anno fa abbiamo definito qui dentro in pochi intimi -, continuamente taglieggiati dalle regioni. Dalla lista non è esclusa la regione Lazio, che ci ha sempre bocciato il progetto quando glielo abbiamo presentato negli anni precedenti, approvando ora un sostegno di assistenza domiciliare nel primo anno di vita a quelle donne che hanno manifestato durante la gravidanza difficoltà relazionali, e via dicendo.
Tutto ciò premesso, capiamo tutti benissimo che non c'è la volontà reale di sostenere le donne nei loro bisogni: desiderare una maternità; prevenire la maternità indesiderata; essere seguite durante la maternità. Manca la volontà di fare questo: si è voluto piuttosto agitare una bandierina all'ultimo mese, cercando di salvarsi in corner, per dire «noi ci siamo», ma alla base c'è la volontà non certo di sostenere le donne, bensì di colpevolizzarle.
In ogni caso io non sono preoccupata di questa indagine conoscitiva: so che non porterà a nulla, perché non avete né il tempo, né le competenze per produrre un risultato.

PIERGIORGIO MASSIDDA. Signor presidente, invece di dissociarmi da quanto detto dai colleghi, devo osservare che, a giudicare dall'esordio, sono estremamente contento di ciò che sta avvenendo. Non so cosa sortirà questa indagine conoscitiva, ma sicuramente il dibattito sta arricchendo tutti noi e ci sta dando una gran voglia di bruciare i tempi. Magari ci stiamo rimproverando di essere arrivati in ritardo a parlare di questi argomenti. Credo, infatti, che anche i colleghi dell'opposizione, pur criticando l'indagine, stanno fornendo dei contributi così ricchi, così validi, che mi sembra anche ridicolo, a questo punto, continuare a insistere sulle ragioni dell' indagine: la risposta sta anche nella vostra capacità e nella vostra competenza.
Io ricordo la sua relazione e fui una delle persone educate che rimasero qui ad ascoltare, a sentire la replica, come spero farete anche voi nei confronti del ministro Storace, perché i colleghi qui presenti sono le persone più educate, molto meno di altri che vengono, «sparano» e poi non si fanno più vedere, finendo per fare soltanto uno show (e mi riferisco a esponenti sia di centrodestra sia di centrosinistra). Quando viene audito un ministro e si rivolgono delle accuse, come minimo bisogna avere l'educazione di ascoltarne la replica.
Il fatto che siate presenti va perciò a vostro merito. Poiché tuttavia la stessa cosa feci io nella scorsa legislatura, consentitemi di ricordare che anche la relazione del ministro di allora non incontrò un'accoglienza favorevole: intanto non sortì niente e alla sua replica erano presenti solo tre persone. Quindi, è facile fare i maestri quando si sta dall'altra parte; è facile per tutti, ma la storia ci insegna che non è così in assoluto.
Questa è una premessa per dire che le osservazioni che sono state espresse sono eccellenti e sono sicuro che il ministro Storace, che sta mostrando grande sensibilità, ne farà tesoro. Ciò al di là dell'indagine conoscitiva, che ci serve a chiarire non tanto i numeri (evidenziati sia nelle relazioni tenute nella passata legislatura, sia in quella attuale del ministro Storace), vale a dire quanti aborti e quanti centri ci sono, e così via, quanto soprattutto ciò che viene fatto per affrontare la prevenzione su tutto il territorio nazionale, specie per le prostitute e le persone straniere. Se questa indagine conoscitiva servirà per capire dove dobbiamo intervenire e sarà da stimolo per sollecitare a muoversi chi c'è oggi e chi ci sarà in futuro, sarà già un successo.
Credo che non possa essere patrimonio di nessuno schieramento sindacare sulla drammaticità dell'interruzione della gravidanza; così come io, soltanto perché ho contribuito a chiedere questa indagine, non posso pensare che solo a noi stia a cuore la natalità. Io parto dal presupposto che incentivare la natalità interessi tutti. E noi lo stiamo facendo con le nostre leggi finanziarie, pur criticate. Ma ricordate che l'avete fatto anche voi. Per coerenza, quindi, noi dobbiamo attaccarci ad ogni possibilità d'intervento in favore di queste donne che vivono una vicenda comunque drammatica; ciò per agevolarle, ma soprattutto per incentivare la natalità, che, anche egoisticamente, questa nazione ha necessità di incrementare per potersi creare un futuro e anche per garantire quello degli anziani. Per questa ragione stiamo cercando di intervenire. Sarebbe auspicabile, quindi, che ci estraniassimo per un attimo dalla polemica che ha preceduto l'avvio dell'indagine e parlare di cose concrete, come stiamo facendo.
Sul discorso della prevenzione, la collega poco fa ricordava i problemi dell'AIED, che ho seguito anch'io. Ma utilizzare un termine come «taglieggiare», almeno sulla base della mia esperienza, mi sembra decisamente fuori luogo. Nell'AIED stessa - parlo dell'esperienza sarda - una delle grosse lamentele è che, a fronte di una grande disponibilità al volontariato in questa azione, è nata una professionalità che serve non a fornire il servizio, ma all'automantenimento di una struttura. È una delle critiche che ho sentito più frequentemente: «Noi ci diamo da fare, però veniamo trattati alla pari di altre realtà che conosciamo, che di fatto hanno assolutamente abbandonato quello spirito di disponibilità». Al centro, evidentemente, non c'è più il problema di chi si rivolge, ma quello del mantenimento di una struttura che ha varie motivazioni: economiche, di interesse, di ruolo.
Questo non lo dico io; sto riportando ciò che è stato detto nella mia regione e che ho sentito anche in occasione dell'indagine conoscitiva sulla prostituzione. Se vi ricordate, fu fatto presente che certi centri avevano una grande affluenza, mentre vi era scarsità in altri centri, perché gli utenti percepivano il fatto di incontrarsi non con chi era disponibile, ma con operatori che agivano quasi come dipendenti. Credo che lo ricorderanno tutti. L'intervenire su progetti è un modo per qualificare e, soprattutto, per dare a Cesare quel che è di Cesare, incentivando chi sta lavorando seriamente.
La legge n. 194 è del 1978 ed è innegabile - lo stiamo dicendo tutti - che ci sia bisogno di una rivisitazione. E sono convinto che questa indagine conoscitiva sortirà sicuramente un effetto, al di là di tutto ciò che sta avvenendo: nella prossima legislatura, questo sarà uno dei primi argomenti ad essere affrontati. Non è possibile, infatti, assistere a questa gara - per quanto, giustamente, una certa autonomia per le regioni l'abbiamo rivendicata tutti - tra chi mette a disposizione la pillola del giorno dopo, chi arriva prima e chi arriva dopo, chi si e chi no, senza una strategia comune. Per di più lasciando che l'argomento venga influenzato da motivazioni politiche, come sta avvenendo in diverse parti, svilendone l'importanza e la delicatezza e affidando la comunicazione non alle vie istituzionali, ma ai mass media, che molto spesso devono sensazionalizzare il problema finendo con il dare un messaggio sbagliato.
Ha ragione l'onorevole Valpiana quando ricorda che le nuove generazioni vivono uno stato di ignoranza superiore al passato, nonostante i mezzi di comunicazione siano aumentati, migliorati. C'è un problema di cultura, c'è un momento di socializzazione differente. Quando la mia amica aveva diciannove anni (cioè l'altro ieri) sicuramente la socializzazione era totalmente differente. La comunicazione non si affidava ai mass media, ma ad una frequentazione in associazioni, ad un sistema di relazioni che oggi non si vivono più o si vivono in maniera differente.
In conclusione, chiedo alla Commissione di proseguire questo lavoro, estraniandosi momentaneamente dalle polemiche che hanno preceduto l'avvio dell'indagine conoscitiva e procedendo a passi veloci su una strada che sta arricchendo enormemente di contenuti seri la nostra azione politica e sicuramente creerà le basi per un futuro migliore. Ringrazio il ministro Storace che si è reso disponibile, cosa nemmeno così consueta: sono già tanti, infatti, i ministri che si sono succeduti senza aver avuto la stessa sensibilità.

ANNA MARIA LEONE. Cercherò di essere breve, però ho l'esigenza di puntualizzare alcuni punti. Ringrazio il ministro Storace, perché con la sua relazione ha dimostrato che questa indagine conoscitiva, nonostante la brevità dei tempi, è mossa da un intento serio. Vogliamo farla bene e desideriamo che tutte le forze politiche diano il loro contributo. A me fa piacere essere qui - mi è dispiaciuto solo non aver potuto ascoltare l'onorevole Bindi -, prestare attenzione al contributo di tutti, però dobbiamo prescindere dalla nostra appartenenza politica, perché in questo momento deve prevalere la volontà di raggiungere obiettivi veri, concreti per far funzionare una legge.
In questo senso il ministro Storace ha già colpito un obiettivo. Svestiamoci di tutte le polemiche, la legge n. 194 è una legge dello Stato che come tale va rispettata, in tutte le sue parti. La legge sui consultori è una legge dello Stato, datata 1975, e sappiamo tutti che in questi trent'anni molto è cambiato e molto deve essere aggiornato.
Noi proponenti avevamo detto che la legge n. 194 va applicata in toto. I primi articoli della legge (voluta da tutti) stabiliscono con chiarezza che la donna può scegliere di abortire, ma affermano anche che lo Stato tutela la vita, tutela la maternità e per la realizzazione di questo obiettivo fornisce una serie di reti e di strumenti per renderlo effettivo e concreto. Abbiamo detto: se prevenzione non c'è, che si deve fare? Così stiamo verificando che - obiettivo raggiunto dalla relazione del ministro Storace - i consultori non funzionano. Anzi, avevamo già detto precedentemente - l'ha osservato anche il presidente nella sua relazione introduttiva, tant'è vero che abbiamo convocato in audizione anche le strutture sanitarie - che molte donne non passano dai consultori, ma si rivolgono direttamente alla struttura sanitaria.
Quando ero assessore ai servizi sociali della regione Veneto -negli anni Novanta - avevo cercato, com'è dovere per ogni assessore, di verificare su tutto il territorio il funzionamento dei vari servizi inerenti quell'assessorato. Fin da allora avevamo sentito l'esigenza, signor ministro, di rilanciare un servizio che non c'era. Allora, hanno ragione le colleghe quando dicono che il servizio dei consultori non è sfruttato a dovere. E forse hanno ragione anche quando affermano che non vengono investiti dei fondi. Ma mi domando: se devo investire dei fondi pubblici su qualche cosa, devo essere certa che quel qualcosa sia funzionale a ciò che voglio raggiungere, agli obiettivi di quella struttura e di quella rete. Devo quindi essere in grado di dire: «Concedo i fondi perché funzionano». Ma fin da allora sapevamo che non erano effettivamente capaci di raggiungere gli obiettivi. Allora, ha ragione il ministro: ricominciamo daccapo o, meglio, tariamo ciò che esiste. Se non tutte le regioni rispondono, ci sarà un motivo. Non ci credono, non lo giudicano necessario, lo ritengono verticistico, non sono coinvolte. Il dato, comunque, è che noi dobbiamo rimettere in funzione il circolo virtuoso che porti le regioni, gli enti locali, lo Stato centrale a riattivarsi per rispondere a tutte quelle esigenze che sono tese a rendere effettivo il diritto alla vita e quello alla maternità; una scelta libera e consapevole, che non è necessariamente solo da una parte, ma certamente è ponderata e valutata.
Altro elemento che tanto scandalo ha suscitato e che, invece, io ritengo sia funzionale all'applicazione totale della legge è il seguente: perché l'AIED ha professionalità e può essere inserita nel consultorio e non nel Movimento per la vita? Lo chiedo. Io credo che laddove l'articolo istitutivo - non lo dice l'UDC, o il ministro Storace, o Alleanza Nazionale, ma lo dice la legge - introduce la possibilità di stipulare convenzioni, si tratta, signor ministro, semplicemente di stabilire come le facciamo, con quali professionalità, con quali obiettivi.
Tutto questo viene a far perdere quella carica di strumentalità, di ideologia che sta, invece, portandoci fuori dal seminato. Se è vero, come è vero, che tutti vogliamo che la legge n. 194 funzioni, io desidero che funzioni anche la legge istitutiva dei consultori, in tutte le sue parti. Io desidero che quando lo Stato o gli enti locali investono danaro pubblico, lo facciano con consapevolezza, con scienza e coscienza, e non con carrozzoni inutili che non raggiungono l'obiettivo.
Se questo è l'obiettivo di tutti, lasciamo le polemiche fuori dalla porta, come è già stato detto, e cerchiamo di cogliere tutto ciò che di positivo può venire per migliorare qualche cosa che è un bene di tutti, non solo dell'UDC, o di Alleanza Nazionale, o di Rifondazione comunista: è bene dello Stato e dei suoi cittadini; è bene delle donne e, permettetemi, anche di coloro che devono essere messi nelle condizioni di nascere se le donne scelgono liberamente di farli nascere.
Nel ringraziare, chiedo alla Commissione di proseguire in questo modo, anche e soprattutto coinvolgendo le regioni, come il ministro Storace ha opportunamente osservato.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Come diceva Dante Alighieri, «Fatti non fummo per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza». L'indagine conoscitiva nasce dall'esigenza della conoscenza e della virtù. Mi appello anche a quello che sta dicendo in questi giorni Papa Benedetto XVI sulla ricerca della verità: la verità come ricerca della pace, come scoperta dell'uomo, come scoperta di Dio; quindi, come scoperta dei valori in cui ognuno di noi crede. Di conseguenza, mi pare che sia lontana da questa indagine conoscitiva la crociata contro chissà cosa che si è cercato di adombrare.
Noi, invece, vogliamo semplicemente scoprire la verità sulla legge n. 194 e su come è stata applicata. Sappiamo che è stata applicata bene e che ha avuto degli effetti positivi, essendo diminuiti gli aborti. Ma non ci possiamo accontentare di quello che c'è: per «seguir virtute e conoscenza» dobbiamo cercare di migliorare. In effetti, dobbiamo soprattutto contribuire a far superare le cause che possono indurre la donna all'interruzione della gravidanza. A giudizio di tutti l'obiettivo più importante è questo: superare le cause che portano all'interruzione della gravidanza ed evitare che l'aborto sia usato ai fini del controllo delle nascite.
Il referendum sulla legge sull'aborto risale al 17-18 maggio 1981. Io allora ero già medico e ricordo che votai per l'abolizione della legge; nella mia professione ho fatto obiezione di coscienza, ma questo non significa che non ho accettato una legge dello Stato. Da cattolico questa scelta rientra nella mia sfera personale, però come laico devo accettare che chi vuole l'aborto lo possa praticare, anche se non condivido questa scelta. La stessa cosa è per il divorzio: chi è cattolico non lo fa, ma qualunque cittadino si può avvalere di questo istituto. Insomma, ogni legge dello Stato va rispettata.
A questo punto, visto che è stato già fatto il referendum, non vogliamo aprire una nuova disputa, non vogliamo lacerare le coscienze, non vogliamo fare altre discussioni su «legge sì, legge no». Intendiamo acquisire elementi utili per capire com'è applicata la legge, fermo restando, per dirla con il Presidente della Camera, che si tratta di «una materia abbastanza delicata, che ha una particolare rilevanza anche dal punto di vista politico - non lo possiamo nascondere -. Deve essere quindi mantenuta entro i limiti di un'attività conoscitiva volta ad acquisire notizie, informazioni e documenti utili all'attività della Camera». Ebbene, quello che vogliamo è acquisire questi elementi, con l'esigenza di avere il più ampio panorama di opinioni in materia.
Stiamo iniziando con l'opinione del ministro, che ringrazio per l'intelligenza, la prontezza e la vivacità con le quali partecipa a questo dibattito. Peraltro, abbiamo avuto notizia di una bozza di accordo - che il ministro ci ha esposto ieri - che dovrebbe maggiormente integrare la collaborazione tra le regioni e lo Stato, che poi sarà la base della relazione che il ministro rende ogni anno al Parlamento. Integrare e potenziare le strutture dei consultori, mi pare quindi sia già un fatto positivo.
Osserva che in questa Commissione vi sarà l'apporto di molte altre persone, per cui non possiamo mettere il carro davanti ai buoi. Ci è stato reso noto l'orientamento del ministro Storace, ascolteremo gli latri soggetti e solo alla fine tireremo le somme di come è stata applicata la legge e di cosa dovremo fare. Sarà una base di conoscenza che certamente tornerà utile. È perciò inutile gridare allo scandalo, perché scandalo non c'è.
Concludo riprendendo il concetto della maternità responsabile di cui ha parlato poco fa la collega Valpiana. Io mi permetterei di allargarlo anche alla paternità responsabile. È la scelta della famiglia, del padre e della madre, quindi di una maternità e di una paternità responsabile, che è il fulcro della nostra società, che noi vogliamo difendere.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al ministro Storace per la replica, vorrei ringraziarlo sinceramente, perché in questa legislatura, in quasi cinque anni non avevamo mai avuto la presenza in Commissione per così tanto tempo del ministro della salute. Gliene devo dare atto pubblicamente, perché forse molti problemi avrebbero potuto essere risolti con la presenza e con il colloquio con il ministro.
Il ministro Storace, invece, ha voluto instaurare un rapporto istituzionale con il Parlamento. E non lo dico per piaggeria, ma come constatazione dei fatti, del resto riconosciuti da tutti. Purtroppo, con altri ministri questo rapporto non c'è stato, circostanza della quale mi avete ritenuto responsabile, ma io più che convocare il ministro non potevo fare.
Mi è piaciuta l'impostazione che finalmente si sta dando a questa indagine conoscitiva. Forse avevo ragione quando confidavo sulla collaborazione di tutti, pur nella ristrettezza dei tempi. Devo quindi ringraziare tutta la Commissione, che sta dando la propria disponibilità e che sta portando sicuramente dei contributi. Alla fine cercheremo di trarre delle conclusioni. In ogni caso si tenga conto che questa indagine produrrà sicuramente un risultato, anche se non so dire se in questa o nella prossima legislatura.
Ringrazio tutti voi per l'apporto che state dando all'andamento dei lavori e che darete, spero, nelle audizioni successive, che ritengo altrettanto importanti di quella del ministro.
Qualcuno ha contestato il fatto che il ministro Storace sia stato invitato a parlare all'inizio. Secondo me, è stata una scelta giusta, perché così abbiamo impostato l'indagine - ed egli ce ne ha dato, evidentemente, anche una traccia - e possiamo così procedere con più facilità e con più concretezza.
Da ultimo vorrei chiedere al ministro Storace - richiesta peraltro già avanzata dall'onorevole Leone - di ricomprendere nella rilevazione dei dati inviati alle regioni, oltre all'attività dei consultori familiari, anche quella relativa alle strutture ospedaliere in cui si svolgono le interruzioni di gravidanza. Anche se intervengono solo alla fine del processo di cui alla legge n. 194, queste, infatti, hanno un ruolo non dico uguale a quello dei consultori, ma che certamente può risultare utile ai fini della prevenzione. Il consultorio avrebbe tante altre attività da dover e poter svolgere, mentre per quanto riguarda il problema della legge n. 194, essendo ancora più settoriale l'intervento di queste strutture, potremmo sicuramente avere dei dati più precisi e più importanti.
Do la parola al ministro Storace per la replica.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. innanzitutto ringrazio il presidente ed i colleghi. Non potrò essere breve, perché avete posto tantissime questioni; cercherò di rispondere a tutte, partendo anch'io dall'apprezzamento per l'andamento dei lavori. Dal tono utilizzato dai giornali sembrava che dovesse essere più un'edizione de La Corrida. Non è stato così. Questo mi ha fatto molto piacere: lo voglio dire al presidente Palumbo e a tutti i componenti della Commissione. Si è svolto un bel confronto civile, molto meno urlato rispetto a quello che ci si poteva aspettare dalla lettura dei giornali. Credo che questo giovi alla discussione attorno a questa legge e alle forme della sua attuazione.
Voglio dire all'onorevole Anna Maria Leone, che è stata un po' la principale promotrice, che non ci sono state le barricate che temevamo. Ciò lo traduco positivamente, riservandomi, ovviamente, il diritto di dire quello che penso e anche di contestare alcune delle tesi esposte, con la stessa franchezza con cui si sono svolti gli interventi rispetto alla mia relazione di ieri.
Condivido alcune osservazioni, di cui voglio parlare subito, che testimoniano - onorevole Bolognesi - che c'è tutt'altro che uno sfilacciamento nella maggioranza. Avendo ascoltato gli interventi, uno per uno, devo dire che anzi è emersa la volontà, espressa con diversi accenti, di mettere in campo politiche che rispondano a quella che proprio l'onorevole Anna Maria Leone - cito uno dei suoi ultimi interventi - ha definito come necessità di far considerare finalmente priorità la prevenzione. Questo è il grande tema che emerge dai lavori che sono cominciati nella seduta di ieri e sono proseguiti oggi.
Sarà il documento conclusivo che la Commissione scriverà a cogliere talune indicazioni - non mie, ma che io condivido - emerse dal dibattito. Vi è il grande tema, sul quale non credo vi siano distinzioni, di cui ha parlato più esplicitamente l'onorevole Martini: garantire la massima informazione alla donna, con il riferimento chiaro alla legge n. 194 e a quella sui consultori e sui loro poteri.
Con questa proposta, cui faceva cenno or ora il presidente Palumbo, ed emersa proprio nell'intervento della stessa onorevole Martini, voi introducete la necessità di realizzare una vera e propria rete tra le strutture ospedaliere, i medici di famiglia e i consultori. Credo che questo sia un altro tratto unificante della Commissione, se avrà la volontà di arrivare ad un documento, che, se non altro per parti, possa vedere un vasto consenso.
È evidente che, però, una cosa va detta con grande chiarezza: occorre cercare il consenso delle regioni. Vorrei dire all'onorevole Bindi, se fosse presente, che è cambiata un'epoca con la riforma della Costituzione. Siamo ad una differenza come tra il giorno e la notte. Non possiamo pensare che il ministro della salute di oggi possa fare le stesse cose che lei aveva la possibilità di fare all'epoca in cui era ministro della salute. E lo dico con grande rispetto per come l'onorevole Bindi ha rivestito quel ruolo. Ma non sono solo i ministri a cambiare: cambiano anche i tempi e le costituzioni. E noi dobbiamo avere la possibilità di capire perché certe cose che oggi non si possono fare, fino a ieri si facevano. Diversamente, il tutto diventa un derby sulle capacità nel rivestire l'incarico istituzionale.
Voglio insistere su alcune delle osservazioni che mi sembra di poter condividere appieno. Ringrazio l'onorevole Castellani che, anche in analogia con quello che ieri aveva detto l'onorevole Giulio Conti, ha insistito sul tema della prevenzione come aspetto che serve ad affrontare il grande problema della denatalità. Emergono questioni rispetto alle quali è un vero peccato che si sia arrivati in ritardo con l'indagine conoscitiva. Abbiamo tuttavia la possibilità di parlare al paese di problemi importanti.
E ringrazio l'onorevole Castellani, perché è una delle poche ad aver fatto riferimento a quella cifra che ha suscitato l'attenzione di tutti i giornali, ma non della Commissione (può succedere): 4,5 milioni circa di bambini mai nati. Probabilmente, è un problema di sensibilità culturale. Mi soffermerò sugli interventi dell'opposizione, a cui chiedo di manifestare più disponibilità nei confronti del rispetto del diritto alla vita. Nessuno mette in discussione i diritti delle donne, però facciamo in modo che non confliggano con i diritti del bambino, perché sarebbe la cosa più devastante d'ora in avanti, nel momento in cui emergono i dati, o almeno vengono sommati i dati. (Commenti dell'onorevole Valpiana).
Ho visto delle foto che mi hanno impressionato pubblicate su giornali importanti (penso a Il Tempo. Vada a dare uno sguardo a quella mano che esce e prende il dito del chirurgo. Sono rimasto impressionato da quelle immagini.
Ma arriverò anche a lei, perché penso che tutti meritiate la risposta che istituzionalmente vi debbo, anche perché occorre partire pure dalla costruzione di un ragionamento che abbia un minimo di logica, nel tentare - è chiaro che anche la mia può essere letta come una visione di parte, rappresentando il Governo - di ristabilire un ordine di verità. Persino il Governo - che non è, come è noto, promotore dell'indagine conoscitiva, ma ha espresso fiducia nella capacità del Parlamento di poter ragionare attorno a temi delicatissimi - è stato accusato di voler strumentalizzare questo dibattito; ci è stato detto che questo era il primo passo per cambiare la legge n. 194.
Spero si prenda lealmente atto che non c'è questa volontà e si riconosca che, se questa volontà c'è stata, da oggi sappiamo tutti, e spero che ciò emerga in tutta la sua chiarezza, che è stato un altro il Governo che ha accettato il percorso di revisione della legge n. 194, ma non questo. E qui voglio ringraziare l'onorevole Burani Procaccini, perché io custodirò quell'ordine del giorno del 1999, accolto, anche se non attuato dall'allora Governo D'Alema. È, infatti, una bella bandiera da non lasciare nell'armadio. Dico questo perché qualche volta mi è capitato di essere attaccato da questo autorevolissimo esponente della sinistra.
Poniamo il caso, onorevole Labate, che nella prossima legge finanziaria l'onorevole Anna Maria Leone presenti questo ordine del giorno: «Impegna il Governo ad un meditato, sereno e informato progetto di revisione della legge n. 194, ormai obsoleta, perché vecchia di vent'anni, e non più in linea con le mutate condizioni della società e con le acquisizioni della ricerca medico- scientifica». Se io, Francesco Storace, accettassi questo ordine del giorno, crollerebbe il mondo!
Poiché siamo in presenza di documenti - non stiamo parlando del niente - che hanno lo stesso valore delle relazioni, di prese di posizione impegnative, vorrei che da oggi non si dicesse più che noi vogliamo attaccare la legge n. 194, perché se c'è qualcuno che si è caratterizzato per questo, era al Governo prima di noi. Credo che questo ordine del giorno serva a farci ragionare un po' tutti sulla necessità di non attribuire ad altri volontà che non ha dichiarato. Io sono abituato a valutare la politica sulle parole e sui fatti. E fin quando non vi saranno proposte del Governo di modifica della legge n. 194, a ciò ci dovremo strettamente attenere. Per cortesia, la si smetta - perdonatemi l'espressione - di sostenere l'esistenza di questo attacco. Noi vogliamo applicare questa legge. Spero che dalla Commissione venga anche un contributo al prossimo Governo, al prossimo Parlamento, per far sì che non ci debba più essere motivo per ritornarci, perché si sono comprese le ragioni. Sono da poco ministro, ma punto a non esserlo per poco. Vorrei perciò poter completare quest'opera lanciando al paese dei segnali concreti, secondo i quali si possono attuare politiche finora non attuate. In quell'ordine del giorno c'è un altro passaggio che vorrei sottolineare, rifacendomi a quanto dicevo poc'anzi sulla differenza tra il mio mandato e quello dell'onorevole Bindi. Facciamo attenzione, allora il Governo poteva farlo, mentre oggi sarebbe difficile: è stato detto di sì in un momento in cui si poteva fare, mentre oggi ci sarebbe l'insurrezione delle regioni, che ieri non poteva esserci.
Voglio esprimere integrale adesione alle tesi esposte dall'onorevole Massidda - aggiungendo un elemento di notizia sulla partecipazione dell'opposizione, argomento su cui tornerò, ai lavori della Commissione - relativamente alla manovra strumentale che è in corso da parte del sistema delle regioni in merito al tema della pillola abortiva. Se avrà un po' di pazienza tornerò sull'argomento, perché vorrei capire qual è il punto di partenza della campagna ideologica e chi la sta agitando. Ci sono degli elementi che il Parlamento deve conoscere; poi potrà anche valutare che il ministro abbia torto e che abbiano ragione tutti gli altri, però ci sono delle cose che bisogna sapere prima di alzare l'indice accusatore nei confronti di una parte politica o dell'altra.
Richiamandomi ancora all'ultimo intervento della maggioranza, l'onorevole Lucchese ha fatto riferimento al principio ispiratore della legge n. 194, riportato nell'articolo 1. È stata una preoccupazione di questi decenni: l'aborto non sia strumento per il controllo o la limitazione delle nascite. Tale questione campeggia sul dibattito attorno all'attuazione della legge n. 194. Allora, colleghi dell'opposizione, siccome nutro rispetto nei confronti del Parlamento, vi confesso un pizzico di delusione per l'assenza di valutazioni - vi hanno fatto riferimento solo gli onorevoli Labate e Galeazzi per contestare quei numeri - circa la notizia nota dei 4 milioni e 500 mila aborti.

TIZIANA VALPIANA. Non è una notizia!

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Per lei è una notizia, per noi è una tragedia. Il fatto che questo paese si debba arrendere a che una gravidanza su quattro finisca in aborto, non credo che sia un panorama di cui bearsi. Non è il ministro Storace che nota questo dato. È la notizia che emerge dall'audizione di ieri. È quanto dicono Il Giornale, La Repubblica, Il Messaggero e Il Corriere della Sera. E mi riferisco ai titoli, quindi alle cose che hanno impressionato...

TIZIANA VALPIANA. Noi ci occupiamo delle donne, lei degli scoop. Questo è il problema.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Provi a chiedere a qualche persona di sua conoscenza se il dato di 4 milioni e 500 mila bambini mai nati è un dato di cui essere contenti o essere tristi. Non sto negando il diritto ad abortire, sto dicendo un'altra cosa. Onorevole Valpiana, lei deve avere la stessa pazienza che ho avuto io nell'ascoltarvi.
Vogliamo negare che in un paese con un tasso di denatalità come il nostro questa cifra colpisce? Vogliamo ammettere almeno che colpisce? Altrimenti, facciamo un esercizio di cinismo da fare spavento. Credo sia normale fermarsi a discutere di questa cifra. Mi dispiace che dall'opposizione non ci sia stato un solo riferimento a questo. In effetti...

TIZIANA VALPIANA. Quei 4 milioni di gravidanze indesiderate noi non li volevamo.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Questo mi fa piacere. Vorrei, però, che mi permetteste di esprimermi, altrimenti il dialogo è davvero difficile e posso capire, allora, perché i miei predecessori non venivano in Commissione. Questo è il Parlamento e si può ancora discutere. Tra l'altro, chi mi ha preceduto accettava gli ordini del giorno sulla revisione della legge n. 194, ma voi non dicevate nulla.
C'è anche chi ha tentato di fare il furbo - non in Parlamento, ma nell'ambito del libero diritto di criticare le dichiarazioni di un ministro - e partendo da questa cifra ha scritto un articolo. È vero, prima ho detto che se la politica di prevenzione fosse stata attuata, chissà, per il 10 per cento avremmo avuto magari 400 mila nati in più. Ma è solo un esempio.
Allora, quale sarebbe la critica nei miei confronti? Non si sa se avremmo avuto 400 mila bambini in più, ma «dispiace che all'ex governatore del Lazio non stia a cuore la sorte anche dei rimanenti 3 milioni 950 mila non nati». Sono argomenti davvero infantili. Questo è quello che riporta Il Manifesto.
Vorrei che si mettessero da parte gli argomenti che offendono la discussione su una legge che, sebbene abbia avuto un percorso travagliato prima di essere approvata, poi è diventata legge dello Stato e tutti siamo tenuti a rispettarla.
Veniamo ora alle questioni che la vostra Commissione ha voluto sottoporre alla mia attenzione. Cercherò di seguire un ordine logico: lo dico ai colleghi dell'opposizione, con i quali vorrei interloquire sugli argomenti principali che hanno posto, scusandomi fin d'ora se alcune questioni non troveranno spazio nella mia replica, sia per ragioni di tempi parlamentari sia per evitare di annoiarvi.
L'onorevole Maura Cossutta è ritornata - non voglio parlare di enfasi comiziale - sulla questione dell'attacco alla legge n. 194. Ma cos'altro si può dire, da parte nostra, per assicurare che non abbiamo alcuna intenzione di modificare la legge? Del resto, attaccare la legge nel mentre ci si rimprovera di volerla modificare è davvero un non senso, onorevole Cossutta. Ogni tanto può capitare di esprimersi in maniera contraddittoria, ma questo è uno dei casi in cui non lo si dovrebbe fare. È spiacevole sentir parlare di «attacco alle donne». Il dibattito di oggi dimostra che le donne non le rappresentate solo voi. Le donne del centrodestra - consentitemi di manifestare un pizzico di orgoglio - hanno usato espressioni contrarie e hanno affermato idee diametralmente opposte alle vostre. Non si può mancare loro di rispetto, non sono donne di serie B.
Levatevi dalla testa questi slogan propagandistici, per cui ci sarebbe un universo femminile che sta solo a sinistra e da questa parte non ci sarebbe diritto di cittadinanza. Nessuno ha scritto il compitino alle parlamentari del centrodestra, ma ognuna di loro si è espressa con libertà, secondo la propria persona e la propria identità. Credo che si dovrebbe manifestare un po' di rispetto per le parti in causa. State tranquilli, arriverò anche a rispondere nel merito delle questioni sollevate, ma per il momento sto rispondendo al comizio che ho ascoltato sull'attacco alle donne. Se permettete, ho il dovere di non lasciar passare un'affermazione che considero incivile nei confronti delle donne di centrodestra. È importante ribadirlo, perché tengo molto al rispetto anche nei confronti di chi non milita dalla vostra parte.
Mi piacerebbe innanzitutto verificare la disponibilità di tutti - chiedo scusa per i toni di prima e per aver parlato di comizio - ad attuare la legge n. 194. Considero molto importante la vostra presenza in questa sede, per interloquire e per rappresentare le posizioni di ciascuno. Non è stato proprio un errore, dunque, da parte del Presidente Casini, la decisione di dare il via libera all'indagine conoscitiva.

TIZIANA VALPIANA. Siamo venuti perché non ci avete permesso di discutere la relazione.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Avete legittimato questa indagine ed io credo che sia importante aver scongiurato la minaccia dell'Aventino.

MARIDA BOLOGNESI. Ma che Aventino, ma che dice? Noi abbiamo chiesto di discutere la relazione del ministro! Non faccia il mestierante della politica, risponda nel merito.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Non so se adesso ci state ripensando, ma vi assicuro che ho ascoltato con gioia tutti i vostri interventi. Non credo che abbiate motivo di arrabbiarvi. Del resto, se ci si dovesse infuriare per quello che si ascolta dagli altri, in Commissione non dovremmo venire mai. Ne avete dette così tante di cose per cui infuriarsi!
Noi abbiamo ascoltato con grande pazienza quello che avete detto, ora vorrei rispondere alle questioni che avete sollevato. Siete voi che avete parlato di strumentalità, non io. Siete voi che siete entrati addirittura nel dettaglio del questionario che ho proposto alle regioni. Non vi siete estraniati dal dibattito, quindi non è vero che questa Commissione non doveva essere istituita. Se così fosse, non avreste partecipato ai lavori. Questa è la mia interpretazione libera e democratica.

MAURA COSSUTTA. Questo è solo l'inizio! Vedremo nel corso dell'indagine.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Insomma, devo avere per forza le vostre stesse idee? Per fortuna mia e dell'Italia, non è così. Se si intende governare il paese puntando su questi temi, allora c'è davvero da preoccuparsi.

MAURA COSSUTTA. Noi le abbiamo rivolto delle domande.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. E io sto rispondendo. Ha detto o no che noi vogliamo attaccare le donne? Ha detto o no che vogliamo modificare la legge n. 194? Ha detto o no che il fine della deliberazione di questa indagine era strumentale? A questo sto rispondendo. Del resto, se questo tipo di accusa politica per voi è una priorità, il Governo ha il diritto di difendersi da un'accusa falsa, oppure no? Credo che questo sia un dovere, non un diritto. Se permettete, in Parlamento prendo la parola esattamente come voi. È difficile che mi impediate di parlare, urlando e interrompendomi.
Peraltro, ho apprezzato alcune delle considerazioni svolte dai colleghi anche dell'opposizione. Non sono una persona affetta da ideologismo e voglio confrontarmi con le affermazioni intelligenti che ascolto. Se insisto su quello che non condivido è perché credo che sia necessario capire quali sono i punti di divisione.
È stato affrontato, sia dalla collega Cossutta che dalla collega Bolognesi, il tema della contraccezione per non abortire. Ieri, onorevole Bolognesi, non ho potuto risponderle subito perché non avevo compreso il tema che lei voleva sollevare. In effetti, è in corso un'iniziativa dei Ministeri della salute e dell'istruzione - spero che questo elemento sia colto positivamente rispetto alle questioni legate alla sessualità poste anche dall'onorevole Zanella - per l'avvio e la diffusione, in tutte le scuole secondarie del paese, di una campagna informativa per i giovani sull'educazione alla sessualità e al controllo delle malattie sessuali. Il Centro di coordinamento delle malattie, che per fortuna ha un direttore la cui competenza e professionalità avete esaltato, il dottor Greco - questo mi rassicura sul fatto che ne apprezzerete il lavoro, e comunque alle nostre carenze supplirà l'intelligente opera delle regioni -, si sta occupando di produrre al riguardo degli opuscoli, che sono in corso di stampa. Per quanto riguarda la popolazione immigrata, è in corso di avanzata elaborazione un protocollo d'intesa con l'Organizzazione mondiale delle migrazioni delle Nazioni Unite, per sviluppare iniziative comuni a favore delle donne immigrate.
Questo vuol dire che con la contraccezione affrontiamo il problema dell'aborto o della prevenzione? Non vorrei che si confondessero le carte in tavola. Posso capire che si informino i giovani sull'esistenza dei metodi contraccettivi, ma mi rifiuto di pensare che questo possa essere un tema per la prevenzione dell'aborto. Semmai, è un tema che riguarda la prevenzione della malattia, non dell'aborto. Su questo vorrei che ci fosse chiarezza.

MAURA COSSUTTA. Scusi, ministro, ma l'Istituto superiore di sanità dice il contrario.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Come ministro di questo paese ho il diritto di esprimere le mie opinioni. Ebbene, è mia opinione che, mentre ha un senso parlare di contraccezione con riferimento alla prevenzione di una malattia terribile, credo che si debba stare attenti nell'affermare la necessità di controllare le nascite.
Al contrario di voi, mi muovo nel solco della legge n. 194, che all'articolo 1 nega che l'aborto possa essere considerato uno strumento per il controllo delle nascite. Voglio assicurare, in particolare all'onorevole Bolognesi, che c'è un convincimento da parte dell'intera maggioranza, anche dell'onorevole Fini, che è contrario all'aborto...

MAURA COSSUTTA. Anche noi siamo contro l'aborto!

TIZIANA VALPIANA. Anche noi siamo contro l'aborto!

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Non si percepisce così facilmente che siete contro l'aborto.

MAURA COSSUTTA. Questo è vergognoso!

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Vergognoso è il suo atteggiamento quando mi accusa di voler cambiare la legge. Se permette, anch'io ho il diritto di dirle che non si percepisce la sua ostilità all'aborto. (Commenti dell'onorevole Maura Cossutta).
Ho ascoltato con religiosa attenzione i vostri interventi e vorrei che anche a me fosse consentito di esprimere le mie opinioni.

TIZIANA VALPIANA. Basta che non offenda.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Non sto offendendo. È lei che mi offende quando sostiene che voglio attaccare le donne. Moderi le parole, dunque.

GIULIO CONTI. Dal 1995 al 2001 non è mai venuto nessuno, salvo una volta la Bindi! Una sola volta la Bindi in sette anni! (Commenti degli onorevoli Valpiana, Bolognesi e Maura Cossutta).

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Sto cercando di rispondere alle vostre argomentazioni, ma posso anche concludere qui, se c'è un problema che definirei di ordine pubblico. Gradirei che mi si ascoltasse civilmente, senza affermare che dovrei vergognarmi. Non devo vergognarmi proprio di nulla, voglio che questo sia chiaro.
Esistono aspetti sui quali possiamo lavorare insieme, a condizione che ci sia buona fede da parte di tutti. Onorevole Bolognesi, lei ha affermato - le dimostro che ho ascoltato tutto e su tutto voglio tentare di rispondere - che sulla bozza di protocollo non mi sono confrontato con le regioni. Trattandosi di una proposta che rivolgo alle regioni, come faccio a confrontarmi con il soggetto a cui devo inviarla? Stia certa che proprio il meccanismo che ho voluto scegliere, quello dell'intesa in Conferenza Stato-regioni, ci costringe a trovare l'intesa con le regioni. Peraltro, non si tratta di un passaggio obbligatorio, dal momento che la legge prevede, all'articolo 16, che debba essere il ministro a formulare le domande. Io, invece, ho proposto di concertare le domande insieme alle regioni. Questa è la «prova provata» della volontà di arrivare a un percorso condiviso con il sistema delle regioni, proprio perché oggi è un'era diversa rispetto a quella che ha preceduto la riforma del Titolo V.
Del resto, ho notato l'apprezzamento sul metodo da parte dell'onorevole Bindi e dell'onorevole Labate. Posso assicurare al presidente Palumbo che tali questioni saranno oggetto - una volta presentata la bozza di protocollo e ricevute le proposte delle regioni - di integrazione.
Non voglio sollevare altre polemiche, ma vi assicuro che ce ne sarebbe la ragione, considerando i toni usati di chi ha parlato di terrorismo psicologico. Non vorrei che il terrorismo psicologico fosse imputabile a chi fa riferimento a una religione. Ad esempio, voi avete parlato del Movimento per la vita, ma non potete pensare che il volontariato cattolico, in questo paese, possa servire soltanto a sfamare i barboni a Natale e non anche a tentare di sostenere i diritti di una donna in gravidanza. Vorrei che questo tasso di ideologismo fosse eliminato dalla discussione politica.

MARIDA BOLOGNESI. Sul costo dei farmaci anticoncezionali non mi ha risposto.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Cercherò di rispondere a tutto, ma non avevo colto questa domanda. Sicuramente ha ragione chi sostiene - lo hanno fatto con particolare chiarezza gli onorevoli Petrella e Labate - che dal 1978 ad oggi si registra un calo del 43,5 per cento di aborti, un dato che non ho avuto difficoltà ad ammettere. Tuttavia, davvero pensate che sia un dato sul quale festeggiare? Forse ritenevate che, con la legge sull'aborto, il numero delle interruzioni di gravidanza dovesse conoscere un aumento? Credo, insomma, che il calo sia una normale conseguenza della legge, ma quello che mi preoccupa è capire come mettere in atto una politica di prevenzione rispetto all'aborto. Personalmente ritengo che questo sia il punto centrale della discussione. Quando si cita la diminuzione del numero degli aborti, sembra quasi che questo debba significare non parlare più della legge n. 194 e disattenderne le norme.
Vi ricordo che la legge n. 194 non parla solo di aborto, ma anche di diritto alla vita, di tutela della maternità, e quant'altro.

MARIDA BOLOGNESI. È sul concetto di prevenzione che sbaglia.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Può darsi che io sbagli, ma consentirà che possiamo avere - e per fortuna - opinioni diverse. Le assicuro, comunque, che ho imparato molto dal dottor Greco. Chi ha avuto modo di ascoltarlo dall'altra parte, forse ne ha dimenticato la lezione. Sono stato parlamentare anch'io, ma non ho mai riservato un trattamento del genere a un ministro. Comunque, siete liberi di adottare l'atteggiamento che ritenete più opportuno.
Ho preso appunti quando voi avete formulato le vostre domande e vorrei rispondere. Mi dispiace che vi innervosiate su ogni cosa che dico, ma anch'io ho il diritto di esprimere la mia opinione. Forse si vuole smentire quello che ho detto prima, che non ci sono state barricate...

GRAZIA LABATE. Signor ministro, non voglio essere scortese, mi rivolgo a lei con molto garbo. Lei sostiene che noi citiamo il dato del calo del 43,5 per cento degli aborti come se ne fossimo contenti e appagati. Non è così. Citiamo questo dato per dire che se la legge ha prodotto questa diminuzione è stata efficace e si sta muovendo nella direzione giusta. È evidente, però, che l'obiettivo è quello di arrivare al 100 per cento della prevenzione. Su questo siamo tutti d'accordo. Non vorrei che lei desse alle nostre parole un significato...

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Quello che lei dice non è una grande novità, per quello che mi riguarda. Per questo mi meraviglia l'enfasi con la quale si riporta il dato della diminuzione degli aborti: l'ho scritto nella mia relazione, dove ho sottolineato che, dal punto di vista dell'interruzione volontaria della gravidanza, questa legge è uno dei sistemi migliori del mondo.
Per queste ragioni mi stupisce la rappresentazione enfatica di un aspetto della legge - la diminuzione degli aborti -, mentre si omette di fare, al contempo, una considerazione su quello che sarebbe potuto accadere, in positivo, se ci fosse stata più prevenzione. Eppure mi sembra quasi una banalità, che nessuno dovrebbe negarmi il diritto di dire, e invece crea scandalo.
Non credo di dire qualcosa di dissennato. In questo paese possiamo avere due opinioni diverse sulle politiche di prevenzione, ma se ne fosse stata attuata almeno una delle due forse sarebbero nati più bambini. È un delitto aspirare ad una società in cui nascano più bambini? Non credo. È un delitto sperare che nella società diminuiscano le condizioni che possano costringere la donna ad abortire? Non credo che queste siano aspirazioni insensate. Se stiamo dicendo le stesse cose, non le contestate. Lasciatemele dire, ed io sarò l'uomo più felice del mondo. Non mi sembrava, comunque, che il clima fosse questo.
Il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva mi darà la possibilità di conoscere l'opinione del Parlamento sulle politiche di prevenzione. Lo leggerò, dunque, con grande attenzione.

MAURA COSSUTTA. Lo dica al dottor Greco, così si cambia il sistema di sorveglianza della legge!

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Per quanto riguarda le questioni poste dall'onorevole Bindi, credo di aver già risposto, in parte, ad alcune di esse. Richiamando la sua esperienza nello scrivere le relazioni, l'onorevole Bindi ha affermato che le sue relazioni trattavano il riparto delle risorse dei consultori. Ho già spiegato che questo oggi non è più nella disponibilità del ministro, ma è un tema che attiene al fondo sanitario nazionale. Sulla possibilità di finanziamenti in sede di finanziaria, è legittimo avere opinioni diverse. Ogni Governo, nella definizione delle leggi finanziarie, ha tradizionalmente opinioni diverse, rispetto all'opposizione, sull'attribuzione dei fondi ai vari settori, e segnatamente alla sanità. Per noi passare da 90 a 93 milioni di euro significa aumentare le risorse, per voi la stessa cifra rappresenta un taglio delle risorse. Comunque, può esservi spazio per una discussione, anche senza frequentare il liceo scientifico, a patto che si riconosca che esiste una differenza profonda fra ieri e oggi.
Che si sia arrivati tardi a questa indagine credo lo riconosca anche l'onorevole Anna Maria Leone, che ha promosso questa iniziativa. Del resto, è innegabile, siamo a fine legislatura. La questione più seria posta dall'onorevole Bindi (alla quale non sarà facile dare risposta in due mesi, ma bisogna almeno provarci) è la seguente: siamo convinti che sia rilevabile il dato sulla prevenzione? Questa è la questione più importante e per affrontarla dobbiamo sforzarci - noi collaborando con le regioni e il Parlamento svolgendo questa indagine - di capire quali sono le domande da formulare per avere risposte utili al fine di affrontare la questione della prevenzione. Non basterà semplicemente un questionario, ma parlo di domande sociali e di questioni che vanno poste ai cittadini.
Da parte nostra, la risposta a questa domanda impegnativa è la proposizione di un metodo concertativo, in particolare con le regioni. È chiaro che bisogna seguire questa strada - rispondo così anche agli onorevoli Labate e Galeazzi -, altrimenti non risolviamo nulla.
Come mai, dunque, si è arrivati tardi a questa indagine? Perché è riesplosa questa questione? Tenterò di ricostruire cronologicamente i diversi momenti - ringrazio il dottor Greco per l'ausilio prezioso che ci ha offerto nella ricostituzione dei dati che metto a disposizione del Parlamento - che hanno determinato questa scelta.
Questo dibattito - l'ho detto ieri, ma forse non sono stato chiaro - non è cominciato quattro anni fa ed è rimasto nel cassetto della Commissione affari sociali, ma è cominciato a settembre, quando un signore, che probabilmente vedremo in Parlamento nella prossima legislatura, ha deciso di sperimentare, all'ospedale Sant'Anna di Torino, la cosiddetta pillola abortiva.
Storicamente, dunque, questo dibattito ricomincia a settembre. C'era stata la tensione referendaria, ma era tutto passato, e il popolo italiano si era espresso come sappiamo. Del resto, non possiamo impedirglielo, non possiamo chiudere i seggi.

MARIDA BOLOGNESI. Anche sulla legge n. 194 si era già espresso.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. E infatti, non c'è una proposta modificativa della legge n. 194.

TIZIANA VALPIANA. É la conferma che noi l'avevamo chiesto dal 2001.

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Voi lo avevate chiesto, ma io ero in tutt'altre faccende affaccendato. Poi mi avete costretto - permettetemi di scherzare con questo termine - a venire qui e adesso mi occupo di questa materia.
A settembre, dunque, è stato avviato un percorso innovativo - con questo non esprimo un giudizio positivo o negativo - presso la struttura ospedaliera di Torino. Questo professore, che diventerà parlamentare, a settembre annunciava la sperimentazione della pillola RU 486. A quel punto, ho dato vita ad un contenzioso con questa struttura, chiedendo garanzie della tutela della salute della donna. In particolare, mi preoccupava che, tra la prima e la seconda somministrazione, a dosaggio differente rispetto a quello indicato nei paesi dove la pillola abortiva è registrata, non ci fosse un controllo medico. Ho chiesto che fosse rispettato il disposto della legge n. 194 - non ho chiesto e non chiedo di modificarla - secondo il quale, nel percorso ospedaliero, è previsto che un medico affianchi la donna che abortisce. Insomma, inizia questo percorso di sperimentazione, che immagino serva per verificare l'efficacia del farmaco. Nel frattempo, altre regioni credono che lo stesso sia già efficace, ma nessuno ha mai chiesto la sperimentazione di questo farmaco, nemmeno all'EMEA. Su questo tema, faccio miei i dubbi posti dall'onorevole Fioroni, in un'intervista al Corriere della Sera, laddove, considerando la circostanza che la ditta produttrice non ha presentato domanda in Italia, si è chiesto se ci siano problemi scientifici. Per quanto mi riguarda, mi pongo la questione in termini scientifici, perché se volessi utilizzare argomenti politici potrei fare riferimento a quello che ha affermato l'onorevole Maria Pia Garavaglia, secondo la quale l'adozione generalizzata della pillola RU 486 apre nel paese un'enorme crepa sociale (lo ha scritto lei, su Il Foglio, non io).
Ci sono, dunque, argomenti scientifici e politici, ma io voglio restare sul binario scientifico, che è quello che ci deve interessare, tanto è vero che ho chiesto al Consiglio superiore di sanità di verificare che cosa concretamente si può fare in questo ambito.
Con riferimento all'intervento dell'onorevole Massidda, qualcuno può spiegarmi perché dal 1997 si possono finalmente acquistare all'estero confezioni di farmaci che non sono registrati in Italia, per determinate esigenze dell'individuo certificate dal medico, ma improvvisamente quest'anno si dà luogo a questa richiesta di farmaci? Dal 1997 al 2004 non c'è stata una sola regione, un solo medico che abbia chiesto una sola pillola RU 486. In base alla norma che ho citato, sono arrivate in Italia 10 mila confezioni di farmaci all'anno, senza che mai fosse stata chiesta una sola pillola RU 486. Onorevole Massidda, perché solo quest'anno, e non dal 1997? Il Parlamento, su queste materie, ha il diritto o il dovere - fate voi - di interrogarsi se non ci sia strumentalità nelle diverse posizioni. Se è vero che, come dite, siete contro l'aborto, non vorrei incentivarlo.

MARIDA BOLOGNESI. Non sa di cosa parla! C'è un limite all'ignoranza! (Commenti dell'onorevole Valpiana e dell'onorevole Maura Cossutta).

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Onorevole Valpiana, lei ha posto una questione giusta. Se l'aborto farmacologico rispetto a quello chirurgico è un'alternativa sicura per una donna, avete ragione voi, ma voglio esserne sicuro.
Di fronte all'ardimento della sperimentazione a Torino, di fronte all'ardimento di quanti vanno a comprare la pillola all'estero, avendo dimenticato di farlo fino al 2004, volete forse che la maggioranza e il Governo tacciano? Tutti possono parlare e noi non possiamo chiedere cosa sta succedendo? Davvero pensate che si debba ridurre all'angolo la voce di chi la pensa diversamente dagli sperimentatori, da quelli che vogliono acquistare all'estero un farmaco, e via dicendo? È davvero una bella pretesa.

MARIDA BOLOGNESI. Ma questo è un intervento istituzionale o da capogruppo di Alleanza nazionale? Non mi pare un discorso da ministro!

FRANCESCO STORACE, Ministro della salute. Non lo so, faccia lei. Spero di non dover mai sentire da lei un discorso da ministro. Onorevole Bolognesi, siete stati voi a fare i comizi ed io ho risposto puntualmente alle vostre argomentazioni. Se pensate di poter intimidire le persone ed i politici, vi sbagliate di grosso. Credo di aver fatto il mio dovere nell'esporre alla Commissione le mie intenzioni e le mie opinioni: ritengo di avere il diritto di farlo. Se pensate che l'Italia possa vedere voi in condizioni di supremazia e noi in condizioni di inferiorità, vi sbagliate di grosso.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Storace e dichiaro conclusa l'audizione.
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 13,05, è ripresa alle 13,15.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità e dell'Istituto nazionale di statistica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione di rappresentanti dell'istituto superiore di sanità e dell'istituto nazionale di statistica.
Sono presenti: per l'Istituto superiore di sanità, il dottor Michele Grandolfo, dirigente di ricerca presso il Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute; per l'Istituto nazionale di statistica, la dottoressa Roberta Crialesi, dirigente del servizio sanità e assistenza, la dottoressa Alessandra Burgio, capo servizi sanitari e quadro epidemiologico, e la dottoressa Marzia Loghi, ricercatrice nell'area salute materna infantile.
Nel salutare i nostri ospiti, colgo l'occasione per ricordare l'intento dell'indagine conoscitiva in corso, la quale mira a verificare lo stato di attuazione della legge n. 194 senza certamente volerne rimettere in discussione la validità: si tratta, in particolare, di prendere in esame le funzioni attribuite ai consultori e i servizi da essi svolti. Sottolineo anche che non intendiamo controllare l'attività dei consultori, tenuto conto che il loro campo d'azione è amplissimo e non è affatto limitato all'applicazione della citata disciplina.
Ringrazio ancora i nostri ospiti per la loro disponibilità e do immediatamente la parola al dottor Michele Grandolfo, affinché ci illustri la sua relazione.

MICHELE GRANDOLFO, Direttore del reparto salute della donna e dell'età evolutiva del Centro Nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore della sanità. L'istituto superiore della sanità ha realizzato, in collaborazione con il Ministero, le regioni e l'istituto centrale di statistica, un sistema di sorveglianza attiva per seguire l'andamento del ricorso all'aborto nel nostro paese, praticamente dalla legalizzazione ad oggi. Il sistema di sorveglianza è stato alla base per la predisposizione delle relazioni che i ministri della sanità e della salute hanno annualmente presentato al Parlamento, come prescritto dalla legge. Il sistema di sorveglianza è stato utile anche per stimolare la formulazione di ipotesi interpretative del fenomeno e, quindi, per poter condurre ricerche di approfondimento ed identificare possibili strategie di intervento per la prevenzione dell'aborto.
Noi, in effetti, abbiamo condotto molte ricerche, alcune anche con modelli matematici, che ci hanno permesso di verificare alcune ipotesi essenziali. La legalizzazione aveva l'obiettivo di eliminare, o ridurre consistentemente, l'interruzione volontaria di gravidanza clandestina. Con modelli matematici abbiamo effettivamente verificato una riduzione dell'80 per cento dell'abortività clandestina stimata nel nostro paese (stimata, appunto, in quanto clandestina e quindi non accertabile) nel periodo compreso tra il 1982 e il 2001. Le stime sono state effettuate attraverso l'uso di tecniche consolidate a livello internazionale che hanno reso possibile valutare il fenomeno: dai centomila aborti clandestini stimati nel 1982, si è passati ai ventimila stimati nel 2001, con una riduzione - ripeto - di circa l'80 per cento. La localizzazione degli aborti clandestini, secondo i nostri modelli matematici, è soprattutto al sud: nel 1982 era localizzato al sud il 70 per cento, nel 2001 il 90 per cento.
La ragione della persistenza degli aborti clandestini al sud - come peraltro la situazione anomala della regione Puglia rispetto alle altre aree meridionali dimostra e come dimostrano anche i nostri studi approfonditi sui movimenti migratori delle donne - risiede nella carenza dei servizi che effettuano l'interruzione volontaria di gravidanza. In un contesto territoriale in cui mancano i servizi di interruzione volontaria di gravidanza - lo abbiamo studiato e verificato - le donne più istruite, ossia quelle provviste in partenza di una competenza maggiore, riescono a cercare salute e servizi, mostrando un atteggiamento - definito in inglese «health seeking behaviour» - che è appunto diretto a tale scopo. Le donne che hanno meno competenze, e caratterizzate da una maggiore privazione sociale, tendono invece a ricorrere ancora all'aborto clandestino. La carenza di servizi è, quindi, la causa della persistenza di questo fenomeno.
In Puglia, un'importante regione meridionale dove fin dall'inizio fu organizzata l'applicazione della legge in tutte le USL regionali - anche con l'attivazione, oltre a quanto già previsto, di convenzioni con cliniche private (mediamente la quota è del 20 per cento, mentre nell'area pugliese il livello si attesta addirittura intorno al 40 per cento) -, il servizio è garantito ovunque e, in effetti, la Puglia ha presentato il più alto tasso di abortività, come avrebbe dovuto essere per le altre regioni meridionali. Tale risultato indica quale sia stato l'impatto della legge, giacché la regione Puglia ha presentato la più consistente riduzione del tasso di abortività clandestina, dall'anno di massima - il 1982 - ai giorni nostri.
È chiaro che la riduzione del tasso di abortività ha una spiegazione soltanto nell'ipotesi in cui l'aborto sia considerato come ultima ratio, e non come una scelta di elezione. Naturalmente, già la legge prescriveva che l'aborto non fosse utilizzato come mezzo di controllo delle nascite e, in effetti, questo era un elemento molto importante. È chiaro, infatti, che se l'aborto fosse stata una scelta di elezione, la sua legalizzazione avrebbe determinato una maggiore facilitazione del ricorso all'aborto e, quindi, avremmo dovuto osservare nel tempo un aumento del tasso di abortività.
Una riduzione così consistente del tasso di abortività è proprio spiegata dal fatto che l'aborto è stato considerato come ultima ratio, nel senso che la donna ha tentato - come le nostre indagini hanno verificato -, fino all'ultimo attimo del concepimento, di ricorrere a strumenti per la procreazione responsabile, rivelatisi poi fallimentari: dalle dettagliate analisi dei questionari emerge che il fallimento è dovuto fondamentalmente all'uso di metodi a bassa efficacia, o ad un loro uso scorretto, da cui è derivata così una gravidanza indesiderata. Se la legalizzazione favorisce la circolazione dell'informazione, così com'è stato, e soprattutto se i servizi si attivano, perché così prescrive la legge, come appunto si attivano i consultori familiari per promuovere la consapevolezza e le competenze sulla prevenzione responsabile, è chiaro che l'effetto che avremmo dovuto osservare sarebbe stato proprio quello della riduzione del ricorso all'aborto. E così è stato. Sono due le dimostrazioni puntuali e dettagliate di questa interpretazione. Da una parte, il fatto che le donne più istruite, giusto per fare un esempio, hanno presentato una riduzione del ricorso all'aborto più rapido rispetto alle donne meno istruite, e cioè le donne più competenti hanno avuto più possibilità di accedere all'informazione, più possibilità di accedere ai servizi. E, in effetti, la riduzione è stata più imponente e più rapida. Questa è la conferma che si tratta di una questione di competenza da aumentare.
Dall'altra parte, vi è stato un fenomeno un po' più complesso da analizzare - e comunque al riguardo ho presentato documenti -, quello degli aborti ripetuti che nel tempo hanno avuto un'evoluzione. Oggi, a quasi trent'anni dalla legalizzazione, sono la metà di quelli attesi. Noi infatti possiamo stimarli con un modello matematico; possiamo stimare quant'è la proporzione di aborti ripetuti da osservare dopo un certo numero di anni dalla legalizzazione. Per l'anno 2003, infatti, attendevamo qualcosa come un 45-46 per cento di aborti ripetuti; ne abbiamo osservati soltanto il 24 per cento. E se da questi scorporiamo soltanto i dati delle donne italiane, questa percentuale si attesta intorno al 20 per cento.
Questa è l'ulteriore, definitiva dimostrazione che è aumentata la competenza delle donne e delle coppie nel gestire la fecondità con i metodi della procreazione responsabile, ed è stata questa la causa determinante della riduzione dei ricorsi all'aborto. E ciò è stato ottenuto grazie al ruolo determinante dei consultori familiari pubblici.
Diversa è stata l'evoluzione del fenomeno in altri paesi, dove non esistono servizi come i consultori familiari italiani. E vorrei sottolineare che i consultori familiari italiani hanno una originalità che li colloca come essenziali nel contesto internazionale. La cosa sorprendente è che l'Organizzazione mondiale della sanità, nell'analizzare le caratteristiche dei servizi, dopo tanti anni di riflessioni e alla luce dei fallimenti degli interventi sbagliati fatti nei paesi del terzo mondo, ha svolto una riflessione su quali fossero le caratteristiche essenziali e i servizi di primo livello per la salute della donna e dell'età evolutiva, delineando dei servizi esattamente corrispondenti ai nostri consultori familiari. Il nostro paese, cioè, ha anticipato di oltre venticinque anni le attuali consapevolezze a livello internazionale. In altri paesi questi requisiti sono assenti, non per mancanza di servizi per la contraccezione, o per la procreazione consapevole, ma per assenza di qualità relazionale e capacità di interlocuzione adeguate che aiutino a cogliere divari determinanti degli stati di salute, senza avere un modello riduttivo di tipo biomedico. Proprio tale capacità è espressa nel consultorio familiare grazie alle presenze multidisciplinari. Questa è stata la ricchezza fondamentale del nostro paese.
Vorrei anche sottolineare come non sono sempre state rose e fiori, ma la cosa interessante era proprio la presenza di figure professionali diverse a stretto contatto fisico fra loro (il presidente Palumbo lo sa, avendo condiviso con me l'esperienza dei corsi di formazione nella regione Sicilia, tra l'altro fra i migliori in Italia), che arricchiva le varie competenze, per cui il ginecologo assorbiva in qualche modo le competenze dello psicologo, o del sociologo, o dell'assistente sociale, e viceversa. Vi era, quindi, una condivisione di tale multifattorialità degli aspetti della salute. E questo è stato un elemento determinante.
Naturalmente, dire che i consultori familiari hanno avuto un ruolo determinante nella riduzione del ricorso all'aborto è un'affermazione che si basa, appunto, sulla capacità e sul lavoro che i consultori stessi hanno svolto, pur in difficoltà straordinarie. E su questo vorrei tornare in conclusione.
Tra l'altro - come dimostrano anche altri studi, alcuni dei quali già presentati al Parlamento in precedenti audizioni - quando confrontiamo, per un'area strategica di intervento quale è l'area della nascita, i servizi consultoriali con servizi di altro tipo, privati od ospedalieri - si prenda il caso dei corsi di accompagnamento al parto - riscontriamo da un lato, un più alto grado di soddisfazione, da parte delle donne, per il livello di informazione ricevuto, dall'altro - si tratta però di una percezione femminile, che è importante rilevare ma non ci dice più di tanto -, degli esiti di salute migliori, sia per la mamma sia per il bambino
E noi, ancora una volta, giustifichiamo tale differenza per il fatto che i consultori familiari hanno una capacità di relazione efficace per determinare crescita di conoscenze, competenze e consapevolezze. Questo è un dato che noi, con le nostre ricerche, abbiamo evidenziato e che abbiamo proposto costantemente in tutte le commissioni nazionali, istituite dai vari ministri, dalla fine degli anni ottanta.. Ricordo, in primis, che quando il ministro Donat Cattin, nel 1987, istituì un comitato operativo materno-infantile, un tema all'ordine del giorno era la natura e la qualità operativa dei consultori familiari. Venne fuori un documento che proponeva il potenziamento - uno ogni ventimila abitanti - e una riqualificazione dei consultori. Il ministro Donat Cattin prese atto delle risultanze di questa commissione presieduta dal futuro ministro Guzzanti - lo dico perché il ministro Guzzanti successivamente ha avuto a riguardo un ruolo decisivo - e decise lo stanziamento di 25 miliardi per la rete dei consultori familiari nel sud, riconoscendo proprio in tale area una particolare carenza dei servizi. Successivamente, nel 1995, il ministro Guzzanti, memore di quell'esperienza, in occasione dell'istituzione di una commissione che doveva occuparsi di gravidanza, parto e puerperio, soprattutto per quanto atteneva al problema dell'esenzione dal ticket per le visite e le diagnosi in gravidanza, mi pregò di partecipare e dirigere il gruppo di lavoro per rianalizzare quel vecchio documento della commissione di cinque anni prima. Naturalmente, si propose un documento sostanzialmente analogo, dato che il primo manteneva tutta la sua attualità. La cosa interessante è che, nella discussione della relazione presentata da ministro al Parlamento, la Commissione affari sociali concordò con il ministro una decisione importante di potenziamento dei consultori familiari e, con il decreto-legge n. 34 del 1996, poi convertito, contenente provvedimenti urgenti per l'edilizia ospedaliera, si introdusse l'articolo 3 che, stanziando 200 miliardi per il potenziamento della rete consultoriale su tutto il territorio nazionale, dava anche l'indicazione, a questo punto con forza di legge, di istituire un consultorio ogni ventimila abitanti. La legislatura cadde, e ci sarebbe da domandarsi come siano stati impiegati quei soldi. Sicuramente una parte bene, un'altra meno. Devo, comunque, dire di avere una conoscenza diffusissima dei consultori familiari e delle realtà territoriali; credo non ci sia operatore consultoriale che non mi abbia incontrato almeno una volta nell'arco della sua vita lavorativa, così come credo di aver visitato moltissimi consultori familiari, di aver lavorato con loro e di aver realizzato indagini e ricerche molto importanti. Posso, quindi, affermare con molta convinzione che da queste indagini - le colleghe dell'ISTAT sanno quanto sia delicato, nell'indagine campionaria effettuata con metodo scientifico, avere la rispondenza delle persone da intervistare - è emerso che la rispondenza dipende dalla qualità relazionale. Abbiamo svolto indagini con livelli di rispondenza che sfiorano, sempre e costantemente, il 90 per cento, e questo è possibile soltanto con la qualità relazionale (necessarie anche nell'investigazione, dove essa è fondamentale per ottenere dati accurati). E i consultori familiari impegnati in queste relazioni, che hanno lavorato sempre con grande entusiasmo, hanno dimostrato, appunto, di avere queste competenze, meritandosi un giudizio sempre straordinariamente positivo, dal 1987 in poi. Lo dimostra il fatto che, quando le istituzioni si sono domandate cosa fare dei consultori familiari, le conclusioni sono state sempre quelle di un loro potenziamento.
L'ultima commissione, quella per la delineazione e la scrittura del progetto obiettivo materno-infantile, fu istituita dall'onorevole Bindi e presieduta dal dottor Oleari:; essa portò a termine il suo lavoro e l'obiettivo fu raggiunto nel 2000. Ebbene, proprio tale progetto materno-infantile pone al centro dei servizi, con un ruolo assolutamente strategico, i consultori familiari, riallacciandosi al decreto n. 34 del 1996, che aveva previsto un consultorio ogni ventimila abitanti, individuando con estremo dettaglio e chiarezza le azioni da fare, gli indicatori per la valutazione della qualità di queste azioni, nonché gli obiettivi da raggiungere. C'è, quindi, un quadro completo da cui la progettazione operativa può prendere le mosse per realizzare interventi di promozione della salute, nel campo della salute adolescenziale, in quello della salute della donna, e quindi della famiglia, e nel campo della prevenzione dei tumori femminili. Basta leggere il progetto obiettivo materno-infantile per notare come, in realtà, esso spazi su tutti gli ambiti della salute femminile, dell'età evolutiva, e soprattutto su tutte le problematiche della famiglia. I consultori familiari, quindi, hanno svolto un ruolo importante e hanno ricevuto questo riconoscimento. C'è da aggiungere che, caduta la legislatura, il progetto obiettivo materno-infantile è rimasto in qualche modo appeso. Per me, che ho avuto un ruolo decisivo nella scrittura del testo, è stato comunque motivo di enorme soddisfazione vedere come la nuova legislatura abbia incorporato integralmente il progetto obiettivo materno-infantile nei livelli essenziali di assistenza. Le cose raccomandate in quel caso sono proprio i diritti di salute, così come i livelli essenziali di assistenza rappresentano. Questo è quanto è emerso dal sistema di sorveglianza e dalle ricerche condotte, nonché dall'esperienza del nostro rapporto con le istituzioni. Noi abbiamo assolto ad un dovere essenziale, cioè quello di fornire alle istituzioni gli elementi scientifici per la valutazione, un compito svolto nel rispetto della legge.
Permettetemi, in conclusione, un riferimento personale. Quando sono entrato in istituto come ricercatore, vincendo un concorso pubblico, ho giurato sulla Costituzione e sulle leggi dello Stato. Quando, poi, ho vinto il concorso a dirigente di ricerca ho giurato di nuovo, perché questa era la caratteristica degli statali. Io sono, pertanto, affezionato a questi giuramenti, e ritengo di dover lavorare sempre nel rispetto delle leggi e, soprattutto, dando alle istituzioni elementi di giudizio che abbiano un fondamento scientifico. Se così non facessi, e se così non facessero il mio gruppo di lavoro e lo stesso istituto, violeremmo un mandato istituzionale fondamentale a noi affidato.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Grandolfo per il suo intervento. Do ora la parola alla dottoressa Crialesi, affinché possa offrire il suo contributo all'indagine conoscitiva in corso.

ROBERTA CRIALESI, Dirigente del servizio sanità e assistenza dell'Istituto nazionale di statistica. Il contributo dell'ISTAT a questa discussione può solo aggiungere alcuni dati statistici al quadro già delineato dal dottor Grandolfo, spostando l'attenzione, però, più sull'evoluzione del fenomeno dell'abortività volontaria, in quanto l'ISTAT non possiede dati sui consultori.
Sappiamo che questa è un'informazione raccolta ed elaborata dal Ministero della salute. Tuttavia, l'ISTAT, sin dall'entrata in vigore della legge n. 194, ha istituito una rilevazione esaustiva sull'intero territorio nazionale. Ogni anno vengono rilevate informazioni sulle interruzioni volontarie di gravidanza, sulle caratteristiche delle donne che fanno ricorso alla IVG e sulle caratteristiche dell'intervento stesso. Da queste informazioni è possibile dedurre anche alcune notizie riguardo all'uso dei servizi, soprattutto per quanto riguarda il rilascio della certificazione.
Dalle indagini ISTAT, un elemento interessante che emerge a proposto dei consultori familiari è che nel 2003 il consultorio familiare, per la prima volta, è stato il servizio più utilizzato per la richiesta di certificazione da parte di donne che ricorrono ad IVG. Alcuni dati testimoniano che il ricorso al consultorio familiare si attesta intorno al 34 per cento rispetto, ad esempio, al medico di famiglia, o ad altri servizi. Questa è veramente la prima volta che, nel corso della storia delle rilevazioni, raggiungiamo tale percentuale, ovviamente differenziata sul territorio nazionale. Ad esempio, nel centro e nel nord le percentuali sono nettamente superiori alla media nazionale, nel senso che, in particolare, sono del 45 per cento nel centro e del 41 per cento nel nord. Il sud, al contrario, si colloca su valori nettamente più bassi. Occorre segnalare che al nord e al centro è anche maggiore la presenza della popolazione immigrata. E a questo proposito, un elemento che potremmo analizzare meglio è proprio la componente della presenza di donne straniere nell'evoluzione del fenomeno della abortività volontaria. Anche in tale geografia, quindi, la presenza di donne straniere è determinante. Queste ripartizioni, dove è più massiccio il ricorso al consultorio familiare per le richieste di certificazioni, infatti, portano ad individuare le regioni a più forte immigrazione; ma è anche vero che, contemporaneamente, esse sottendono una diversa distribuzione dei servizi sul territorio nazionale, come ha già illustrato il dottor Grandolfo.
Un dato per tutti è tratto, ad esempio, dalla rilevazione effettuata dal Ministero della salute (tutti i dati, le tabelle ed i grafici richiamati sono allegati ad una breve nota che ho portato con me e che potrete consultare all'occorrenza). Dalle informazioni raccolte, si evince che il sud ha un tasso di presenza di consultori familiari pubblici pari al 3,2 per centomila abitanti, nettamente al di sotto della media nazionale del 4,3 per centomila abitanti. Al nord, invece, si registra una presenza di cinque consultori ogni centomila abitanti e al centro, di poco inferiore, con 4,7 per centomila abitanti. Questo per quanto riguarda il tema più pertinente alla richiesta.
Dalle indagini che l'ISTAT conduce a partire dal 1980 è possibile tracciare anche un quadro molto coerente dell'evoluzione del fenomeno dell'abortività nel tempo. Non diciamo nulla di nuovo, si tratta di dati che dovrebbero essere ben conosciuti, oggetto di relazioni annuali, ma vale la pena sottolinearli, dato il carattere di esaustività della rilevazione dell'Istituto, e dato il carattere di garanzia di validità scientifica e di omogeneità sul territorio nazionale dei dati raccolti, che quindi ci consentono di effettuare con tranquillità confronti significativi. Al riguardo, le rilevazioni sono molto eloquenti, perché, dall'entrata in vigore della legge n. 194 ad oggi, il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza è diminuito sensibilmente. In questo lungo arco temporale, se consideriamo le donne residenti in Italia, si è passati da 209.000 IVG nel 1980 a 124.118 nel 2003 (come dati assoluti). Si possono, poi, analizzare i livelli di abortività nel tempo. E per fare questo possiamo ricorrere ad un indicatore molto semplice, che è il tasso di abortività volontario, il rapporto tra il numero di IVG da donne in età feconda sull'ammontare di popolazione femminile, appunto, in età feconda. Dal grafico a pagina 2 dell'allegato, risulta che, se nel 1980 si avevano quindici IVG ogni 1.000 donne, nel 2003 siamo arrivati a nove interruzioni volontarie di gravidanza ogni 1.000 donne. Ovviamente, il calo ha avuto andamenti e ritmi diversi in questo lungo arco di tempo. C'è stata una fase iniziale, nei primi anni ottanta, di assestamento della rilevazione e anche di emersione del fenomeno della clandestinità, per cui i tassi e i livelli erano in aumento, raggiungendo il massimo intorno al 1985. Ma già dalla metà degli anni ottanta e fino alla metà degli anni novanta si assiste ad un calo costante, ad una riduzione costante dei livelli di abortività. Il dato si è stabilizzato a partire dalla metà degli anni novanta, attestandosi, comunque, sempre su livelli intorno a poco più di 9 IVG per ogni 1.000 donne. Il dato più recente, quello riferito al 2004, testimonia un piccolo incremento di circa il 2 per cento rispetto all'anno precedente. Parliamo, comunque, sempre di circa 127-128 mila interruzioni volontarie di gravidanza. Si tratta di una lieve ripresa, quindi, che va analizzata meglio per capire cosa contribuisca a tale stabilizzazione e a tale crescita.
In questo ci può essere utile (pagina 3 dell'allegato) l'analisi dell'evoluzione del fenomeno per classi di età. Molto sinteticamente, il dato saliente è che, sicuramente, le donne di età più avanzata, dai trentacinque ai quarantanove anni, continuano nel trend decrescente, mentre sono le più giovani a far registrare questo incremento. In particolare, l'incremento più consistente si registra proprio tra le donne più giovani, tra i 15 e i 19 anni, anche se i loro i livelli di abortività sono nettamente inferiori rispetto alle donne di classi di età successive.
La spiegazione di questo fenomeno è che un importante contributo a tale incremento, soprattutto fra le più giovani, è determinato dal ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza da parte di donne straniere. È la presenza delle donne straniere, infatti, che ha contribuito alla stabilizzazione e alla lieve ripresa, proprio tra le più giovani del ricorso a questa misura. Le donne straniere, infatti, sono mediamente più giovani delle italiane e presentano, esse stesse, una propensione al ricorso all'IVG di molto superiore rispetto alle coetanee italiane (stiamo parlando di una tendenza oltre quattro o addirittura cinque volte superiore tra le più giovani e tra le più giovani nubili addirittura 6 volte maggiore). I dati a questo riguardo sono veramente eloquenti.
Ovviamente, la presenza di donne straniere condiziona anche l'analisi per caratteristiche della donna. Possiamo osservare, ad esempio, che le donne nubili, recentemente, sperimentano una crescita nei livelli di abortività rispetto alle donne coniugate, cosa che in passato non avveniva. C'è, a proposito, un grafico veramente significativo, in cui si delinea chiaramente una forbice che vede nel 1996 il punto di contatto: i livelli di abortività delle coniugate e delle nubili avevano infatti raggiunto lo stesso livello, poi le curve si divaricano ed emerge questo dislivello, che tende, addirittura, ad ampliarsi, a svantaggio delle donne nubili. Anche in questo caso gioca la componente straniera: sono le donne nubili straniere a causare tale fenomeno.
Visto che la componente straniera è così importante nel determinare l'evoluzione del fenomeno dell'abortività, abbiamo cercato di analizzare i dati scorporando la componente straniera dalla componente italiana. Ebbene, è assolutamente evidente che la presenza di donne straniere maschera, in realtà, un calo sistematico del ricorso all'IVG da parte delle donne italiane. Si tratta di due tendenze contrastanti che sommate, di fatto, si annullano e contribuiscono a quella stabilizzazione che avevamo osservato, o a quella leggera ripresa proprio sulle più giovani e nubili. Tuttavia, non si può non tener conto di questo fattore, se vogliamo capire l'andamento del fenomeno dell'abortività.
In una tabella molto significativa, sono stati messi a confronto i tassi di abortività delle donne straniere e delle donne italiane. Sinteticamente abbiamo considerato tre anni di riferimento (1996, 2000 e 2002): in questo periodo, il numero dei casi di aborti delle italiane passa da circa 9 ogni mille donne (1996) a 8,5 (2000) per poi scendere a 8,1 (nel 2002)
Al contrario, invece, per le donne straniere avevamo 28 casi ogni mille donne nel 1996, passati a 35,5 ogni mille donne nel 2002. Si tratta, quindi, di una componente veramente decisiva nella determinazione del fenomeno in esame.
Un ulteriore elemento da sottolineare è che, sicuramente, queste donne straniere fanno anche un utilizzo diverso dei servizi: ritorniamo così al dato iniziale, quello cioè dei consultori. Sono infatti le donne straniere che, con maggior frequenza, ricorrono ai consultori familiari pubblici. Il dato è abbastanza netto perché nel 50 per cento dei casi le donne straniere si rivolgono ad un consultorio familiare per ottenere la certificazione, contro il 29 per cento delle italiane, le quali, invece, privilegiano il medico di famiglia.
Sicuramente queste informazioni si possono guardare in maniera più dettagliata, ma, in conclusione, direi che l'arresto del calo del trend di abortività volontaria, osservato a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, è dovuto essenzialmente all'aumento della presenza straniera in Italia.

PRESIDENTE. Rinnovo i ringraziamenti per le relazioni svolte e per le relazioni scritte depositate presso i nostri uffici. Saranno sicuramente utilizzate dai membri della Commissione per la stesura del documento conclusivo.

MAURA COSSUTTA. Speriamo anche dal ministro...

PRESIDENTE. Gli atti sono a disposizione di tutti. Il ministro li possiede già perché a lui arrivano prima che a noi.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre eventuali domande.

TIZIANA VALPIANA. Ringrazio veramente di cuore i nostri ospiti per la loro competenza e la grande gentilezza usata. Non è avvenuto così nella precedente audizione, e questo va sottolineato, perché la gentilezza dovrebbe essere dovuta, in una audizione in Parlamento; pare, invece, che così non sia. Ringrazio, soprattutto, gli ospiti presenti per essere venuti a fornirci dati e fatti invece di raccontarci, con furia crociata, la propria idea del mondo, che poi non corrisponde, come mostrano i dati che ci avete portato, alla realtà. Sono poi particolarmente lieta perché è la terza volta nella legislatura in corso, che il dottor Grandolfo viene in questa Commissione e nella Commissione infanzia. Le altre volte abbiamo avuto un tête-à-tête, ora finalmente anche qualcun altro, grazie alla «furia crociata», si interessa di questi argomenti che, invece, io trovo siano basilari e fondamentali in un paese che vuole procedere per la via della civiltà e che soprattutto intende rispettare l'autodeterminazione delle donne, aiutandole - come diceva inizialmente il dottor Grandolfo - a scegliere i servizi sanitari che sono a disposizione, o i servizi sanitari che andrebbero analizzando la realtà, incentivati.
Vorrei ora porre una domanda - qualora non disponiate di dati per rispondermi, posticiperete la risposta ad un secondo momento - rispetto all'obiezione di coscienza all'interruzione di gravidanza negli ospedali italiani. Provengo da una regione, il Veneto, e da una città, Verona, dove praticamente la totalità dei medici è obiettore di coscienza. Questo, evidentemente, da una parte, incrementa il turismo verso le province limitrofe, dall'altra, incrementa sicuramente - io non ho dati, ma li conosco empiricamente - il ricorso all'aborto clandestino. Non c'è dubbio che se un merito la legge n. 194 ha avuto e dal mio punto di vista ne ha avuti tanti è stato quello di far emergere un fenomeno clandestino, perché l'emersione, evidentemente, è l'unico mezzo che ci permette di controllare e indirizzare l'andamento della dinamica in esame.
Nella XII Commissione, nelle scorse legislature - in questa non ci è stato possibile, nonostante lo avessimo chiesto dal 2001 -, abbiamo analizzato la relazione del ministro sulla legge n. 194. Il dato emerso - ricordo una relazione svolta dalla collega Cossutta nel 1998 - era l'evidente relazione inversamente proporzionale tra il numero dei consultori familiari presenti in una regione e l'abbassamento del tasso di abortività. Senza indagini conoscitive, di cui in questo momento credo non ci sia bisogno per l'evidenza degli atti che avete portato, credo che l'indirizzo da assumere sarebbe stato quello dell'incremento del numero dei consultori familiari.
Voglio ricordare - nella lunga esperienza parlamentare è la cosa di cui più mi glorio - che il famoso emendamento alla legge n. 104 del 1996 recava la mia firma. L'obiettivo di istituire un consultorio ogni ventimila abitanti, ma soprattutto un'attenzione alla salute riproduttiva della donna, in tutti i suoi aspetti, fatta di consapevolezza, prima di tutto, quindi, di contraccezione, di sostegno alla scelta della maternità come pure della non maternità, senza giudizi ma mettendosi al servizio della donna, credo sia un tema sul quale si dovrebbe ancora lavorare.
Due ore fa ho chiesto al ministro come siano stati utilizzati quei fondi. Mi è stato risposto che il fondo non c'è più, che è cambiata la Costituzione, che queste cose non si possono fare e che, comunque, i consultori e la contraccezione non servono per questo, per cui non c'è stata possibilità di dialogo, per non conoscenza e non competenza in questa materia e rispetto a questi dati da parte del ministro. Io non posso che suggerirvi di fornirglieli, anche se non so con quale risultato.
A fronte di questa problematica fondamentale da voi evidenziata e cioè la necessità di un intervento specifico sulle donne giovani straniere, volto ad implementare, all'interno dei consultori pubblici, le figure dei mediatori culturali (molte giovani straniere, infatti, che non hanno la cultura necessaria per accedere al servizio, forse perché non lo conosce o forse perché non sono neanche avvezze ad averne, mentre in Italia ve ne sono e per giunta di gran qualità), a fronte di tutto questo, noi diamo mille euro a Totti!
Ora, la mia domanda è: con il fondo di 1.140 milioni...

CARLA CASTELLANI. Ma perché deve fare demagogia? Dove sta scritto che dobbiamo dare mille euro a Totti! È stato previsto un tetto!

TIZIANA VALPIANA. No, non c'è. Io ho la finanziaria in mano, ma il tetto non lo vedo. Ho passato la notte a leggerla. Arrivata a casa «ubriaca» dalla vostra cena, ho passato la notte a leggere il testo della legge finanziaria, ma questo tetto non c'è. (Si ride).
Con quei 1.140 milioni di euro che buttiamo via per lasciare le donne da sole - perché dare 1.000 euro a qualcuno, forse può rappresentare un sostegno, ma comunque una donazione in danaro lascia una donna sola, non le costruisce nessuna rete di supporto, nessuna rete di servizi -, cosa avremmo potuto fare, secondo la vostra esperienza, dal punto di vista dell'incentivazione delle figure necessarie all'interno dei consultori?

PRESIDENTE. Questo è un problema di natura più squisitamente politica che tecnica. Gli ospiti possono rispondere, beninteso che loro non sono il ministro.

MAURA COSSUTTA. Comincio anch'io con dei ringraziamenti non formali: credo, infatti, che la competenza, il grande lavoro e il contributo che voi portate oggi debba essere utilizzato dalle istituzioni.
Quando prima, interrompendo l'intervento di un collega, ho auspicato speriamo che questi dati arrivino anche al ministro, l'ho fatto perché, come accennava l'onorevole Valpiana, abbiamo avuto occasione di ascoltare,prima di voi proprio il ministro, il quale ha esposto una certa concezione, che mi ha preoccupato più dei toni usati, mostrando un approccio alla legge n. 194, e quindi ai consultori, privo di corrispondenza sia con quanto avete detto voi, sia con l'introduzione alla relazione annuale che egli stesso ha sottoscritto.
Noi, purtroppo, non abbiamo discusso, come ben sapete, la relazione annuale, e sono anni che questa cosa non viene fatta. Il ministro è venuto però qui a dire che, di fatto, l'indagine conoscitiva è necessaria perché servono ulteriori elementi di valutazione. E allora, la mia prima domanda, non politica ma tecnica, di competenza, è la seguente: secondo voi, sono necessari ulteriori elementi di valutazione? Sono necessarie modifiche all'interno del sistema di sorveglianza, seguito ovviamente attraverso le regioni, ma proposto dall'Istituto superiore di sanità, visionato, rielaborato, nella relazione annuale?
L'indagine conoscitiva da anni è richiesta dagli operatori che denunciano le criticità, note, stranote, anche perché sulle attività, sulle criticità, sugli obiettivi e sulle potenzialità dei consultori si è detto e scritto già tutto, ma nulla si è mai fatto. E questo è il punto grave della politica istituzionale. Alla luce di ciò, la prima cosa che chiedo è se secondo voi sia necessaria una modifica di questo sistema di sorveglianza.
Il ministro propone, sta proponendo, o proporrà - ce lo ha anticipato - alle regioni un'altra bozza di raccolta periodica di dati. Noi l'abbiamo valutata e mi auguro arrivi pure a voi, anche perché la prima obiezione che mi sono permessa di fare al ministro è che - per decidere nel modo migliore e più efficace - sarebbe stato necessario (non soltanto doveroso per i rapporti istituzionali) coinvolgere formalmente gli operatori e i responsabili del dipartimento, coloro, cioè, che hanno costruito, elaborato, messo a punto e verificato il sistema di sorveglianza, cosa che sinora non è stata fatta. Peraltro la bozza che verrà presentata alle regioni contiene, a mio parere, domande e quesiti già posti dal sistema di sorveglianza, o comunque dalle relazioni degli operatori che da anni denunciano le carenze del sistema attuale(il numero dei consultori, gli orari, le figure professionali all'interno dei consultori). Vengo quindi alla domanda clou: a seguito del colloquio pre-interruzione volontaria di gravidanza quante donne sono state - e chiedo scusa per l'uso di questo termine - «salvate»? Quante donne hanno rinunciato all'interruzione volontaria di gravidanza?.
A riguardo ho sentito - e rimando a voi una valutazione di merito, non politica e senza polemiche - discutere il ministro sulla necessità, a seguito di questa indagine conoscitiva, e quindi attraverso lo strumento di una modifica del sistema di sorveglianza, di mettere al primo posto, cioè come vera emergenza della legge n. 194 e dei consultori, la prevenzione.
Ad una mia specifica domanda su cosa sia la prevenzione - visto e considerato che questo è da tempo noto e stranoto, ai tecnici, agli operatori, agli assessori, a chi elabora i dati - se cioè la prevenzione sia legata fondamentalmente alle modalità operative del servizio e all'uso consapevole degli anticoncezionali, il ministro ha risposto in senso negativo. A suo dire essa deve piuttosto essere intesa in termini di politiche per la natalità. Personalmente sono convinta che la prevenzione delle IVG non c'entri nulla con le politiche per la natalità, che pur bisogna promuovere e garantire, anche perché uno dei valori che il movimento delle donne, tra l'altro, ha fatto inserire nella legge n. 194 è esattamente il rispetto del valore sociale della maternità. Io rivendico la legge in toto, e in toto la voglio applicare, certamente, però, non si può affidare ai consultori un compito che sono le politiche pubbliche a dover risolvere. Il lavoro, il servizio di prevenzione dei consultori deve operare in un altro campo d'azione. Chiedo, pertanto, certamente alle dottoresse, ma anche, in particolare, al dottor Grandolfo, di ripetere, cortesemente, quali siano gli elementi che a loro parere hanno determinato la riduzione degli aborti e, quindi, quale sia la prevenzione, cosa si intenda per prevenzione degli aborti e, in ultimo, quale sia la loro esperienza sul campo dei consultori. Ricordo, e concludo presidente, che questa indagine conoscitiva sarà immancabilmente monca, perché non potremo ascoltare gli operatori che lavorano da anni nel settore - io stessa ho proposto di sentire una serie di soggetti che non verranno auditi -, né potremo andare in loco a discutere e confrontarci, esattamente come ricordava il dottor Grandolfo, facendo riferimento alla sua esperienza positiva con il presidente Palumbo in Sicilia.
Chiedo agli ospiti di scusarmi, volevo solo coinvolgerli in una valutazione che è dirimente non soltanto per le finalità di questa indagine conoscitiva, ma anche per la credibilità dei risultati della stessa. Volevo, quindi, mettere a risorsa la loro competenza nel dare delle risposte di merito efficaci che ci possano aiutare non polemicamente né ideologicamente.

MARIA BURANI PROCACCINI. Ringrazio, naturalmente, per l'intervento, ambedue le parti intervenute, sia il dottor Grandolfo dell'Istituto superiore di sanità, sia la dottoressa Crialesi dell'ISTAT. Proprio incrociando ciò che loro hanno detto, riscontro delle gravissime incongruenze.
Il dottor Grandolfo, ad esempio - peraltro, vorrei capire in base a cosa possa stabilirlo, perché non sono certamente le proiezioni matematiche a consentirlo -, ha parlato di un ruolo determinante dei consultori nella riduzione del ricorso all'aborto. La dottoressa Crialesi, invece, ha parlato di ruolo determinante dei consultori per le cittadine straniere per arrivare ad ottenere il ricorso all'aborto.
Allora, due sono le cose: o i consultori hanno un ruolo determinante per non ricorrere all'aborto, come ha dichiarato il dottor Grandolfo, oppure i consultori hanno un ruolo determinante per ricorrere all'aborto, come ha invece evidenziato la dottoressa Crialesi.

MAURA COSSUTTA. L'aborto legale, non clandestino!

MARIA BURANI PROCACCINI. Sto parlando in italiano e non in cinese, sono molto chiara. Perciò, come io ho ascoltato tranquillamente quello che diceva l'onorevole Cossutta, prego l'onorevole Cossutta, una volta tanto, di ascoltare gli altri. Io ho detto chiaramente che le due posizioni, quella dell'ISTAT e quella dell'Istituto superiore di sanità non coincidono, perché mentre l'Istituto superiore di sanità afferma che i consultori hanno un ruolo determinante per non ricorrere all'aborto, l'ISTAT afferma che hanno un ruolo determinante e fortemente incentivato soprattutto sulle minori straniere. I consultori, dottoressa Crialesi, secondo lei, dai dati in suo possesso, si pongono mai il problema se quella minore straniera, che arriva e chiede l'aborto, possa essere accompagnata da qualcuno, o se abbia la possibilità di non ricorrere all'aborto? Al dottor Grandolfo, invece, vorrei chiedere: come fa lei, in base a delle proiezioni statistiche, ad asserire ciò che asserisce, visto che, da quando sono in Parlamento, e cioè da undici anni, in occasione dell'esame di ogni legge dello Stato che sfiori l'attività dei consultori, non si fa altro che evidenziare il malfunzionamento di queste strutture, e la riduzione della loro funzione ad una «mera» certificazione dei luoghi in cui poter abortire, senza parlare assolutamente di questo ruolo determinante nella riduzione degli aborti (Commenti del deputato Valpiana)?
Onorevole, la prego....Insomma questa è veramente una dittatura ideologica e mentale...! Noi non abbiamo imposto niente. Le indagini sono il sale della democrazia! Certo, non si fanno in Cina, o a Cuba, questo è sicuro. Non se ne può avvero più di questo atteggiamento culturale arrogante...!
Ad ogni modo, vorrei sapere in base a cosa, un istituto che si occupa di statistiche possa parlare del ruolo determinante dei consultori nella riduzione del ricorso all'aborto. Ecco, io questo non riesco a capirlo. Poco prima citavo, con il ministro, proprio un'indagine fatta dal quotidiano Il Mattino, che ha inviato una sua giornalista per i consultori di Napoli dove non l'hanno neppure fatta parlare, ma ogni volta le dicevano «venga con il certificato del suo medico e le diciamo dove poter andare ad abortire».É la dimostrazione che questo colloquio di preparazione non esiste... Scusi, dottor Grandolfo, lei da cosa ricava che esiste questo colloquio che vede e constata le condizioni per le quali questa signora, o signorina, in modo particolare se minorenne, sia lì ad abortire, oppure possa pensare in qualche modo di rinunciare all'aborto? Le risulta che in questi consultori ci siano tutte quelle figure che erano previste dalla legge istitutiva n. 405 e che non sono mai entrate a far parte del consultorio? Questa «meravigliosa» funzionalità dei consultori le risulta in base a cosa? Forse, in base al numero degli aborti che si riescono ad ottenere? In base al numero di persone che si riesce a soddisfare per poterle mandare il più rapidamente possibile ad abortire? Questo è senz'altro un fatto positivo, ove la persona sia del tutto decisa a ricorrere all'aborto. Ma non è certamente positivo, in modo particolare, per quelle minorenni straniere che arrivano lì, non trovano il mediatore culturale e non trovano persona che sappia parlare la loro lingua. A questo punto, vorrei sapere in base a quale dato statistico, su proiezione matematica, lei possa dire che i consultori funzionano...!
Mi sembra una presa di posizione - mi scusi - ideologica, anche la sua, perché certamente non corrisponde ad un dato che lei mi può fornire. Qualora così non fosse, e mi fornisse tali informazioni, arricchirebbe la mia cultura e darebbe un valore aggiunto a questa indagine conoscitiva.

GRAZIA LABATE. Anch'io vorrei ringraziare, non formalmente, sia l'Istituto superiore di sanità, sia l' ISTAT, per l'analisi che ci hanno fatto dei trend di applicazione della legge n. 194 nel nostro paese. Già stamani dicevo al ministro che, ad una lettura attenta delle relazioni presentate in Parlamento, questo trend si poteva già conoscere, senza ricorrere all'indagine conoscitiva. Vorrei ora rivolgere una domanda al dottor Grandolfo ed una alla dottoressa Crialesi. Sebbene per il metodo scientifico di rilevazione campionaria attuata dall'ISTAT, già sappia di non poter pretendere una risposta, porrò ugualmente la questione: e dato che siete abituati da tempo ad usare un metodo scientifico di rilevazione, ve la porrò proprio per capire se ciò che andiamo a chiedere alle regioni, attraverso la negoziazione tra il Ministero della salute e le regioni stesse, possa avere un esito scientificamente rilevabile, un'oggettività dei dati, oppure se rimarrà anche quella un'opzione insoluta.
Al dottor Grandolfo rivolgo una domanda - stamani ne parlavo anche con il ministro Storace -, conoscendo la ricchezza con cui l'Istituto superiore di sanità, da sempre, dalla legge sui consultori fino ad arrivare alla legge n. 194, ha fatto analisi e studi sulla rilevazione del fenomeno, ma anche sulla epidemiologia dello stesso, cosa che in questa Commissione spesso sfugge. Vorrei dunque porre una questione al nostro ospite, che credo sia il più grande conoscitore, per la funzione ricoperta, della dinamica di sviluppo dei consultori familiari in Italia. Un passo della relazione che ci consegna mi lascia un dubbio, e lo vorrei risolvere con lei, dottor Grandolfo.
Conosciamo il numero dei consultori presenti in Italia, almeno quello aggiornato al 2004, e conosciamo la loro dinamica di sviluppo. L'onorevole Burani Procaccini, ad esempio, rilevava una sorta di contraddizione, e invece la contraddizione non c'è, perché è ovvio che quando il dottor Grandolfo afferma che i consultori sono stati la sede della riduzione dell'IVG, vuol dire che i consultori attuano molto una politica di prevenzione per la maternità e la paternità responsabile, nel senso che nei consultori italiani si parla di contraccezione, si parla di come prevenire l'aborto...

MARIA BURANI PROCACCINI. Questo chi lo stabilisce?

GRAZIA LABATE. Non è questione di chi lo stabilisce, lo si fa, onorevole Burani Procaccini. E comunque lo stabilisce la legge n. 405, tra le altre funzioni. Poi, se uno va a vedere tutte le leggi regionali, la loro applicazione, e gira per le città, scopre che al consultorio si va per fare il percorso nascita, per chiedere quale sia il metodo contraccettivo migliore, insomma per tutta quella educazione alla paternità responsabile in rado di evitare la fatalità di una maternità improvvisa...

MARIA BURANI PROCACCINI. Non si fa.

GRAZIA LABATE. Si fa, onorevole Burani Procaccini, si legga gli studi.

MARIA BURANI PROCACCINI. Io li leggo.

GRAZIA LABATE. Se il dottor Grandolfo ce ne inviasse copia come grazioso omaggio, forse tutti avremmo la stessa base di conoscenza specifica e, quindi, ci renderemmo conto dell'assenza di posizioni ideologiche. Perlomeno in chi parla, c'è solo la volontà di capire davvero come stiano le cose.
La contraddizione, quindi, è apparente, perché, ovviamente, il servizio consultoriale svolge una molteplicità di funzioni, tant'è che il dato statistico - e spero che anche su questo non si debba opinare - indica che - almeno rispetto all'IVG - i consultori lavorano per il 34,7 per cento. Il resto del totale dell'IVG, viene effettuato per il 30,07 per cento dal medico di famiglia e per la restante percentuale dalle strutture sanitarie ospedaliere, dove c'è un medico specialista ginecologo che ascolta la donna e, in base alle decisioni della stessa, interviene o meno. Questa è la realtà, possiamo svolgere anche tremila indagini, ma la realtà è questa!
Vengo dunque alla successiva domanda. Io ritengo il dottor Grandolfo, insieme all'Istituto superiore di sanità, soggetto deputato ad una grande conoscenza, anche perché nei consultori vi è materiale, libri, scritti, esami, corsi di formazione. Egli afferma, nella sua relazione, al penultimo capoverso: «C'è da rilevare con preoccupazione un processo di svilimento e di impoverimento dei consultori familiari, particolarmente accentuato negli ultimi tempi nonostante la vigenza delle normative nazionali». A cosa attribuisce questo processo di svilimento? A carenze strutturali che non ci portano ancora al rapporto uno ogni ventimila abitanti? A carenze di tipo professionale delle figure deputate ad essere dentro il consultorio? Al fatto che - lo diciamo in gergo tecnico - il consultorio si è un po' troppo sanitarizzato, perché si fa di tutto, dalla contraccezione ai percorsi nascita, alla preparazione al parto, e quindi a tutta una serie di funzioni? Vorrei sapere, proprio dai conoscitori obiettivi, che cosa, oggi, ci fa denunciare uno svilimento di questa struttura, che è molto importante, mentre, invece, l'OMS, addirittura, apprezza il fatto che in Italia ci sia una struttura tale inserita sul territorio, perché è quella più deputata a svolgere queste azioni. Vorrei inoltre sapere cosa intenda l'Istituto superiore di sanità quando dice: «se si fosse attuato il famoso POMI (Progetto obiettivo materno-infantile), tutte le funzioni che derivano dalle normative nazionali sarebbero state pienamente applicative», perché quel progetto materno infantile si occupava di gestire un importante complesso di funzioni integrate, che avrebbero potuto garantire la completa ed asaustiva applicazione delle leggi.
Chiedo, invece, alla dottoressa Crialesi, pur consapevole dei compiti che il nostro Istituto nazionale di statistica ha, se è reale, come sembra - sono i dati a dimostrarlo - questa tendenza evidenziatasi negli ultimi anni, di un incremento del ricorso a queste strutture, da parte delle donne straniere. Non avevo ancora sentito, fino ad oggi, nonostante le indagini svolte, che tali soggetti ricorrono di più al consultorio. Non ho però l'esatta cognizione di quanto ricorrano di più rispetto agli altri due attori preposti a dare la certificazione di interruzione volontaria di gravidanza. Mi sarebbe piaciuto connettere, a questa affermazione, il fenomeno vero che sta alla base del fatto che una donna immigrata si rivolga di più al consultorio. Nel nostro paese, da un lato, esiste un'immigrazione femminile regolarizzata con contratti di lavoro, da cui derivano diritti in campo sanitario all'uso delle strutture; dall'altro, però, c'è un'immigrazione non regolarizzata, che non consente di conseguire diritti sanitari da attuare nelle strutture. Alla luce del dato secondo il quale l'incremento si verificherebbe fra le giovani straniere, mi chiedo e vi chiedo se sussista una qualche indagine campionaria, uno studio sul quale state riflettendo, oppure delle comparazioni tra indagini diverse che vi abbiano portato a connettere il fenomeno in esame all'ingresso, nel nostro paese negli ultimi cinque anni, di donne immigrate, in età giovane e giovanissima legato al traffico della prostituzione.
Da questo punto di vista, vorrei capire se esiste una qualche relazione tra i fenomeni, alla luce interpretare l'aumento del trend, considerato che una giovane immigrata quattordicenne, legata a zone dove questo traffico è più visibile statisticamente, può essere indotta, per mancanza di conoscenza o per modalità relazionali a sopportare gravidanze indesiderate.
Mi fermo qui, perché comprendo che all'Istituto nazionale di statistica più di tanto non si può chiedere dal punto di vista dell'analisi dei dati.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Ringrazio l'Istituto superiore di sanità, il dottor Grandolfo, e l'ISTAT, che ci hanno dato notizie molto precise, chiare e dettagliate. In particolare, dalla relazione del dottor Grandolfo è emerso chiaramente che i consultori sono al centro della questione al nostro esame.
In effetti, l'indagine conoscitiva che abbiamo chiesto riguarda l'applicazione della legge n. 194 e, in particolare, il funzionamento dei consultori. Bene abbiamo fatto, quindi, ad aggiungere un codicillo alla verifica della legge n. 194, includendo, in particolare, Quest'ultimo punto.
I consultori rappresentano un'esperienza positiva per l'Italia, e sono stati man mano incrementati e potenziati. Il dottor Grandolfo ci ha parlato del ministro Donat Cattin - che aveva posto una particolare attenzione al problema dei consultori - del ministro Guzzanti e, successivamente, di una commissione. A scadenze, quindi, ogni cinque-sette anni, si è approfondito questo problema e si è sempre concluso che bisognava comunque incrementare e potenziare i consultori. Non è vero, quindi, che tutto va bene, ma è pur vero che, se anche funzionano, c'è sempre bisogno di una rivisitazione, di un approfondimento e di un potenziamento.
Il dottor Grandolfo ci ha detto che, con il decreto n. 34 del 1996, tra l'altro, sono stati stanziati 200 miliardi, che poi non sono stati ben utilizzati. Da allora, quindi, è intervenuto solo il progetto obiettivo materno-infantile del 2000 che ha inserito quei concetti introdotti dalla commissione per dare maggiore peso ai consultori; successivamente, un altro accenno a questo problema è stato fatto dalle linee guida sui livelli essenziali di assistenza, più esattamente con il decreto del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001 che ha integralmente inserito il concetto di potenziamento dei consultori in quelle linee generali. Siamo, quindi, in linea perfetta.
Sono passati, da allora, alcuni anni - dal 2001 precisamente quattro - quindi questa indagine conoscitiva mi pare opportuna ed utile per fare una rivisitazione del problema e vedere se occorra un potenziamento, così come sostiene il ministro Storace nella bozza che ha preparato per le regioni. Il ministro afferma che l'indagine suppletiva con le regioni serve ad integrare il quadro informativo contenuto nella relazione che il Ministero fa al Parlamento e, contemporaneamente, a verificare se occorra un potenziamento dei consultori. Alla luce di ciò, chiedo al dottor Grandolfo se ci sia bisogno di un potenziamento simile, essendo rimasto in sospeso il discorso dei 200 miliardi, che non sono stati tutti utilizzati. A riguardo, forse, qualche intervento sarebbe opportuno.
Fatto questo discorso, voglio porre qualche domanda specifica. Mi fa piacere, ed è bene che sia così, che si ricorra all'aborto come ultima ratio, nel senso che non è una scelta. Sarebbe veramente sconvolgente pensare che si inizi una gravidanza e poi si scelga l'aborto. E, indirettamente, tento di rispondere anche all'onorevole Burani Procaccini, quando vede una contraddizione. Il fatto che aumenti l'aborto per le straniere, è perché per le straniere è un'ultima ratio e non una scelta, se il ricorso all'aborto è aumentato, lo è perché anche per loro è una soluzione estrema.
In particolare, chiedo all'Istituto superiore di sanità se tra le straniere che ricorrono all'aborto sono più numerose quelle le nubili, oltre che giovani - e dovrebbe essere così -, persone cioè che non sono attrezzate da un punto di vista culturale, né adeguate.
Rivolgo un'altra domanda al dottor Grandolfo, il quale ha detto che, secondo calcoli fatti, rimangono ancora ventimila aborti clandestini. Si tratta di un dato inquietante. Non mi spiego, cioè, con tutte le strutture che abbiamo, con i consultori che funzionano, perché ancora ci siano questi aborti clandestini. Non dovrebbe essere così in un paese civile, soprattutto se diciamo che i consultori funzionano. Come dobbiamo fare per evitare questi ventimila aborti clandestini che sono una piaga ed anche un pericolo, e comunque denotano che c'è qualcosa che non funziona? Si dovrebbe intervenire, quindi, per eliminare questo abusivismo ed, eventualmente, scoprire chi vi faccia ricorso.

CARLA CASTELLANI. Anch'io ringrazio il dottor Grandolfo e la dottoressa Crialesi per il contributo che ci stanno dando per affrontare, senza ideologie, ma in maniera concreta, questa problematica, altamente complessa e delicata. Le valutazioni politiche le potremo fare sul documento conclusivo, oggi siamo qui per capire di più rispetto a quanto abbiamo a disposizione.
Intanto, rinnovo l'invito alle colleghe Cossutta e Valpiana a non lanciare messaggi demagogici: non servono a nessuno. Se l'onorevole Valpiana legge bene la finanziaria, si renderà conto che al comma 337 è previsto un tetto di spesa...

TIZIANA VALPIANA. Non l'avevo letto, avevo letto solo i commi precedenti.

CARLA CASTELLANI. Accetto la sua constatazione della realtà, onorevole. Dottor Grandolfo, se non ho capito male, lei ha detto che in questi ultimi cinque, sei o sette anni, anzi fin dall'inizio, ma prevalentemente in questi ultimi anni, c'è stata una forte contrazione del ricorso alle interruzioni volontarie di gravidanza, o meglio una contrazione delle IVG legata prevalentemente ad un ottimo lavoro svolto dai consultori familiari. Ho capito male? È questo quanto lei ha detto?
Noto, allora, un contrasto, rispetto a questa affermazione, con quanto lei dice nel documento, e cioè laddove si scrive: «C'è da rilevare con preoccupazione un processo di svilimento ed impoverimento dei consultori familiari, particolarmente accentuato negli ultimi tempi, nonostante la vigenza delle normative [...]». Come conciliamo, allora, un impoverimento dei consultori con una loro efficienza? A riguardo, ci sarebbe da fare una valutazione di carattere politico: meno sono arricchiti i consultori, più funzionano. Forse, non sono necessarie implementazioni di carattere economico, perché il bisogno aguzza l'ingegno. Questa è una valutazione che va fatta.
Allo stesso modo vorrei capire, rispetto alle contrazioni delle IVG - visto che i consultori rappresentano il 34 per cento dell'accesso delle donne e delle coppie, ma visto anche che, in maniera abbastanza equilibrata, le donne e le coppie si rivolgono al medico di fiducia e agli istituti di cura preposti ad attivare questo percorso - come abbia fatto lei a valutare che la contrazione delle interruzioni volontarie di gravidanza sia imputabile solo al lavoro svolto dai consultori, tra l'altro impoveritisi in questi ultimi anni. Non lo chiedo in maniera provocatoria, dottor Grandolfo, ma perché vogliamo veramente capire qual è la funzione di noi parlamentari nel cercare di intervenire. Il dato fornitoci dal ministro - per carità un dato complessivo, e cioè 4,5 milioni di bambini non nati in venticinque anni - personalmente mi ha sconvolto. Io ho grande rispetto, probabilmente quelli dovevano essere gli aborti e si è lavorato benissimo a tutti i livelli, però, ciononostante, per me rimane un dato sconvolgente.
Vengo ora ad un altro aspetto. Lei è un esperto di consultori e dice di conoscerli bene, allora io le chiedo quali siano le figure professionali prevalenti nei consultori, e quali siano i consultori che funzionano meglio, e magari in presenza di quali figure professionali. Le domando, inoltre, se la legge istitutiva dei consultori sia stata applicata in tutte le sue forme, se cioè esiste effettivamente una multidisciplinarietà, ma anche una presenza di soggetti con visioni diverse (associazioni, in linea di massima). Infine, come mai, nel corso di questi anni, le donne italiane ricorrono in maniera sempre più contenuta ai consultori familiari? Bisognerebbe cercare di capire per vedere come intervenire in maniera efficace.

PRESIDENTE. Penso che le domande siano abbastanza chiare ed ampie.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Presidente, mi permetta di fare una piccola considerazione che non è stata messa in evidenza. Ho letto le tabelle, da cui emerge che il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza rapportate alle nascite evidenzia un trend in diminuzione. Significa che ad un incremento delle nascite negli ultimi anni, non è corrisposto un analogo incremento delle interruzioni volontarie di gravidanza. Le tabelle evidenziano un fatto positivo che volevo rilevare in questa audizione.

PRESIDENTE. Ringrazio l'amico Grandolfo che ha ricordato la mia gioventù, quando avevamo i capelli un po' più neri. Vorrei sottolineare alcune cose in parte già dette. È vero, i consultori hanno avuto una loro funzione per lungo tempo, però - mi ritrovo nell'ultima considerazione che ho letto nella sua relazione e che io stesso ho svolto sovente, anche pubblicamente - ultimamente mi sembra che il loro ruolo - almeno potenzialmente ampio - si sia sminuito. Non vorrei che, con l'andar del tempo, diventassero solamente degli ambulatori. Credo questo sia un punto fondamentale da affrontare. Ribadisco ancora un concetto, che vorrei fosse rilevato dal dottor Grandolfo e dalla dottoressa Crialesi. Secondo me, vi è una differenza di lavoro fondamentale tra quanto viene svolto nei consultori e quanto svolto nei centri di interruzione di gravidanza presenti negli ospedali. Vorrei capire - alla fine vi sono dei risultati, dei trend anche positivi - se l'impostazione e l'approccio che vengono dati al problema dell'interruzione volontaria di gravidanza, e in genere alla gestione di tutto il problema familiare e sociale, sia il medesimo. A me sembra, infatti, che nel consultorio sia di un certo tipo, e negli altri ambiti istituzionali di un altro, con evidenti differenze conseguenziali. Questo è il punto importante su cui bisogna soffermarsi. Non so se sia facile, né possibile, rilevare questo tipo di problema, ma a mio parere è piuttosto rilevante, perché, se si vuole migliorare qualcosa, bisogna migliorare tutte le strutture che vi lavorano. È giusto migliorare i consultori, però bisogna anche migliorare il resto, dai medici di famiglia alle strutture degli ospedali. Diversamente, rimarremo fortemente limitati.

TIZIANA VALPIANA. Presidente, mi consenta una brevissima precisazione, perché resti agli atti. Voglio chiedere scusa per la mia cattiva interpretazione della legge finanziaria. Io avevo letto, scorrendo di corsa gli oltre 600 commi, solo il comma 335 ed il comma 336, dove non si parla di limitazioni, e non invece il comma 337. Letto ora, vedo che è previsto un tetto di spesa di 50 mila euro e che, purtroppo, è riservato ai cittadini italiani. Quindi, la problematica delle donne straniere, che è quella qui evidenziata, non viene toccata per nulla in questa finanziaria.

PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, do la parola al dottor Grandolfo per la replica.

MICHELE GRANDOLFO, Direttore del reparto salute della donna e dell'età evolutiva del Centro Nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore della sanità. Vorrei fare, intanto, alcune premesse. Ho portato con me le presentazioni di un convegno, che si sta svolgendo presso l'Istituto, e ho organizzato da un anno, sull'interruzione volontaria di gravidanza tra le cittadine straniere. In particolare, abbiamo realizzato un'indagine in diversi ospedali del nord e del centro d'Italia (Milano, Torino, Roma) e abbiamo intervistato donne straniere che effettuavano interruzioni di gravidanza, per cercare di capire le loro condizioni, le loro caratteristiche, il loro vissuto.
Si è trattato sia di una raccolta di informazioni secondo il metodo classico delle indagine quantitative, sia di una ricerca qualitativa, con interviste volte a ricostruire le storie di vita di queste donne. Le risultanze dell'indagine saranno messe a disposizione sul sito www.epicentro.iss.it.
Un elemento credo che sia importante, già evidente dall'analisi dei dati del sistema di sorveglianza e dalle indagini fatte dall'Istituto centrale di statistica: le straniere non sono un insieme omogeneo, ma hanno profonde differenze, per quanto riguarda la struttura per età, lo stato civile, la persistenza sul territorio nazionale (alcune nazionalità sono presenti da poco, altre da molto tempo). Anche queste differenze di tempi di presenza spiegano la crescita dei tassi di abortività. Ad esempio, abbiamo avuto, recentemente, un'immissione massiccia di donne dall'est Europa, e dalle analisi che abbiamo condotto, e che ha condotto anche l'ISTAT, risulta come in queste popolazioni il tasso di abortività è nettamente superiore rispetto ad altre popolazioni. Il rischio di abortire, il rischio di andare incontro ad una interruzione di gravidanza è nettamente differenziato per tipo di nazionalità. Le nazionalità presenti nel territorio e i flussi migratori non sono sempre costanti, per cui il quadro delle popolazioni straniere è mutevole, e questa mutevolezza si riverbera nei fenomeni che vengono osservati. Dal punto di vista della provenienza geografica di queste persone, per esempio, va rilevato che in passato sono venute da noi molte più donne nordafricane.
Ci siamo trovati in grande difficoltà quando abbiamo progettato lo studio, perché non abbiamo intervistato tutte le donne straniere, ma soltanto le donne straniere appartenenti a definite nazionalità. Questo perché non avevamo sufficienti risorse per poter contare su mediatrici culturali in grado di intervistare tutte le donne di qualunque nazionalità (nel nostro Paese sono presenti duecento nazionalità). Per questo ne abbiamo scelte solo alcune, quelle che avevano fatto registrare una maggiore presenza in Italia in base ai dati precedentemente raccolti.
Quando, poi, siamo andati effettivamente a realizzare l'indagine, ci siamo resi conto che erano cambiati i flussi, motivo per cui abbiamo dovuto fare degli aggiornamenti. Dico questo solo per farvi notare quanto sia mutevole questa condizione.
Ritengo doveroso mettere a disposizione dell'istituzione parlamentare le risultanze di questa indagine, che ho provveduto a depositare presso la segreteria della Commissione.
Mi preme fare una premessa. Ho concluso il mio intervento introduttivo, rammentando di aver giurato sulle leggi dello Stato. Non è un caso che l'abbia fatto: mi considero davvero un servitore dello Stato e voglio sempre mantenere questa dignità. Ritengo che sia un diritto fondamentale di tutti controllare che la mia azione avvenga nel rispetto delle leggi, perché così deve essere. Sono io stesso a richiedere di essere messo in mora, fino al licenziamento, se dovessi violare questo mandato, cosa per me sacra. Vi ricordo che ho giurato due volte, e per me questo è sacro.
Nel periodo in cui ho studiato il fenomeno dell'interruzione della gravidanza e ho gestito il sistema di sorveglianza, predisponendo le azioni per i ministri che si sono succeduti nel nostro paese, qualunque fosse il loro orientamento politico ed etico, credo di non aver mai ricevuto un appunto circa mie eventuali deviazioni ideologiche nell'impostazione delle relazioni. Ciò, naturalmente, non rappresenta una garanzia assoluta, perché tutto può cambiare. Ma l'unica cosa che posso dire è che finora, anche quando mi è capitato di frequentare le commissioni nazionali, istituite da ministri, con ampio spettro di partecipazione, non credo di aver mai ricevuto un appunto rispetto ad una ipotetica impostazione ideologica. Questo è fondamentale. Se poi un appunto si deve fare ed è riconosciuto valido, allora sono il primo a richiedere interventi sanzionatori.

PRESIDENTE. Probabilmente si è travisato l'intervento dell'onorevole Burani Procaccini; non si tratta di un problema di natura ideologica. Conosco bene l'onorevole Burani Procaccini e posso affermarlo tranquillamente. Il problema era solo di impostazione e di chiarezza. L'onorevole voleva capire come da alcune deduzione si possa arrivare a quel che lei ha detto, ma certamente non intendeva sollevare problemi ideologici. Lo ripeto, non era nelle intenzioni dell'onorevole Burani Procaccini.

MICHELE GRANDOLFO, Direttore del reparto salute della donna e dell'età evolutiva del Centro Nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore della sanità. Non ho criticato l'intervento dell'onorevole Burani Procaccini, ho semplicemente detto che se si rileva un comportamento ideologicamente scorretto, sono io a richiedere un intervento sanzionatorio.
La seconda cosa che volevo dire in premessa è che il fenomeno dell'interruzione di gravidanza va visto nello scenario internazionale. Noi abbiamo esperienze consolidate che permettono di affermare - se ci fosse un demografo potrebbe confortarci, ma noi siamo abbastanza anziani come ricercatori per poterci permettere il lusso di svolgere delle analisi di natura complessiva - che il fenomeno dell'interruzione della gravidanza è sostanzialmente sganciato da quello della natalità. Si tratta di due fenomeni diversi: la natalità è il desiderio di fecondità delle donne, l'interruzione della gravidanza è appunto l'interruzione di una gravidanza indesiderata. Questo è un punto che, a livello internazionale, è ormai consolidato.
Purtroppo, invece, noi abbiamo esempi ripetuti di interventi, ad esempio, in termini di eliminazione della legalizzazione dell'aborto. L'esempio più classico è quello della Romania, ma anche in Albania si è tentato di realizzare una politica di natalità intervenendo sulla legalizzazione dell'aborto: si è interrotta la legalizzazione dell'aborto con la conseguenza che la natalità ha avuto lo stesso trend di prima, mentre è aumentata la mortalità materna, che rappresenta la manifestazione più clamorosa e significativa dell'aborto clandestino.
Certo, in Italia una cosa del genere è meno drammatica, perché qui non si pratica l'aborto clandestino come nei paesi del terzo mondo, dove è una vera tragedia. Comunque una delle più importanti cause di mortalità materna nel mondo è proprio l'aborto unsafe, come dicono gli inglesi, non sicuro. In fondo, la legalizzazione serve fondamentalmente a rendere sicure le procedure.
Pertanto, una politica finalizzata a determinare le condizioni di un aumento del desiderio di fecondità delle donne e delle famiglie avrà come risultato un aumento del tasso di fecondità, ma probabilmente non modificherà affatto il ricorso all'aborto. Si tratta, lo ripeto, di due fenomeni distinti. C'è una condizione di overlap, una condizione di sovrapposizione, che noi stimiamo non superiore al 5 per cento: situazioni ambivalenti in cui una donna si trova in stato di gravidanza e deve decidere se portarla avanti o interromperla. In quel caso è fondamentale il livello di sostegno che può ottenere. Ma questa è una quota che - ripeto - noi stimiamo intorno al 5 per cento (anche se è difficile fare una valutazione adeguata; bisognerebbe svolgere studi approfonditi, cosa che, se ricevessimo un incarico del genere, potremmo anche fare).
A suo tempo, si riteneva che i consultori familiari fossero servizi particolarmente raccomandati per svolgere l'attività di certificazione. Si riconosceva, infatti, che in quell'attività poteva essere svolto un ruolo importante sia sullo specifico sia sull'aspetto generale della prevenzione dell'aborto. In realtà, i consultori familiari non venivano utilizzati. Domandiamoci, allora, perché non vengono utilizzati. Ebbene, non vengono utilizzati perché non ci sono. Tanto per darvi un'idea, nella circoscrizione di Ostia - e potrei citare esempi di altre città -, che conta 250 mila abitanti, ci sono solo due consultori familiari. Teniamo presente che in questa circoscrizione abbiamo una popolazione giovane e una popolazione composta da molti cittadini stranieri. Se c'è, dunque, un posto dove bisognerebbe potenziare il servizio è proprio la circoscrizione di Ostia (o in altre situazioni di questo tipo).
Per quali motivi mancano i consultori? In alcuni casi manca il ginecologo, vale a dire manca la figura medica in grado di rilasciare la certificazione. Una donna che vuole interrompere una gravidanza e che non ha occasione di incontrare qualcuno capace di interloquire con lei per valutare e rivalutare la sua decisione va direttamente da chi le rilascia la prescrizione. Ovviamente, c'è anche la situazione del ginecologo obiettore, un'obiezione sui generis in quanto non prevista dalla legge. Ma stante un certo contesto politico, si comprende bene come questo possa accadere. Se c'è un ginecologo obiettore, è chiaro che la donna non si rivolge al consultorio, perché presume di non poter ottenere quello che vuole.
Abbiamo condotto uno studio pilota su questo problema. Formuliamo ipotesi d'intervento e realizziamo studi pilota per verificarne le risultanze. Ebbene a suo tempo considerammo e proponemmo una modalità operativa in un servizio materno-infantile di una Asl di Roma (stiamo parlando della fine degli anni ottanta). La direttrice decise di utilizzare il consultorio come centro di prenotazione per le interruzioni volontarie di gravidanza. Si trattava di un territorio ben definito, con un consultorio e anche un ospedale presso il quale si effettuavano interruzioni volontarie di gravidanza. La direttrice del servizio materno-infantile comunicò che il consultorio sarebbe stato sede di prenotazione: le donne che volevano abortire, con qualunque certificazione, avrebbero dovuto passare dal consultorio per prenotare. Come potete comprendere, si trattava di una forzatura, ma con un significato: visto che la prenotazione da qualche parte si deve fare, perché non proprio nel consultorio? In questo caso, l'85 per cento delle donne passate dal consultorio - a fronte di una media romana del 30 per cento - chiese direttamente la certificazione al consultorio (come era logico, visto che si doveva passare comunque dal consultorio). Nel consultorio, la donna svolgeva tre colloqui: il primo di accoglienza con l'assistente sociale; dopodiché si valutava la richiesta di interruzione volontaria di gravidanza e la donna aveva un colloquio con lo psicologo; infine, il colloquio con il ginecologo. Questi colloqui sono tuttora fatti con notevole cura, tanto è vero che sulla stampa abbiamo letto, nel recente passato, che erano stati sollevati dubbi su questa insistenza da parte degli operatori. Ebbene, in quella situazione, il 5 per cento delle donne che sono passate dal consultorio, grazie a questi colloqui, riconsiderarono la loro decisione e proseguirono la gravidanza, naturalmente ricevendo tutta l'assistenza necessaria da parte del consultorio, che attivò tutti i meccanismi, compresi quelli previsti dalla legge n. 405.
In proposito, faccio notare che la legge n. 405 non dice che il consultorio deve avere personale non professionale, ma che deve avvalersi delle competenze. Questo, infatti, accade, nel senso che il consultorio familiare accede all'assistenza sociale del comune, alle organizzazioni non governative presenti sul territorio, di qualunque natura. Tutto quello che c'è a disposizione per poter aiutare la donna a proseguire la gravidanza viene attivato dal consultorio. Questa è la condizione normale.
Esistono, dunque, due dimensioni di prevenzione dell'aborto (e veniamo, così, agli elementi di contraddizione che sono stati colti). C'è un elemento di prevenzione dell'aborto che si fa agendo, in altre dimensioni, al di fuori dalla circostanza della certificazione, nella promozione della salute riproduttiva in termini di aumento di competenze e di consapevolezza riguardo alla procreazione responsabile. Questo si fa nei corsi di preparazione alla nascita, al momento della prevenzione dei tumori femminili ed, essenzialmente, quando si fanno i corsi di educazione sessuale nelle scuole. È l'attività prevalente dei consultori familiari: fare corsi di accompagnamento alla nascita, counselling sulla procreazione responsabile, corsi di educazione sessuale nelle scuole. È l'attività che ha determinato il cambiamento di conoscenze, attitudini e comportamenti rispetto alla procreazione responsabile.
L'altra attività è il colloquio presso il consultorio, con la donna che arriva per chiedere una certificazione. Si tratta di un colloquio approfondito e molteplice, che viene condotto all'interno del consultorio. Sfido chiunque ad andare a verificare come avvenga in uno studio medico - e abbiamo altre indagini che ce lo dicono -, dove l'urgenza e la pressione sono tali per cui il medico non può perdere più di tanto tempo (anche se sappiamo che non si tratta di una perdita di tempo). La qualità del colloquio non è cosa banale, è un aspetto sostanziale. Le competenze presenti nel consultorio familiare sono competenze adatte a svolgere un colloquio che riesce ad entrare nel vissuto delle donne, riesce a determinare quei processi di riflessione che possono, a loro volta, portare eventualmente al ripensamento.
Lo ripeto, il ripensamento e l'azione di prevenzione specifica, effettuata al momento della certificazione, può riguardare - in base allo studio che abbiamo condotto - il 5 per cento. Tutte le donne che sono andate ad abortire, badate, sono passate dal consultorio. È chiaro che una situazione in cui il consultorio vede soltanto il 10, o il 20 per cento delle donne, a seconda delle situazioni, non permette di valutare l'efficacia della dissuasione, in quanto l'osservazione non viene effettuata sull'intera popolazione.
Nella relazione dei ministri abbiamo inserito questo elemento di raccomandazione. Abbiamo specificato la necessità di fare in modo che i consultori siano sede di prenotazione, perché se così è aumenta l'appeal delle donne verso i consultori familiari con una maggiore convenienza rispetto alla pesantezza dell'investigazione.
L'esperienza che abbiamo condotto ci dimostra che le donne sono ben disposte, perché potevano benissimo fare la certificazione e poi andare al consultorio per la sola prenotazione. Ma così non è stato: l'85 per cento delle donne sono andate in consultorio, perché hanno riconosciuto valido il servizio, nonostante l'approfondita investigazione.
È chiaro che, da una parte, il consultorio familiare svolge un'azione di prevenzione, agendo in generale su tutte le aree della condizione della salute della donna e delle famiglie. Dall'altra, c'è la specificità che, purtroppo, nel nostro paese, fa riferimento ad una quota modesta dell'interruzione volontaria di gravidanza.
Potreste domandarmi il motivo per cui le donne non vanno nei consultori familiari. Ricordo che quando partecipavo ai corsi di formazione con gli operatori dei consultori familiari siciliani si raccontavano aneddoti, che hanno il valore che hanno, ma possono essere significativi. Mi dissero di una donna che aveva richiesto la certificazione al consultorio e poi al servizio ostetrico-ginecologico le avevano detto che quelli del consultorio non erano bravi e che quella certificazione non era valida e andava rifatta. Chiaramente una donna che viene a conoscenza di un episodio del genere non si rivolge più al consultorio. L'aspetto, della marginalizzazione del consultorio, è sempre stato preoccupante. A mio parere, dipende dal fatto che il consultorio familiare rappresenta un modello di servizio socio-sanitario attento alle esigenze della persona, molto più disponibile a colloquiare, molto più disponibile ad avere relazioni basate sull'empatia, sul rispetto e sulla gentilezza. Queste caratteristiche non sono opzioni etiche, ma rappresentano competenze professionali. Rappresentano, quindi, un elemento di contraddizione con gli altri servizi che, al contrario, anche per necessità operativa, sono più sbrigativi.
Qui sta la genialità dell'invenzione dei consultori familiari, perché gli altri servizi sono molto più sbrigativi, come i nostri dati sulle indagini della nascita dimostrano. A me è capitato di ascoltare nei convegni le rimostranze dei servizi ospedalieri che non ci stanno all'idea che i consultori familiari lavorino meglio di loro. Non c'è da meravigliarsi, perché le competenze professionali presenti nei consultori familiari sono di natura diversa.
Il calo del tasso di abortività data dal 1982, anno in cui si è avuto il massimo del numero di aborti e il valore più alto del tasso di abortività. Da allora il calo è stato sistematico e costante tra le donne italiane. Solo negli ultimi tempi, come hanno spiegato le colleghe dell'ISTAT, il contributo delle donne straniere ha mascherato questo dato.
Ma, allora, chi fa operazione di counselling e sostegno rispetto alla procreazione responsabile? Non ci sono in Italia altri servizi se non i consultori familiari. Quando vado nelle regioni, o nelle Asl, per aiutarle a mettere a punto la fase operativa del progetto materno-infantile, la prima cosa che chiedo è di darmi il quadro dei consultori, il quadro delle figure professionali presenti e della loro operatività. Da questo deriva la mia esperienza. Giro tutta l'Italia, soprattutto le regioni meridionali, che presentano maggiori sofferenze da questo punto di vista. Dall'analisi di questi dati viene fuori che i consultori svolgono una massiccia azione, per quello che possono fare. Certo, se c'è un consultorio ogni 20 mila abitanti, si possono svolgere certe funzioni in modo completo, soprattutto con l'offerta attiva. Ma se c'è un consultorio ogni 50 mila o 100 mila abitanti è chiaro che la risorsa applicata non può essere sufficiente per tutta la popolazione. Da questo nasce l'indicazione di un consultorio ogni 20 mila abitanti.
C'è anche un altro problema. Ho visto regioni che hanno avuto particolare cura rispetto ai consultori familiari, come ad esempio la regione Umbria. Qualche anno fa mi è capitato di svolgere un'analisi in tale regione relativa alla sezione dei consultori familiari. È emerso che i consultori familiari scarseggiavano in termini di composizione dell'organico. È un altro problema che nel tempo è andando degenerando, nel senso che le ostetriche sono frequentemente assenti. Potete immaginare un consultorio familiare che non dispone della figura dell'ostetrica e dovrebbe seguire le gravidanze fisiologiche? E poi, altre figure professionali, come ad esempio lo psicologo, che vengono da un altro servizio, ad esempio dai CIM o dai SERT: questo ovviamente è un errore, in quanto nel CIM e nel SERT si fanno interventi di secondo e non di primo livello.
Questo è quanto hanno raccomandato tutte le commissioni ministeriali, a partire dal 1987 ad oggi, ed è ciò che raccomanda il progetto obiettivo materno-infantile: dare consistenza al servizio. Nel progetto obiettivo materno-infantile si parla espressamente delle figure professionali e degli orari di lavoro. Noi oggi stiamo osservando, invece, una riduzione del numero dei consultori. La tabella contenuta nella relazione del ministro relativa al numero dei consultori non ci dice più di tanto, perché non sempre dietro l'entità consultorio c'è tutto l'organico previsto e stabile. Da qui la necessità di un potenziamento.
A proposito del potenziamento dei consultori familiari, sento di poter affermare, sulla base degli studi che abbiamo condotto, dei risultati delle nostre ricerche e sulla base della mia esperienza ultraventennale di contatto e di lavoro, che gli operatori dei consultori familiari hanno lavorato bene nelle condizioni di difficoltà in cui, sistematicamente, si sono trovati, quasi ovunque, sul territorio nazionale. Per questo motivo riteniamo che sia necessario investire, avendo la piena consapevolezza che la promozione della natalità si fa, da una parte, facendo in modo che i consultori familiari possano svolgere i programmi previsti dal progetto obiettivo materno-infantile (promozione dell'allattamento al seno, corsi di preparazione alla nascita e quant'altro). Dall'altra, bisogna fare in modo che i consultori esistano nella dimensione e con gli organici adeguati; altrimenti perdiamo una potenzialità assolutamente straordinaria. Non credo, quindi, che ci siano delle contraddizioni.
Per quanto riguarda il fenomeno degli aborti clandestini e l'emigrazione, intorno alla metà degli anni ottanta studiammo la situazione della città di Napoli, dove era particolarmente evidente l'esistenza di una clandestinità. Ebbene, notammo che si muovevano verso altre province, dove il servizio interruzione di gravidanza era presente, le donne più istruite, mentre quelle meno istruite non si muovevano. Questa differenziazione ci faceva capire come, alla fine, la clandestinità era la soluzione ad una carenza di servizio che andava soprattutto a carico delle persone che avevano maggiore deprivazione sociale. La cosa interessante è proprio questa: anche quando il servizio è disponibile, una condizione di disempowerment ne determina la mancata utilizzazione. Per questo sono stato il propositore, in Italia e all'estero, del concetto dell'offerta attiva: non bisogna aspettare che la persona vada al servizio, ma bisogna fare in modo che il servizio vada alla persona. Se leggete il progetto obiettivo materno-infantile, credo che questo sia proprio il caposaldo delle proposte contenute.
Circa le associazioni, anche tenendo conto del problema delle scarse risorse di cui dispongono i consultori familiari, figuriamoci se non sono attenti a tutto quello che hanno a disposizione sul territorio! Ho chiesto alle operatrici dei consultori familiari, che mi manderanno qualche dato, di fare una valutazione del numero di donne che hanno mandato alle organizzazioni non governative. Si sente parlare di 70 mila donne seguite dal Movimento per la vita: probabilmente, se non la totalità, una buona maggioranza di esse sono state inviate proprio dai consultori familiari.
In sostanza possiamo dire che il consultorio familiare, a parte le eccezioni comuni dappertutto, tenendo conto del funzionamento, delle caratteristiche generali, delle risultanze e della mia esperienza personale, fa il proprio dovere. È interesse del consultorio familiare far cambiare una decisione; non necessariamente perché è meglio evitare un aborto, ma perché è sempre fondamentale che sia la donna a prendere la decisione con piena consapevolezza. Certo, se evita l'aborto, siamo tutti contenti; però, l'obiettivo fondamentale, il principio istitutivo del funzionamento dei consultori familiari, è quello di aumentare la consapevolezza delle persone - secondo il principio sulla promozione alla salute stabilito dalla Carta di Ottawa -, affinché possano decidere in autonomia e con competenza. In una sede così importante per il paese tengo a dire che mi rammarico per due cose. Dispiace osservare che, le donne meno istruite hanno minori probabilità di partecipare ai corsi di accompagnamento alla nascita (se fatti dai consultori producono migliori risultati e migliore soddisfazione per la donna), proprio a seguito della mancanza e della difficoltà dell'offerta attiva. Le operatrici e i collaboratori dei consultori familiari con cui parlo mi dicono che non ci sono risorse né personale per fare l'offerta attiva. Se non c'è un consultorio ogni 20 mila abitanti, bensì uno ogni 50 mila, di fatto l'offerta attiva non è possibile. In assenza di offerta attiva, vengono penalizzate le donne che ne avrebbero più bisogno. E capite bene come un contatto valido con un servizio consultoriale non vale soltanto per la specifica azione, ma è un accreditamento del servizio che può essere utile per una richiesta di aiuto. Pensate poi a tutte le problematiche del disagio familiare.
Quando il consultorio si è accreditato, perché ha avuto modo di contattare la donna con validità e con la competenza che ha, pensate alla possibilità di far emergere un disagio prima ancora che questo esploda e quando poi non ci sarà più nulla da fare.
So che sto per invadere un campo - e il presidente mi riprenderà -, però, come si può giustificare - quando esiste un progetto obiettivo materno-infantile, che è norma vigente dello Stato, secondo il quale i corsi di accompagnamento alla nascita vanno offerti attivamente e quindi gratuitamente, il fatto che in alcune regioni italiane si fa pagare il ticket per la partecipazione ai corsi di accompagnamento alla nascita? Queste sono cose che, realmente, mi danno un profondo dispiacere, non solo perché c'è una violazione di legge, ma anche perché i servizi, se non riescono ad aiutare le persone che versano in maggiore difficoltà, cosa ci stanno a fare?
I servizi pubblici, badate, hanno ragione di essere se riescono a ridurre gli effetti sulla salute delle disuguaglianze sociali. Se non fanno questo, diventa veramente una pena.

MARIA BURANI PROCACCINI. È un problema che non si pone...

MAURA COSSUTTA. Crede sia necessario modificare il sistema di sorveglianza?

MICHELE GRANDOLFO, Direttore del reparto salute della donna e dell'età evolutiva del Centro Nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore della sanità. Il sistema di sorveglianza non è soltanto la rilevazione, peraltro attiva, dei dati. Il sistema di sorveglianza è la predisposizione delle relazioni e il ritorno dell'informazione. Vi ricordo che le relazioni dei ministri vengono spedite, a nostra cura e del Ministero, a tutte le regioni, invitate a mandare la relazione a tutti i servizi che si occupano direttamente, o indirettamente, dell'interruzione volontaria della gravidanza. Altresì, le regioni vengono invitate ad organizzare conferenze di servizio per analizzare le caratteristiche del fenomeno, raccogliere le indicazioni e gli stimoli per la prevenzione e per il miglioramento dei servizi. Devo dire che, purtroppo, queste conferenze di servizi non sono svolte da parte delle regioni, cosa che, a mio parere, è una carenza del sistema di sorveglianza. A mio avviso, ci dovrebbe essere una logica conclusione: la conoscenza serve per l'azione. Ad esempio, esiste un fenomeno che le relazioni dei ministri hanno denunciato da subito, ovviamente su nostra indicazione, dato che siamo noi i ricercatori che hanno la responsabilità scientifica. Attualmente, vi è un'interruzione della gravidanza effettuata in anestesia generale; ebbene noi, da subito, abbiamo detto che l'anestesia generale non è indicata per l'interruzione di gravidanza in quanto è associata, non tanto a maggiori costi - aspetto certamente non indifferente -, ma sopratutto a maggiore rischio di complicanze postabortive. In tutto il mondo non si interviene in anestesia generale. Se analizziamo i dati, dal 1982 ad oggi, notiamo che la percentuale delle interruzioni di gravidanza effettuate in anestesia generale rimane costante. Questo, certamente, è un difetto del sistema di sorveglianza. Ovviamente, ciascuno ha le sue responsabilità; è chiaro, però, che qualora in un sistema si rilevi una inadeguatezza e la si segnali, la conseguenza dovrebbe consistere in una razionalizzazione dei servizi. La nostra competenza è fare osservazioni e analisi che siano scientificamente fondate, perché se non lo sono, diventa un disastro.
L'altra cosa che voglio denunciare - e la relazione del ministro l'annuncia in modo tenue, ma comunque presenta questo problema - è che noi stiamo osservando una riduzione della qualità operativa dei funzionari regionali responsabili del meccanismo di trasmissione. Ciò accade perché nelle regioni gli organici sono ridotti drasticamente, tanto che figure professionali competenti nella gestione del flusso informativo, ma anche competenti di merito sui servizi consultoriali (che, quindi, avevano le capacità non solo di gestire tecnicamente il flusso di dati, ma anche di comprendere il fenomeno e di interagire ed interloquire in modo valido), sono andate in pensione senza essere state sostituite. Siamo in una situazione per cui, magari, lo statistico si occupa del CED di tutta la regione, fa le buste paga o altro. Ebbene, questa figura non potrà mai essere efficace, e non per sua mancanza di volontà, ma perché avrà altro da fare. Questo è l'errore che sta mettendo in difficoltà il funzionamento del sistema di sorveglianza: noi riteniamo che tale limite debba essere superato. Invito tutti a vedere su Internet le condizioni di altri paesi di uguale dimensione (Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti), di leggere le relazioni sull'interruzione di gravidanza e confrontarle in termini di completezza, accuratezza e tempestività. Noterete qual è il sistema migliore. Le stesse colleghe dell'ISTAT possono testimoniare che il modello D/12, con cui si raccolgono le informazioni per ogni intervento, è il modello ISTAT più adeguatamente e accuratamente riempito rispetto a tutti gli altri modelli. Questa è proprio la conseguenza del funzionamento del sistema di sorveglianza.
Se il sistema di sorveglianza è fatto funzionare bene, la qualità dell'informazione è migliore. Non si tratta di una qualità astratta, dipende dalla qualità del sistema di sorveglianza. Nelle tabelle della relazione del ministro vedete che nella colonna «non rilevato» le percentuali non variano mai più dell'1 o del 2 per cento. La qualità della raccolta delle informazioni è di gran lunga superiore a qualunque altra informazione che nel paese viene raccolta con i modelli ISTAT e, a mio parere, anche con altre modalità di investigazione.

PRESIDENTE. Ringrazio ancora il dottor Grandolfo per i chiarimenti offerti.
Do ora la parola alle rappresentanti dell'ISTAT per la loro replica.

ROBERTA CRIALESI, Dirigente del servizio sanità e assistenza dell'Istituto nazionale di statistica. In primo luogo, mi sento di ringraziare tutte le persone che ci hanno rivolto delle parole così gentili e che ci hanno indirizzato complimenti per il contributo offerto. Per quanto riguarda il sistema di sorveglianza, mi associo completamente alle considerazioni del dottor Grandolfo, con alcune precisazioni. L'attuale sistema di sorveglianza, basato sui modelli di rilevazione ISTAT, è un sistema di rilevazione non campionario ma esaustivo. Ogni mese noi rileviamo tutte le IVG che vengono effettuate sul territorio italiano. Quindi, non è un'indagine campionaria ma totale, condotta con criteri e requisiti scientificamente molto accurati. Un altro aspetto positivo da sottolineare è l'interazione e la collaborazione che abbiamo instaurato tra ISTAT e Istituto superiore di sanità, al fine di rafforzare questo sistema di sorveglianza, che ha offerto importanti risultati. Mi associo, però, anche alla preoccupazione di una recente tendenza al deterioramento nell'acquisizione delle informazioni, perché sperimentiamo quotidianamente la difficoltà di alcune regioni a far fronte a questo impegno. Alla domanda se l'attuale sistema di sorveglianza sia valido, la risposta è sicuramente sì, ma va potenziato ed ampliato. Faccio notare che noi copriamo una parte del fenomeno, ma poi ci sono tutti gli approfondimenti e le ricerche che, molto validamente, conduce l'Istituto superiore di sanità.
Tuttavia, non c'è l'analogo delle informazioni relative alle IVG, ad esempio, per quanto riguarda l'attività dei consultori. Dei consultori, conosciamo la distribuzione territoriale, il numero, il personale che vi lavora, ma nulla sappiamo, con rigore ed esaustività analoga alla rilevazione sulle IVG - sugli aspetti qualitativi e sul tipo di attività che effettivamente viene svolta.

MARIA BURANI PROCACCINI. È proprio questa la finalità della nostra indagine.

ROBERTA CRIALESI, Dirigente del servizio sanità e assistenza dell'Istituto nazionale di statistica. Al momento è sicuramente una carenza. Allo stesso modo, c'è una carenza sugli obiettori di coscienza.

MAURA COSSUTTA. Mi può spiegare meglio questa carenza?

ROBERTA CRIALESI, Dirigente del servizio sanità e assistenza dell'Istituto nazionale di statistica. I dati disponibili sui consultori - la dottoressa Bugio, magari, aggiungerà qualcosa al riguardo - sono quelli che provengono dalla fonte del Ministero della salute, da cui si rileva il numero e il personale impegnato, ma non sappiamo nulla dell'attività che effettivamente tali strutture svolgono.
Non possediamo, a livello nazionale, la ricca mole di informazioni documentate dal dottor Grandolfo che - richiamando anche indagini pilota e indagini qualitative svolte in profondità - ha riportato anche l'esperienza di specifiche realtà locali. Si tratta di un settore su cui bisognerebbe, dunque, potenziare l'informazione statistica.

MICHELE GRANDOLFO, Direttore del reparto salute della donna e dell'età evolutiva del Centro Nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore della sanità. Mi consenta una precisazione, presidente. La rilevazione dei dati dell'attività consultoriale costituisce un problema, perché essa è effettuata dalle Asl con un modello unico, lo stesso utilizzato anche per le altre attività svolte del servizio sanitario a livello locale. Mentre non solleva obiezioni il fatto che si ricorra ad un modello nella rilevazione di un'attività ambulatoriale, non si capisce, invece, il motivo per cui si debba usare lo stesso modello per i consultori familiari. Questa è una difficoltà fondamentale da considerare. Proprio qualche giorno fa discutevo con le operatrici dei consultori familiari della zona di Monteverde che ravvisavano, appunto, questa grande difficoltà e non riuscivano a capire dove dovessero inserire i dati di un corso, ad esempio, di educazione sessuale agli adolescenti, dato che i modelli prevedono soltanto uno schema classico delle prestazioni ambulatoriali. Questo è stato un limite costante, per non parlare poi delle caratteristiche strutturali e di organico.
L'altra questione è che l'elencazione delle attività non è necessariamente il modo migliore per rilevare le informazioni. Vi faccio un esempio. Un consultorio familiare effettua 100 pap-test in ambito di screening, non di sospetto diagnostico, ma come programma di prevenzione del tumore al collo dell'utero. Li può svolgere in due modi diversi: può fare 2 pap-test all'anno a 50 donne, oppure può fare 300 pap-test ogni tre anni a 300 donne. La differenza è che, se, ad esempio, si ha una popolazione femminile tra i 25 e i 64 anni di 1.000 donne, in un caso sarà coperto il 5 per cento della popolazione bersaglio, nell'altro caso sarà coperto il 30 per cento di quella popolazione. Per questo motivo ho sempre detto ai colleghi del Ministero di non intestardirci più di tanto a raccogliere informazioni, perché quello che a noi interessa è soprattutto verificare i programmi strategici. Il progetto obiettivo materno-infantile prevede che siano offerti attivamente corsi d'accompagnamento alla nascita? Si dovrà allora sapere quanti corsi sono stati attivati, quante donne vi hanno partecipato, qual è il tasso di rispondenza e altri indicatori di esito. Solo in questo modo, l'informazione raccolta diviene significativa. Facciamo attenzione, però, che questa attività generale dei consultori familiari ha sicuramente un effetto, in termini generali, sull'aumento delle consapevolezze che si riflette anche nella consapevolezza verso la procreazione responsabile; comprendete bene, però, che si tratta di una vasta area. Il sistema di sorveglianza sull'interruzione volontaria di gravidanza dovrebbe avere una finalità un poco più ristretta. Il processo di svilimento dei consultori familiari avviene anche perché, in certe regioni italiane, abbiamo non più strutture di questo tipo, ma tanti servizi gemmati dal consultorio familiare. Giudico tale operazione non adeguata perché mentre il consultorio familiare doveva rappresentare un modello di sinergia e di integrazione, questi servizi ripropongono un assetto di realizzazione e di frammentazione degli interventi assolutamente negativo. Sono, quindi, convinto che sarebbe straordinariamente interessante - e se l'Istituto ricevesse l'incarico lo farebbe con grandissimo piacere - mettere in piedi un sistema di sorveglianza nell'applicazione del progetto obiettivo materno-infantile. È importante raccogliere informazioni su qualcosa che ha degli obiettivi definiti. In base alla legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, dovremmo abbattere l'aborto clandestino e ridurre il ricorso all'aborto. L'obiettivo è chiaro, i dati servono a verificare se esso sia stato raggiunto o meno.
Per quanto riguarda l'attività generale dei consultori familiari, secondo me, un sistema di sorveglianza dovrebbe essere riconfigurato nella logica dell'applicazione del progetto obiettivo materno-infantile.

ALESSANDRA BURGIO, Responsabile dell'unità operativa servizi sanitari e quadro epidemiologico dell'Istituto nazionale di statistica. Volevo fornire le ultime due informazioni, perché c'erano state domande specifiche. La prima riguardava le giovani straniere e la differenza dei soggetti che rilasciano il certificato. A pagina 13 dell'allegato che vi abbiamo consegnato potete notare come le donne straniere, come abbiamo detto, hanno un certificato rilasciato dal consultorio nel 50 per cento dei casi, rispetto al 29 per cento delle italiane. Questo dato va, sostanzialmente, a discapito del medico di fiducia: mentre le italiane ricorrono più frequentemente al medico di fiducia (38 per cento) nelle straniere il dato è del 21 per cento. Il ricorso all'ospedale è molto simile tra italiane e straniere. Questo dato è particolarmente importante nel momento in cui il dottor Grandolfo dice che, la mancanza del consultorio familiare sul territorio, è sintomatica della mancata offerta di servizio per una fascia particolarmente debole della popolazione.
La seconda domanda era riferita all'obiezione di coscienza. Come sapete, nella relazione al Parlamento del ministro della salute c'è sempre una parte dedicata a questo fenomeno. Noi, con l'Istituto superiore di sanità e in collaborazione con il Ministero, nel 2002 abbiamo fatto un approfondimento con un'indagine pilota per cercare di entrare un po' più nel dettaglio di questa informazione che, invece, viene rilevata a livello molto aggregato. Effettivamente, abbiamo notato che l'obiezione interviene anche nella quantità di offerta del servizio. Ci siamo resi conto dell'esistenza di alcune situazioni territoriali in cui un'elevata diffusione dell'obiezione di coscienza vuol dire, di fatto, una mancanza di servizi presso cui rivolgersi e, quindi, l'insorgenza di una mobilità sul territorio per effettuare l'IVG altrove.
Non abbiamo allegato questa documentazione al materiale già trasmesso ai vostri uffici, ma se la Commissione fosse interessata, provvederemmo a fornirla al più presto.

PRESIDENTE. Vi ringrazio per le esaurientissime informazioni che ci avete offerto e che cercheremo di sfruttare, positivamente, al meglio. Sono d'accordo con il dottor Grandolfo laddove sostiene la necessità di migliorare il sistema attuale, perché, purtroppo, il panorama non è tutto roseo. Sicuramente, possono essere fatti alcuni investimenti per porre mano a questa situazione.
È vero, stiamo svolgendo un'indagine sulla legge n. 194, ma questa investe un problema sociale abbastanza grande che coinvolge la famiglia, la natalità e la questione generale che stiamo cercando di esaminare con l'obiettivo di migliorare.
Sono convinto che, almeno una volta nella vita, tutte le donne si siano trovate di fronte a questa scelta, tanto che sia spontanea - anche un aborto spontaneo ha i suoi problemi - tanto che si sia trattato di un'altra situazione. Se non nella totalità dei casi ritengo che una grande maggioranza delle donne abbia affrontato nella propria loro vita riproduttiva, problemi di questa natura.
Nel ringraziare ancora i nostri ospiti per la disponibilità manifestata e per il prezioso contributo offerto ai nostri lavori, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,30.


COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA

Seduta di lunedì 19 dicembre 2005

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,45.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante la trasmissione attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di strutture sanitarie dove si praticano le interruzioni volontarie di gravidanza (Ospedale Mangiagalli e Regina Elena di Milano, Ospedale San Camillo di Roma, Ospedale civico e Benfratelli, G. Di Cristina e M. Ascoli di Palermo, Ospedale Maggiore di Parma, Ospedale civile Madonna delle Grazie di Matera, Ospedale civile Bernabeo di Ortona e Ospedale civile di San Marco Argentano di Castrovillari-CS).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione di rappresentanti di strutture sanitarie dove si praticano le interruzioni volontarie di gravidanza (Ospedale Mangiagalli e Regina Elena di Milano, Ospedale San Camillo di Roma, Ospedale civico e Benfratelli, G. Di Cristina e M. Ascoli di Palermo, Ospedale Maggiore di Parma, Ospedale civile Madonna delle Grazie di Matera, Ospedale civile Bernabeo di Ortona e Ospedale civile di San Marco Argentano di Castrovillari-CS).
Sono presenti, per il presidio ospedaliero Mangiagalli e Regina Elena di Milano, il direttore sanitario dottor Basilio Tiso; per l'Ospedale San Camillo di Roma, il dottor Diamante Pacchiarini e la dottoressa Giovanna Scassellati; per l'Ospedale civico e Benfratelli, G. Di Cristina e M. Ascoli di Palermo, la dottoressa Giovanna Volo e la dottoressa Laura Giambanco; per l'Azienda ospedaliera universitaria di Parma, il dottor Pietro Vitali, il professor Luigi Benassi e la dottoressa Paola Salvini; per l'Ospedale civile Bernabeo di Ortona, la dottoressa Manuela Mucci; per l'Ospedale civile Madonna delle Grazie di Matera, il dottor Donato Aloia e il dottor Franco Tamburrino. Avverto che i rappresentanti dell'Ospedale civile di San Marco Argentano di Castrovillari-CS hanno comunicato di non poter partecipare all'audizione.
Abbiamo convocato in queste audizioni sia i rappresentanti di ospedali molto grandi, in cui il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza e delle attività legate a questo campo è sicuramente notevole, sia i rappresentanti di ospedali di minori dimensioni per cercare di conoscere le due realtà anche grazie al loro confronto e per tentare di capire quali siano le possibilità, in entrambi i casi, per eventuali aiuti o miglioramenti da apportare.
Premetto brevemente che il fine dell'indagine, richiesta da alcuni parlamentari e successivamente deliberata, è quello di comprendere, dopo circa 30 anni, come viene attuata la legge n. 194 del 1978 sia negli ospedali che nelle strutture autorizzate - in particolar modo negli ospedali, perché mi pare che in Italia siano pochissime le strutture private autorizzate -, e se vi siano problemi dal punto di vista medico e clinico nell'attuazione di questa legge.
Inoltre, si intende appurare, dal punto di vista «sociale», come viene applicato - in queste strutture, nei consultori e via dicendo - ciò che la stessa legge n. 194 in teoria prevede.
Ognuno di voi potrà intervenire per riferire quello che riterrà opportuno, per esprimere dei suggerimenti ed eventualmente lasciare degli atti alla Commissione.
Infatti, al di là delle statistiche e dei numeri - di cui, bene o male, siamo a conoscenza tramite la relazione annuale che ci invia il Ministero della salute -, vorremmo riuscire a comprendere come viene attuata questa legge e se può essere migliorata in favore degli utenti e delle donne che ne hanno necessità e che ne richiedono l'applicazione.
Vi chiediamo di riferire sull'adeguatezza degli organici, sul rapporto tra i consultori e i servizi nei luoghi dove vengono attuate le interruzioni di gravidanza e su eventuali cambiamenti nell'utenza che si rivolge ai consultori (ad esempio, abbiamo rilevato di recente un aumento del numero delle immigrate e delle extracomunitarie).
Una domanda specifica che è stata posta - mi riferisco in particolare alle strutture ospedaliere dove si effettuano le interruzioni di gravidanza o anche ai consultori - riguarda l'eventualità o meno che siano state avanzate richieste di partecipazione, vale a dire se vi sono state associazioni che hanno chiesto di poter intervenire e di poter essere presenti anch'esse nel servizio che l'ospedale offre e, nel caso in cui questo sia accaduto, se tali richieste siano state respinte o attuate. Avere un quadro più completo della situazione attuale, dopo tanto tempo, ci serve per individuare gli aspetti che possono essere migliorati.
Un'altra domanda concerne la percentuale - che in realtà già conosciamo - dei casi di interruzione volontaria di gravidanza che coinvolgono direttamente i consultori rispetto alle altre strutture sanitarie, cioè molte donne si rivolgono direttamente alla struttura sanitaria, saltando completamente i consultori. Stando alle statistiche di cui abbiamo notizia, solo un terzo di esse si rivolge ai consultori; molte altre si rivolgono al medico di fiducia o direttamente alla struttura ospedaliera.
È chiaro che i parlamentari potranno aggiungere ulteriori quesiti, ma mi premeva sottolineare queste riflessioni perché sono finalizzate soprattutto all'applicazione della legge n. 194 del 1978. Dico questo - non mi riferisco tanto a voi, che rappresentate le strutture che svolgono questo servizio - perché, se cominciassimo a parlare di tutte le funzioni che dovrebbero svolgere i consultori secondo la legge, discuteremmo di tante altre questioni. Ciò che interessa alla Commissione, in questo caso, è l'indirizzo e la finalizzazione riguardo all'applicazione della legge n. 194.
Do quindi la parola ai nostri ospiti, ringraziandoli per la loro presenza.

BASILIO TISO, Direttore sanitario dell'Ospedale Mangiagalli di Milano. Al Mangiagalli rileviamo una statistica lievemente diversa rispetto alla regione Lombardia. Infatti, mentre nella regione si calcola che nel 2004 circa il 37 per cento delle donne che sono ricorse all'interruzione volontaria della gravidanza sono extracomunitarie, al Mangiagalli la percentuale è leggermente più alta, si attesta intorno al 50 per cento. Questi sono i dati dell'anno scorso. I problemi che viviamo noi sono gli stessi delle altre strutture. Vi è una grande difficoltà nel reperire i medici perché gli obiettori sono la stragrande maggioranza. Peraltro, il Mangiagalli è un ospedale in cui nascono 7 mila bambini all'anno, di cui tantissimi sotto il chilo e mezzo di peso. È l'ospedale più importante d'Italia da questo punto di vista e, quindi, l'impegno è rivolto fondamentalmente alla nascita. Nello stesso tempo, tuttavia, ci impegniamo anche per l'applicazione della legge n. 194.
Chi applica tale legge incontra qualche difficoltà, in quanto il numero delle richieste è tale da rendere i turni abbastanza stressanti, con problemi sia per gli infermieri sia per i medici.
Da noi è presente anche il Movimento per la vita, che ha un consultorio in ospedale e con il quale è in corso una collaborazione: stiamo portando avanti dei progetti comuni per cercare di aiutare, nei limiti del possibile, le donne.
Il problema di fondo - su questo punto penso che siamo tutti d'accordo - è che la donna che abortisce soffre comunque, perché il dramma più grande lo vive lei. Per questo motivo stiamo cercando, in tutte le maniere, di metterla nelle condizioni ideali per operare una scelta corretta.
Il rapporto con i consultori è ottimo, tuttavia dovrebbero essere più numerosi; comunque, a Milano ne esistono anche di privati.
La difficoltà consiste nell'avvicinare le donne non italiane perché hanno culture diverse dalle nostre e bisogni economici probabilmente differenti da quelli delle donne italiane. Il problema, da questo punto di vista, è di natura sociale.
Per quanto riguarda l'applicazione della legge, quello che ci manda in crisi è l'aspetto tecnico, cioè la diminuzione del numero di medici che non sono obiettori. Essendo direttore sanitario, parlo dal punto di vista organizzativo. Si potrebbero portare avanti tutta una serie di proposte di carattere sociale. Quando parliamo con le donne, infatti, queste ci testimoniano che le loro principali difficoltà derivano dalla carenza di case, di appoggi, di aiuti per le ragazze madri. Il Movimento per la vita e noi, come ospedale, stiamo cercando di intervenire per aiutarle anche economicamente e, ripeto, i consultori si impegnano.
Vi riferisco un suggerimento che viene da alcuni dei medici che sono nel servizio e che si trovano in difficoltà perché, oltre ad essere stressati subiscono anche attacchi da ogni parte: in questo momento non è neanche facile vivere questo tipo di problematiche. Secondo tali medici, quando la donna si rivolge direttamente al servizio o venga da un medico privato, sarebbe opportuno trovare il modo di farla tornare - comunque - in consultorio durante i sette giorni, per valutare meglio tutte le possibilità e per compiere una scelta adeguata. Infatti, la libertà di scelta implica un'informazione più completa possibile e questo potrebbe essere un suggerimento.
L'altra proposta, ovviamente, è di carattere generale: si potrebbero dare più case popolari alle ragazze madri. Il fatto che le donne che abortiscono - almeno quelle che vengono da noi - non sono molto ricche, dimostra che i problemi economici sono importanti.
Inoltre, i consultori dovrebbero essere utilizzati anche per un appoggio successivo all'esperienza dell'interruzione di gravidanza perché spesso abbandoniamo queste ragazze a loro stesse, con il loro dramma, e prima o poi questo tipo di problema lo rivivranno. Con il passare degli anni è difficile non ricordarsi di un'esperienza di questo tipo e quindi, l'aiuto che offriamo deve essere presente prima, durante e dopo questa esperienza. Da noi si praticano tanti aborti, anche se rispetto a prima si è verificato un calo: da 2.100 a circa 1.800, contro 7.000 parti. Come dicevo prima, si tratta per lo più di donne extracomunitarie e questo dato la dice lunga sulle problematiche connesse alla questione: l'anno scorso erano il 51 per cento, mentre in Lombardia la percentuale è del 37 per cento.
I consultori ci sono e il rapporto con le strutture diverse - nel caso specifico, il Movimento per la vita, con il quale collaboriamo - si sostanzia in ospedale; anzi, per quanto mi riguarda, sono contento che vi siano opinioni diverse. L'ideale sarebbe di poter contare anche su altri mediatori culturali, su persone che possano parlare con queste donne, anche perché ogni tanto si leggono notizie gravi a tal proposito. L'anno scorso, ad esempio, ci hanno portato cinque o sei ragazze in emorragia ed hanno scoperto una clinica clandestina cinese in via Sarpi.
La prevenzione deve essere - a mio parere - molto più efficace, prevedendo eventualmente anche la realizzazione di spot pubblicitari. Il consultorio è solo un aspetto della situazione.
Il fatto che esistano diverse situazioni va benissimo perché l'obiettivo è che la donna venga rispettata dall'inizio alla fine, soprattutto quando sceglie di interrompere la gravidanza, perché si tratta di una scelta che prima o poi ricorderà. Questa è l'esperienza che hanno avuto i miei colleghi e che riporto in maniera equilibrata. Come sapete, anche al Mangiagalli, come dappertutto, le opinioni sono diverse ed io mi sto facendo carico della sintesi di quelle di tutti i miei colleghi.

DIAMANTE PACCHIARINI, Direttore sanitario di presidio dell'Ospedale San Camillo di Roma. Prendo la parola molto brevemente, perché vorrei che fosse la dottoressa Scassellati a comunicare analiticamente i dati di attività, per due ordini di ragioni: innanzitutto, la dottoressa Scassellati si occupa di tale argomento da molti anni, in secondo luogo, svolgo tale funzione solamente da due mesi e mezzo. È evidente, pertanto, che incontrerei qualche difficoltà nell'entrare nel merito della questione, che avrei dovuto studiare in maniera particolare.
Tuttavia, vorrei associarmi a quello che ha detto il collega precedentemente, in quanto i problemi, in sostanza, sono identici. Questa è l'impressione che ho avuto, avendo visitando diversi ospedali in tutta Italia. Per quando mi riguarda, vorrei sottolineare innanzitutto che l'Ospedale San Camillo presenta problemi di tipo strutturale, cioè l'edificio è abbastanza fatiscente e la sezione in questione lo è in maniera particolare. Ci siamo accorti di questa situazione appena arrivati e stiamo già cercando il modo di sopperire a questa emergenza. Si tratta di una vera e propria emergenza perché la sezione si trova in un sotterraneo, con la fatiscenza che potete immaginare e che si rende evidente anche attraverso aspetti banali, quelli che colpiscono l'attenzione non appena si entra in quei locali: dalle finestre rotte ai tubi sul soffitto e così via. Siamo a fine anno, quindi non abbiamo molto tempo per affrontare tecnicamente questa situazione. Quindi, trovandoci a fine anno ed essendo stati nominati da pochissimo tempo, sostanzialmente non avevamo fondi a disposizione. Pertanto, stiamo preparando e ultimando il progetto di «lifting» dei locali e, nei primi mesi del prossimo anno, sistemeremo le cose.
Per entrare nel merito della questione, evidenzio due aspetti che mi hanno colpito, esaminando i dati di attività. È stata una delle prime cosa che ho fatto, indipendentemente dall'indagine conoscitiva che è stata deliberata ed avviata qualche giorno fa dalla Commissione. Ho ascoltato anche io le notizie riportate dai telegiornali, ho letto i giornali e ho conosciuto la dottoressa Scassellati, ma, lo ripeto, mi sono interessato alla questione fin da prima. Ciò che mi ha colpito è stata la costante diminuzione degli aborti delle residenti - per residenti intendo le donne che abitano non solo a Roma, ma in tutta la regione, le italiane, per così dire - e la sistematica compensazione di questa diminuzione da parte delle extracomunitarie: di conseguenza, i numeri sono rimasti invariati negli ultimi 5-6 anni.
Effettivamente esiste una differenza di percorso tra le donne che si rivolgono al consultorio e quelle che seguono altre strade, peraltro tutte previste dalla legge: in sostanza, mi riferisco al primo medico a cui si rivolgono per la certificazione. Non so se la soluzione migliore sia quella di transitare attraverso un consultorio in quei sette giorni di intervallo, ma certamente tutte le strutture dovrebbero offrire le stesse opportunità, vale a dire la presenza dello psicologo, del sociologo e di quant'altro occorre.
Dico questo basandomi soprattutto sull'esperienza vissuta sul campo come medico, non tanto come organizzatore. A tutti noi è capitato di imbattersi in situazioni del genere e, a mio giudizio, tutti i pazienti - non solo queste donne, che non ritengo debbano essere in qualche modo ghettizzate - dovrebbero ricevere la stessa risposta, dovunque rivolgano una determinata domanda per la prima volta. Pertanto, il problema non è - non voglio contraddirvi, mi permetto solo di dare un suggerimento - la deviazione del percorso, quanto quello di fare in modo che dovunque si rivolga una domanda si riceva la medesima risposta corretta.

PRESIDENTE Ognuno può esprimere liberamente le proprie opinioni, non dobbiamo essere necessariamente tutti d'accordo, nel modo più assoluto.

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. Dirigo questo modulo dal 2000, esattamente da quando è stata chiusa la clinica Villa Gina, l'unica clinica privata autorizzata nel Lazio.
Da un giorno all'altro, l'unico collega che non era obiettore strutturato è andato via, in quanto, evidentemente, aveva un doppio ruolo che lo impegnava sia all'interno dell'ospedale sia fuori. Di conseguenza mi sono trovata, come unica non obiettrice strutturata, a dirigere questo modulo. Gli altri due colleghi che sono strutturati come me hanno un contratto particolare che viene rinnovato ogni due anni (articolo 15-septies). Tale contratto prevede che eseguano l'interruzione di gravidanza ma anche che si occupino dei turni di guardia all'interno dell'ospedale. Comunque, al San Camillo siamo 30 ginecologi, compreso il primario, di cui solo tre non obiettori. Oltre al reparto di day hospital, dal 2002 abbiamo anche un posto letto di degenza per la ginecologia, riservato agli aborti effettuati dopo il novantesimo giorno.
Questo è uno dei motivi per cui non ho tolto l'obiezione. In questi quattro anni siamo stati continuamente attaccati. Noi siamo gli operatori che hanno scelto di difendere una legge dello Stato. Quindi, a mio parere, l'aspetto più grave della questione è rappresentato dall'obiezione di coscienza. Bisognerebbe parlarne, dal momento che coloro che effettuano l'interruzione di gravidanza sono sempre di meno e devono continuamente giustificare il proprio lavoro. Nell'ultimo anno, il mio reparto è stato visitato tre volte dai NAS: non so se abbia richiesto il loro intervento il ministro Storace, o chi per lui.
Ho combattuto una grande battaglia negli ultimi quattro anni nella giunta regionale, in quanto ero la persona che coordinava tutti gli operatori che applicavano la legge n. 194 nel Lazio. Tra le altre cose, abbiamo creato delle linee guida, affinché tutti quanti avessero le stesse analisi. In questi anni è stato portato avanti un lavoro capillare in questa parte della ginecologia, una parte da sempre dimenticata e che, in realtà, rappresenta il 40 per cento della ginecologia: si tratta, quindi, di un enorme intervento da parte della nostra specializzazione di ostetricia e ginecologia. Questo argomento era tenuto nascosto prima del 1978, dal momento che si trattava di aborti clandestini, ma quegli interventi riempivano comunque le tasche dei miei colleghi ginecologi. Quello che mi preme sottolineare è che noi abbiamo accettato di fare questo lavoro gratuitamente.
Faccio notare, ad esempio, che un aborto terapeutico che io stimolo la mattina, si compie di notte. Quindi, se non sono di guardia è un problema. Spesso la donna che deve affrontare l'interruzione mi chiede di rimanere e dichiara di volermi pagare, ma ciò non è possibile in base all'attuale legislazione e non è mai stato fatto. L'intra moenia, ad esempio, è possibile per tutto il resto, ma non per la legge n. 194.
Nel 2004 sono stati effettuati 3.318 interventi, di cui 1.740 su donne residenti, 129 su donne di altre regioni e 1.449 su donne straniere. C'è da dire che con la legge Bossi-Fini si è verificata una riduzione. Prima al nostro ospedale arrivavano molte donne che provenivano dalla tratta o che, comunque, stavano sulla strada, come loro stesse hanno affermato durante il colloquio iniziale con il medico. Dal momento che non si capiva bene la richiesta di queste donne, abbiamo cercato di realizzare dei progetti e siamo riusciti ad ottenere, dal dipartimento del comune di Roma, un piccolo finanziamento annuale per i mediatori culturali. Quindi, dal 2001, presso la struttura operano alcuni mediatori culturali - tra questi anche uno cinese -, dedicati esclusivamente alla legge n. 194, i quali hanno tenuto dei corsi a proposito della contraccezione e di tutta una serie di problematiche.
Il problema è che l'azienda non può farsi carico di tutti. Tuttavia, la nostra difficoltà è che il 30 per cento delle richieste è certificato dal consultorio, mentre il restante 70 per cento viene certificato da medici ginecologi privati o da noi.

PRESIDENTE. Medici di famiglia?

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. Pochi. Devo dire, tra l'altro, che spesso i loro certificati devono essere controllati attentamente perché possono essere fittizi. Noi accettiamo quasi sempre il certificato di uno specialista. Un altro aspetto importante è quello dell'ecografia. Tale esame non è necessario per effettuare l'interruzione di gravidanza, ma a volte arrivano al reparto delle ecografie fatiscenti, a seconda dell'ambulatorio in cui sono state eseguite: comunque, vengono tutte confermate, perché abbiamo un ecografo. Soprattutto allo scadere dei 90 giorni, però, possono verificarsi problemi.
Abbiamo avuto dei problemi anche con le minori perché non possiamo visitarle. In ogni caso, dobbiamo fare la certificazione sulla richiesta della minore per mandarla dal giudice e, comunque, dobbiamo rispettare il limite dei 90 giorni. Pertanto, è sempre meglio visitare con una sonda e controllare che la ragazza rientri nei 90 giorni. Se, infatti, questa si rivolge al giudice, ottenendo l'autorizzazione, e i termini temporali non sono rispettati, si creano delle difficoltà.
Il problema grosso è che la richiesta delle donne va sempre vagliata. Devo dire che da noi la donna può decidere di scendere dal lettino fino all'ultimo momento perché non la forziamo ad affrontare l'aborto e le vengono offerti tutti i supporti possibili. Con grande difficoltà ci siamo attrezzati ed ora presso l'ospedale lavorano con noi due assistenti sociali, due psicologi che si alternano - se una donna ha bisogno di un supporto psicologico, sia prima sia dopo, lo ottiene - e i mediatori culturali.
Mi sembra di poter dire, dunque, che siamo in grado di rispondere a questo tipo di richiesta. Nel corso degli anni, ci sono stati anche casi di donne che hanno chiesto di portare avanti la gravidanza e che sono state seguite ed aiutate. Non abbiamo una casistica molto numerosa in questo senso, ma circostanze simili si sono verificate.
Il fatto di essere presente oggi in Commissione mi dà la sensazione di essere indagata e questo, a mio parere, può infastidire. Nei 2-3 giorni precedenti all'audizione mi sono chiesta continuamente quali domande mi avreste rivolto. In realtà, noi non dobbiamo giustificare il nostro lavoro. Questa vicenda era completamente sommersa. Come ha ricordato prima il direttore sanitario, anche a Roma, lo scorso Natale, è stata scoperta una clinica di cinesi. Il problema è lavorare sulle comunità di appartenenza con l'aiuto dei mediatori culturali e fare in modo che le donne possano avvalersi di questo servizio, che sia effettivamente sicuro e che garantisca i loro diritti. Credo che questo sia assolutamente fondamentale.

PRESIDENTE. Non stiamo indagando nessuno. La nostra è un'indagine conoscitiva, non un'inchiesta. Il nostro intendimento è quello di migliorare l'applicazione della legge. Come è stato dichiarato tante altre volte, anche dal ministro, la nostra non è un'inchiesta sulla legge che, secondo il mio parere, viene applicata bene, ma, probabilmente, potrebbe essere applicata meglio. Sono un ginecologo e in 46 anni di attività ho accumulato una certa esperienza. Tuttavia, qualcuno ha fatto rilevare i motivi per cui è stata avviata: probabilmente vi sono dei motivi. Lei ha sottolineato che è necessario un maggior numero di medici, di strutture e di mediatori culturali: ebbene, qualche aspetto può essere sicuramente migliorato. Questo è il senso dell'indagine conoscitiva. Nessuno vi sta mettendo sotto inchiesta; anzi, a mio parere, i medici che svolgono questo tipo di lavoro...

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. Sembra quasi che ci considerino senza cuore...

PRESIDENTE. Vi capisco.

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. ...secondo uno che parla di 4 milioni di morti. È una cosa grave!

PRESIDENTE. Ognuno può dire quello che vuole. Lei poco fa ha parlato di medici che, oltre a questo tipo di servizio, si occupano anche dei turni di guardia. A mio avviso questo problema è abbastanza importante, altrimenti chi si occupa solo di IVG rischia di essere ghettizzato, come se quella fosse la sua unica attività all'interno della struttura sanitaria, della clinica o dell'ospedale in cui lavora.
Questo - è la mia opinione personale - non è neanche giusto. È normale che esistano branche diverse di specializzazione e che alcuni medici si concentrino sul problema della sterilità, dell'oncologia e via elencando. Tuttavia, a mio parere, quello è un ginecologo con gli stessi diritti e doveri degli altri ginecologi.

MAURA COSSUTTA. Non sono solo gli obiettori a fare carriera.

PRESIDENTE. La mia speranza è che in tutti gli ospedali si comportino in questa maniera.

MAURA COSSUTTA. Ho precisato.

GIOVANNA VOLO, Direttore sanitario aziendale dell'Ospedale civico di Palermo. Credo che da parte nostra, sul piano organizzativo, non sia stato ghettizzato nessuno, per fortuna.
Applico il principio secondo cui questo è un aspetto che fa integralmente parte dell'attività di uno specialista di ginecologia e ostetricia. Pertanto, presso di noi non esiste assolutamente un'attività limitata a questo.
Devo, tuttavia, sottolineare un aspetto. Non credo che i nostri siano problemi organizzativi dell'ospedale, nel senso che la struttura risponde, comunque, alla domanda che a noi afferisce. Tutto il resto - e mi sembra di capire che lo stesso discorso valga anche per gli altri - è legato a problemi di natura più generale. Intendo dire che in Sicilia in particolare - il presidente ne sa qualcosa -, sicuramente i consultori non sono una presenza significativa, tanto che l'attività che si svolge in questi luoghi è limitata. In particolar modo, trattandosi di un aspetto culturale - nulla da addebitare ai colleghi e al personale che lavora nei consultori -, certamente c'è una quota culturale della nostra popolazione che non rende facile il lavoro sul territorio.
L'ospedale rimane il riferimento sanitario preferito e, di conseguenza, l'approccio a noi è esclusivamente diretto. Forse, neanche nella settimana di riflessione esiste la voglia da parte delle donne di avvicinarsi alle realtà consultoriali. Per questo motivo credo che, se la riunione di oggi vuole essere propositiva nei confronti di alcuni miglioramenti che possono essere apportati alla legge stessa, rispetto alle diverse realtà del nostro Stato, forse bisogna analizzare in maniera differenziata la realtà e il contesto nel quale la legge si trova ad essere applicata, relativamente alle popolazioni di riferimento.
Abbiamo un indicatore di tutto ciò ed è il fatto che il numero delle recidive è piuttosto alto, vale a dire che donne pluripare tornano da noi, benché siano state consigliate nell'utilizzo di strumenti contraccettivi. È evidente che qualche aspetto è carente nell'ambito dell'informazione e della formazione del personale da una parte e dell'utenza dall'altra, relativamente al territorio. Per quanto attiene all'attività delle nostra unità operative di ostetricia e ginecologia, la dottoressa Giambanco ci può senz'altro fornire dei dati molto dettagliati.

LAURA GIAMBANCO, Dirigente medico di primo livello ostetricia e ginecologia dell'Ospedale civico di Palermo. Sono uno dei tre medici non obiettori dell'ospedale civico.
Vi espongo i dati relativi al 2004: abbiamo avuto 2.200 parti e 600 interruzioni volontarie di gravidanza, con un 30 per cento di utenza extracomunitaria o in ogni caso non italiana. Analizzando i nostri dati, abbiamo notato due picchi di fasce d'età come utenza. Un picco si riferisce ad una fascia d'età tra i 23 e i 25 anni, composta da grandi pluripare, vale a dire che hanno già tre o quattro figli.
Quello di iniziare la procreazione in giovane età è un nostro problema sociale,

PRESIDENTE. Sono donne italiane?

LAURA GIAMBANCO, Dirigente medico di primo livello ostetricia e ginecologia dell'Ospedale civico di Palermo. Sì, sono italiane, locali, nostre residenti. Un altro picco di richiesta si registra nella fascia di età intorno ai 35 anni di donne nullipare, ossia senza figli, le classiche donne in carriera.
Abbiamo anche notato che la maggior parte delle recidive, in media un 20 per cento - non poco, anzi è un grande fallimento della professione sanitaria in genere - fa parte delle grandi pluripare giovani, appartenenti ad un ceto medio-basso dal punto di vista economico e culturale che, forse, non ha neanche idea dell'esistenza dei consultori, e non per pecca del relativo personale.

PRESIDENTE. Quanto alla contraccezione?

LAURA GIAMBANCO, Dirigente medico di primo livello ostetricia e ginecologia dell'Ospedale civico di Palermo. Della contraccezione ne sanno ancora meno, o perlomeno, l'unica forma di contraccezione che conoscono è il coito interrotto, che le porta da noi a richiedere l'interruzione volontaria di gravidanza.
Anche per la fascia di età dei 35 anni - quella delle donne senza figli, le cosiddette donne in carriera - si riscontra una mancanza di responsabilità, nel senso che la contraccezione spesso non viene considerata utile o indispensabile e ritornano da noi.
Evidentemente esiste un gap di comunicazione sociosanitaria.

PRESIDENTE. Vorrei far notare che sta già emergendo un aspetto. Abbiamo invitato tutti gli ospedali e non solo i consultori perché, secondo i dati che si rilevano dalle statistiche che ci inviano, si evince che la maggior parte di queste donne non passano per i consultori.
Allora, se le donne evitano il consultorio e si recano direttamente in ospedale, ricevono ugualmente i servizi di tipo consultoriale, informativo, sociale e assistenziale? A me premeva verificare se negli ospedali viene svolta questa attività: se può essere svolta, se è necessario incrementarla, se occorre del personale, se non può essere svolta negli ospedali perché queste strutture non possono praticare attività di tipo consultoriale (riguardo alla legge n. 194), dal momento che sarebbe necessario un maggior numero di mediatori culturali, assistenti sociali, psicologi e via dicendo.
Ovviamente, è il consultorio ad avere quella finalità, ma saltando questo passaggio, una parte della legge sembrerebbe non attuata in maniera integrale.
Il direttore sanitario dell'Ospedale Mangiagalli suggeriva giustamente di rimandare queste donne ai consultori. Tuttavia, probabilmente, se riuscissimo ad avvicinarle direttamente mentre vengono in ospedale, sarebbe ancora meglio.
Non so valutare la presenza delle associazioni, degli obiettori o dei non obiettori, ma anche chi è obiettore di coscienza potrebbe svolgere il suo lavoro all'interno di un consultorio; anzi, lo dovrebbe fare a maggior ragione.

MAURA COSSUTTA. Fanno obiezione anche sulla contraccezione!

PIETRO VITALI, Direttore del presidio medicina preventiva, igiene ospedaliera e referente medico di direzione sanitaria per il dipartimento materno-infantile dell'Azienda ospedaliera di Parma. Per inquadrare rapidamente la struttura, sottolineo che il nostro policlinico ospita 1.410 posti letto: l'ostetricia registra 32 posti letto, 15 di ginecologia e 5 di day hospital. All'interno del presidio lavorano 20 medici universitari e 33 ostetriche ospedaliere. Inoltre, la struttura è sede di una scuola di specializzazione di ostetricia (con 8 ostetriche universitarie, 70 allieve di ostetricia, 5 caposala) e di una scuola di ostetricia e ginecologia.
Per quanto riguarda l'attività svolta, una prima valutazione porta a prendere atto del fatto che nella nostra realtà il numero delle interruzioni di gravidanza si è drasticamente ridotto, passando da 1.219 nel 1990 a circa 500-510 nel 2003, a fronte di un incremento sostanziale dei parti da 2.171 nel 1990 a 2.473.
Credo che i buoni risultati ottenuti siano dovuti al successo di una integrazione di tre strutture di altissimo livello, che sono l'università, l'ASL e l'azienda ospedaliera. È per questo che oggi mi sono permesso di farmi accompagnare dalla responsabile del progetto salute donna, che ha alle sue dipendenze 30 consultori, 20 medici ostetrici e 33 ostetriche.
Questo è stato fatto sia attraverso percorsi condivisi tra territorio ed ospedale, sia attraverso il volontariato. Vorrei ricordare le numerose procedure che abbiamo attivato per l'interruzione volontaria della gravidanza - tre, l'ultima delle quali nel 2004 -, ma anche percorsi accessori, quali il percorso nascita e quello della contraccezione di emergenza, che hanno permesso di contenere il numero di aborti, coinvolgere ed integrare le strutture, in un percorso unico a tutela della donna.

LUIGI BENASSI, Direttore dell'unità operativa ostetricia e ginecologia dell'Azienda ospedaliera di Parma. Sono responsabile di questa struttura da un anno, ma lavoro da trent'anni nello stesso ospedale, che è l'unico della nostra città; vi è poi un'unica casa di cura privata convenzionata, che comunque svolge un'attività estremamente ridotta rispetto alla nostra. Pertanto, la maggior parte delle donne che si rivolgono ad una struttura sanitaria per la gravidanza o per la sua interruzione vengono da noi.
Avete già appreso le cifre relative alla diminuzione del numero delle interruzioni di gravidanza: la novità è rappresentata dalla percentuale di pazienti extracomunitarie che sale esponenzialmente (siamo al 30-35 per cento). Le fasce di età mi sembrano le stesse indicate dalla collega siciliana: in pratica, si tratta di donne giovani.
Siamo 20 medici. Siamo partiti con un 50 per cento di obiettori e un 50 per cento di non obiettori, ma adesso siamo arrivati a 15 medici obiettori e 5 non obiettori, attualmente senza alcun problema di convivenza. I medici non obiettori ruotano nel day surgery, dove abbiamo 5 letti, di cui in genere 1 o 2 destinati alle interruzioni di gravidanza e i restanti a patologie ginecologiche, per cui si alternano in questo ruolo. Ad ogni modo, lo ripeto, non abbiamo problemi. I medici obiettori, ovviamente, partecipano a tutte le altre attività di assistenza, anche delle pazienti che affluiscono per interruzione di gravidanza, senza alcun problema.
Questo discorso riguarda anche il percorso della contraccezione di emergenza, che abbiamo chiarito di recente per tutti i nostri medici e anche per la cittadinanza, dal momento che registriamo una forte affluenza di questo genere. La pillola del giorno dopo viene molto richiesta alla nostra struttura, di giorno e di notte, soprattutto nei giorni festivi, e siamo noi che diamo questo tipo di risposta. Dopo valutazioni anche con i medici legali, abbiamo convenuto che anche gli obiettori possono fornire regolarmente questo tipo di prestazione.
Il rapporto con i consultori è stato da noi ritenuto sempre molto importante, tant'è vero che, adesso che i consultori sono un po' in difficoltà a livello di personale, abbiamo offerto nostro personale a contratto, sia per l'attività consultoriale, quindi anche per l'interruzione di gravidanza, sia per lo spazio immigrati, che ha un ruolo importante nella nostra città perché si registrano cospicue quote di immigrazione.
Il rapporto con i consultori ha riguardato anche l'aspetto della prevenzione. I consultori hanno istituzionalmente il compito di occuparsi dell'educazione sanitaria e sessuale nelle scuole; per noi che lavoriamo in ospedale è un compito che non riusciamo a svolgere, a parte qualche iniziativa che ci ha spinto ad entrare nelle scuole. Insieme, azienda ospedaliera e azienda ASL, abbiamo preparato un dépliant sulla contraccezione, che noi offriamo alle nostre pazienti in day surgery e loro nei consultori, in cui sono indicati i luoghi di accesso e le modalità di intervento che possono essere offerte.
Proprio di recente, l'assessore della regione Emilia-Romagna ci ha convocato per parlare della possibilità di aprirci anche alla pillola RU486: insieme abbiamo valutato un percorso che attueremo, credo, al più presto.
Per quanto riguarda le strutture di volontariato, io stesso sono sostenitore del Centro di aiuto alla vita, per cui le gravidanze che dai consultori vengono appoggiate alle stesse vengono seguite direttamente da loro o da noi, attraverso un gruppo di medici che, all'interno della nostra struttura, offre questo tipo di volontariato: direi che si è trattato di un'integrazione finora soddisfacente.
Lascerei adesso la parola alla dottoressa Salvini, che ha la quota maggiore di attività, nel senso che il 70 per cento delle pazienti che richiedono l'interruzione di gravidanza viene a noi dai consultori. In pratica, abbiamo diviso la nostra attività nel modo seguente: ai consultori dovrebbero andare le pazienti residenti in città e da noi dovrebbero venire quelle della provincia. Abbiamo, quindi, una quota minima di affluenza. In realtà, ci sono anche alcuni liberi professionisti, molto pochi, che ci mandano i loro pazienti. Considerata l'alta percentuale - circa il 70 per cento - delle pazienti che vengono dai consultori, credo che sia interessante ascoltare la dottoressa Salvini.

PIETRO VITALI, Direttore del presidio medicina preventiva, igiene ospedaliera e referente medico di direzione sanitaria per il dipartimento materno-infantile dell'Azienda ospedaliera di Parma. Prima che intervenga la dottoressa Salvini, mi preme rilevare che abbiamo forzato un po' la mano: non siamo venuti come azienda ospedaliera - me ne assumo personalmente la responsabilità -, ma per trovare un'integrazione abbiamo chiamato l'azienda «sorella», altrimenti non si capisce come poter sviluppare il discorso.

PRESIDENTE. Abbiamo voluto ascoltare diverse realtà proprio per cercare di capire se esistano diversità nell'organizzazione. Può darsi, ad esempio, che la vostra organizzazione renda meglio di un'altra. Ben vengano, dunque, queste integrazioni.

PAOLA SALVINI, Responsabile del programma salute donna e dirigente medico di ostetricia e ginecologia dell'Azienda sanitaria locale di Parma. Ringrazio i colleghi, perché quella che ci viene offerta rappresenta per noi l'opportunità di presentare il lavoro che da anni svolgiamo insieme, che è stato produttivo ed è cresciuto nel tempo. Riguardavamo proprio in questi giorni i primi protocolli di percorsi integrati, che risalgono al 1998-1999.
Come hanno già anticipato i colleghi, la scelta che abbiamo portato avanti è la seguente: i consultori sono i luoghi deputati alla contraccezione, alla promozione della salute e alla tutela della maternità, quindi cerchiamo di far arrivare a queste strutture la maggioranza delle donne. Anche quelle che si rivolgono direttamente alla clinica, se sono residenti nel nostro territorio vengono dirottate verso i consultori. La clinica, dunque, si fa carico delle pazienti che magari si trovano solo occasionalmente a Parma e che provengono da altre zone.
Questo naturalmente significa che noi abbiamo scelto di incontrare le donne il più rapidamente possibile. Il percorso che abbiamo individuato prevede che la prenotazione avvenga direttamente in azienda ospedaliera. Le donne, però, fanno da noi il colloquio, che avviene in due tempi. Una prima accoglienza viene sempre curata dall'ostetrica, come del resto succede anche per le altre pazienti, in modo che ci sia un momento di conoscenza del servizio e di quello che possiamo fare. Dopodiché, se la donna conferma la propria scelta, passa al ginecologo per la compilazione e la certificazione. Naturalmente, se si intravedono delle perplessità, la procedura prevede che si contatti il servizio sociale dei comuni (non abbiamo l'assistente sociale nel territorio) oppure le associazioni di volontariato, i Centri di aiuto alla vita in modo particolare. In questo caso, siamo noi a prendere l'appuntamento per la donna.
Se la donna decide, comunque, di interrompere la gravidanza, prima di uscire dal consultorio le viene prenotata una visita di controllo e, quindi, la consulenza. La visita, anziché nel punto ospedaliero, come sarebbe previsto dal DRG, viene effettuata direttamente dal consultorio, che è in effetti il luogo della consulenza e dispone di spazio e tempo maggiore.
Per quanto riguarda la popolazione che riceviamo, anche da noi si registra un aumento delle donne immigrate, la cui percentuale raggiunge ormai il 35 per cento. È evidente che queste sono le pazienti più problematiche, per questioni di lingua, di cultura e di percorsi diversi.
Altro aspetto da considerare è quello della popolazione che afferisce, invece, allo spazio giovani, ossia alla struttura pubblica per adolescenti sotto i 21 anni, che naturalmente devono essere maggiormente protette e seguite. Anche in questo caso, ci occupiamo noi delle certificazioni per le adolescenti che chiedono di non consultare i genitori e, quindi, le accompagniamo dal giudice tutelare. Questo avviene solo nella nostra struttura pubblica.
Un'altra attività dei consultori, a cui teniamo in maniera particolare e sulla quale insistiamo molto, è quella della prevenzione di gravidanze indesiderate, che si rivolge in generale alle donne e non solo a quelle che vengono a chiedere informazioni sulla legge n. 194 del 1978. Svolgiamo, altresì, attività di promozione della salute nelle scuole e attività di prevenzione di gravidanze indesiderate durante i corsi di preparazione alla nascita. Va considerato, infatti, il problema delle pluripare o dalla concezione durante il puerperio, e sappiamo che questo è un tema piuttosto «caldo». Dal punto di vista dell'attività di promozione della salute, cito ad esempio gli screening del carcinoma del collo dell'utero; le donne dai 25 anni in su afferiscono con chiamata attiva.
È da sottolineare che, negli anni, il percorso integrato con l'azienda ospedaliera è stata una delle iniziative principali che abbiamo sperimentato e che, naturalmente, continueremo a sperimentare.

PRESIDENTE. Permettetemi di sottolineare un aspetto che è stato da più parti richiamato.
Qualcuno ha sostenuto che alcune donne, pur avendo chiesto di abortire, hanno cambiato idea e non hanno portato a termine l'interruzione di gravidanza perché hanno fatto una scelta diversa. I dati che abbiamo ricevuto dall'ISTAT, se non sbaglio la settimana scorsa, indicano che, al massimo, questo incide nella misura del 5 per cento e, quindi, non più di tanto. Vorrei sapere da voi, comunque, se questo è un dato riscontrabile sia nelle strutture più grandi sia in quelle più piccole.
Inoltre, poiché si notano, nell'organizzazione del servizio, differenze abbastanza importanti tra Parma ed altre città - quale ad esempio Palermo, la mia terra -, vorrei capire se ci siano differenze anche in questo senso.

PAOLA SALVINI, Responsabile del programma salute donna e dirigente medico di ostetricia e ginecologia dell'Azienda sanitaria locale di Parma. È difficile raccogliere questi dati, ma sarebbe davvero importante riuscire a rilevarli, per capire quante sono le prime richieste e quante le certificazioni effettive.

MANUELA MUCCI, Medico referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile Bernabeo di Ortona. Sono una ginecologa e opero in un piccolo ospedale, che dunque rappresenta una realtà più contenuta rispetto ai grandi ospedali dei quali abbiamo sentito parlare sinora.
Provengo da una formazione consultoriale. In Abruzzo sono stata una delle prime ginecologhe in un gruppo di amici che hanno scelto di lavorare nei consultori nel 1976, 1977, 1978. Ricordo che, all'inizio, nessuno voleva svolgere il lavoro consultoriale. A quel tempo, dunque, hanno mandato noi ragazze a lavorare in quelle strutture e devo dire che è stata una grossa palestra di vita, davvero importante per la mia formazione come donna, come medico e come ginecologo. È stato un luogo di apertura nei confronti della società. Non siamo rimasti chiusi al nostro interno, ma siamo andati a cercare nella società le fasce di rischio: a quell'epoca, abbiamo fatto veramente tanta, tanta prevenzione.
È evidente che la nostra formazione culturale ce la siamo portata dietro nel nostro lavoro ospedaliero e siamo rimasti in contatto con le persone che attualmente lavorano nei consultori. Il nostro ospedale è integrato strettamente con la rete consultoriale. Il collega responsabile dei servizi consultoriali della nostra ASL si confronta mensilmente con l'ospedale, perché svolgiamo riunioni sulle problematiche che possono afferire ad entrambe le strutture. Il servizio è rimasto chiuso per un paio di anni per mancanza di personale.
Mi occupo di questo modulo ormai da tanti anni e posso dire che abbiamo notevoli difficoltà organizzative. La ghettizzazione, a volte, non è soltanto nella progressione di carriera (a volte c'è, a volte no, è inutile nasconderselo). Sicuramente io non mi sento ghettizzata nello svolgere un servizio che rientra nella nostra competenza. La nostra è una scelta, ma è soprattutto un aiuto che offriamo per risolvere disagi davvero notevoli.
Il problema è organizzativo e riguarda il personale parasanitario. Credetemi, noi non abbiamo personale e siamo costretti a inseguire le persone per chiedere loro di lavorare con noi. Quando ho riaperto il servizio sono scappati tutti. Nessuno, tra il personale parasanitario, voleva collaborare con me poiché si tratta di un impegno lavorativo notevole, che richiede tempo, sacrifici, pazienza, comporta che si debba riportare la paziente a letto, parlare con lei, metterle la flebo e quant'altro. Noi facciamo di tutto, ma lo facciamo volentieri perché queste donne hanno bisogno della nostra pazienza, del nostro impegno e di avere vicino qualcuno che le capisca in questa scelta difficile. Hanno bisogno di non essere né condannate, né lasciate da sole.
Il momento consultoriale è già un gran passo perché in quella sede le donne vengono seguite dalla psicologa e dall'assistente sociale, hanno un colloquio con loro e, se necessario, anche con la nostra psicologa e assistente sociale dell'ospedale. Questi servizi, che offriamo noi in ospedale ma che vengono offerti anche fuori, si integrano a vicenda. Appena la donna ha bisogno di qualcosa, basta una telefonata e arriva qualcuno che la aiuti. Il problema vero è l'intervento chirurgico, il momento in cui la donna, a volte, non riesce a sentirsi compresa, tutelata, seguita. Noi viviamo questo momento anche da un punto di vista medico e non dovremmo perdere una sensibilità che è necessario mantenere. È questo che costa tanto sacrificio, per cui il personale manca.
Non credo che la legge possa essere applicata meglio di come già avviene. Almeno dalle mie parti - non conosco le altre realtà, ma faccio riferimento ai dati contenuti nelle relazioni dell'ISTAT - c'è stata una netta diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza: è un fatto lampante. Tale diminuzione si è verificata grazie anche a una grossa informazione sulla procreazione responsabile: da questo punto di vista, si è svolto un lavoro importante sul territorio, nelle scuole sulle famiglie, sulla sessualità, sulle donne. Va citato, altresì, il lavoro svolto sia da noi ginecologi, che dovremmo essere considerati i medici della donna, sia anche dal consultorio, dalle assistenti sociali, dalle psicologhe. Il consultorio non è stato soltanto un luogo fisico, ma un luogo di incontro, di collaborazione e di multidisciplina. Sarebbe davvero importante, dunque, incrementare le piante organiche. Se solo venisse applicato il progetto obiettivo materno-infantile dal 1998-2000, avremmo una sicurezza non solo dell'applicazione della legge n. 194, ma anche dei punti nascita che sono altamente insicuri. Questo è già un altro dato su cui forse bisognerà aprire un contenzioso...

PRESIDENTE. Poi avvieremo un'altra indagine.

MANUELA MUCCI, Medico referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile Bernabeo di Ortona. Comunque, nella realtà locale abruzzese si è verificata una notevolissima diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza. Per quanto ci riguarda, abbiamo attivato tutto quello che può essere attivato, con molta attenzione all'autodeterminazione della donna, come del resto il legislatore ha previsto in maniera ben chiara nella stesura della legge.
Nel momento che precede l'intervento chirurgico, incontro personalmente le donne per capire se sono determinate ad affrontare l'intervento o se intendono recedere dalla loro decisione. Credo che la percentuale delle donne che a livello nazionale rinunciano all'aborto sia del 5 per cento.
Sicuramente insistiamo molto sulla necessità di controlli successivi all'intervento e insistiamo che tali controlli avvengano nei consultori, che rappresentano il punto di riferimento che può evitare il ripetersi dell'intervento chirurgico. Considerando la nostra stretta collaborazione con i consultori, non è tanto importante il luogo, quanto il fatto che la donna torni e trovi la persona con la quale confrontarsi.
Anche noi abbiamo riscontrato un aumento delle donne immigrate nella popolazione che si rivolge alle nostre strutture. Per queste donne, grazie alla cultura del loro paese di origine, farsi visitare da un uomo può essere un problema. Se il collega del consultorio è un uomo, allora ci si confronta e si preferisce far tornare queste donne da noi. Certo, anche questo è un sacrificio, che richiede tempo e pazienza. Nell'ospedale di Pescara è stata introdotta la figura del mediatore culturale, ma nell'ambito del volontariato, in quanto non sono stati reperiti i fondi necessari. Sicuramente si sta lavorando affinché questa figura possa essere disponibile non solo nell'ospedale di riferimento, ma anche per altre strutture.
Non è detto che debba spostarsi la donna, potrebbero anche spostarsi le persone che si offrono per la mediazione culturale.
Queste donne immigrate, oltre ad avere problemi di comunicazione per la lingua, hanno difficoltà ad accettare la contraccezione. In molti paesi la procreazione responsabile non esiste, non è prevista nella loro cultura. Fanno i figli, ma in Italia, pur volendoli fare, non hanno le strutture, un lavoro, una casa: non hanno nulla. Pertanto, il nostro aiuto è anche nel seguirle successivamente; per questo collaboriamo con molti servizi di volontariato sociale nel territorio, ad esempio con la Caritas. Le seguiamo sulla presenza dei minori e a casa.
In definitiva, il lavoro è tanto, noi siamo pochi e i fondi sono sempre più scarsi. Sicuramente le leggi ci sono, basta applicarle. Spero che continuino ad essere applicate, così come il nostro lavoro ha dimostrato negli anni.

DONATO ALOIA, Dirigente medico dell'Ospedale civile di Matera. Sono dirigente medico della direzione sanitaria e sono affiancato dal dottor Tamburrino, dirigente medico ginecologo. La nostra è una piccola realtà, forse la più piccola di quelle descritte finora: abbiamo un piccolo ospedale, sebbene nuovissimo, con 400 posti letto e registriamo circa 1.100 parti ogni anno.
Dico subito che la nostra integrazione con il consultorio è ottimale. Abbiamo trovato una sintonia eccezionale, in quanto già nei progetti obiettivo presentati dalla nostra ginecologa, che dirige i due consultori, abbiamo attuato pienamente i suggerimenti e ottimizzato questo rapporto. Dei 13 medici della struttura complessa di ostetricia solo il dottor Tamburrino non è obiettore. Specifico che precedentemente ci appoggiavamo alla realtà barese e non avevamo questa possibilità. Il dottor Tamburrino, che fa parte della ASL, è passato da poco tempo alla struttura ospedaliera come medico non obiettore.
Il lavoro svolto con i consultori è stato proficuo perché il progetto obiettivo presentato dall'azienda è stato attuato in pieno: su 226 richieste di interruzione volontarie di gravidanza - parlo del 2004 - solo 143 sono state eseguite.

PRESIDENTE. Scusi, non ho capito.

DONATO ALOIA, Dirigente medico dell'Ospedale civile di Matera. Su 226 richieste, sono stati eseguiti 143 aborti.

PRESIDENTE. E le altre richieste?

DONATO ALOIA, Dirigente medico dell'Ospedale civile di Matera. Le richieste rientrate di sicuro sono 19. La nostra è una piccola realtà che, forse, ci consegna dei dati di facile lettura, sebbene vadano confrontati con il resto della realtà nazionale.
Per tornare ai numeri, abbiamo avuto 23 immigrate e per 28 c'è stato solo un passaggio di informazione. Come provenienza, abbiamo avuto17 casi dalle altre regioni, 53 dalle altre ASL della regione, 78 da Matera e 38 dalla provincia.
Per quanto riguarda le fasce di età, il 25 per cento delle richieste riguarda donne di età compresa tra 30 e 34 anni, l'8 per cento donne tra 15 e 19 anni, il 22 per cento donne tra 25 e 29 anni. Il trend degli ultimi anni non è in completa flessione, ma si è più o meno stabilizzato (negli anni precedenti siamo intorno ai 120, ma siamo anche arrivati a 143). In ciascuno dei due consultori presenti in città operano una ginecologa, uno psicologo, un'ostetrica, due assistenti sociali e un assistente sanitario. In più, abbiamo un gruppo di circa dieci volontari della famiglia-risorsa, che collaborano a stretto contatto con gli assistenti sociali nelle accoglienze.
Il progetto a cui facevo riferimento ha prodotto risultati, in quanto è stata fatta molta prevenzione nelle scuole. Abbiamo sostenuto la maternità/paternità responsabile e questo ci ha dato risultati importanti perché tutti si rivolgono al consultorio. I medici di famiglia hanno svolto una funzione di informazione e direi che solo in pochissimi casi i soggetti si sono rivolti direttamente all'ospedale. I consultori, dunque, hanno avuto quella funzione di filtro che si richiedeva loro.
Certo, si potrebbe fare ancora di più ma, considerando che tale realtà partiva svantaggiata dalla presenza predominante di medici obiettori, devo dire che è un ottimo risultato.
Per quanto riguarda l'accoglienza, la presenza dei volontari ci è stata d'aiuto, mentre il ginecologo e le ostetriche hanno svolto tutti i passaggi di loro competenza nei tempi dovuti, assicurando la necessaria serenità per compiere la scelta.
La famiglia-risorsa, che deriva da una delibera regionale, è composta da operatori selezionati e formati. I relativi corsi di formazione sono stati molto seguiti perché a livello del volontariato, questa partecipazione è molto sentita.
Per quello che va oltre i 90 giorni, a Potenza il punto di riferimento è l'IPAI, una realtà che esula dal controllo della nostra ASL.

FRANCO TAMBURRINO, Dirigente medico ginecologo referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile di Matera. Non ho molto da aggiungere, ma vorrei riferire quello che siamo riusciti a fare insieme alla collega del consultorio. Innanzitutto, sono io che mi sposto dall'ospedale al consultorio e mi sembra che questa sia una scelta efficace, in quanto in quell'ambiente la donna, probabilmente, si sente più tranquilla. Credo che possa contribuire a tranquillizzarla il fatto di trovarsi di fronte due medici, un'ostetrica e una psicologa, che non sono lì per interrogarla con tono inquisitorio, ma per accoglierla e ascoltare le sue necessità. Ad ogni richiesta viene prontamente data risposta. Inoltre, se manca parecchio al termine dei 90 giorni, ci si incontra più spesso, per verificare se la donna è seriamente motivata oppure se presenta qualche problema che potrebbe essere risolto in qualche maniera.
Qualche esperienza positiva c'è stata.

PRESIDENTE. Prima si è parlato di 19 casi su 226. Siamo al di sopra della media...

FRANCO TAMBURRINO, Dirigente medico ginecologo referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile di Matera. Insomma, è una buona media, abbiamo un'esperienza positiva. A questo aggiungo che la direzione dell'azienda sanitaria è abbastanza sensibile al problema, tant'è che, proprio per evitare che si verifichino casi di recidive, ha accolto la richiesta della collega ginecologa del consultorio di approvvigionarsi di dispositivi intrauterini da proporre in contemporanea all'intervento.
Insomma, svolgendo questo servizio ed adoperandoci affinché la legge sia applicata al meglio, non mi sembra che sia necessario intervenire per demolirla.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per le relazioni svolte.
Ho notato qualche discrepanza nell'attività tra i grandi e i piccoli ospedali. Sicuramente, è emersa la necessità di un'integrazione tra il territorio, il consultorio, il medico di famiglia e gli ospedali. Forse la parte più assente, in questo tipo di interventi, è quella dei medici di famiglia (comunque, li ascolteremo, ed è probabile che questa impressione cambi). Maggiore è l'integrazione con i consultori - ma anche con le associazioni, che evidentemente possono aiutare a svolgere meglio questa funzione -, meglio viene attuato il servizio. Questa è la mia personale opinione.
Ben venga, naturalmente, il dato di rinuncia all'interruzione volontaria di gravidanza. Nell'ultimo intervento si è parlato di 19 casi su 226, che è un dato superiore alla media precedentemente riferita, ossia del 5 per cento. Il discorso, tuttavia, va approfondito, perché molti di questi casi sfuggono o non vengono seguiti fino in fondo. Sicuramente, in tutti i grandi ospedali c'è una percentuale di donne che non si recano all'appuntamento, ma può anche succedere che per qualsiasi motivo preferiscano rivolgersi ad altre strutture.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti e formulare osservazioni.

GRAZIA LABATE. Vorrei rivolgere un ringraziamento sincero, non formale, ai medici che sono intervenuti, ancorché da realtà molto diverse. Le loro parole, al di là del lavoro che stiamo svolgendo con le audizioni dell'indagine conoscitiva, confermano ciò che sapevamo. Intendo dire che questa legge viene applicata interamente sul nostro territorio nazionale, quindi, quella italiana non è una realtà di «abortifici». Lo dico perché sarà bene far sapere ai presenti che questa indagine è stata contrastata, perlomeno da diverse forze politiche, non già per ragioni ideologiche, ma perché eravamo convinti che le relazioni presentate al Parlamento, i numerosi convegni che si svolgono nel nostro paese su questi temi e la realtà territoriale dalla quale ognuno dei parlamentari proviene bastassero per confermare che in Italia il fenomeno dell'aborto è in costante diminuzione, al di là del dato riguardante le donne immigrate.
Ritenevamo, insomma, che ci fosse stato un grandissimo salto culturale nell'applicazione di questa legge, e voi oggi me lo confermate. La legge è applicata in tutte le sue parti.
Ho molto apprezzato questo lavoro di integrazione tra ospedale e territorio. Posto che nessuno di noi ha come concezione culturale quella della «non vita» o della morte, nel rispetto della volontà degli individui, quello che ho molto apprezzato è che questo lavoro di integrazione produce un risultato, per certi aspetti, straordinario, se si eccettua il fenomeno - lo abbiamo sentito per la Sicilia, ma avviene anche in altre parti del paese - della recidività dell'aborto, che, però, chiama in causa una serie di fattori culturali più generali, sui quali bisogna insistere. Credo, infatti, che il vero problema, del nostro paese, nel quale si stenta ancora molto, sia una cultura della contraccezione per una paternità e maternità responsabili.
Fatta questa premessa, passo alle domande. La prima la rivolgo al dottor Tiso, del presidio ospedaliero Mangiagalli, che ci riporta un'esperienza molto interessante, quella di una realtà ospedaliera grande, nella quale opera un consultorio del Movimento per la vita.
Dal punto di vista quantitativo o statistico, anche nella struttura nella quale opera si registra un 5 per cento di recupero delle decisioni di aborto? Inoltre, lei sottolineava l'incidenza del numero delle ragazze madri, poiché il vero problema che lei ha riscontrato è quello della casa. Ebbene, mi piacerebbe conoscere meglio il modo di operare di questa organizzazione del volontariato. Vorrei sapere se si connetta con il comune di Milano, con le strutture istituzionali deputate a fornire una risposta, o se abbia un'autonomia per provvedere economicamente e socialmente alle problematiche che sono a monte di una decisione non del tutto consapevole.
La dottoressa Scassellati ci ha parlato delle difficoltà con cui lavora al San Camillo. In che senso per chi è ginecologo strutturato in quell'ospedale è impossibile lavorare in regime di libera professione? La legge dello Stato non fa una discriminazione dell'applicazione dell'istituto dell'intra moenia per il personale strutturato nei servizi. Vorrei capirlo, perché, se ci fosse un'applicazione non corretta, e, pertanto, una discriminazione, avremmo molte ragioni, attraverso i nostri strumenti di sindacato ispettivo, per capire come avvenga in quell'azienda ospedaliera l'applicazione delle nostre leggi. Naturalmente, mi rendo conto che applicare la libera professione per l'interruzione volontaria della gravidanza vorrebbe dire averne una richiesta in tale sovrannumero che l'ospedale dovrebbe strutturarsi...

PRESIDENTE. Può darsi che diminuiscano gli obiettori!

GRAZIA LABATE. Colgo la battuta di spirito, ma credo che questo sia un argomento molto importante, che non ammette ironia. Mi piacerebbe, insomma, capirne di più su questa vicenda.
Inoltre, va rilevato che è stato unanime il discorso relativo alle donne immigrate extracomunitarie. Il dato che le riguarda, in qualche modo, compensa la riduzione che, invece, si è registrata per le donne italiane, grazie all'opera ospedaliera e territoriale, merito soprattutto delle stesse donne. Non lo dico perché sono intervenute alcune ginecologhe, ma perché, fin dal 1975, da consigliera comunale, mi sono battuta per l'istituzione dei consultori ed ho visto con quanta abnegazione, in particolare le ginecologhe donne si sono dedicate a questa materia. Ricordo che si trattava di un servizio di frontiera nel nostro paese; non eravamo abituati a counseling di tipo contraccettivo o sessuale. Del resto, anche oggi, avendo figli di una certa età, mi rendo conto che nelle scuole non è andata avanti un'opera di informazione e di educazione sessuale, e che, nonostante l'età moderna e la liberalizzazione dei costumi, intorno a questa materia spesso c'è tantissima ignoranza.
Se voi rilevate questo dato di incidenza, mi piacerebbe conoscere se anche rispetto alle donne extracomunitarie vi sia un'azione da parte delle organizzazioni di volontariato, nel caso di decisioni non troppo consapevoli. Avete parlato di extracomunitarie che, spesso, non hanno lavoro e vivono in condizioni disagiate. Questo sarebbe utile all'indagine conoscitiva e permetterebbe a noi parlamentari della Repubblica di avanzare proposte molto più serie.
Infine, mi pare di capire che il massimo dell'esperienza positiva si abbia laddove c'è l'integrazione tra l'ospedale e il territorio. Chiedo, allora, ai rappresentanti delle regioni che ne hanno parlato meno se i loro piani sanitari regionali abbiano previsto i dipartimenti integrati tra ospedale e territorio, oppure se ci sia ancora una carenza di indirizzo programmatico al livello più generale della regione che, in qualche modo, consente di fare esperienze buone, ma parallele, che rischiano di non incontrarsi e di non ottenere il massimo del risultato.

MAURA COSSUTTA. Anch'io ringrazio in modo non formale tutti gli intervenuti, anche per averci offerto elementi seri di riflessione. Abbiamo già detto, tra l'altro, che le situazioni sarebbero ben diverse se avessimo ascoltato, ad esempio utilizzando lo strumento della relazione annuale del ministro della salute, prevista dalla legge, quello che, da tempo, tutti gli operatori ci dicono. Oggi non si inventa nulla. Sono decenni che gli operatori dei consultori denunciano le criticità che abbiamo ascoltato.

PRESIDENTE. Non è mai troppo tardi.

MAURA COSSUTTA. La politica non ha ascoltato questo grido di allarme. Mi allarma, invece, che, proprio adesso, si avvii un'indagine conoscitiva, si dice, per difendere una legge, ma, io ritengo, per scardinarla dall'interno.
Mi rivolgo al collega del presidio ospedaliero Mangiagalli, che, giustamente, ha riferito l'impegno coerente di trovare sintesi, quindi la difficoltà insita in questo impegno, ma anche la ricchezza di figure e di esperienze diverse. Il Movimento per la vita che gestisce questo consultorio, come lei ben sa, probabilmente è lo stesso che, davanti al policlinico di Modena, si è reso protagonista di quell'episodio che abbiamo più volte richiamato. Mi dice che non è lo stesso, ma il discorso non cambia. Allora, più che individuare che cosa serve, diciamo innanzitutto cosa non serve oggi per difendere la legge. Innanzitutto, non serve l'approccio ideologico.

CARMELO PORCU. Appunto, non serve.

MAURA COSSUTTA. Ho chiesto al ministro Storace di pronunciare una parola di condanna di questi movimenti - chiamiamoli sanfedisti o integralisti islamici, scegliete voi - che, davanti al policlinico di Modena, con una croce gigantesca, distribuivano alle donne depliant con le immagini a colori dei feti. Se qualcuno pensa che questo sia il modo di aiutare le donne e gli operatori, credo che in questa Commissione una parola chiara debba essere pronunciata. È necessario, allora, specificare quali sono le associazioni di volontariato. Attorno alla legge n. 194, con il cavallo di Troia della presenza delle associazioni di volontariato, si vuole reintrodurre la cultura della colpa che, a parte l'approccio ideologico, non funziona per l'applicazione della legge.
Cosa pensate - mi rivolgo agli operatori - che potrebbe succedere se venissero potenziati questi aspetti ideologici? Il ministro Storace sostiene che bisogna aggiungere i questionari: a mio avviso questi questionari, atti a verificare il famoso 5 per cento delle donne che recedono, potrebbero essere distribuiti dal Movimento per la vita. Voi non considerate che ci sia un rischio reale dell'aumento degli aborti clandestini? Non considerate che ci sia un rischio reale soprattutto per le donne immigrate, che non hanno legami sociali, non hanno sicurezze affettive, non hanno reti di protezione? Per queste donne l'accesso al consultorio era ed è l'unica e ultima spiaggia. Che cosa può comportare la presenza, in queste strutture, di movimenti integralisti che, più che aiutare, giudicano le donne? Tra l'altro, dobbiamo ricordare che la maggior parte di queste donne è irregolare e il timore dell'approccio, sicuramente, favorirà l'aumento degli aborti clandestini.
Sono d'accordo sull'importanza dell'integrazione con il territorio. Tuttavia, a mio parere, la presenza del Movimento per la vita e delle associazioni di volontariato negli ospedali, anziché potenziare i consultori rischia di depotenziarli. Noi dobbiamo dire con chiarezza, al di là delle differenze di posizione, che oltre l'approccio all'ospedale, previsto dalla legge, con la certificazione, l'approccio al consultorio, dal punto di vista scientifico e della sperimentazione, è indispensabile, perché non ci siano le recidive e perché la donna ritorni al consultorio per sottoporsi ad altre prestazioni indispensabili per la sua salute riproduttiva e per la sua salute in generale. E può chiamarsi consultorio solo quello che può lavorare come servizio di prevenzione attiva.Giustamente la collega - sono anch'io medico - riferiva che al consultorio si rivolge direttamente l'utenza, ma quello che dobbiamo fare è esattamente il contrario! É il consultorio che deve andare verso l'utenza che ad esso non si rivolge spontaneamente. E per popolazione a rischio non mi riferisco solo alle donne immigrate ed ai relativi servizi di strada (tra l'altro, vorrei vedere in quale città si svolgono i servizi di strada per aiutare le donne immigrate, ad esempio le prostitute). Occorre un'azione anche verso le donne pluripare. La collega ci ha riferito che sono soprattutto le pluripare ad avere recidive, ed ha ragione a chiedere quando applichiamo questo benedetto progetto obiettivo. È lì che dobbiamo contattare le donne. Questa è la complessità del consultorio.
Signor presidente, lei ci chiede di parlare solo dell'interruzione volontaria di gravidanza e di questo aspetto specifico del consultorio, ma questo significa che non abbiamo capito come devono funzionare i consultori. Solo se i consultori funzionano anche quando la donna vi si reca per partorire, potranno adeguatamente funzionare per l'IVG. Questa è l'esperienza degli operatori.
Innanzitutto, servono risorse. Oggi pomeriggio andrò in Aula a difendere un mio ordine del giorno - avete posto la fiducia sulla legge finanziaria, quindi, ci rimangono gli ordini del giorno - che chiede di stanziare risorse per i consultori. In questa finanziaria non è prevista una lira per i consultori, per assumere personale, per le politiche sociali, per le politiche occupazionali delle donne, per aumentare le indennità di maternità per le lavoratrici precarie. Allora, che cosa vogliamo dire quando parliamo di tutela della maternità? A cosa serve, dunque, questa indagine conoscitiva sulla legge n. 194? Credo che gli operatori abbiano denunciato da tempo gli elementi di criticità e, ancora oggi, con grande chiarezza - di questo li ringrazio ancora -, li hanno ribaditi in questa audizione. Ora, però, serve coerenza e impegno.
Temo, lo ripeto, una risoluzione dell'indagine conoscitiva che, di fatto, metterà sotto attacco la legge. Se l'obiettivo, come ha detto il ministro Storace, è di sottolineare la centralità di quell'aspetto della prevenzione, che significa salvare i 4 milioni e 500 mila bambini non nati, significa che non si è capito nulla di cosa sia l'attività preminente di prevenzione delle IVG svolta dai consultori, vale a dire l'uso adeguato e consapevole dei contraccettivi.

CARLA CASTELLANI. Il ministro non ha detto questo.

MAURA COSSUTTA. Questa è esattamente l'attività di prevenzione, ma il ministro Storace non ha detto una sola parola sulla contraccezione. Proporrei che i medici obiettori almeno svolgessero obbligatoriamente i corsi sulla contraccezione nelle scuole e sul territorio, in difesa della vita. Sappiamo, invece, che esistono obiettori che fanno obiezione anche sui metodi contraccettivi.
Si tratta di fare un passo avanti e di garantire l'accesso gratuito agli anticoncezionali ai giovani e agli adolescenti, perché così si costruiscono una paternità e una maternità responsabile, visto che la sessualità, fino a prova contraria, anche le ragazze e le donne hanno diritto ad averla...

CARLA CASTELLANI. Ci sono anche altri modi.

MAURA COSSUTTA. Diciamo che la contraccezione è un metodo che le donne hanno scelto. Lasciamoglielo, quindi, se non vogliamo tornare all'Iran degli islamici e dei fondamentalisti.

CARMELO PORCU. Che ci sono adesso!

MAURA COSSUTTA. Credo che le proposte di questi operatori segnino una linea importante. Non possiamo procedere in un'indagine conoscitiva che, invece di tener conto di queste proposte e di questi suggerimenti, temo voglia indirizzarsi su una strada ideologica.

LUANA ZANELLA. Innanzitutto, per quanto riguarda la Basilicata, nella relazione che ci è stata consegnata qualche settimana fa dal ministro della salute, si legge che, con riferimento al 2003, la situazione della Basilicata è assai particolare, in quanto poco meno della metà delle IVG riguardanti donne residenti viene effettuata fuori regione. È dal 2004, dunque, che le cose sono cambiate? Da quello che abbiamo sentito, è un dato molto recente.
Questo discorso mi serve per svolgere un ragionamento sull'obiezione di coscienza. So bene che alcuni obiettori lo sono anche per stanchezza, dopo anni e anni di attività in questo settore, e per le ragioni che abbiamo ascoltato. Credo che nei progetti obiettivo - dalla nostra indagine potrebbe emergere anche questo - dovrebbe essere riconosciuta, invece, una sorta di indennità speciale a coloro che svolgono questo tipo di attività, anche per la complessità e la delicatezza della materia. A mio giudizio, si dovrebbe prevedere una sorta di riconoscimento, naturalmente all'interno di una progettazione complessiva (Commenti del deputato Porcu). Non sarà mica possibile che in un ospedale ci siano venti ginecologi, dei quali, magari, solo tre o quattro non obiettori (Commenti del deputato Porcu).
Non dico di prevedere un incentivo per ogni aborto. Se vogliamo che la legge venga applicata e che ci sia un'organizzazione coerente di uno dei settori più delicati, non dico di riconoscere un tot in più per ogni aborto ai medici che li praticano - non sono stupida -, ma di rendere più appetibile questo tipo di attività anche a coloro che, strumentalmente, non la svolgono, e non già perché sono cattolici, ma perché è un'attività penalizzante, e questo è un problema! Sappiamo che questa è la vera ragione. Conosco medici che non praticano più aborti, perché sono stanchi di fare solo quello.
È chiaro che farlo per tutta la vita diventa stressante e non credo che sia un'azione gradevole dal punto di vista psicologico. Se fossi ginecologa o ostetrica, avrei difficoltà a svolgere per tutta la vita questo lavoro.

CARLA CASTELLANI. Dove sta scritto che si fa tutta la vita!

LUANA ZANELLA. Ma se a Matera ci sono solo due o tre medici che non sono obiettori e le donne di quella regione vanno in Puglia per abortire? Abbi pazienza! È anche una questione di coscienza. È chiaro che ci si trova dentro un meccanismo da cui è difficile uscire! Comunque, la polemica è sintomatica del fatto che il problema esiste.
A mio avviso, non emerge abbastanza chiaramente - perlomeno io non l'ho capito - quali siano, a livello nazionale, i luoghi dove effettivamente si sviluppa questa campagna informativa, ad esempio, attraverso le scuole. In secondo luogo, vorrei sapere quanti consultori che funzionano in maniera adeguata esistano in Sicilia. Infine, ho l'impressione che esista ancora - in Veneto sicuramente - una percentuale non trascurabile di aborti clandestini. Avete idea di quale possa essere la dimensione del fenomeno?
A livello delle varie realtà, quali sono gli ostacoli alla piena applicazione del Progetto obiettivo materno-infantile e dei Livelli essenziali di assistenza (LEA)?

CARMELO PORCU. Signor presidente, anch'io vorrei aggiungere un ringraziamento non formale agli amici intervenuti, non soltanto per loro presenza in Commissione, ma anche per altri motivi, secondo me fondamentali.
Anzitutto, i nostri ospiti ci hanno fornito un quadro, comunque, tranquillizzante e positivo dell'azione che essi svolgono, e questa è già una cosa importante, perché la professionalità e anche l'umanità che hanno dimostrato oggi nei loro interventi, ci dicono quanta fatica comporti la loro attività e quanto degno di rispetto sia il loro lavoro nelle frontiere dove operano quotidianamente.
Proprio dal complesso dei loro interventi emerge l'utilità della nostra indagine conoscitiva, un'utilità che non può essere messa in discussione da alcuno, perché è assolutamente interessante conoscere tutte le realtà che ruotano attorno alla legge n. 194, ed è significativo che lo facciamo in maniera solenne, non attraverso una banale discussione periodica, la burocratica relazione ministeriale, ma con un'operazione conoscitiva molto più importante, penetrante ed impegnativa come quella che stiamo svolgendo. Il mio ringraziamento, quindi, va in questo senso.
Per quanto mi riguarda, mi approccio a queste problematiche con molto timore e partecipazione al dramma che coinvolge la nascita responsabile di una vita, nonché con grande rispetto per tutti quelli che vi sono coinvolti. Penso, inoltre, che anche l'esperienza personale che ho maturato mi abbia fortificato, nel senso che in queste cose non ci può essere alcun pregiudizio, alcun atteggiamento pregiudiziale di condanna o di presa di posizione ideologica. Lungi da me, quindi, qualsiasi valutazione di questo tipo.
La maternità è un valore importante per la donna e per l'uomo, e sarebbe veramente criminale ridurlo ad una dimensione contestativa, ideologica, che non appartiene alla natura umana. Dunque, non ho idee precostituite, ho certamente delle convinzioni personali, che, come tutte le convinzioni personali, sono disposto a mettere alla prova, e sono sicuro che le mie convinzioni sarebbero messe alla prova in maniera molto faticosa, se trascorressi una giornata nei consultori, o negli ospedali, o nei reparti che questi signori dirigono con grande autorevolezza professionale, con grande umanità, dove, senz'altro, immagino vivano quotidianamente drammi di ogni genere. Questo è un fatto da tener presente.
Tuttavia, vorrei che, con lo stesso criterio di umanità, non si criminalizzasse, o meglio ancora, che non si guardasse con sospetto alla figura dei cosiddetti obiettori di coscienza, dei medici obiettori le cui motivazioni - come già diceva la collega Zanella, e mi scuso per l'interruzione di poco fa -, possono essere le più varie, tutte quante degne di rispetto. Come senz'altro degne di rispetto sono le posizioni dei medici non obiettori e anche dei medici non obiettori che, a maggior ragione, sono criticati, frustrati nelle loro qualità professionali per questa loro condizione di non obiezione: questo deve essere ben chiaro. Tutte quante le posizioni, in questo campo, meritano il massimo rispetto.
Devo, poi, sottolineare che mi sembra assai importante il fatto, che emerge con una certa chiarezza, che, sull'azione di scoraggiamento dell'aborto da parte delle strutture oggi qui chiamate, esistano dei riferimenti statistici abbastanza incerti, quasi nulli. Da quanto ci è stato detto, comunque, l'incidenza di questo ritorno alla decisione di abortire, confrontato con quanto succede nei consultori, mi sembra possa essere considerata pressoché uguale, anche in riferimento alle statistiche dell'ISTAT. A me sembra che sia assolutamente necessaria una maggiore presa di coscienza di questa seconda parte della legge n. 194 (o prima parte: chiamiamola come vogliamo), che prevede questo tipo di incoraggiamento a non arrivare all'aborto. Questo è un fatto importante.
Io sono sicuro che le audizioni di oggi siano utili per noi, ma anche per gli illustri professionisti, che ci hanno fatto l'onore di essere qui, affinché possano portare avanti questo tipo di tematica in maniera molto più importante.
In conclusione, mi sembra di cogliere - magari, negli interventi successivi me lo confermeranno i nostri ospiti - il fatto che si lavori meglio nei piccoli centri, rispetto alle grandi metropoli. Bisognerebbe capire, però, se anche in queste grandi metropoli, cessati i motivi di conflittualità, che possono essere superati, ed anche i momenti organizzativi deficitari, non si possa umanizzare il tipo di approccio sanitario. A me sembra che in questa demonizzazione della sanità, che va al di là del problema specifico della legge n. 194, ciò possa essere la causa per un'azione fruttifera finalizzata alla cultura della vita. Anche nel 1981, quando c'è stato il referendum che ha portato alla conferma della legge n. 194, ci fu una grande battaglia, da parte di tutti quanti, anche dalla parte abortista, sostenendo il fatto che quella legge era un inno alla cultura della vita.
Facciamo bene, acriticamente e periodicamente, a confrontarci su questo tema per vedere come stanno andando le cose, se questa cultura della vita viene presa sempre come punto di riferimento dell'azione di tutti quanti. Questo, lo ripeto, senza criminalizzare nessuno, senza voler essere inquisitori di niente, ma soltanto rispondendo alla nostra coscienza.

CARLA CASTELLANI. Anch'io ringrazio tutti gli intervenuti, e mi scuso di non aver potuto ascoltare i primi interventi. Le mie domande saranno necessariamente limitate agli interventi che ho avuto modo di ascoltare. Prima, però, di procedere alle domande, credo sia intanto doveroso dire che il ministro della salute, onorevole Storace, non ha apertamente espresso i giudizi cui testé faceva riferimento l'onorevole Cossutta. Anzi, come tutti noi, di fronte a questo tipo di problematica, si pone con grande serenità, con grande disponibilità ad ascoltare. Signor presidente, questa indagine conoscitiva, fortemente contrastata dai colleghi del centrosinistra, pur limitata nel tempo, credo, invece, ci stia accompagnando a valutazioni estremamente importanti che molti di noi, magari, presupponevano, senza avere la consapevolezza di quello che, oggettivamente, accade nelle nostre strutture.
Mi creda, onorevole Zanella - e, tra l'altro, le percentuali relative all'obiezione di coscienza sono intorno al 50 per cento, quindi ci sono professionisti in grado di svolgere questa tipologia di lavoro -, prima di andare ad incentivare professionisti per effettuare le interruzioni volontarie di gravidanza, credo che la nostra sanità abbia bisogno di incentivare anestesisti, radiologi, chirurghi per evitare che vi siano, nel nostro paese, liste di attesa così sconfortanti.
Parliamo tanto dell'autodeterminazione delle donne, ma vogliamo costringere i ginecologi a non essere obiettori. Insomma, mi sembrano forzature che non hanno nulla a che vedere con l'indagine che stiamo eseguendo.
Proprio in virtù di questa indagine, invece, ho trovato estremamente interessante quanto riferito dai colleghi di Matera. Se non ho capito male, loro hanno iniziato da poco, dal 2004, a praticare nel loro ospedale le interruzioni volontarie di gravidanza, prima questa possibilità non c'era.

PRESIDENTE. Quest'anno?

CARLA CASTELLANI. Nel 2004. Quindi, in base a questi dati mi pare di aver capito che su 226 richieste ne siano state effettuate 143. Mi pare di aver capito che 19 donne hanno ripensato la scelta.

FRANCO TAMBURRINO, Dirigente medico ginecologo referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile di Matera. Perché sono state seguite in gravidanza, mentre le altre non le abbiamo seguite in gravidanza e, quindi, non sappiamo che fine abbiano fatto...

CARLA CASTELLANI. Questi dati sono molto interessanti al fine di procedere con la nostra indagine.
Vorrei chiedere, sia ai colleghi di Matera, sia alla collega di Ortona (collega in tutti i sensi, oltre che come medico anche come conterranea), visto che le loro aziende ospedaliere hanno una buona sinergia con il territorio e con i consultori, come abbiano organizzato questi servizi, quali siano le figure professionali presenti all'interno dei consultori, o che, perlomeno, sono strutturati o convenzionati per svolgere questo lavoro, se ci siano associazioni di volontariato e quale tipologia. Inoltre, visto che mi pare che sia difficile per tutti stabilire, in relazione alle richieste, quale sia la percentuale di donne che, poi, scelgono di non abortire più, vorrei sapere quali siano i percorsi che queste strutture mettono in atto e come vengano accompagnate queste donne successivamente.
Vi è un altro elemento estremamente interessante. Negli interventi delle colleghe ho sentito alcuni riferimenti sulla recidività, ma io non la vorrei riferire alle donne extracomunitarie, non perché voglia fare discriminazioni, ma perché capisco benissimo che hanno una cultura diversa, e quant'altro. Personalmente, ho vissuto l'esperienza dell'obiezione di coscienza, dopo due anni che non avevo fatto obiezione di coscienza, proprio perché nella mia struttura avevo visto tornare sempre le stesse persone. Quali strumenti, allora, si possono mettere in atto? E anche questo è un criterio di reale funzionamento dei consultori, perché se la recidività è molto alta, evidentemente qualcosa non funziona all'interno dei consultori.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Ringrazio i colleghi medici intervenuti. Sono un medico pediatra e neonatologo, per cui riusciamo a capirci meglio; abbiamo parlato il nostro linguaggio, quello dei medici. È emerso che, soprattutto in questo campo, in questa materia così difficile, da parte del medico ci debba essere un supplemento di generosità, qualcosa di più, una corrispondenza di amorosi sensi tra la professione medica e la sofferenza e la malattia.
Questo è un campo particolare, quindi non è un caso che vogliamo svolgere questa indagine per verificare non solo l'applicazione della legge (questa legge affronta due aspetti: la tutela della maternità e l'interruzione volontaria di gravidanza; non dobbiamo dimenticare che si tratta di due aspetti dello stesso problema), ma anche e soprattutto le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari. Mi pare che oggi sia emerso che la problematica dei consultori familiari sia veramente della massima importanza. Abbiamo visto che nelle varie realtà territoriali, dalle grandi alle piccole, si registra una situazione completamente diversa, fino ad arrivare al miracolo di Maometto compiuto dal dottor Tamburrino, andando dall'ospedale verso il consultorio, e non viceversa. Anche questo mi pare significativo.
Ho apprezzato, poi, quello che ha qui sintetizzato per tutti la dottoressa Manuela Mucci, che ha fatto riferimento alla passione che ci vuole per lavorare in questo campo, cominciando dai consultori per finire all'ospedale. Credo che alla fine di questa audizione ne sapremo di più anche noi medici, rispetto alla realtà italiana. Come penso ne saprà di più anche la dottoressa Scassellati, che, all'inizio, era piuttosto critica nei confronti di questa audizione, perché non sapeva se riguardasse una indagine particolare. Anche lei adesso sarà contenta, perché ne saprà di più rispetto a prima. E mi pare che non ci dobbiamo preoccupare se, eventualmente, qualche volta possono arrivare i NAS. Quando uno fa il proprio dovere - ma, naturalmente, è una battuta -, anche se arrivano i NAS, non c'è da preoccuparsi.

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. È la verità. In campagna elettorale. Li mandasse!

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Lei ha individuato un mandante, che mi pare non sia il caso di individuare.
Fatta questa considerazione di ordine generale, credo sia emerso che, un po' in tutta Italia, siano aumentate le IVG. Sono aumentate perché ci sono le donne straniere. Se non ci fossero le straniere, le immigrate, la situazione sarebbe diversa.
Se non ho capito male, mi sembra che a Matera e a Ortona il fenomeno sia meno acuto, ci sono meno IVG, non so se perché in quella zona ci siano meno immigrate rispetto ad altre. A Matera, in particolare, mi pare di aver capito che erano solo 28 le immigrate che hanno fatto ricorso alla IVG.
Per quanto riguarda il rapporto fra le grandi e le piccole città con i consultori, ho ascoltato quanto raccontato dalle dottoresse Volo e Giambanco con riferimento alla Sicilia. In effetti, in Sicilia nei confronti dei consultori c'è un atteggiamento un po' particolare, per cui manca quella collaborazione che esiste altrove, come avviene a Parma, ad Ortona, a Matera, che sono centri più piccoli. In Sicilia c'è un certo distacco, anche perché i consultori non sono sufficienti, lo abbiamo visto attraverso un'indagine statistica dell'ISTAT. A Parma, ad esempio, hanno i consultori, ma questi in provincia mancano. Voi avete il rapporto con i consultori di Parma, ma non con quelli esterni. Il consultorio, dove c'è, crea un rapporto di collaborazione.
Vorrei porre, ora, qualche domanda specifica. Per quanto riguarda il presidio ospedaliero Mangiagalli, il dottor Tiso - questa è una curiosità - ha detto che nascono bambini al di sotto di 1,5 Kg di peso, forse perché c'è un centro di terapia intensiva neonatale che determina questa assistenza particolare.
Per quanto riguarda la figura del mediatore culturale, alla quale faceva riferimento la dottoressa Scassellati, istituita e finanziata dal comune, credo sia un segno della mancanza di collaborazione con il consultorio. Non essendoci i consultori, c'è bisogno di questi mediatori culturali all'interno delle strutture pubbliche degli ospedali, perché, in effetti, il consultorio viene meno ad una certa funzione - a me pare di interpretarlo in questo modo.
Per quanto riguarda l'ospedale di Palermo, e la Sicilia, vorrei un chiarimento. È preoccupante che queste recidive si verifichino tra le donne appartenenti alla classe di età più giovane; è inquietante. Questo fatto, come siciliano, mi preoccupa moltissimo, non perché non ci sia la prevenzione, ma perché queste recidive riguardano donne molto giovani; donne giovani e pluripare. Io non lo sapevo e per me è stata una sorpresa. Tra l'altro, è stata una sorpresa anche sapere che fanno ricorso all'IVG anche le nullipare, le donne nella fascia dei 35 anni di età che non hanno mai avuto un figlio, che si presume non siano sposate, le cosiddette donne in carriera, che non hanno una famiglia, le singles. (Commenti). Mi chiedo se oltre ad essere nullipare, ad avere 35 anni di età, siano anche nubili.

LAURA GIAMBANCO, Dirigente medico di primo livello ostetricia e ginecologia dell'Ospedale civico di Palermo. Non chiediamo queste formalità!

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Questa collaborazione con i consultori è riuscita ad Ortona e a Matera.
Hanno detto che si tratta di un piccolo centro. A me pare, però, che un ospedale con 400 posti letto al sud sia un ospedale di tutto rispetto.
Concludendo le mie considerazioni, vorrei evidenziare un dato: la situazione cambia da regione a regione e ciononostante, occorre un miglior funzionamento dei consultori ed una corrispondenza fra consultori ed ospedali, che, in certo senso, per ora, non c'è. A ciò bisognerebbe dedicare maggiore attenzione.

DONATO RENATO MOSELLA. Intanto, mi associo ai ringraziamenti. Com'è noto, noi abbiamo fatto di necessità virtù. Abbiamo pensato, fin dall'inizio, che un'indagine di questo tipo sarebbe stato preferibile svolgerla in un clima di maggiore serenità, per poter affrontare i problemi anche con coerenza con tutto ciò che si fa - si veda la finanziaria in corso -, oppure, avere il tempo per riflettere, visto che dalle testimonianze degli auditi, emergono problemi molto drammatici. Alcuni richiederebbero un interesse immediato, ma con un Governo di fine legislatura, con un Parlamento che sta per chiudere i battenti, francamente, non è facile.
Come considerazione di carattere generale, mi sembra di vedere un paese coerente con le difficoltà che noi, in generale, già conosciamo. Vedo alcune diversità fra nord e sud, vedo alcune diversità fra i piccoli e i grandi centri, vedo focalizzati alcuni temi che, molto coerentemente, andrebbero posti all'attenzione del Parlamento ed affrontati in termini risolutivi.
Io mi rendo conto della mancanza di tempo, quindi vorrei semplicemente chiedere alcuni piccoli flash di approfondimento. Il primo riguarda la realtà di Milano, per la quale si è accennato ai consultori privati. Sarebbe interessante, anche facendo pervenire alla Commissione alcuni atti, capire meglio alcune di queste realtà. Per quanto riguarda il trauma di ritorno, è una considerazione che avete fatto rispetto ad un progetto o c'è qualcosa che è già stato iniziato e che potrebbe essere utile ai fini della Commissione?
L'altra riflessione - vi accennava già la collega Labate - che mi ha colpito riguarda l'intra moenia. Mi piacerebbe capire se esista un vuoto legislativo, o se, invece, sia possibile conoscere le modalità che portano a quel tipo di esperienza, perché mi sembra una cosa abbastanza insolita e grave.
L'altro elemento - e concludo - riguarda l'esperienza di Parma che ci è stata ben rappresentata. I protocolli e i percorsi integrati sono iniziati nel 1998. Se ci fossero, anche qui, dei protocolli esemplificativi che possano tornare utili all'approfondimento, sarebbe bene.
Concludo dicendo che noi facciamo di necessità virtù, nel senso che ormai questa indagine è avviata, ci assumiamo le nostre responsabilità, ma manteniamo questo atteggiamento critico, perché riteniamo che, in una stagione come quella che stiamo vivendo, il paese abbia bisogno di maggiore serenità, anche nell'affrontare temi così delicati e complessi che hanno una ripercussione enorme sulla vita delle donne, sia quelle che abortiscono sia quelle che decidono di non abortire.

PRESIDENTE. Vi inviterei a svolgere interventi brevi; d'altronde ognuno di voi ha esplicitato quello che doveva dire. Ormai abbiamo le idee molto più chiare di prima. Certo, si tratta di un argomento di non facile trattazione.
Le dottoresse Volo e Giambanco mi avevano chiesto di poter rispondere per prime, dovendo ripartire in aereo per Palermo.

GIOVANNA VOLO, Direttore sanitario aziendale dell'Ospedale civico di Palermo. Scusate ancora, ma la distanza e la nostra condizione di isolani ci obbliga ad avanzare questo genere di richieste quando veniamo a Roma.
Io credo che le domande rivolte a me come rappresentante dell'azienda ospedaliera più grande della Sicilia, riguardino, fondamentalmente, il mancato rapporto di collaborazione forte fra territorio ed ospedale, che non si riesce ad evidenziare.
Innanzitutto, vorrei ribadire un concetto, che ho già rilevato prima: c'è un grande, rilevante elemento culturale che rende difficile il lavoro dei consultori. Io non vorrei assolutamente che, dal mio intervento, fosse emersa una situazione tale per cui in Sicilia i consultori non svolgono il proprio lavoro. Devo dire la verità, non ho una grande esperienza in materia di azienda territoriale, se non per una piccolissima attività svolta in un'azienda territoriale di provincia. Il problema, a Palermo, grande metropoli della regione, è legato al fatto che dentro la città ci sono cinque ospedali con strutture di unità operative di ostetricia e di ginecologia.
Il lavoro di collaborazione con i numerosi consultori presenti, ma che sono di competenza dell'azienda territoriale, è sicuramente un problema di tipo anche organizzativo. Bisognerebbe istituire convenzioni, scegliere quali reparti vadano convenzionati, individuare i consultori e le competenze, se territoriali o meno. Credo, pertanto, che il problema sia molto legato a questo aspetto.
Sostanzialmente, però, rimane il problema culturale. L'onorevole chiedeva una cosa che, personalmente, assolutamente non condivido, e cioè perché una fascia di età, che è quella maggiore, viene in ospedale per fare ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza, e se queste donne, che evidentemente appartengono ad una classe sociale e culturale più avanzata, siano o no sposate. Credo che questi siano problemi che neppure per gioco ci possiamo porre. Non lo chiediamo alle pluripare, figuriamoci se lo chiediamo alle nullipare!
Il problema fondamentale è che, così come nella fascia socioculturale alta la richiesta di interventi in questo senso riguarda soggetti in età più avanzata, è estremamente significativo che in una fascia socio-economica e culturale molto bassa, il tutto avvenga da parte di persone così giovani. Manca, di conseguenza, un intervento nelle scuole; manca, ovviamente, un intervento sui medici di famiglia, che, comunque, sono quelli che hanno un rapporto più costante e continuo. Devo dire che i pediatri - visto che l'onorevole fa parte della categoria professionale - per noi sicuramente non sono un grande sostegno, un grande supporto.
Il problema, per quel che riguarda la Sicilia, è dato allora da un aspetto che rilevo per tanti altri settori dell'assistenza sanitaria regionale, non solo per quanto attiene l'applicazione della legge n. 194: si tratta di un problema di mancanza di collegamento nei vari nodi della rete assistenziale.
Se ciascuno di noi svolgesse pienamente il proprio compito, probabilmente la connessione sarebbe molto più efficace e i risultati sarebbero visibili e di grande efficienza.

CARLA CASTELLANI. E in merito alla recidività?

GIOVANNA VOLO, Direttore sanitario aziendale dell'Ospedale civico di Palermo. Il problema è fondamentalmente culturale. Per richiamare un esempio, in queste fasce sociali è la parte maschile che rifiuta la contraccezione nelle donne, perché fondamentalmente il rischio mentale a cui questi soggetti vanno incontro è che, se la loro moglie - perché in quel caso è moglie - è protetta, può non avere rapporti solo con loro.

BASILIO TISO, Direttore sanitario dell'ospedale Mangiagalli di Milano. Vorrei chiarire meglio il mio pensiero. A tal fine, ho portato alcuni dati che adesso preciso meglio. Al Mangiagalli c'è tutta una serie esperienze, probabilmente all'avanguardia, per alcuni aspetti: ad esempio, il servizio di tutela della violenza sessuale sui minori. Abbiamo più di 220 casi denunciati in un anno, tra bambini e donne, e le persone più attive sono le stesse che - e parlo della responsabile, la dottoressa Kustermann - difendono la donna, per quanto riguarda il diritto derivante dall'applicazione della legge n. 194.
Ma ci sono anche altre esperienze. Sicuramente, il rapporto principale è con i consultori pubblici, un rapporto stretto. Anche per quanto riguarda la violenza sui minori e sulle donne il rapporto è con i consultori. Comunque, sono esperienze forti sul territorio che hanno portato, anche da noi, ad una diminuzione dei casi, ad un certo rientro, anche se è difficile da quantificare, e vi spiego il motivo.
Si rilascia il certificato, e dopo una settimana, si viene da noi, dove occorrono altri 7-8 giorni perché si proceda. L'ospedale è grande, la richiesta è alta, anche da parte di persone che vengono da fuori Milano. In questi giorni, è facile che qualcuno si perda e, per ragioni diverse, magari va da qualche altra parte. Per quanto riguarda la rinuncia, il valore è di molto superiore al 5 per cento, però il nostro dato è falsato da questo aspetto.
Al Mangiagalli, però, dagli anni ottanta vi è anche un altro aspetto. Opera infetta il Centro di aiuto alla vita, che è un po' diverso dagli altri, almeno da come mi raccontano. Anche noi abbiamo avuto i nostri problemi. Ad esempio, c'è stato un aborto su di una minorenne e siamo finiti su tutti giornali: denunce da destra, da centro, da sinistra, da tutti. Quella stessa mattina sono venuti da me rappresentanti del Centro di aiuto alla vita per dire che non c'entravano. Insomma, abbiamo un buon rapporto con questi signori, che sono volontari - lo ripeto - e sono espressione del mondo cattolico, che molti sanno essere, soprattutto a Milano, particolarmente eterogeneo (la Caritas, le Acli, le parrocchie ecc.). Ci sono poi anche altre realtà non cattoliche (il servizio «Madre segreta», la provincia).
L'idea in atto nel Mangiagalli è un progetto complessivo che privilegia, ovviamente, i consultori pubblici, perché quelli sono il nostro retroterra culturale ed un punto di riferimento continuo, dalla mattina alla sera, anche per situazioni diverse. Vorremmo essere molto più presenti, più potenziati, anche perché, ripeto, in Lombardia, forse perché ci sono più extracomunitari, si è registrato, negli ultimi anni, un leggero aumento degli aborti. Dal 1996 sono passati da 22 mila a 25 mila; gli extracomunitari sono passati dal 12 per cento al 35 per cento: probabilmente è questa la causa.
L'idea, però, è che ci sia principalmente il sevizio pubblico, fortemente finanziato, a tutti i livelli, e poi, sussidiariamente, il volontariato privato, che aiuti a trovar fondi e che dia una mano.
Noi abbiamo avuto delle esperienze di collaborazione, a mio avviso, molto buone, fermo restando che non ci sono solo i cattolici, ma anche i laici. Il problema è quello di difendere un bambino e la sua mamma, è un problema serio, a trecentosessanta gradi. Tutto ciò fermo restando - lo ripeto - il finanziamento al settore pubblico che, anche a Milano, non è completo, ma è deficitario.

DIAMANTE PACCHIARINI, Direttore sanitario di presidio dell'Ospedale San Camillo di Roma. Sono state sollevate alcune questioni. Sulla libera professione, vorrei dire che non è un problema del San Camillo. Chi ha posto la domanda ha interpretato male, oppure non si è spiegata bene la dottoressa Scassellati.
La norma, non ricordo se si riferisca a 2 o 3 contratti fa (ai contratti dei medici, sostanzialmente), credo sia il decreto del Presidente della Repubblica n. 270, del 2000, prevede che alcune prestazioni di carattere sanitario non possano essere effettuate in regime di libera professione, e queste sono un servizio previsto nella legge n. 194 (la dialisi, il pronto soccorso e la rianimazione). Forse ci può essere altro, ma non rammento.
Al di là della libera professione, è necessaria una breve considerazione circa l'incentivo. Finora abbiamo parlato di numeri, di valutazioni, qualche volta con passione, anche in maniera ideologica, anche se tutti hanno voluto sgombrare il campo da queste questioni. Tutti quanti noi, bene o male, siamo presi da queste cose.
Alcuni aspetti meramente organizzativi non sono stati sollevati, ma, a mio giudizio, costituiscono, comunque, un condizionamento nell'applicazione di questa norma. Io ho diretto ospedali da 100, da 200, da 450 e da 1500 posti letto, per cui ho visto tutte le situazioni. Ho assistito a realtà incredibili: abbiamo allontanato infermieri perché, in ospedali piccoli, si appuntavano i nomi delle ragazze e poi andavano a cercarle nei paesi vicini, perché, evidentemente, erano «facili». Questo per farvi capire l'entità della questione. Comunque, i dati a nostra disposizione indicano il 10 per cento, il 20 per cento o il 5 per cento di rinunce.
In realtà, la maggioranza degli ospedali italiani ha 200, 300 o 400 posti letto. Quando si va in ospedale si scopre che il portantino che ti porta in sala operatoria è il figlio del garzone del barista sotto casa. In Italia, non c'è soltanto il San Camillo, e non voglio fare il provinciale. Vengo dall'Umbria, ma questo può succedere nei piccoli centri, come nei grandi, anche nell'ospedale di Matera (che ha 60 mila abitanti e un hinterland da 127 a 150 mila abitanti), che ha 400 posti letto, quando scoprono che vi lavora quel determinato operatore, le persone se ne vanno in un altro ospedale, addirittura fuori regione. Ecco perché poi non ci sono discrepanze tra i numeri. Questo non perché non siano attenti e non ci sia la sensibilità di approfondire il problema, ma perché magari una rinuncia è compensata da uno che viene da fuori, non c'è un incrocio diretto tra il dato e la certificazione della zona o dell'ospedale stesso.
Un'ultima questione: un centro di 400 posti letto e un hinterland di 130.000 persone, probabilmente fa una, massimo due sedute di interruzioni in una settimana, per sei ore, con 4 o 5 interventi. In queste condizioni nessuna azienda è in grado di avere personale dedicato a quella determinata attività, anche perché lavorerebbe un giorno e gli altri quattro si girerebbe i pollici. Allora, si prende personale in prestito da altri reparti, magari offrendo un gettone oppure prevedendo lo straordinario o altre formule.
Non vorrei assolutamente mancare di rispetto a qualcuno; rispetto profondamente le convinzioni di ognuno e l'obiezione di coscienza, per un verso o per l'altro, non è questo il ragionamento. Tuttavia, ci sentiamo dire dall'operatore: quella cosa non mi compete, per cui, se volete che la faccio, mi pagate, altrimenti sono obiettore.
Il problema è che molto spesso ci pongono questioni di questo genere, come quando una seduta operatoria va oltre il consentito, quando c'è un intervento in più o quando si complica. Il problema è che lì, lo strumento non ce l'hanno, fa parte del loro dovere (potrebbero anche darsi malati, ma non si può stare male tutto l'anno); qui, invece, ce l'hanno.
Ripeto, non voglio mancare di rispetto ad alcuno, ma questi casi esistono. Quando qualcuno dice che il problema sono i fondi, oppure la finanziaria, e così via, il problema c'è, assolutamente, e quindi i provvedimenti organizzativi non sono scevri dalle questioni di principio, che, di norma, vengono inserite ai primi articoli di una legge.

PRESIDENTE. A proposito del problema degli aborti clandestini, vorrei esprimere una considerazione. Soprattutto in regioni piccole, qualcuno preferisce farlo privatamente, clandestinamente, perché ha paura di andare in ospedale, per non essere schedato, o teme che si scopra che ha avuto un'interruzione di gravidanza. Questo è, ancora oggi, uno dei problemi degli aborti clandestini.

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. A questo proposito, vorrei specificare che la legge prevede l'anonimato. Ma la gente, forse non lo sa. In alcuni casi, vi è l'anonimato assoluto. Esiste questa possibilità prevista nella legge n. 194.
Intanto, mi dispiace che siano state fraintese alcune mie osservazioni. Noi siamo un'azienda ospedaliera. Io lavoro da otto anni al San Camillo, ma prima c'era il dipartimento materno infantile dove, addirittura, uno dei due primari della divisione di ostetricia e ginecologia dirigeva i consultori, che attualmente sono della ASL Roma «D».
Non è che non abbiamo rapporti con questi consultori. Ho detto che tutte le mattine arrivano telefonate da parte dei consultori. Facciamo delle riunioni e, almeno una o due volte l'anno, organizziamo incontri di aggiornamento. Esiste, pertanto, un rapporto stretto con i consultori, pur essendo di un'altra azienda, ossia della ASL. Non è che, come ospedale, non abbiamo rapporti con i consultori, ci conosciamo da anni ed ognuno, per qualsiasi problema, può chiamare in ospedale, e anche se c'è un caso difficile lo seguiamo insieme. Molti, si fanno seguire dal consultorio e poi vengono a partorire in ospedale. Lo stesso vale per gli aborti. Quel 30 per cento di cui parlavo è certificato dal consultorio e poi torna al consultorio per il controllo.
Il problema è quando uno gestisce 1.400 donne straniere, come nel 2004. Dal 2001, portiamo avanti un progetto finanziato, definito «Progetto di mediazione linguistico culturale a favore delle donne immigrate extracomunitarie per la prevenzione dell'IVG e tutela della maternità». All'inizio, ci siamo accorti che esistevano gravissimi problemi linguistici che non eravamo in grado di risolvere, e questo avviene anche per la maternità. Infatti, tantissime donne musulmane che partoriscono nel nostro ospedale hanno problemi in neonatologia o per la registrazione. Questo servizio, attualmente, è pagato dal comune, proprio perché l'azienda non ha risorse. A noi piacerebbe, ad esempio, che al San Camillo, che è un'azienda grande, ci fosse uno sportello di informazione, in più lingue, proprio perché abbiamo pazienti stranieri, ed è questa la causa di problemi organizzativi.
L'assessore Milano ci ha dato dei fondi con cui paghiamo i mediatori culturali, che sono stati utilissimi. Oggi, ad esempio, abbiamo consegnato l'ultima tranche del 2005: abbiamo visitato 306 donne e di queste posso dirvi i motivi che le hanno spinte all'aborto, qual era il loro grado istruttivo e quant'altro. Ad esempio, ci sono donne che hanno abortito e che hanno già tre o quattro figli. Comunque sia, la maggior parte di queste straniere sono di nazionalità al ceppo moldava e rumena, tanto è vero che abbiamo partecipato ad una ricerca nazionale assieme ad altri quattro ospedali sulle donne straniere, che verrà pubblicata dall'Istituto superiore di sanità.
Noi che abbiamo fatto questa scelta non è che rinunciamo al resto. Io ho lavorato due anni in Slovenia, presso la più grande clinica di ostetricia e di ginecologia di Lubiana; il professore dell'università mi mandò in quella clinica, anche se io sarei rimasta all'università, ma avendo un figlio grande avevo bisogno di lavorare. A me piace andare in sala operatoria, mi piace assistere ai parti. Facevo la preparazione al parto durante gli anni dell'università, non è che ho scelto «a spada tratta» di difendere la legge.
Tuttavia, credo che se c'è una legge dello Stato, questa deve essere finanziata. Se, ad, esempio la regione deve curare l'aggiornamento degli operatori, è suo compito farlo. Per tanti anni ciò non è stato fatto (nel Lazio, è stato fatto solo nel 1992, quando la ASL Roma «D» ottenne un finanziamento con cui si procedette all'aggiornamento degli operatori previsti nella legge n. 194. In merito a questo, c'è un articolo specifico, che dispone l'aggiornamento degli operatori.
L'altro problema è quello delle gravidanze. Se facciamo la diagnosi prenatale, la facciamo in tutti gli ospedali (al Gemelli, al Fatebenefratelli). Abbiamo ecografi super attrezzati, ma il discorso è che, fondamentalmente, queste donne, se hanno un feto malformato, vogliono interrompere la gravidanza. Ebbene, nella regione Lazio ci sono solo tre ospedali che fanno questo: il San Camillo, il Sandro Pertini (ogni tanto, perché c'è solo un unico operatore) e il San Filippo Neri. Queste donne, quando, attraverso un'amniocentesi, ricevono la notizia di un bambino non perfetto, automaticamente cominciano a girare come delle trottole ed è uno dei motivi per cui io non tolgo l'obiezione! Altrimenti, signori miei, l'avrei fatto tante volte anche per un problema di recidività, ma non solo.
Badate, io non ammetto che non si possa usare la contraccezione, perché ci sono mille modi per evitare una gravidanza, altrimenti, ci si vuole talmente male da sottoporsi all'aborto.
Vorrei parlare ora dei colleghi che fanno i tagli cesarei e che non dicono alle loro pazienti che devono distanziare le gravidanze o che devono comunque, utilizzare la contraccezione. In ospedale ho due colleghi obiettori, che fanno molti cesarei durante la guardia, le cui pazienti, guarda caso, regolarmente, dopo 4-5 mesi dal parto vengono a praticare l'aborto, perché il loro ginecologo aveva detto che la spirale non andava bene, poiché la faceva sanguinare 7-8 giorni al mese, con il rischio dell'anemia.
Esiste, dunque, un problema di cultura. C'è, ad esempio, il ginecologo che fa sospendere la pillola dopo 6-7 mesi alla ragazza universitaria, perché sostiene che l'utero si deve riposare - non si capisce per quale teoria statistica -, quando la pillola si può usare per sette od otto anni - quelle di ultima generazione - e quella ragazza, non appena smette di usare la pillola, rimane incinta. Ci sono tantissimi casi del genere!
È, quindi, un problema di informazione e di evidenza scientifica e purtroppo i nostri colleghi non sempre svolgono un lavoro di questo tipo. Negli anni ho conosciuto tantissimi casi del genere. L'ultimo aspetto riguarda le incentivazioni. L'obiezione di coscienza è centrale. Vorrei farvi notare che, laddove non si trovavano gli anestesisti - potete verificarlo al San Giovanni -, non si riuscivano a fare le due sedute settimanali. È stato deciso di dare un gettone di presenza e tutti gli anestesisti hanno tolto l'obiezione, perché in quella giornata prendono, se non ricordo male, 150 euro lordi l'ora.
Questa è una farsa! Se dobbiamo ridurre le liste d'attesa, dare l'incentivazione sulla riduzione delle liste d'attesa...

PRESIDENTE. La invito a concludere, altrimenti allarghiamo troppo il campo.

CARLA CASTELLANI. Non ci interessa!

GIOVANNA SCASSELLATI, Responsabile day hospital legge 194 dell'Ospedale San Camillo di Roma. Scusi a me interessa, invece! A me interessa capire come la produttività aggiuntiva venga riconosciuta nell'ospedale. È un problema per il personale che fa questo servizio, come l'infermiere, l'ostetrica! Il medico, badate, può fare la libera professione fuori e fare altre cose. Non è quello il problema.

PIETRO VITALI, Direttore del presidio medicina preventiva, igiene ospedaliera e referente medico di direzione sanitaria per il dipartimento materno-infantile dell'Azienda ospedaliera di Parma. Non ho molto da aggiungere, se non ringraziare per averci invitato a questa audizione.
La nostra realtà, a confronto di tante altre, è certamente migliore. Abbiamo qualche problema di risorse, in particolare per quello che riguarda alcune ristrutturazioni in corso e che ci preoccupano, però, i buoni rapporti e la dimensione umana della sanità permettono di trovare queste energie. Credo che la dottoressa Salvini abbia risposte più puntuali da dare ad alcune domande.

PAOLA SALVINI, Responsabile programma salute donna e dirigente medico ostetricia e ginecologia dell'azienda ASL di Parma. L'onorevole Zanella ha citato l'attività nelle scuole. Credo sia fondamentale fare attività tra gli adolescenti, lo sappiamo tutti, per la promozione della salute in genere e per la prevenzione delle gravidanze indesiderate. Noi mandiamo tutti gli anni in tutte le scuole superiori di Parma una lettera, offrendo un pacchetto formativo, per poi decidere con gli insegnanti. Lo scorso anno, abbiamo dedicato 1.300 ore, che non sono sufficienti, ma, sicuramente, ci sono dei costi che dobbiamo sostenere rispetto alla prevenzione.
Per quello che riguarda il counseling della contraccezione, credo che i consultori debbano dedicarsi a questa attività, ad una consulenza molto precisa e puntuale, proprio perché è cambiata la popolazione di riferimento e, quindi, dobbiamo riuscire ad entrare in sintonia con tutte quelle persone che abbiamo e, soprattutto, con le donne di recente immigrazione.
A proposito di questo, l'altra domanda riguardava il possibile sostegno dei Centri di aiuto alla vita e delle associazioni di volontariato. La risposta è che questo è possibile. Certo, noi privilegiamo il discorso istituzionale, quindi, con i servizi sociali, ma loro hanno le mani legate. Con la Caritas e con i Centri di aiuto alla vita, invece, seguiamo un percorso attraverso il quale anche le donne che non sono in regola possono essere sostenute. Sicuramente, questo è un progetto di qualità che va perseguito.
Infine, esistono le politiche a sostegno della famiglia, che ci aiuteranno. Credo sia fondamentale ricordare, come è stato detto, che anche noi lavoriamo con le istituzioni di Parma, in particolare con il comune e la provincia. In mancanza di una politica per l'intero percorso nascita, in cui far rientrare queste consulenze volte ad evitare che la donna vada incontro all'interruzione, è difficile recedere dai problemi se le attività non cominciano prima, con un sostegno reale nel momento in cui la donna deve compiere la scelta.

MANUELA MUCCI, Medico referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile Bernabeo di Ortona. Esiste un dipartimento funzionale, integrato tra territorio e ospedale, nel piano sanitario regionale della regione Abruzzo, per cui l'integrazione territorio-ospedale è funzionante, attiva e plastica nel tempo. Esiste un integrazione tangibile, tanto che i nostri incontri, la produttività, la riduzione degli aborti ripetuti è un dato di fatto nella nostra regione. Sicuramente, esiste anche una grande quota di immigrati. Da noi vi sono fasce di immigrazione proveniente da tutti i paesi dell'est, dal Marocco, dalla Tunisia, dai paesi musulmani. La loro presenza negli interventi previsti nella legge n. 194 credo che si aggiri intorno al 40-50 per cento. Non posso esporvi una cifra precisa, ma ho presentato al presidente un documento sulle interruzioni e su altri dati, ed anche un libro sui consultori familiari abruzzesi. La quota delle donne immigrate che accedono alla richiesta di un intervento ai sensi della legge n. 194 si aggira intorno al 40-50 per cento.
Venendo alla questione posta dall'onorevole Castellani, faccio presente che esistono le figure, già determinate, sia per una presenza attiva, sia in convenzione (assistenti sociali, psicologi, il pediatra, l'ostetrica e il ginecologo). Abbiamo anche delle convenzioni con il Tribunale per i minori, con le università di Chieti e dell'Aquila. Tra l'altro, abbiamo istituito un centro affido con le università di Ferrara e di Milano. Nel libro che ho presentato al presidente è citato un progetto finanziato dal comune di Pescara, insieme all'azienda e ai consultori familiari, al fine di seguire nel tempo e aiutare le persone che manifestano questa esigenza. Intendo precisare che, nella nostra valutazione, molte delle donne che si rivolgono a noi per l'applicazione della legge n. 194 sono molto determinate. Si consideri che vengono seguite dalla nostra equipe: viene svolto un primo colloquio, su base consultoriale, al momento della certificazione; viene fatto un secondo colloquio nel momento in cui accedono alla prenotazione dell'intervento chirurgico. Prima parlavo del 5 per cento, riallacciandomi alla media nazionale, ma, nella mia realtà, sono anche di meno le donne che rinunciano.

PRESIDENTE. Il 5 per cento è un dato ISTAT. Non è un dato calcolato.

MANUELA MUCCI, Medico referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile Bernabeo di Ortona. I dati dell'ISTAT parlano di questo. I nostri dati indicano cifre anche inferiori rispetto alle rinunce. Una donna, quando si approccia all'intervento chirurgico, è molto determinata ed è difficile che receda da questa sua decisione, e soprattutto, come ho precisato prima, non vuole sentirsi punita e condannata.
Certo, poi siamo noi stessi a farla sentire in maniera diversa; siamo noi stessi ad approcciarci male a questa difficile realtà. Già il solo termine «aborto» ci fa contornare di un'aura di peccato. Tuttavia, la nostra religiosità si vive anche quando ci si volta da un'altra parte mentre una ragazza viene stuprata a 100 metri di distanza. È difficile parlare di queste cose. L'importante è fare formazione e informazione, che rappresentano gli aspetti principali.
A livello consultoriale, negli anni dell'istituzione della legge, abbiamo fatto tanta informazione. Abbiamo passato periodi difficili, perché il consultorio ha cambiato regime di assistenza, passando dai comuni alle aziende sanitarie e ci sono stati anni in cui non rintrava nel dipartimento sanità, ma in un altro dipartimento che nulla aveva a che vedere con la prevenzione della salute, per cui non riceveva fondi. Negli ultimi anni, questa attività ha ripreso coscienza, rientrando nel dipartimento di prevenzione, ed è stato integrata tantissimo nelle realtà ospedaliere. Di questo siamo fieri, perché lavoriamo e lo facciamo bene con i consultori, con le figure consultoriali e con le nostre figure ospedaliere.
A livello nazionale - rispondo all'onorevole Zanella - spero che, come parlamentari, possiate far applicare il Progetto obiettivo materno-infantile, perché si deve poter nascere in sicurezza in tutte le zone d'Italia. Non si può far nascere un bimbo in una situazione di insicurezza. Al nord, al centro e al sud si deve nascere alla stessa maniera, così come si devono applicare le leggi esistenti - e il progetto obiettivo materno-infantile lo dice chiaramente -. La legge n. 194 non è una legge per abortire, ma per prevenire, e soprattutto per stare vicino alla donna che ha deciso di accedere a questo intervento chirurgico.
Per quanto riguarda la libera professione intra moenia, l'interruzione di gravidanza non è prevista, però potrebbero essere previsti progetti obiettivo ospedalieri e interaziendali, che possono facilitare un percorso di integrazione, prevenzione e informazione sull'atto chirurgico e che potrebbero coinvolgere più operatori. Nella mia azienda non ho anestesisti. Ne ho uno solo. Gli anestesisti, nel momento in cui ho riaperto il servizio previsto dalla legge n. 194, hanno presentato tutti obiezione, non perché non venivano pagati, ma perché era una scocciatura. Su questo combatto da una vita: non bisogna considerare un intervento chirurgico di questo genere e una difficoltà della donna come una scocciatura! Bisogna considerarli come un'evenienza, una necessità e come una disponibilità da parte nostra, di medici, che, mi permetto di dire, non tutti la pensiamo alla stessa maniera.

DONATO ALOIA, Dirigente medico dell'Ospedale civile di Matera. Signor presidente, rispondo brevemente alle domande su Matera. Penso che possiamo accorpare le risposte. La nostra ASL comprende 127 mila abitanti, in una regione di 650 mila abitanti. Quando si parla di Basilicata, parliamo di ASL. La nostra è una situazione molto variegata. È una regione con varie differenze e con cinque ASL. I nostri dati sono verificabili e confermabili: abbiamo avuto questi 19 rientri su 226 casi. Poi, ci sono 60 altri casi di cui non conosciamo l'esito. Probabilmente, come ha detto lei, signor presidente, ci sono situazioni che non possiamo conoscere. Il dato, comunque, rimane: ci sono stati 19 rientri.

FRANCO TAMBURRINO, Dirigente medico ginecologo referente per le interruzioni volontarie di gravidanza dell'Ospedale civile di Matera. Vorrei aggiungere soltanto una cosa, rispondendo all'onorevole Porcu. Lei ha fatto riferimento alla circostanza che, in quanto medici, dobbiamo salvaguardare la vita. Allora, io ho deciso di essere non obiettore al secondo anno di specializzazione quando, durante un turno di guardia, fummo chiamati in rianimazione a Bari, dove, una ragazza di diciotto anni era in coma per aver assunto un infuso di prezzemolo... Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi ginecologi, i direttori sanitari e tutti gli altri intervenuti a questa audizione che, sicuramente, è stata motivo di arricchimento per tutti.

MAURA COSSUTTA. E chi vuol capire, capisca!

PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17,30.  


COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA

Seduta di martedì 20 dicembre 2005

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,00.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Propongo che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante la trasmissione attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione Ginecologi Consultoriali (A.GI.CO.), dell'Associazione Italiana per l'Educazione demografica (AIED), dell'Unione Italiana Centri di Educazione Matrimoniale e Prematrimoniale (UICEMP) e della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione di rappresentanti dell'associazione ginecologi consultoriali (A.GI.CO.), dell'associazione italiana per l'educazione demografica (AIED), dell'unione italiana centri di educazione matrimoniale e prematrimoniale (UICEMP) e della confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana.
Qualcuno degli intervenuti all'audizione di ieri è sembrato fare intendere che si stia conducendo un'inchiesta sull'attività dei consultori, ma non è così. Mi preme sottolineare che si tratta solamente di un'indagine conoscitiva per cercare di capire meglio la significativa attività svolta dai consultori, soprattutto (lo dico anche a voi) in merito alla legge n. 194. Posto che i consultori svolgono moltissime altre funzioni (conosco la loro attività) non possiamo allargarci troppo in materia ma cercare di limitarci alle argomentazioni inerenti alla legge n. 194 e alla sua applicazione (anche perché essa richiama in maniera particolare le attività dei consultori in questo campo).
Questo è il primo punto dell'indagine che serve anche per capire se nell'ambito dell'attività consultoriale, sempre riferendosi alla legge n. 194, vi siano state delle opportunità di collaborazione (se ve n'è stata richiesta) con varie associazioni di qualunque tipo, siano esse laiche o cattoliche. Vorremmo cercare di capire se ciò si è verificato ed eventualmente se tali iniziative possono essere incrementate o se, secondo le vostre opinioni, al limite ciò non sia gradito. Siamo qui soprattutto per cercare di acquisire ulteriore conoscenza nei riguardi di questo problema dopo trent'anni dalla promulgazione della legge. Premetto che nessuno vuole abolire la legge n. 194, bensì eventualmente tentare di migliorare la sua integrale applicazione.
Do il benvenuto ai nostri ospiti, in particolare, per l'A.GI.CO., al professor Luigi Cersosimo, presidente, al dottor Ugo Brasiello, vice presidente, al dottor Raffaele Atripaldi e al dottor Maurizio Bologna; per l'AIED, al dottor Luigi Laratta, presidente e alla dottoressa Laura Olimpi; per l'UICEMP, alla dottoressa Paola Braghi; infine, per la confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana, alla dottoressa Olimpia Tarzia, vice presidente.
Vorrei ricordare che le audizioni si svolgono sempre con degli interventi in sequenza. In ogni caso, dovremo concludere l'audizione entro le ore 16,00 poiché a quell'ora inizieranno i lavori dell'Assemblea.
Se qualcuno vorrà lasciare (come hanno fatto anche altri) atti, documenti o memorie su quanto è stato o verrà detto, la Commissione li recepirà ponendo tale materiale agli atti, quindi, a disposizione di tutti i parlamentari.
Do ora la parola al professor Cersosimo, presidente dell'A.GI.CO.

LUIGI CERSOSIMO, Presidente dell'associazione ginecologi consultoriali (A.GI.CO.). La ringrazio per averci interpellati. La nostra è una visione quasi generale sull'attività dei consultori familiari in Italia e possiamo senz'altro affermare che la legge n. 194, relativa al consultorio familiare, trova un'applicazione quanto mai valida, in particolare però nei consultori in cui la direzione e il coordinamento sono affidati all'area medica, ossia ai ginecologi.
Alla sua nascita, il consultorio familiare era affidato ai Comuni e ne rappresentava il fiore all'occhiello, in quanto funzionava molto bene e dava la possibilità di organizzare degli incontri con la popolazione per fornire un'informazione valida, mettendo a disposizione sia aule sia materiale didattico per intervenire sull'utenza e informarla, facendo una prevenzione adeguata. Purtroppo, da quando si è passati alle ASL, parecchi consultori soffrono di un problema molto grave. In alcuni consultori il discorso è relativo alla responsabilità e alla direzione del dipartimento materno-infantile, dell'unità operativa territoriale e dei consultori. Tali posti, a mio avviso di potere, parecchie volte non vengono affidati a chi dovrebbe effettivamente incidere di più sull'applicazione della legge, fornendo le giuste indicazioni di prevenzione, cercando di individuare la popolazione a rischio su cui intervenire e assicurando al consultorio ciò che deve avere e fare. Fabbriche, scuole e centri di aggregazione, nei quali la problematica è molto sentita per questioni di cultura ed economiche, non hanno accesso a un'informazione valida. Il consultorio fa tanto quando la struttura è affidata alla direzione e al coordinamento dei medici, che possono prendere accordi con gli ospedali, con altre strutture sociosanitarie del territorio e quindi dare un'informazione valida e fare una prevenzione adeguata.
Da parecchi anni, come A.GI.CO., abbiamo sempre sottolineato un fatto. Parlo soltanto dei consultori pubblici (su quelli privati ci sono altri che potranno intervenire) anche se l'associazione rappresenta soci sia pubblici sia privati. Nei consultori pubblici la ginecologia viene svolta con un monte orario molto ridotto: in alcuni consultori il ginecologo è presente due ore a settimana. Forse è bene che questi consultori vengano accorpati ad altri: essendo un servizio pubblico la presenza del ginecologo dovrebbe esservi tutti i giorni della settimana, in modo da poter attuare una prevenzione adeguata e tutto ciò che riguarda l'applicazione della legge n. 194.
La legge n. 194 affida al consultorio determinati compiti ma non sempre individua le figure professionali che devono soddisfare i compiti che gli vengono affidati. Teniamo anche presente il tema della prescrizione dei contraccettivi ai minori, un problema che ci viene posto molte volte nei nostri incontri, che viene richiesto dai soci ed è oggetto di discussione molto viva durante dibattiti, congressi e corsi di aggiornamento dell'A.GI.CO. A tale proposito, la legge prevede che il contraccettivo venga somministrato dietro prescrizione del medico. Su questo sorgono dei problemi legali: chi deve fare la prescrizione? Mentre la legge n. 194 dà la possibilità di somministrare dietro prescrizione, la legge sul consenso limita l'accesso dei minori. Teniamo presente che una grande fetta di coloro che ricorrono all'interruzione di gravidanza è rappresentata da minorenni. Anche il discorso relativo alla contraccezione ai minori dovrebbe essere senz'altro specificato meglio e allo stesso tempo andrebbe fatta un'opera di informazione molto mirata nei posti di aggregazione dei minori, da parte di persone competenti in materia.
Ribadisco, quindi, che per prendere contatti con altre organizzazioni territoriali e sociosanitarie, con associazioni di volontariato e per superare le motivazioni che danno luogo al ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza, è necessario che vi siano delle persone nel coordinamento del consultorio che possano svolgere questa opera con professionalità.

UGO BRASIELLO, Vice presidente nazionale dell'A.GI.CO. Non posso che confermare quanto detto dal professor Cersosimo. Vorrei aggiungere la nostra esperienza e la mia personale come direttore dell'ufficio responsabile dei consultori del Lazio dal 1977 al 1994.
La nostra associazione raccoglie i ginecologi consultoriali e ritengo che i problemi incontrati, e che ancora oggi incontriamo, siano essenzialmente due. Premetto che la legge n. 194 a noi risulta essere applicata in maniera sufficientemente corretta nei consultori, anche sul fronte della prevenzione poiché abbiamo osservato una progressiva diminuzione dell'interruzione delle gravidanze, contestualmente a una stabilità del tasso di natalità. Ciò vuol dire che il ricorso alla pratica della contraccezione è aumentata nel corso degli anni (diciamo dal 1978 in poi) come è facilmente verificabile dalle vendite dei presidi contraccettivi.
Credo che oggi, a livello consultoriale, i problemi più grossi siano due: a parte la dirigenza anomala, di cui ha parlato il collega Cersosimo, un problema importante è costituito dall'atteggiamento da parte di molte aziende che non incoraggia la vita dei consultori, che a volte vengono fatti morire per estinzione. Quando un operatore, (in particolare un medico) esce dal consultorio per motivi di età, per scelta o per altri motivi, capita che non venga sostituito dall'azienda. Le strutture sono spesso fatiscenti e i fondi scarsi.
Infine, l'altro problema che si incontra da sempre è l'obiezione di coscienza, che impedisce di garantire alla rete consultoriale un'omogeneità operativa per l'attuazione della legge n. 194.
Credo che questi siano i due punti fondamentali.

LUIGI LARATTA, Presidente nazionale dell'AIED. Come è noto, l'AIED è un'associazione che ha molti consultori, anzi, consentitemi un piccolo scatto d'orgoglio: il primo consultorio familiare è nato proprio dall'AIED nel 1953. Siamo un'associazione laica che svolge servizi di consulenza e di sostegno per l'interruzione volontaria della gravidanza e ha centri anche per gli adolescenti.
Su questo argomento lascerei però, se il Presidente consente, la parola alla dottoressa Laura Olimpi.

LAURA OLIMPI, Membro esecutivo nazionale dell'AIED. Come ricordava il Presidente, l'AIED ha una lunga storia e non abbiamo timore di dire che rispetto all'aborto siamo fortemente contrari (come non si può non esserlo) anche se sappiamo che ha sempre fatto e quasi sicuramente farà parte delle realtà da contrastare e di cui doversi occupare. Noi ce ne siamo occupati da sempre: la nostra azione principale mira a contrastarlo, prevenendo però le gravidanze indesiderate. Sappiamo che il requisito minimo affinché una donna abbia un figlio è che almeno lo desideri. Questa è una cosa che non dicono le femministe, ma quelli che seriamente si occupano della salute dei bambini, da Winnicott alla Dotteau (non a caso personalmente sono una pediatra). Il nodo centrale consiste nella prevenzione della gravidanza indesiderata e non nell'ostacolare il percorso della donna e la sua libera scelta, in quel momento, di non portare avanti una gravidanza. Da sempre, ancor prima della legge, siamo stati tra i promotori della legalizzazione e riteniamo che il requisito fondamentale sia nella libertà e responsabilità della donna: la nostra azione consiste nel darle maggiori strumenti per non arrivare alla gravidanza indesiderata. Se la donna poi arriva all'AIED con il problema di voler interrompere la gravidanza, disponiamo di servizi specifici che però non rappresentano la parte principale della nostra attività ma, come in tutti i consultori, solo quella minimale. In parte ciò è dovuto anche al fatto che il consultorio nella realtà nazionale non costituisce il punto centrale dell'assistenza all'interruzione della gravidanza: questo è uno dei problemi.
La certificazione, l'assistenza e la prenotazione dell'intervento vengono disseminati tra varie strutture tanto che la maggior parte dei certificati viene fatta dal medico di famiglia o dal ginecologo privato. Sicuramente l'approccio globale, integrato e multidisciplinare favorisce la consapevolezza della donna e la capacità di acquisire nuovi strumenti per decidere liberamente e fondamentalmente per prevenire le recidive.
La prevenzione è senza dubbio il punto chiave che muove l'AIED. Sappiamo che dobbiamo agire con professionalità e correttezza nel momento in cui la donna si presenta con la scelta di interrompere la gravidanza, ma sappiamo anche che dobbiamo agire a monte per non farla arrivare a questo punto, un momento sempre doloroso e penoso per ogni donna. Abbiamo dei suggerimenti da dare in merito alla prevenzione e questo è il punto chiave.
Anche se sappiamo che l'Italia non deve battersi il petto rispetto al discorso delle interruzioni di gravidanza, nello scenario internazionale, in effetti, non si presenta male: i nostri tassi di interruzione di gravidanza sono più bassi rispetto al resto d'Europa e del mondo. Tuttavia si può lavorare per diminuire ulteriormente il fenomeno. Da sempre (lo ripetiamo in questa sede) è importantissima l'educazione sessuale nelle scuole: il giovane che affronta per le prime volte i rapporti sessuali deve avere consapevolezza di quello che fa, di cos'è il suo corpo e a che cosa può andare incontro. L'educazione sessuale non deve essere giudicante o prescrittiva, ma deve dare al giovane la capacità di decidere liberamente.
Veniamo al discorso degli extracomunitari, che dai dati sappiamo essere importante. Il trend di discesa del ricorso alle interruzioni di gravidanza è da sempre costante in Italia: se in quest'ultimo anno c'è stata una leggera ripresa, sappiamo che è dovuta al fatto che un terzo delle donne sono extracomunitarie. Siamo d'accordo con i ginecologi consultoriali delle altre organizzazioni: l'approccio agli extracomunitari potrebbe essere quello dell'offerta attiva. Caratteristica del consultorio non è di aspettare che la gente vi arrivi, ma di offrire servizi anche al settore critico degli extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno. Ad esempio, l'offerta del pap test e dei preservativi potrebbe rappresentare una soluzione alle malattie trasmesse sessualmente (gli extracomunitari sono una categoria a rischio) e un modo per prevenire le interruzioni di gravidanza.
Vi è poi il problema della pillola del giorno dopo: qualora non venga fatta una contraccezione efficace prima del rapporto sessuale, è possibile, comunque, utilizzare la contraccezione postcoitale. In Italia questo tipo di contraccezione è comunque molto spesso difficile e macchinoso: non tutti i medici dei pronto soccorsi prescrivono la pillola e le guardie mediche spesso si rifiutano di farlo. Noi addirittura riteniamo che si dovrebbe seriamente considerare il discorso degli anticoncezionali senza ricetta medica. Recentemente, si è aperto un dibattito in America e la maggior parte degli esperti della FDE erano favorevoli, ma per una scelta politica e ideologica hanno rimandato, forse sine die, la considerazione.
Come è stato già detto, pensiamo che il potenziamento del ruolo dei consultori in generale come cardine di integrazione, coordinamento e offerta di servizi sia estremamente importante ai fini della prevenzione.
Vorrei aggiungere qualcosa in merito agli aspetti in cui, secondo noi, la legge è disattesa. L'articolo 9 della legge n. 194 prevede che gli enti ospedalieri debbano in ogni caso mettersi in condizioni di operare. Sappiamo benissimo che questo non accade: addirittura la Basilicata, un'intera regione, resta fuori. Ciò comporta per le donne un allungamento dei tempi, che porta a fare giri penosi per trovare l'ospedale che possa risolvere il problema e di conseguenza ad arrivare fuori termine o ad aborti tardivi, con l'aumento dei rischi.
Inoltre, l'articolo 15 prevede che la regione, d'intesa con università e enti ospedalieri, promuova l'aggiornamento del personale sanitario all'uso di tecniche più moderne, rispettose dell'integrità dalla donna e meno rischiose. Eppure, ancora oggi, è troppo alto il ricorso, ad esempio, all'anestesia generale, al raschiamento e la RU 486 è al centro di un dibattito aperto, mentre in altri Paesi europei e nel resto viene utilizzata.
Ci permettiamo anche di segnalare che rispetto agli operatori, che dovrebbero essere integrati nei consultori, il ruolo dei mediatori culturali è estremamente importante, per esempio, per il discorso di extracomunitari e sicuramente non solo con riguardo al problema linguistico, ma anche a quello delle differenze di culture e al ruolo della donna nella coppia e alle aspettative rispetto la maternità.
Ribadendo che siamo contrari all'aborto e quindi vogliamo prevenirlo, dobbiamo però dire che la dignità e la libera scelta della donna, come tra l'altro la legge prescrive, devono essere rispettate anche rispetto all'intervento di volontari all'interno dei consultori: non crediamo che un dibattito tra operatori pro e contro le interruzioni di gravidanza possa effettivamente aiutare la donna. Al contrario, riteniamo che l'aumento di professionalità dell'operatore che incontra la donna possa renderla in grado di prendere la scelta giusta. Crediamo che altri operatori volontari possano essere messi in causa ma solo con il consenso esplicito della donna.

PRESIDENTE. Quello che dite stimolerà sicuramente molto il dibattito. Per quanto mi riguarda ho tante cose da chiedervi, ma ne parleremo dopo.
Noto che sono intervenuti i ginecologi e la pediatria, ma nel consultorio dovrebbero essere presenti anche altre figure: ascolteremo anche le ostetriche e gli psicologi. Nessuno di voi infatti ha riferito di un'eventuale attività di collaborazione (chiamiamola così) che dovrebbe essere molto stretta tra le varie componenti del consultorio per favorire la risoluzione dei problemi di prevenzione con riguardo alla popolazione. Non avete sollevato la questione perché evidentemente ognuno di voi si riferisce alle cose che ritiene più importanti.

PAOLA BIRAGHI, Membro del comitato direttivo dell'UICEMP. Rappresento un'istituzione che in qualche modo è la sorella minore dell'AIED: il primo consultorio del 1966 è la UICEMP di Milano. Mi dilungherò pochissimo poiché mi sento di sottoscrivere quanto detto dalla dottoressa Olimpi, che ha descritto ciò che avviene nei nostri consultori.
Prendo al balzo la sua osservazione, presidente, per dire che nei consultori, giustamente, dovrebbero operare (almeno nei nostri operano) oltre ai ginecologi, ostetriche, consulenti e psicologi. Infatti la persona che viene la prima volta al consultorio ha un incontro non direttamente con il medico ma con un consulente. A seconda del tipo di problematica che pone (se si tratta di una visita di controllo, di contraccezione o, per rimanere in tema, di un'interruzione di gravidanza) ha di fronte una persona che può aiutarla a fare una scelta, ad indirizzarla.
Fatto salvo che sottoscrivo quanto ha detto la dottoressa, parlerei un po' di più del problema dell'interruzione di gravidanza, per il quale la legge prevede che alla donna vengano offerte delle alternative. I problemi sono di due tipi: il primo consiste nelle alternative che si possono proporre. Quando l'operatore si trova di fronte una persona, questa o ha già fatto la sua scelta e la esprime chiaramente, oppure la sta ancora maturando. Cosa può fare l'operatore oltre a far prendere coscienza di che cosa significhi una scelta o l'altra? Certamente non può sostituirsi alla volontà e alla coscienza della persona. In pratica, cosa può offrire? Qui entrano in gioco altre strutture e altri fattori. Può offrire (ma non sempre è possibile) un aiuto economico che però è risibile perché riguarda un periodo estremamente breve. Una persona che fa un figlio non se ne deve occupare solo per due, tre mesi o un anno, ad essere buoni per almeno quindici anni...

MAURA COSSUTTA. Per tutta la vita: un figlio è per sempre!

PAOLA BIRAGHI, Membro del comitato direttivo dell'UICEMP. Certo, ho voluto essere il più minimalista possibile (magari a un certo punto un figlio si rende indipendente economicamente). Ciò vuol dire che se vogliamo prestare aiuto a una madre in difficoltà, non è tanto il danaro per un breve periodo di tempo ma piuttosto sono una serie di servizi e di strutture che possono aiutarla (dagli asili nido agli scuolabus, al pediatra e via discorrendo).
Altra cosa, invece, è il fatto di informare la donna della possibilità, a mio avviso estremamente dolorosa ma che esiste, di non riconoscere il bambino al momento della nascita. È una scelta che mi sono trovata di persona a dover porre a delle persone: in genere corrisponde a un salto sulla sedia da parte dell'interessato, che risponde assolutamente di no. A Milano vi è «Madre Segreta», una struttura messa in piedi dalla provincia e che funziona molto bene; effettivamente, però, parte dal terzo mese di gravidanza, quindi si rivolge alle persone che sono arrivate tardi e non hanno potuto compiere una scelta preventiva.
Questi sono gli strumenti alternativi di proposta per una persona che decide di interrompere la gravidanza: sono pochi e relativamente non validi. La legge, peraltro, prevede sette giorni di riflessione tra il momento del certificato e quello dell'interruzione di gravidanza. Sono giorni importanti. A noi spesso è capitato di suggerire di fare subito il certificato, ma di ribadire anche che fino al momento stesso in cui sale il gradino dell'ospedale la donna ha tempo per tornare indietro. Proporre il contrario è estremamente rischioso dal punto di vista pratico, se non morale.
Vorrei aggiungere un'ultima cosa riguardo al problema dei minori. Quelli che richiedono l'IVG nei nostri centri sono relativamente pochi, spesso provengono dal tribunale ordinario, a cui siamo vicinissimi. Anzi a questo proposito le faccio una domanda: perché avete convocato i presidenti dei tribunali per i minori e non i giudici tutelari che mandano i minori da noi per la relazione?

PRESIDENTE. È stato richiesto da un parlamentare.

PAOLA BIRAGHI, Membro del comitato direttivo dell'UICEMP. Il discorso dei minori è ancora più complesso: ci chiediamo quanto una gravidanza non desiderata possa incidere sulla sua vita. Se riconosciamo alla donna la possibilità autonoma di scegliere, per i ragazzi è ancora più difficile. Per il resto, direi di puntare essenzialmente sulla prevenzione. Facciamo anche interventi presso le scuole proprio per aiutare i ragazzi a conoscere i vari metodi contraccettivi e le leggi che regolano la materia.
Condivido (soprattutto perché a Milano lo sentiamo fortissimo) il problema dell'obiezione di coscienza. Secondo me, poiché la 194 è legge dello Stato, questo dovrebbe garantire almeno il 50 per cento di non obiettori nelle strutture pubbliche.

OLIMPIA TARZIA, Vice presidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana. Poiché si deve fare una valutazione dello stato dell'arte dell'applicazione della legge n. 194, credo che la cosa principale sia tenere presente le istanze della legge stessa, che di fatto, nel suo testo, non afferma un diritto all'aborto. All'articolo 1 si richiama il fatto che lo Stato tutela la vita fin dal suo inizio; non si nega in alcun passaggio che il concepito sia un essere umano, ma si dice che nel momento in cui esista un conflitto di interessi tra madre e figlio, la donna può ricorrere all'aborto, secondo le norme previste dalla legge. Al di là della prassi, che purtroppo è deviata, il dettato della legge chiarisce che la libertà della donna, che ovviamente va difesa come quella degli uomini (la libertà in genere delle persone va sempre tutelata) si muove nel rispetto dei diritti degli altri e, sicuramente, prima di tutto, di quelli del figlio, il cui primo diritto è quello alla vita.
Vorrei richiamare l'attenzione su alcune parti della legge n. 194 che riguardano la prevenzione all'aborto. Esistono diversi ambiti di prevenzione: per quella al concepimento entriamo nel campo dell'educazione alla sessualità, in cui vi sono differenti modalità di approccio. La legge n. 194 regolamenta la questione di una gravidanza parlando di prevenzione all'aborto, nel caso di una donna che si trova a vivere una maternità difficile. A questo riguardo, la legge, particolarmente agli articoli 2 e 5, prevede dei punti importanti. La nostra valutazione è data dall'esperienza sul territorio: vi sono circa trecentomila utenze annuali, una rete territoriale dei consultori di ispirazione cristiana...

TIZIANA VALPIANA. Da quando?

OLIMPIA TARZIA, Vice presidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana. Dall'inizio, praticamente mi riferisco alla legge n. 405 sui consultori.
Dunque, il percorso nasce principalmente dall'esperienza diretta. In particolare, la legge prevede che la donna debba mettere in atto un colloquio teso a rimuovere le cause che la inducono al ricorso all'aborto. Credo che questo sia un punto importante. Secondo il nostro osservatorio, la prima causa di richiesta di ricorso all'aborto è di natura economica. Il problema di fondo è che la donna che si rivolge al consultorio non ha soldi per un altro figlio: la casa è piccola o potrebbe perdere il lavoro. Purtroppo queste cose gravissime accadono ancora: la donna si trova di fronte al fatto di dover perdere il lavoro per accogliere un figlio! La prima causa del ricorso all'aborto è di natura economica; la seconda è occupazionale e lavorativa; la terza è dovuta a motivi di salute. Questo elemento dovrebbe essere considerato seriamente.
La legge n. 194 prevede poi ancora la possibilità di un coinvolgimento delle associazioni operanti sul territorio in favore della maternità. I consultori familiari di ispirazione cristiana sono promossi da associazioni ad ampio campo ma, anche non esclusivamente, sono molto legati al tema dell'aiuto alla maternità. La nostra è una percentuale irrisoria: siamo intorno al 3 per cento di donne che arrivano da noi attraverso i consultori pubblici o altre associazioni operanti in favore della maternità! Anche questo è un altro elemento disatteso della parte preventiva della legge n. 194.
Entrando nel merito, quali potrebbero essere gli obiettivi di questa indagine conoscitiva? Per superare le cause, evidentemente bisogna prima conoscerle. Quindi è necessario che dal colloquio consultoriale, attraverso compilazione di moduli, ovviamente anonimi per non risalire all'identità della donna, emergano chiaramente anzitutto le cause principali per cui c'è difficoltà ad accogliere la gravidanza. In secondo luogo, vi sono gli interventi messi in atto dai consultori in applicazione della legge n. 194, cioè la ricerca di alternative. Infine è anche importante considerare quante convenzioni risultano essere state fatte da consultori e associazioni presenti sul territorio. Dal nostro osservatorio emergono dati quasi nulli.
Un altro aspetto cui dovrebbe mirare l'indagine conoscitiva è la problematica dell'aborto terapeutico. La società italiana di neonatologia ha recentemente lanciato un allarme in merito. La legge n. 194 è stata approvata quasi trent'anni fa: la capacità di sopravvivenza di un feto, all'epoca, era estremamente ridotta rispetto a quanto la medicina riesce a mettere in atto oggi. Già dalla ventitreesima-ventiquattresima settimana è possibile riuscire a salvare la vita del bambino. La società italiana di neonatologia ha evidenziato che ci sono bambini che nascono vivi da aborto terapeutico. Il problema è capire cosa succede. Sappiamo che la legge n. 194 richiama il fatto che se il feto è vivente si può intervenire con un aborto solo per grave pericolo per la salute della madre. Il periodo di 180 giorni previsto per l'aborto terapeutico, in realtà, è una prassi: la legge non prevede alcun numero di settimane o di mesi, oltre il terzo mese, i cosiddetti «90 giorni». Si tratta di capire cosa succede in quest'ambito, tenendo conto che la medicina ha fatto progressi: quanti feti sono nati vivi e quanti, per esempio, sono stati dati in adozione? Che tipo di impegno e di applicazione in difesa della vita ci sono stati, rispetto a queste problematiche?
Concludo con una proposta: credo che l'indagine abbia un senso se ne segue una azione propositiva. Se alcune parti della legge non sono state applicate, è evidente che bisogna intervenire, come istituzione, per una corretta applicazione. Come Confederazione dei consultori familiari di ispirazione cristiana, abbiamo proposto una riforma dei consultori familiari, insieme al forum delle associazioni familiari. Accenno solo ai punti qualificanti di questo testo. Principalmente, il superamento della sanitarizzazione, di cui di fatto, al di là delle cause, i consultori pubblici soffrono. Da esami statistici, purtroppo, l'azione prevalente, per quanto riguarda gli interventi della donna in età fertile, risulta essere la certificazione di aborto.
Il consultorio è nato dalla legge n. 405 con un ruolo sicuramente anche sanitario ma, principalmente, sociale, di aiuto e di servizio alla famiglia alla paternità e maternità responsabile. Tanti operatori si trovano a disagio in una struttura nata con una finalità che però di fatto, per una serie di motivi, si è sanitarizzata. La restituzione ai consultori del loro ruolo passa attraverso alcuni punti. Anzitutto (e questo è il contenuto della nostra proposta di riforma dei consultori) la distinzione di due momenti. L'applicazione di tutta la parte preventiva della legge n. 194, il colloquio e l'investimento di risorse per superare le cause, mentre la certificazione di aborto resterebbe alla struttura sanitaria. In secondo luogo, il coinvolgimento delle associazioni dovrebbe diventare molto più strutturato e operativo, come previsto dalla legge n. 194. In terzo luogo, a mio avviso, dalla legge n. 194 si evince la possibilità che tutto ciò che viene fatto nei confronti di una preferenza per la nascita venga verbalizzato in modo che sia gli assessorati alla sanità regionale, sia il Ministero della salute abbiano degli elementi oggettivi in base ai quali intervenire.
Un altro aspetto potrebbe essere l'istituzione di un fondo sociale per la maternità. Ricordo che la legge n. 194 prevede interventi straordinari, vale a dire la possibilità di sostegni economici che, secondo noi, dovrebbero essere erogati direttamente alla donna. Il consultorio in tal modo sarebbe in dipendenza (anziché regionale, delle ASL) dei Comuni ed acquisirebbe un taglio più sociale. Inoltre, nella riforma prevediamo una pari dignità, una parificazione, attraverso l'accreditamento o altri mezzi, dei consultori pubblici e di quelli privati gestiti da associazioni che svolgono un ruolo pubblico.

PRESIDENTE. Nei giorni scorsi abbiamo audito anche il ministro Storace e gli ospedali dove si praticano le IVG. Ancora oggi, si nota un fatto, cioè, gli ospedali ci hanno detto che collaborano con i consultori, che vi è un ambito stretto di collaborazione: non fanno nulla senza aver prima ascoltato i consultori e vi indirizzano le persone prima, dopo e durante. Secondo me, non dico che questa forma di collaborazione manca, ma stiamo sentendo anche l'altra campana e notiamo (sarà forse una mia impressione) che questa stretta collaborazione, finalizzata alla legge n. 194, forse non c'è. Dai dati forniti dal Ministero, la certificazione viene effettuata soltanto per un terzo dai consultori, mentre per il resto viene rilasciata dalle strutture sanitarie, dal medico di famiglia o dal ginecologo di fiducia. Probabilmente, ciò implica un bypass della struttura consultoriale, che invece era stata finalizzata a tutte queste attività che voi stessi avete elencato: la prevenzione, l'aiuto e tutto quanto può essere fatto nell'ambito dell'applicazione dell'IVG e, in maniera più generale, dell'aiuto alla famiglia, alla nascita e così via.
Ancora una volta, allora, qualcuno potrebbe dire sia inutile fare un'indagine, invece, secondo me, si dovrà rilevare che se quest'indagine riuscirà nel suo scopo (non so se in questa o nella prossima legislatura) si vedrà aumentare la collaborazione fra consultori pubblici, privati, laici e cattolici. Anche gli ospedalieri che sono intervenuti ieri (lo dico per vostra conoscenza) hanno detto che collaborano con le organizzazioni, sia cattoliche, sia laiche e che non c'è nessun conflitto. L'importante è mantenere sempre la libertà di scelta della donna o, meglio ancora, della coppia.
Le altre proposte sono argomenti che, evidentemente, bisogna definire: l'aggiornamento, gli articoli 9 e 15, il problema rilevato dal professor Cersosimo delle strutture spesso fatiscenti e delle carenze dei medici. Infine, nessuno ci aveva detto che, da quando si è passati dal Comune alla ASL, la situazione è notevolmente peggiorata. È un discorso da rivedere e sul quale si può porre ulteriormente la nostra attenzione: siamo qui proprio per questo. Gli spunti di queste audizioni sono tanti e speriamo di poterli portare a buon fine, se non tutti, perlomeno qualcuno.

PAOLA BIRAGHI, Membro del comitato direttivo dell'UICEMP. Probabilmente il problema è che le realtà sono molto diverse a seconda dei posti, per cui sicuramente ci sono ospedali che riescono ad avere...

PRESIDENTE. Lo abbiamo notato anche ieri: c'è differenza ad esempio, tra la situazione in Sicilia e quella in Lombardia!
Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire.

MAURA COSSUTTA. Ritengo che nelle audizioni che si sono svolte fino ad oggi ci sia un filo comune molto importante. Dopo l'audizione del ministro Storace, il quale, invece di intervenire in Commissione sulla sua relazione, che è tenuto per legge a presentare al Parlamento tutti gli anni, ha mirato a dare legittimità a questa indagine conoscitiva, ho ritrovato un filo comune tra Istat, Istituto superiore di sanità, operatori degli ospedali e, oggi, anche ginecologi consultoriali dell'UICEMP e dell'AIED, tranne la voce dissonante della dottoressa Tarzia (su cui tornerò fra un attimo). Innanzitutto, la centralità dei consultori, come sono stati «inventati» dal movimento delle donne, costruiti anche grazie alla legge n. 883, cioè, a un'idea di Servizio sanitario nazionale e non a quella di aziendalizzazione, che ha provocato guasti nella funzione e nella natura dei consultori.
Vi è poi la funzione dei consultori, cioè la prevenzione nella modalità operativa di questo servizio. Certo, c'è anche il volontariato (per carità, è sempre un contributo che abbiamo previsto nella legge n. 328), ma penso alle professionalità dei consultori, alla multidisciplinarietà, a programmi di prevenzione attiva verso l'utenza, non quella che va al consultorio ma che va cercata, con programmi mirati, obiettivi certi e una valutazione dei risultati rispetto alla popolazione. Infine, penso alla centralità della contraccezione. Ieri abbiamo persino notato l'anomalia, la grande criticità, dell'obiezione per la contraccezione (per non parlare dell'interruzione volontaria di gravidanza).
Ho ritrovato, quindi, un filo importante e comune che ci suggerisce una cosa: non era indispensabile, anzi non era necessaria, questa indagine conoscitiva. Sarebbe stato necessario ascoltare l'allarme che, da decenni, gli operatori che lavorano sul campo mandano alla politica, agli assessori regionali e ai parlamentari. Cosa serve, cosa manca? L'hanno già detto.
Ricordo alla dottoressa Olimpia Tarzia che abbiamo appena votato la legge finanziaria e del fondo sociale per la maternità non c'è traccia. Allora, credo che in questa indagine conoscitiva rimanga soltanto l'impegno per cambiare la legge, qualsiasi cosa dica il presidente Palumbo, e invece non ci sia alcuna coerenza sulle risorse da stanziare per eliminare quelle cause. Veniamo al punto: credo che questa indagine conoscitiva sia rischiosa e ciò sia stato voluto. C'è un attacco nascosto (fino ad oggi non è stato palese, ma i cenni, su cui tornerò, ci sono) diretto alla legge n. 194. Si tratta di un attacco previsto perché nel momento in cui la legge sulla procreazione sancisce i diritti dell'embrione, è evidente una conseguenza sulla legge n. 194. Ricordo alla dottoressa Tarzia che dovremmo difendere il diritto di maternità e il suo valore sociale anche per le donne sterili o che hanno malattie genetiche gravissime e non possono accedere alla procreazione assistita, proprio perché dobbiamo difendere il primato dei diritti dell'embrione: altro che risolvere il conflitto a favore della donna! Inoltre, se mi permettete, la legge n. 194 partiva dalla cultura delle donne che non è mai stata di morte: non c'è diritto alla vita, senza le donne che la danno! La cultura della nascita è dentro la cultura delle donne e la legge n. 194 non vuole gli aborti, ma intende aiutare le donne a liberarsene! Parla di valore sociale della maternità, di maternità libera e consapevole. O pensiamo che la sessualità delle donne non debba essere tutelata? Come pensate di tutelare la sessualità della donna se non con la contraccezione? Non so, proponete la castità? D'altra parte è legittimo che le gerarchie della Chiesa lo chiedano ai giovani, ma una legge dello Stato dovrebbe andare oltre!
In quella legge c'erano dei valori altissimi: non vogliamo regalare al cosiddetto «movimento» o ai cosiddetti «soggetti a tutela del diritto alla vita» la cultura della vita, che fa parte del movimento delle donne. Il valore sociale della maternità per noi è centrale e chiediamo coerenza alle politiche pubbliche! Certamente, chiediamo un fondo sociale per la maternità ma anche un'indagine conoscitiva, presidente, sui datori di lavoro che costringono le ragazze precarie a firmare la «letterina» per non diventare madri. Sono queste le cause per cui le donne non diventano madri! Vogliamo sapere le cause soltanto quando la donna è costretta all'ultimo minuto ad abortire, perché ha inciampato in questo dramma, o vogliamo chiedere a tutte le donne italiane quanto questa società neghi il desiderio di maternità? Chiediamolo a tutte le donne! Le risposte sono già chiare e le donne l'hanno detto ripetutamente alla Conferenza internazionale di Pechino e in quella di New York: lavoro, reddito, istruzione, diritto alla salute, indice di sviluppo di genere. Vogliamo seguire queste indicazioni o vogliamo rivolgerci alle donne soltanto nel momento più delicato e drammatico, costruendo per loro la cultura solo della colpa, non della responsabilità, perché non vogliono essere «contenitori» di embrioni?
Presidente, lei dice che non si deve cambiare la legge, ma oggi l'intervento della dottoressa Olimpia Tarzia introduce il vero cavallo di Troia! Con la loro modifica, non si è capito se i consultori diventano i servizi sociali, con cui dovrebbero essere integrati, e ne sono i doppioni. I consultori non sono i servizi sociali, bensì un servizio di prevenzione! Se non si è capito che la certificazione deve passare attraverso il consultorio per garantire alla donna di ritornarvi e di farvi ricorso anche per altre prestazioni, per il percorso di nascita, per la prevenzione dei tumori e per la salute dell'apparato riproduttore, di cosa stiamo parlando? Allora, si vuole fare questa indagine conoscitiva non per aiutare le donne, ma per dare diritto di tribuna ai cosiddetti «soggetti di volontariato» per il cosiddetto «diritto alla vita», per trasformare i consultori (dicono loro) da «abortifici» in servizi sociali! Questo è un attacco diretto alla legge n. 194 ed è per questo che l'indagine conoscitiva è pericolosa e rischiosa e non avrà mai la nostra approvazione!

PRESIDENTE. Vi pregherei di contenere la durata degli interventi, in quanto vi sono molti iscritti a parlare.

MAURA COSSUTTA. Avete voluto voi fare tutto in fretta, presidente Palumbo! Questa indagine conoscitiva ha bisogno di tempi adeguati: se non finisce entro il 31 gennaio, vorrà dire che il Parlamento si darà altri tempi! Non è possibile che voi lanciate l'allarme sull'emergenza e poi tagliate la parola: ci deve essere il tempo per discutere, altrimenti si aggiorna la seduta! Non c'è alcun dramma per la Repubblica se dovremo andare oltre il 31 gennaio.

CARMELO PORCU. Quando sarete la maggioranza...

MAURA COSSUTTA. Qui non si parla di maggioranza o di minoranza, ma di diritti delle donne, caro onorevole Porcu! Parliamo dei problemi delle donne!

PRESIDENTE. Quando dobbiamo fare politica, la facciamo. Ora abbiamo delle audizioni in corso; onorevole Burani, mi rivolgo anche lei: dobbiamo audire gli intervenuti e porre loro delle domande. I protagonisti in questo momento sono le persone audite.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor presidente, siamo già alla quarta audizione e mi pare che ogni volta assistiamo a qualche comizio in cui si dibattono problemi politici su cui possiamo discutere quanto vogliamo, ma in separata sede. Cara onorevole Cossutta, lei può dire quello che vuole...

MAURA COSSUTTA. La sede è pubblica! Come vi permettete di dire che facciamo dei comizi?

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Onorevole Cossutta, da quando facciamo queste audizioni è la prima volta che mi permetto, di così dire, di richiamarla all'ordine. Come diceva Cicerone: «Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra». Tutte le audizioni sono utili; quello che dicono e che noi ascoltiamo va bene, ma io non mi appassiono e non divento tifoso né dell'una né dell'altra audizione. In latino si dice: observatio et ratio. Bisogna anche saper ascoltare e poi ragionare; come dire: cogito ergo sum. A questo punto, mi pare che non ascoltiamo gli insegnamenti dei nostri padri latini.
A ogni audizione che facciamo sono sempre più soddisfatto: si ascoltano varie voci, qualche conferma (come ha detto il presidente) - di quanto abbiamo già sentito ieri e qualcosa di diverso. Dobbiamo fare delle valutazioni su quanto ci viene detto e chiedere qualche delucidazione. Le considerazioni, più o meno politiche, le dobbiamo fare ed è giusto farle, ma in Commissione tra di noi, non in presenza degli altri che sono qui per altro motivo. Dobbiamo impiegare il tempo a disposizione per il motivo per cui questi signori sono stati convocati, cioè per dar un apporto in base alla loro esperienza, che riteniamo della massima utilità.
A mio avviso, anche oggi abbiamo capito che il punto nodale della questione sono i consultori. Come diceva il presidente, ieri abbiamo conosciuto il punto di vista degli ospedali, che chiedevano maggiore collaborazione con i consultori. Oggi ascoltiamo la versione dei consultori, che non fanno riferimento alla collaborazione con gli ospedali - nessuno lo ha fatto - però dicono che c'è un certo stato di disagio e che il funzionamento non li soddisfa. Mi pare che ciò sia stato assodato fin dal primo intervento del dottor Brasiello e del dottor Cersosimo, che addirittura vanno a individuare i motivi di questa scarsa funzionalità nella insufficiente attenzione verso i consultori, che per motivi vari si fanno decadere, in quanto non si è attenti a rinforzarli e svilupparli. Si è parlato poi dell'obiezione di coscienza, di cui abbiamo sentito anche ieri. L'attenzione si è concentrata sulla prevenzione, che si può fare in tutti i modi e che riteniamo utile.
In questa sede, non mi pare di aver ascoltato interventi in assonanza o in dissonanza; tra loro non mi pare neanche che l'intervento di Olimpia Tarzia sia particolarmente in dissonanza, com'è stato detto, con altri. Ognuno dice quello che pensa e lo dice nella sua assonanza: ritengo che le proposte della dottoressa Tarzia siano concrete e serie e non mi sembrano scandalose. Infatti, quando sostiene che bisogna superare la sanitarizzazione, non dice niente di straordinario: rientra nella prevenzione, anche in quella dell'aborto. Quando propone di eliminare la sanitarizzazione, non vuol dire che non c'è prevenzione e se dice che bisogna separare i vari momenti. Mi pare che ella intenda fare maggiore chiarezza e sui problemi che stiamo discutendo. Io intendo il suo intervento in questo modo. Altri lo intendono in un altro, poi faremo la somma delle esperienze dei nostri interlocutori e ognuno dirà la sua opinione in sede di dibattito sulle cause politiche, senza parlare ora di legge finanziaria.
Vorrei concludere con una piccola battuta, senza riaprire la polemica: quanti soldi sono stati stanziati in questo settore nelle leggi finanziarie della sinistra?

GRAZIA LABATE. Ieri abbiamo avuto la possibilità di ascoltare la parola delle strutture sanitarie grandi, medie e piccole, opportunamente scelte tra le diverse realtà italiane. Faccio questa premessa perché vorrei porre tre domande agli intervenuti e ricevere ulteriori chiarimenti.
Per quanto riguarda questa indagine, l'opposizione non l'ha voluta non per non affrontare nel merito le problematiche, che possono sempre essere oggetto di studio e di riflessione, ma perché, da cinque anni, nella Commissione affari sociali abbiamo sempre ricevuto regolarmente le relazioni che i ministri debbono presentare al Parlamento.
Vorrei leggere un passo della relazione di accompagnamento a quella sulla legge n. 194 del ministro Storace, per dirvi che i dati che abbiamo ascoltato in questi giorni e le considerazioni svolte oggi non solo appartengono alla conoscenza e agli strumenti di conoscenza di cui disponiamo nella realtà di applicazione della legge nel nostro paese, ma siamo così consapevoli delle criticità che addirittura (lo dico con una battuta anche per alleggerire il clima di confronto) sono cinque anni che presentiamo emendamenti dello stesso tono: rafforzamento dei consultori in termini di risorse economiche, superamento del blocco del personale per avere tutte le figure professionali interessate. Quindi il sistema di conoscenza intorno a questa materia è noto. Vi leggo ora cosa ha scritto il ministro Storace.
Ci scusino i presenti, se mettiamo in dubbio l'efficacia di questa indagine conoscitiva. Il ministro Storace, a conclusione della sua relazione, diceva: «va sottolineato, infine, come la raccolta, il controllo e l'elaborazione dei dati analitici di tutte le regioni rappresenta un processo lungo e delicato, che impegna a fondo tutto il sistema di sorveglianza delle strutture periferiche. Tale sistema, va detto con orgoglio e per completezza, accuratezza, e tempestività dei dati, è il migliore del mondo». Per questo dico che il sistema di nostra conoscenza (dati dell'Istituto superiore di sanità, dati dell'ISTAT, dati delle relazioni di accompagnamento) ci era del tutto noto e quindi questa indagine conoscitiva, promossa da una Commissione parlamentare soltanto nell'ultimo lasso di tempo della legislatura, ci ha dato il senso di una strumentalità . Vi preghiamo di credere alla nostra onestà intellettuale. Non sappiamo quale sia lo scopo dell'indagine: chiunque è intervenuto fino ad oggi, compreso il ministro e i colleghi delle forze di maggioranza, hanno detto assolutamente che la legge n. 194 non si tocca. Mi auguro che sia così: è una legge dello Stato che ha trovato una efficace mediazione di rispetto della cultura religiosa e della razionalità di uno Stato che, di fronte a 1,5 milioni di aborti clandestini, ha trovato la giusta saggezza in una legge che rispondesse a questo problema. È per questo motivo che non siamo e non saremo mai d'accordo con chi oggi legge l'applicazione di questa legge, dividendo il paese tra i fautori del principio della vita e quelli che non sono a favore.
Proprio quella legge trova base e fondamento nel rispetto del principio della vita e nella tutela sociale della maternità. Sono convinta che tutte le forze che la votarono in Parlamento nel 1978 e il popolo italiano che la confermò con il referendum del 1981, nonché tutte le forze che siedono oggi nel Parlamento della Repubblica sanno bene che quella legge ha rappresentato una mediazione efficace, così come le leggi dello Stato devono essere, se vogliono essere rispettose del pluralismo culturale, oltre che politico, del nostro paese.
Con questa premessa abbiamo denunciato in qualche modo che stiamo partecipando a tutte le audizioni perché il livello di conoscenza non ha mai limite: è sempre bene ascoltare. Tuttavia, non possiamo non partire da questa premessa se vogliamo davvero affrontare il tema della piena applicabilità della legge.
È emerso molto chiaramente (ascoltando gli operatori e, per esempio, leggendo la nota che ci è stata consegnata oggi e ascoltando la dottoressa Tarzia) che il Parlamento aveva in mano tutti gli strumenti per dare una risposta seria a questi problemi, la cui soluzione richiede una politica attiva per la famiglia, onde rimuovere situazioni negative di ordine economico e sociale. Insomma, vi erano tutte le condizioni per dare ai consultori la possibilità di strutturarsi almeno come prescrive la legge, cioè uno ogni ventimila abitanti, mentre ve ne sono 0,8. Si potevano avere tutte le figure professionali ma, purtroppo, come è emerso ieri, nella ristrettezza delle politiche, le strutture oggi funzionano con il metodo a gettone o della convenzione. Vi erano, quindi, le condizioni per dare a questa strada gli strumenti legislativi che non rimuovessero il problema dell'obiezione di coscienza, un diritto che va sancito in tutti i modi, ma laddove questo diritto si esplicita all'80-90 per cento, che consentissero alle strutture di applicare la legge dello Stato.
Vorrei chiedere alla dottoressa Tarzia, stante l'esperienza di «sorveglianza» (spero che non si dispiaccia di questo termine) che ha maturato a partire dal 1975 come consultori di ispirazione cristiana, se le cause che ha notato sono in primo luogo di carattere economico, in secondo luogo occupazionali, in terzo luogo derivanti da problemi di salute. Mi piacerebbe capire se ha svolto un'indagine o uno studio statistico e su ciò ci dicesse, a fronte della rilevazione delle cause, che tipo di risposte abbiano dato a questi problemi i consultori dalle modalità di costituzione diverse dalle strutture pubbliche. Le esperienze che abbiamo ascoltato ieri in quest'aula hanno riferito che laddove si lavora molto in collaborazione con le strutture consultoriali di qualsiasi ispirazione culturale, quando vengono fuori questi problemi già oggi l'assistente sociale indirizza all'assessore del comune di appartenenza se il problema è abitativo o se la persona ha difficoltà economiche per la richiesta di un sussidio. Mi piacerebbe capire quali esperienze ha rilevato e quali tipi di risposta avete dato, se vi sono state risposte autonome come struttura consultoriale. Infine, vorrei rivolgere una domanda all'AIED. In che modo, posto che la legge è nota a tutti, si garantisce nell'operare consultoriale l'autonomia della scelta della persona? Tutti abbiamo detto che nessuno vuole mettere in discussione le decisioni. Allora, conosciute le cause, le motivazioni (addirittura si fa un primo colloquio, poi un secondo se si decide di interrompere la gravidanza), vorrei sapere dalla vostra lunghissima esperienza (lo chiedo all'AIED e all'UICEMP) in che modo vi siete trovati di fronte a delle realtà e avete operato per rispettare nel rapporto e nella relazione operatore-utente l'autonomia della decisione della persona. È un tema fondamentale in questa indagine conoscitiva. Proprio ieri gli operatori ci hanno detto di ascoltare, capire le cause e dare consigli, ma guai a colpevolizzare i soggetti che arrivano ai consultori con una decisione, anche se sono disposti a rivederla. Guai a fare questo! Ciò sarebbe un peso sulla coscienza di ognuno di noi e non sarebbe tollerabile, proprio perché vogliamo essere rispettosi delle diverse esigenze che, nella tragedia, ahimè, possono spingere la donna a scegliere una strada di questo genere e a interrompere la gravidanza.

DORINA BIANCHI. Cercherò di essere brevissima, anche perché vorrei sentire le risposte delle associazioni. Vorrei fare due considerazioni: la prima è sull'indagine conoscitiva. Anch'io credo che essa non sia nata nel migliore dei modi, sia per i metodi sia per i tempi; in questo devo dare ragione all'onorevole Cossutta quando dice che molto probabilmente sarà necessario del tempo per ascoltare le associazioni e per conoscere approfonditamente, una volta intrapresa la strada dell'indagine conoscitiva, di quanto avviene oggettivamente in Italia.
La seconda considerazione è che mi trovo perfettamente d'accordo con la dottoressa Olimpi. Credo che nessuno di noi, nessuna donna, abbia voglia di abortire, né crediamo che l'aborto sia una cosa giusta. Siamo dell'idea che sia necessario aiutare le donne a non abortire, soprattutto andando nella direzione di una prevenzione molto più efficace e più presente nelle scuole, soprattutto in età adolescenziale, anche per informare dell'esistenza dei consultori e dei numeri a cui rivolgersi; quindi, una presenza molto più attiva e costante nella vita dei nostri giovani, per quanto riguarda la prevenzione.
Detto questo, vorrei chiedere al dottor Cersosimo e alla dottoressa Olimpi innanzitutto se secondo loro vi era veramente la necessità di riformare i consultori. In secondo luogo, domando se abbiano già avuto esperienza, per esempio, della presenza di volontari in tali strutture e cosa pensano in merito alla possibilità di prevedere volontari di associazioni di tipo diverso. Un'altra domanda riguarda l'utilità dell'abolizione della obiezione di coscienza, perlomeno per i medici o gli operatori che lavorano nei consultori.
Infine rivolgo un'ultima domanda a Olimpia Tarzia, con la quale non sono d'accordo sul problema delle condizioni economiche, quando afferma che le famiglie con minori possibilità economiche hanno meno figli. Secondo me è l'esatto contrario: migliori sono le condizioni di vita, minore è la presenza di figli. E sicuramente il bonus nascita non è il metodo migliore per incrementare le nascite in Italia.

GIULIO CONTI. In Germania però ha funzionato!

DORINA BIANCHI. In Germania, ma non in Italia! In Germania vi è un tipo di aiuto alle donne che non è presente in Italia! Prima di tutto il bonus è per tre anni e poi ci sono strutture di aiuto alla maternità e alla donna, nella prosecuzione della vita del bambino, che non esistono in Italia. Al di là di questo, volevo chiedere ad Olimpia Tarzia quali sono, secondo lei, le misure preventive, che devono essere attuate per una vera riduzione degli aborti in Italia.

CARMELO PORCU. Sarò brevissimo, anche per consentire ai nostri ospiti di esprimere le loro idee fino in fondo. Mi sia consentito in primo luogo scusarmi per essere arrivato in ritardo e per aver sentito poco della prima parte di questa audizione, anche se quanto ho potuto ascoltare è stato sicuramente interessante.
Prima di porre delle domande, giacché le colleghe della sinistra ripetono a ogni seduta alcuni concetti, anch'io mi permetto di fare altrettanto. Mi sembra che l'audizione di oggi dimostri ancora una volta l'utilità dell'indagine conoscitiva. L'abbiamo detto già altre volte: la dialettica che si è instaurata in Commissione, così come l'importanza e la professionalità degli ospiti, dimostrano che è utile che il Parlamento ricorra a questo tipo di strumenti.
Soprattutto, mi sembra che debba essere ripetuto ancora una volta - lo abbiamo già fatto politicamente - che questa indagine conoscitiva non è finalizzata a una revisione o ad un ritocco la legge n. 194. Noi vogliamo che essa sia attuata bene, nel rispetto dei suoi principi informativi e del diritto alla vita, che non è «cosiddetto», onorevole Cossutta, ma è uno dei principi costituzionali. Vi vantate tanto di difendere la Costituzione: ebbene, questa difende la vita e noi vogliamo che la legge sia ispirata a questo sacrosanto principio costituzionale!
Ho apprezzato l'intervento della dottoressa Tarzia, alla quale vorrei rivolgere una domanda. Poiché ieri, presidente, abbiamo visto da parte dei presidi ospedalieri che si occupano di aborto che esiste un'indeterminatezza nella quantificazione del numero delle donne che, a seguito del contatto con strutture mediche o consultoriali, rinunciano all'aborto e proseguano la maternità, vorrei capire se alla dottoressa Tarzia risulti qualcosa in merito a questo argomento, se la sua associazione se ne occupi e se la sua confederazione disponga di cifre al riguardo.
Vorrei anche capire se le associazioni di ispirazione cristiana stiano facendo una riflessione su un nuovo modo di vedere l'obiezione di coscienza? Dico questo perché sia ieri sia oggi abbiamo notato palesemente - forse con quanto sto per dire susciterò un vespaio - che la stragrande maggioranza degli operatori è su posizioni molto laiche. La presenza dei medici obiettori nei consultori e nelle strutture ospedaliere forse sarebbe utile, affinché le strutture stesse siano in equilibrio rispetto alle situazioni che vanno a verificare.

MAURA COSSUTTA. Ma tutti dovremmo essere laici!

CARMELO PORCU. Sapevo che avrei suscitato un vespaio, però, presidente, mi sia consentito di esprimere la mia opinione. Mi sembra che la divisione sia sotto gli occhi di tutti quanti e penso di non dover essere zittito in questa maniera, quando dico che si tratta di una questione delicatissima. L'abbandono ideologico di una trincea, nella quale si discute di vita o della sua interruzione, secondo me, va affrontato con molta serietà, approfondimento e rispettando i diritti di ciascuno, che sono soprattutto diritti alla vita.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Porcu, anche per la brevità. Se tutti fossero così brevi, procederemmo più velocemente.
Do la parola all'onorevole Valpiana, invitando anche lei alla brevità.

TIZIANA VALPIANA. Mi dispiace, signor Presidente, ma non potrò esaudire il suo desiderio, perché...

PRESIDENTE. Vorrà dire che le toglierò la parola.

CARLA CASTELLANI. Anche perché ci siamo dati 10 minuti a testa per gli interventi.

TIZIANA VALPIANA. Visto che avete richiesto con una tale urgenza un'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194, in particolare sulla funzione dei consultori, dopo che per cinque anni questa maggioranza ha rifiutato la richiesta, che abbiamo presentato trimestralmente, di discutere la relazione annuale del ministro sull'applicazione di questa legge, credo che perlomeno dovreste permetterci di scandagliare il problema in tutte le sue parti e di affrontare quanto ci viene suggerito dalle persone che abbiamo invitato alle audizioni, che sono state molto interessanti.

GIULIO CONTI. Non può attaccare il ministro, che è venuto qui a rispondere!

PRESIDENTE. Onorevole Conti, non può interrompere. Lasci parlare l'onorevole Valpiana. Anche lei potrà parlare per dieci minuti quando sarà il suo turno.

GIULIO CONTI. L'onorevole Valpiana se la prende con chi è venuto qui a rispondere.

TIZIANA VALPIANA. Non l'ho mai nominato il tuo ministro!

PRESIDENTE. Onorevole Conti, ma lei vuole fare andare avanti l'indagine o vuole ostacolarla?

TIZIANA VALPIANA. In realtà, me la stavo prendendo con l'ufficio di presidenza di questa Commissione. Credo che, se vogliamo affrontare davvero questo tema sotto tutti gli aspetti delicatissimi che riguardano la vita del singolo e la vita di uno Stato che dovrebbe essere laico e democratico, dobbiamo perlomeno intenderci sui preliminari e sulle parole.
Credo che tutti noi, quando parliamo di prevenzione dell'interruzione volontaria di gravidanza, facciamo riferimento al fatto che per far nascere un bambino la conditio sine qua non è chiaramente che ci sia una donna che lo desidera o che accetti una gravidanza non ricercata. Tutto il resto è una gravidanza non voluta ed è questo che dobbiamo prevenire, se vogliamo ridurre il ricorso in ultima istanza all'interruzione volontaria di gravidanza. Faccio notare che per la prevenzione dell'interruzione volontaria di gravidanza c'è una prevenzione primaria, una secondaria e una terziaria. Quella primaria, di cui abbiamo parlato in questa sede quanto è venuto il ministro, consiste in condizioni di vita delle donne e delle famiglie che favoriscano il desiderio di maternità. In questo paese tali condizioni non ci sono, in particolar modo per le donne straniere che vengono in Italia e che non hanno condizioni abitative, di lavoro e relazionali tali da consentirgli di mettere al mondo i figli, che molte volte desiderano. Tali condizioni spesso le costringono a lasciare nel loro paese d'origine - penso a quella schiera di donne che vengono a fare le badanti - i figli, che hanno voluto e desiderato. Dobbiamo quindi affrontare questo aspetto, così come in generale le questioni riguardanti l'organizzazione del mercato del lavoro, la mancanza di servizi, il fatto che fino a 30 anni i giovani non sono autonomi economicamente e non possono pensare di farsi una famiglia e non possono pensare di farlo, perché hanno lavori così flessibili e precari da non consentire loro una programmazione lunga almeno i nove mesi della gravidanza, e via discorrendo. Esiste poi una prevenzione secondaria dell'interruzione volontaria della gravidanza, che è la contraccezione. Colgo l'occasione per salutare il dottor Laratta: lui non mi conosce, ma io ho cominciato a lavorare all'AIED giovanissima, nel 1970, dove mi si è aperto un mondo. In quel momento, in cui non c'era informazione contraccettiva e in cui interruzione di gravidanza costituiva reato - c'era solo quella clandestina - l'AIED si occupava di sostenere e aiutare le donne e sopratutto di informarle. Vorrei sapere quindi che cosa viene fatto dal punto di vista dell'informazione contraccettiva nel nostro paese. A me sembra che venga fatto sempre meno e che le giovani generazioni siano sempre meno informate. Penso, ad esempio, al numero dei consultori per gli adolescenti oppure a cosa viene fatto nelle scuole dal punto di vista dell'igiene della vita sessuale e dell'educazione contraccettiva; mi sembra che venga fatto molto, ma molto poco.

GIULIO CONTI. Perché non l'avete fatto voi quando stavate al Governo?

TIZIANA VALPIANA Noi, quando stavamo al Governo - non volevo ricordarlo, perché non mi piace mai parlare di me - abbiamo stanziato con la legge n. 34 del 1996, grazie a un mio emendamento, 200 miliardi per i consultori familiari, finalizzati specificatamente alla prevenzione dell'interruzione volontaria della gravidanza e al sostegno delle strutture che applicano le tecnologie appropriate per la nascita e per il dopo parto. Ebbene, non sappiamo assolutamente che fine abbiano fatto questi 200 miliardi; anzi, il ministro l'altro giorno ha ribadito che non sono stati utilizzati per i consultori, perché finiti in un fondo indistinto. Stiamo parlando dei miliardi che noi abbiamo stanziato e che voi avete indistintamente fatto svanire. Mi sembra che solo il ministro e solo la dottoressa Tarzia concepiscano come prevenzione dell'interruzione volontaria della gravidanza quella che io chiamo prevenzione terziaria, cioè il disincentivo e il conteggio con il pallottoliere di chi entra per richiedere il certificato di interruzione e di chi esce senza interruzione. Credo che questa non sia prevenzione dell'interruzione di gravidanza, ma sia solo molto spesso solo un coartare le coscienze e soprattutto un indurre la donna a fare una scelta diversa da quella che era costretta a fare. E nessuna donna al mondo abortisce volentieri o tranquillamente; posso dirlo, perché per anni ho accompagnato le donne ad abortire clandestinamente, quando in questo paese nessuno si era peritato di fare una legge su questo tema. Per tutte le donne l'aborto è un dramma e per tutte le donne dobbiamo fare un lavoro di prevenzione, ma di prevenzione vera. Ripeto, come ho detto l'altro giorno al ministro, che con i 1.140 milioni di euro stanziati nella legge finanziaria, per dare mille euro a ogni donna che ha partorito nel biennio 2005-2006, non raggiungiamo nessun altro obiettivo che lasciare le donne sole. Quando hanno un figlio, le donne hanno bisogno di non essere sole, di avere servizi, consultori, luoghi per incontrarsi e soprattutto di avere la possibilità di mantenere per un certo numero di anni il figlio che pensano di far nascere: mille euro una tantum forse sono un po' troppo pochi.
Pertanto, vorrei capire quale tipo di servizi vengono pensati a lunga distanza. Prima parlavamo dell'emendamento 1.18 che avevamo presentato nell'ambito della legge finanziaria e che prevedeva un aiuto mensile almeno per sei anni e un sostegno reale alle donne, ma è stato bocciato dalla Commissione bilancio.
Vorrei porre una domanda rispetto alla questione dell'obiezione di coscienza nei consultori familiari e negli ospedali pubblici, in particolare perché provengo da una regione come il Veneto, in cui la stragrande maggioranza dei medici e del personale medico è obiettore di coscienza. Ci ritroviamo quindi in una situazione in cui le donne devono migrare dalla regione, per praticare l'interruzione di gravidanze; ci ritroviamo con medici esterni, pagati a gettone, che vengono un giorno alla settimana e che non possono compiere quell'importante lavoro dato dalla continuità dell'assistenza.
Questa legge ha funzionato - lo dicono i numeri - perché la donna che si è accostata ai servizi pubblici per l'interruzione di gravidanza è entrata in un circolo virtuoso in cui ha ricevuto un servizio, la contraccezione, ha avuto la conoscenza e la possibilità di non aver più gravidanze indesiderate. È chiaro che il medico che viene una volta la settimana, pagato a gettone, che pratica l'interruzione di gravidanza e se ne va, non ha nessuna relazione con i consultori del territorio, non può rinviarvi la donna, non la rivedrà mai più e non la incontra: è quindi un servizio a perdere.
Rispetto l'obiezione di coscienza del singolo, però mi sia consentita una battuta finale: io sono vegetariana, ma non ho mai pensato di andare a lavorare in una macelleria per dare dell'assassino a chi viene a comprare le bistecche! Penso che ognuno dovrebbe scegliere un lavoro che sia consono con i suoi ideali e le sue scelte ideologiche. L'obiezione di coscienza del singolo, che può essere rispettata, non può essere obiezione di coscienza del servizio: non può esistere un servizio in cui nessun operatore è disponibile ad attuare una legge dello Stato, che è in vigore e che lo Stato deve garantire.
Un'ultima domanda che vorrei porre è la seguente: come si può fare in modo che tutte le strutture garantiscano il servizio?. Poiché abbiamo verificato, anche in base ai dati dell'Istituto superiore di sanità, che le modalità parziali, i pochi finanziamenti e i pochi centri in cui viene praticata l'interruzione volontaria di gravidanza nel nostro paese favoriscono l'aborto clandestino, escluso totalmente da questa indagine conoscitiva - alla quale interessa solo contrastare una legge e non un fenomeno! -, vorrei sapere cosa fanno i consultori cattolici per la prevenzione di questo fenomeno.

CARLA CASTELLANI. Anch'io ringrazio tutti gli intervenuti per le notizie che ci hanno riferito. Mi permetto però di dire alla collega Cossutta, della quale spesso apprezzo la veemenza degli interventi, che non rappresenta tutto il mondo femminile italiano.

MAURA COSSUTTA. Mai detto!

CARLA CASTELLANI. Da come si muove, da come si comporta e da quello che dice, sembra che sia così. Tutta una grossa fetta di mondo, non solo cattolico, ma anche laico - e lo ha ampiamente dimostrato il risultato del referendum sulla legge n. 40 - sta riscoprendo alcuni valori, che sono fondamentali per il cattolico, ma nei quali si può riconoscere anche il laico.
L'onorevole Labate ha fatto riferimento alla relazione del ministro Storace, ma ne ha valutato solo la parte finale, nella quale il ministro ringraziava gli istituti centrali e periferici per l'elaborazione dei dati. Devo ritenere, però, che non l'abbia letta completamente, perché è sulla base delle dichiarazioni del ministro che nasce l'idea dell'indagine conoscitiva.
Nella sua relazione il ministro afferma: «La costante diminuzione del ricorso all'IVG tra le donne italiane non è omogenea, come è stato ampiamente evidenziato nelle relazioni precedenti, per le diverse classi di età e per i diversi livelli di stato civile, istruzione, ed occupazione. Si ritiene pertanto possibile ottenere ulteriori riduzioni del ricorso all'IVG attraverso la realizzazione di programmi volti alla promozione di consapevolezze e competenze verso la procreazione responsabile, secondo quanto raccomandato nel progetto obiettivo materno infantile».
L'indagine conoscitiva parte da queste dichiarazioni, che ammettono la riduzione, negli anni, del numero dei ricorsi alle interruzioni volontarie di gravidanza, e parte anche da quanto prevede la legge n. 194. L'articolo 1 recita: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». L'articolo 2 stabilisce: «I consultori familiari (...) assistono la donna in stato di gravidanza: a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti sul territorio; b) informandola sulle modalità idonee ad ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante; c) attuando direttamente o proponendo all'ente locale competente e alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a) (...)».
Sostanzialmente, lo scopo di questa indagine conoscitiva è capire se quanto previsto dalla legge viene effettivamente attuato. Inoltre, considerando che una contrazione delle IVG negli anni c'è stata, l'indagine si propone di capire, laddove tale contrazione è avvenuta in maniera più incisiva, come si sono mossi i consultori, se hanno fatto prevenzione, educazione sessuale, e via dicendo. Questo vogliamo capire, perché se questa è la strada da perseguire, per incentivare una continua e costante diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza, allora dobbiamo attivare le iniziative opportune. Certo, si tratterà di rivedere la legge sui consultori e di stabilire dei percorsi adeguati, investendo risorse economiche per sostenere la famiglia. Su questo sono pienamente d'accordo, ma dobbiamo scoprire quali sono i percorsi che dobbiamo attivare.
Signor presidente, ho ringraziato tutti, ma mi consenta di ringraziare in maniera particolare la dottoressa Paola Biraghi, il cui intervento è stato quello che, probabilmente anche stimolato dalla sua domanda, ha centrato meglio le nostre prospettive in merito all'indagine conoscitiva.
Qui non c'è alcuna preclusione ideologica da parte di nessuno. È più che evidente - approfitto per ringraziare anche la dottoressa Olimpia Tarzia - che ci sono approcci diversi e noi ne siamo perfettamente consapevoli. Tuttavia, sappiamo che questa ormai è una legge dello Stato, e come tale va applicata e rispettata. Essa, a mio avviso, ha infatti risolto la piaga dell'aborto clandestino e ha permesso alle donne di procedere a questo tipo di intervento in condizioni di tutela e di sicurezza.
Però, al di là di questo, siccome la vita umana è per tanti un valore vediamo se è possibile aiutare le donne e le coppie a scegliere liberamente se abortire oppure no.
Se permettete, questo è un sacrosanto diritto-dovere del Parlamento!

MARIA BURANI PROCACCINI. Mi scuso per essere arrivata tardi, ma ero impegnata in altri lavori parlamentari. Tuttavia, leggerò gli atti parlamentari e, soprattutto, eventuali documentazioni scritte che verranno consegnate dai soggetti auditi, perché queste costituiscono la parte più interessante, sulla quale rifletteremo con maggiore pacatezza e nel segreto delle nostre coscienze e dei nostri studi. Detto ciò, prima di porre le mie domande, mi piace premettere che la cultura della vita è quella in virtù della quale siamo in questa Commissione. Personalmente, almeno, sono qui perché credo nella cultura della vita, altrimenti non farei neppure il parlamentare, non dico la madre di famiglia, la nonna o la professionista nella materia di cui mi occupo. La cultura della vita è tutto.
Ciò premesso, sono una donna, non ho mai cambiato sesso, ma gradirei che non si parlasse sempre e comunque a nome delle donne. Le donne sono tante e hanno tante opinioni diverse. Non esistono le donne in generale, non esiste il movimento delle donne. Esistono diversi gruppi di donne, che hanno idee diverse tra loro. Io non mi sento di parlare a nome delle donne in generale, ma solo a nome di quelle donne che si riconoscono in me e che, infatti, mi hanno votato proprio per le mie idee. Non ardisco, dunque, di parlare delle altre donne.
Ho fatto questa premessa di natura politica, perché comunque - lo dico agli amici intervenuti all'audizione - qui dentro si fa politica, certe volte fin troppo.

LUIGI LARATTA, Presidente nazionale dell'AIED. Sembra quasi che siamo venuti noi ad ascoltare voi, e non il contrario!

MARIA BURANI PROCACCINI. Avete ragione, e di questo ci scusiamo, ma purtroppo è così.
Nella scorsa audizione, il dottor Grandolfo, dell'Istituto superiore di sanità, ha affermato - la cosa mi ha particolarmente colpito, per questo vi chiedo di darmi una risposta in merito - che i consultori funzionano benissimo su tutto il territorio italiano. A quel punto, ho sollevato dei dubbi, sostenendo che dalle mie parti si potrebbe dire che questo non avvenga, eppure non vivo nell'ultima regione d'Italia, né nell'ultimo angolo dell'ultima regione d'Italia.
La mia domanda, dunque, è la seguente: i consultori familiari istituiti con legge n. 405 del 1975, dei quali si parla nell'articolo 2 della legge n. 194, hanno veramente ottemperato alle motivazioni per le quali sono stati creati? In pratica, essi hanno assunto la posizione e il ruolo del vecchio ONMI (Opera nazionale maternità infanzia), come impostazione di presenza sul territorio, per avviare le donne e la famiglia alla maternità consapevole e dare loro la possibilità di affrontare la vita in maniera abbastanza serena. Tuttavia, va detto che i consultori, nell'idea del legislatore, dovevano essere qualcosa di molto di più, ossia un punto di riferimento per la famiglia, che vi poteva trovare risposte ai problemi di ordine socio-materiale e psico-sanitario.
Alla fine, si è visto - di questo si sono lamentati molti, ma a quanto pare per il dottor Grandolfo le cose stanno diversamente - che i consultori familiari, vuoi per mancanza di personale, vuoi per ristrettezze economiche, vuoi perché situati in posti fatiscenti, si riducevano a ben poco, in pratica a un posto nel quale si offriva un aiuto alla donna che portava i suoi problemi di gravidanza indesiderata. Certo, c'erano anche punte di eccellenza, rappresentate da consultori che potevano contare sulla presenza dello psicologo, del sociologo, dello psichiatra dell'età evolutiva, e così via.
Vi chiedo quindi se dalle vostre esperienze risulti quello che ha sostenuto il professor Grandolfo oppure se risulti quello che noi - specialmente noi che viviamo la provincia italiana - verifichiamo quotidianamente? Mi riferisco al fatto che il passaggio alla ASL è stato pessimo - su questo siamo tutti d'accordo - e che c'è uno svuotamento ideale dei consultori, che si sentono come delle scatole vuote.
Questa è la mia sensazione. Ritenete che sia fondata su una base reale? E cosa possiamo fare?

GIULIO CONTI. Vorrei fare qualche precisazione, prima di addentrarmi nel merito della questione, richiamando alla vostra attenzione l'audizione del ministro e il documento che egli ha presentato alle Camere. Mi pare che esso parli chiaro e risponda preliminarmente a tante domande che vengono formulate in questa sede: dalla contraccezione all'obiezione di coscienza, all'interruzione volontaria di gravidanza, al funzionamento e all'applicazione della legge, nonché ai risultati positivi che essa ha ottenuto e alla smentita che l'aborto possa rappresentare una forma di controllo delle nascite.
Il ministro si è soffermato su questi temi e non mi pare che ciò significhi schierarsi da una parte contro l'altra. Mi pare, piuttosto, che sia dovere di un ministro valutare perché mai le «abortiste» - e qui ce ne sono tante...

TIZIANA VALPIANA. Ma smettila!

GIULIO CONTI. Sì, di abortiste ce ne sono tante! Il ministro a un certo punto ha riferito che dalle statistiche è emerso che, dal 1978 ad oggi sono stati effettuati 4 milioni 500 mila aborti. Ora, quando il ministro della salute ha affermato che sarebbe auspicabile che l'Italia riuscisse ad abbassare questa media tragica, non credo che abbia insultato nessuno, tanto meno che abbia fatto un'affermazione contraria al dettato costituzionale e normativo! Questo dobbiamo dirlo, altrimenti non ci capiamo più.

LUANA ZANELLA. Ma non è una media!

GIULIO CONTI. Non pensate che questo sia il dovere di un ministro? Perché lo attaccate? È stato il primo che ha avuto il coraggio di dire queste cose. È stato anche il primo a sostenere l'opportunità di allargare il numero delle audizioni. Se neghiamo anche questo, significa che non partiamo più da una base comune, quella di interpretare e garantire i diritti costituzionali, sia di chi è a favore, sia di chi è contrario all'aborto. Personalmente sono contrario all'aborto...

DORINA BIANCHI. Tutti siamo tutti contrari all'aborto!

LUIGI LARATTA, Presidente nazionale AIED. Dovete mettervi in testa che tutti siamo contrari all'aborto!

GIULIO CONTI. Lei, a nome di chi parla, scusi? Qui ognuno parla se ha il diritto di farlo, altrimenti non parla! E noi abbiamo il diritto di farlo. Non mi interessa ascoltare comizi in questa sede, tanto più se vengono da qualcuno che non è nemmeno deputato!
Se siete in buona fede, dovete ascoltare le cose che condividete!
È giusto il discorso sulla contraccezione - siamo tutti d'accordo -, ma non credo che si possa parlare contemporaneamente di contraccezione ed essere favorevoli alla diffusione della pillola RU486. Le due posizioni sono in profonda contraddizione tra loro. O sbaglio? Questo è un discorso da chiarire, se vogliamo andare avanti seriamente. Se invece vogliamo fare una grande gazzarra, facciamola pure, ma non credo che il ministro abbia sbagliato a voler verificare gli effetti di questo farmaco non registrato in Italia, diversamente da altre nazioni.
Vorrei capire qual è l'obiezione che muovete a questo ragionamento e alla valutazione, che qualsiasi ministro della salute avrebbe fatto. Vi ricordo che la legge prevede che un farmaco, per entrare nella farmacopea italiana, deve essere riconosciuto dall'Istituto superiore di sanità e dallo Stato. Secondo voi, invece, è la regione che decide quali medicine si possono adottare e quali no. Non è così. Questa mattina, ad esempio, abbiamo votato contro la proposta della regione Toscana di prevedere un rito alternativo per la mutilazione degli organi genitali, attraverso una punturina sul clitoride. Tutti hanno votato contro, all'unanimità. Questa è la grande coerenza rispetto ai principi che si portano avanti, è una coerenza a giorni alterni!
L'onorevole Cossutta ha fatto riferimento alla conferenza di Pechino. Vorrei sapere però se l'onorevole Cossutta e i suoi colleghi di partito abbiano rilevato come in Cina il diritto alla vita sia tenuto poco in considerazione. Solo l'anno scorso in quel paese ci sono state 11 mila fucilazioni.

MAURA COSSUTTA. Ma si tratta della Conferenza internazionale dell'ONU e non della Cina!

GIULIO CONTI. Non serve arrabbiarsi. Alla Conferenza di Pechino nessuno di voi è andato a dire queste cose. Siete stati in Cina e avete accettato le leggi di quello Stato comunista, che ancora resiste. Inoltre, in Cina c'è la limitazione delle nascite, che prevede che una coppia possa avere un solo figlio. È vero o non è vero? Non potete negare l'evidenza!
È necessario essere coerenti, altrimenti non ci capiamo. Il diritto alla vita è una cosa seria, ma dev'esserlo qui e dappertutto. Non si può sostenere in questa sede una posizione, come partito, e all'estero sostenerne una diversa, opposta. Questo non è un atteggiamento serio!
Ora intendo rivolgere una domanda alle dottoresse, che hanno aderito al nostro invito di partecipare a questa audizione. In un certo senso esse hanno già risposto, ma insisto, perché ritengo che questo sia un argomento molto importante. La donna straniera abortisce quattro volte di più di quella italiana. Questi sono i temi sui quali confrontarsi e credo che questo sia l'unico discorso serio che un consultorio potrebbe fare, magari parlando a queste donne e convincendole a non abortire. La risposta può essere di ordine economico, ma può anche essere di altra natura. Se il discorso fosse così limitativo, potrei chiedere come mai, ad esempio, il consultorio di una certa regione, al quale la donna straniera si è rivolta, non ha fatto in modo che essa non abortisse. Se volessi fare un discorso politico spicciolo, come fanno coloro che sono alle mie spalle, dovrei porre anche questa domanda. Invece, dobbiamo dare una risposta seria a questo problema.
C'è poco da ridere, qui stiamo parlando di aborti e di un numero di straniere che abortiscono quattro volte di più rispetto alle italiane. Dal momento che questo dato vi è noto, perché non ne spiegate le ragioni? Forse dovreste aggiungere un ulteriore motivo rispetto a quelli che sono stati elencati: spesso la donna - l'ha detto l'onorevole Dorina Bianchi -, anche se non ha difficoltà economiche, sceglie di abortire, perché è faticoso avere un figlio.

DORINA BIANCHI. Non ho detto questo!

GIULIO CONTI. Lo dico io, allora. È un sacrificio fare un figlio, è un lavoro portarlo avanti, è un fastidio averne tre, piuttosto che uno solo! Purtroppo, è anche una questione di mentalità e di moda.

DORINA BIANCHI. Veramente il problema è che i figli sono della famiglia e non solo delle donne!

PRESIDENTE. Stiamo facendo una pessima figura con queste persone, che ci stanno ascoltando! Non possiamo fare colloqui, ciascuno aspetta il proprio turno per intervenire. Onorevole Conti, concluda.

GIULIO CONTI. Mi pare che questi argomenti dovrebbero essere trattati con maggiore serietà. Dobbiamo riconoscere che questa legge ha limitato il numero degli aborti praticati dalle «mammane». Sicuramente questo depone a favore della legge, ma non si riesce a capire quante volte le donne entrano nel consultorio per abortire, uscendone con un'idea completamente opposta. Faccio il medico di base e quindi posso dire che tutte entrano nel consultorio per abortire e alla fine tutte abortiscono. Quindi c'è qualche elemento che bisogna conoscere e al quale occorre dare una risposta.
La verità è che la struttura pubblica funziona solo in un senso, mentre la legge non prevede solo questo. La legge prevede il contrario, ossia prevede la limitazione del numero degli aborti. Dunque, voi operatori, che siete così bravi, che vi sacrificate e che svolgete un lavoro che definirei apostolico per la nostra società, dovete dirci perché nessuno cambia idea, decidendo di portare avanti la gravidanza.

ROSY BINDI. Signor presidente, innanzitutto le chiederei di rivolgere, a nome di tutti, le scuse più sentite ai nostri interlocutori per come ci siamo comportati.

PRESIDENTE. Mi ripromettevo di scusarmi alla fine della seduta.

ROSY BINDI. Innanzitutto vorrei che ci aiutaste a capire l'attività di prevenzione svolta dai consultori, perché credo che questo sia un dato difficilmente rilevabile dalle schede, dalle domande, dalle risposte e dagli schemi. In effetti, il motivo per il quale vi invitiamo a partecipare a queste audizioni, è la volontà di capire come avete interpretato questa funzione affidata ai consultori dalla legge. La seconda domanda vorrei rivolgerla alla dottoressa Tarzia, che sostanzialmente ha avanzato una proposta di revisione della legge n. 194...

OLIMPIA TARZIA, Vice presidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana. Ho parlato di riforma dei consultori.

ROSY BINDI. Questo significa automaticamente una modifica della legge n. 194, è inutile che ci prendiamo in giro! La mia domanda è di merito: non vi sembra una contraddizione quella di separare la fase dell'attività di prevenzione dalla fase di richiesta e certificazione dell'interruzione della gravidanza?
L'idea della legge n. 194 e del legislatore del 1978 è quella di rivolgersi ai consultori, proprio perché nei consultori l'attività di prevenzione è inglobata nella missione dell'istituzione. Chi vi parla è convinta che quella consultoriale sia stata la prima struttura di integrazione socio-sanitaria prevista nel nostro paese. Una struttura che oggi si è indebolita perché non ha finanziamenti, perché nessuno se ne è interessato, perché non sono state valorizzate alcune figure professionali, perché si è comunque indebolita l'integrazione socio-sanitaria, e in parte perché molte funzioni consultoriali sono state assorbite da altri servizi. Circostanza, questa, che non è da considerare totalmente negativa. Tuttavia, è chiaro che se una donna si rivolge al medico o direttamente al reparto ospedaliero, significa che ha deciso lei stessa di sanitarizzare il suo problema; se, però, una donna si rivolge al consultorio, lo fa sia perché lo trova sul territorio - non a caso le immigrate sono le donne che si rivolgono maggiormente a queste strutture -, sia perché, evidentemente, lei stessa non ha intenzione di sanitarizzare completamente la sua domanda. Dunque essa va a consultarsi, in qualche modo.
Se voi chiedete che la donna che va a «consultarsi» non sia quella che vuole in qualche modo certificare la richiesta di interruzione della gravidanza, automaticamente selezionate un tipo di utenza in senso negativo. Lo dico perché tutti siamo contro l'aborto, onorevole Conti, e le chiedo di non chiamare mai più «abortista» nessuno, nemmeno la mia amica Cossutta, altrimenti mi arrabbio sul serio! Questa è una contraddizione. Bisognerebbe chiedere, eventualmente, una modifica in senso contrario, ossia chiedere che sia obbligatorio il passaggio al consultorio e che questo sia fortificato. Se infatti si obbliga la donna a chiedere la certificazione non alla stessa persona che le prescrive l'antibiotico, bensì alla struttura consultoriale, in cui operano figure come lo psicologo, l'assistente sociale e dove c'è la possibilità di entrare in contatto con associazioni che la possono aiutare, forse c'è qualche possibilità in più che la donna stessa venga indotta a compiere una scelta a favore della gravidanza, anziché della sua interruzione.
Mi pare che alcune posizioni suonino come il tentativo di mettersi la coscienza a posto. In questo modo, però, si salva la coscienza degli operatori, magari dei consultori cattolici, ma non si aiuta la donna.
In tutte le relazioni predisposte dai ministri, in tutti questi anni, è sempre stato indicato come un dato negativo il fatto che solo un terzo delle donne si rivolgano ai consultori. Eventualmente, dunque, dovremmo chiederci tutti come si fa a potenziare queste strutture e a far sì che una donna, anziché rivolgersi al medico di famiglia o al reparto di ostetricia e ginecologia, passi per il consultorio. Personalmente sono convinta che questa indagine conoscitiva non si concluderà il 31 gennaio, ma andrà avanti; dunque lavoriamo seriamente e facciamolo nel rispetto della vita delle donne, dei bambini e di tutti quanti. Dobbiamo cercare di capire quali sono le metodologie migliori, perché la separazione, secondo me, non aiuterebbe.

RICCARDO TAMBURRO. Ringrazio gli intervenuti, che hanno fin qui mostrato di avere pazienza. Nel momento in cui questa Commissione ha deciso di svolgere un'indagine conoscitiva, lo ha fatto per capire meglio il fenomeno del quale ci stiamo occupando e per conoscere quali meccanismi sono alla base del buon funzionamento o del parziale funzionamento della legge n. 194.
Uno dei motivi che ci ha spinto a procedere a un'indagine di questo tipo è la consapevolezza che non si hanno tutte le informazioni relative a questo fenomeno. Del resto, questo aspetto è stato testimoniato anche dal ministro Storace, che nella sua audizione ci ha chiarito come, per quanto riguarda la parte sanitaria - ossia il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza praticate negli ospedali -, abbiamo il 100 per cento delle informazioni, ma quando ci spostiamo sul versante delle attività svolte dal consultorio abbiamo dati molto parziali. Il ministro, infatti, ha riferito che solo due regioni su venti inviano regolarmente queste informazioni al ministero.
È previsto un flusso informativo, ma questo non viene messo in pratica, per ragioni che vorremmo scoprire. Vengo dunque alle domande. Il ministro proponeva alle regioni di adottare un diverso flusso informativo; ebbene, ma voi ritenete che la mancanza di informazioni sia dovuta alla tipologia del flusso informativo? Insomma, quello attuale è inadeguato o troppo complicato? Quali sono le ragioni che impediscono, oggi, il flusso di informazioni dai consultori verso il ministero?

CARLA CASTELLANI. In tema di prevenzione.

RICCARDO TAMBURRO. Chiaramente. In una delle audizioni che hanno preceduto quella odierna, ci è stato illustrato dall'ISTAT un grafico - ve lo mostro - che testimonia il tasso di abortività volontaria, ogni mille donne, nel tempo. Abbiamo visto che c'è un momento in cui, a valle dell'approvazione della legge, c'è una discesa seguita da una stabilizzazione.
Questa stabilizzazione testimonia il fatto che la legge, le strutture e l'organizzazione sembra non riescano ad arrivare oltre un certo limite di attività. Si ferma ad un valore pari a circa 10. Parliamo di una rilevazione costante, anno per anno, dal 1980 fino al 2004. Voi ritenete che la legge n. 194 sia applicata in tutte le sue parti, e quindi non si possa andare al di sotto di questo valore, oppure questo valore limite è dovuto a qualcos'altro? Se ci aiutate a capire di che si tratta, forse possiamo intervenire.

LUANA ZANELLA. Parto dalla considerazione che l'utilità di un'indagine conoscitiva come questa potrebbe essere quella di fornirci delle informazioni, anche in termini generali, ma precise da un punto di vista che cercherò di illustrare. Attraverso le vostre informazioni potremmo, ad esempio, conoscere a livello nazionale la capacità, che hanno i consultori, di fornire un servizio di ascolto e di informazione - attraverso uno sportello specifico - per le giovani donne e i giovani uomini. Esiste e come è spalmato sul territorio questo servizio, che io ritengo fondamentale per le giovani donne e, ripeto, anche per i giovani uomini? Nel rapporto procreativo infatti si è sempre in due. Considerato che la legge n. 40, come sappiamo, pone dei limiti anche alla possibilità della procreazione artificiale, bisogna essere in due nella gran parte dei casi.
Se le giovani donne spesso sono poco informate, i giovani uomini, da questo punto di vista, sono un disastro. Sono madre di due figli maschi e vedo che sono abbastanza carenti dal punto di vista dell'informazione. Se la prevenzione vuole significare anche informare, formare ed educare, credo che nei consultori dovrebbe essere previsto uno sportello per l'informazione; oltre all'attività informativa, che mi sembra si svolga più o meno ovunque nelle scuole. Sappiamo, però, che si tratta di eventi piuttosto rari, che dunque non possono riguardare tutta la popolazione giovanile esistente.
Per quanto riguarda le donne immigrate - ritengo che queste ultime siano a rischio maggiore di aborto, così come le giovani donne - vorrei sapere quali sono, in quali città si svolgono e come sono spalmati i servizi specifici, attraverso la mediazione e l'attività sul territorio, rivolti alle immigrate, e segnatamente alle immigrate più a rischio, cioè le prostitute. Forse non dovremmo limitarci alle prostitute ma considerare anche le assistenti domiciliari; tuttavia le prime sono quelle che meno si rivolgono ai servizi, a meno che non esista sul territorio un servizio specifico, in grado di creare il trait d'union tra la strada - chiamiamola così - e il servizio stesso.

PRESIDENTE. Desidero innanzitutto scusarmi, come diceva l'onorevole Bindi, per le piccole intemperanze politiche alle quali abbiamo assistito: succede, ma in questa Commissione forse succede troppo spesso. Ascoltando gli interventi - sia quelli odierni, sia quelli dei giorni scorsi - mi sembra che le notizie riferite dagli auditi stimolino tutti noi parlamentari a cercare di chiarire le idee e a porre domande. Non v'è dubbio, pertanto, che siamo tutti interessati a quello che ci viene detto.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

OLIMPIA TARZIA, Vice presidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana. Cercherò di rispondere brevemente alle domande e alle richieste di approfondimento che sono state avanzate. Parto dall'onorevole Cossutta, alla quale vorrei dire, avendo una certa esperienza istituzionale di audizioni, che normalmente in audizione si ascoltano gli auditi, perché non è certamente questo il luogo per riproporre il dibattito che si svolge in aula o in altra sede. Credo che questo sia importante, altrimenti rischiamo di rovesciare l'ottica.
L'audizione ha senso perché si invitano i rappresentanti della società civile o di categoria in un'ottica di sussidiarietà, dal momento che l'obiettivo di questa indagine è capire come funziona la legge n. 194 e cosa possono fare le istituzioni, insieme alla società civile.
Detto ciò, sono pienamente d'accordo sul fatto che oggi esista ancora una maternità - ed una paternità - negata, nel senso che la tutela sociale della maternità è ancora lontana. Sono convinta che siamo soltanto ai primi passi di una politica familiare reale e questa strada bisogna percorrerla con molta velocità. Ciò premesso, mi sembra che ci sia una sorta di iperattività: ogni volta che si affrontano i temi della tutela della maternità e del diritto alla vita, si parla di attacco alla legge n. 194. Vorrei che sgombrassimo il campo da questo approccio.
Ovviamente, ognuno di noi ha opinioni chiare, e a nessuno è richiesto di modificarle perché esse sono il frutto di un vissuto e di una esperienza a volte di decenni. Qui, però, non è in discussione la bontà o meno della legge n. 194 - in quel caso, avremmo affrontato il discorso in maniera totalmente diversa -, ma si tenta di capire quali parti della stessa ci risultano disattese e su quali quindi è necessario intervenire.Ribadisco che la legge n. 194 non sancisce un diritto all'aborto, mentre un diritto alla vita esiste, e sono convinta che non è appannaggio delle donne. È evidente che la cultura della vita la donna la vive in maniera particolare - sono madre di tre figli -, ma credo che debba essere responsabilizzato anche il padre, che la legge n. 194 tiene fuori totalmente. Non credo a una donna che per tutelare il diritto alla vita sia pronta a calpestare il diritto dei più deboli, per primo del proprio figlio.
L'onorevole Labate mi ha rivolto una domanda sulle cause economiche. Per quello che riguarda le associazioni, in caso di una maternità difficile per cause di natura economica, ci si muove sul territorio andando a interpellare le istituzioni (il comune e l'assistente sociale). Questa rete di protezione viene messa in atto, perché la realtà delle associazioni opera sul territorio. È dal consultorio pubblico, invece, che non arrivano le richieste di aiuto, che magari potrebbero essere perlomeno integrate dall'azione delle associazioni sul territorio. Insomma, non c'è reciprocità.
Per quanto riguarda la presenza di volontari, vorrei chiarire che nessuna associazione di volontariato ha chiesto di stare dentro i consultori. Non è questo l'obiettivo, ma quello di creare una rete reale di dialogo, di collaborazione vera, di applicazione della parte preventiva della legge n. 194.
Onorevole Bianchi, lei ha affermato di non condividere il fatto che la prima causa della richiesta di interruzione di gravidanza sia di natura economica. Si può essere d'accordo o meno, ma questo è un dato statistico. Cito un esempio, che nasce dai consultori privati, in particolare dalla consulta dei consultori di Roma: da un'indagine svolta alcuni anni fa, emergeva che la prima causa era di natura economica. Delle donne che si rivolgono alle nostre associazioni per chiedere diabortire - parliamo di decine di migliaia di casi negli anni -, oltre il 41 per cento manifesta un motivo di natura economica. Si tratta dunque di un dato reale: magari possiamo individuare soluzioni diverse, ma si tratta di una valutazione oggettiva e non personale.
Quanto alla domanda sul numero delle donne che abbandonano l'idea di abortire e decidono di portare avanti la gravidanza, credo che si tratti di una questione fondamentale e sicuramente una delle cose che chiediamo all'indagine conoscitiva è di conoscere qual è stata l'azione dei consultori che ha permesso un superamento delle cause ostative al portare avanti la gravidanza.
L'80 per cento delle donne che si rivolgono alle associazioni - che siano i consultori di ispirazione cristiana o altre associazioni che operano a favore della maternità sul territorio - e che hanno già il certificato di aborto in mano, di fronte all'ascolto, all'accoglienza e alla possibilità di essere tirate fuori da una situazione di solitudine e di abbandono, di fronte insomma a una solidarietà concreta (anche attraverso aiuti economici), strappa il certificato. Questo sarebbe coartare le coscienze - ho preso nota, onorevole Valpiana - a fare una scelta diversa da quella che la donna era costretta a fare? Vede che si contraddice anche lei?
Il problema è che oggi non possiamo accettare che ci siano donne che dicano di essere costrette ad abortire, perché la società non è in grado di rispondere con la tutela sociale della maternità. L'onorevole Valpiana parlava di prevenzione dell'IVG, soffermandosi sul diritto della donna che desidera fare un'IVG, di fronte a una gravidanza non voluta. Credo che la legge n. 194 debba essere riletta, perché il dettato della legge non dice questo, bensì pone delle condizioni ben precise, cui accennavo all'inizio. Dove c'è un conflitto, prevale il diritto della donna: prevale, ma non nega il diritto alla vita del figlio. Allora attenzione, perché questa è una deformazione nei fatti.
Per questo è importante ritornare al dettato della legge n. 194, senza interpretazioni di sorta. Sia chiaro, non ho mai incontrato una donna che affronta un aborto come se fosse una passeggiata. Mai! Questo non vuol dire, però, che debba essere attribuita alle donne una volontà di vita e di morte sui propri figli.
L'onorevole Bindi, infine, poneva dei dubbi sull'opportunità di separare i due momenti. È chiaro che si tratta di una riflessione impegnativa. Siamo arrivati a questo punto, perché la legge n. 405 ha 30 anni così come la legge n. 194 ne ha 27. Inviterei tutti ad andare al di là delle proprie posizioni, per fermarsi a riflettere. La legge n. 405 è nata certamente in condizioni diverse da quelle attuali e la legge n. 194 è nata, peraltro, in via sperimentale. Qual è, nei fatti, l'applicazione della legge n. 194? Lo ripeto, non stiamo entrando nel merito del giudizio sulla legge, che è diverso per ciascuno di noi, ma stiamo parlando dell'applicazione della parte che riguarda la prevenzione.
Il Ministero della salute ci ha sempre fornito i numeri riguardanti gli aborti effettuati in questi anni, ma non i dati - ed è quello che si chiede - riferibili all'applicazione della parte preventiva. Mi riferisco al numero delle mamme che sono state aiutate, dopo l'intervento consultoriale, a portare avanti la gravidanza, al dato riguardante le convenzioni che si sono attivate e via dicendo.
Per quanto riguarda la decisione di separare i due momenti, il consultorio deve recuperare il suo ruolo di aiuto alla famiglia; del resto, dobbiamo ricordarci che si chiama consultorio familiare e non consultorio femminile. In questo senso, esso ha la possibilità di applicare totalmente la parte relativa alla prevenzione, per esempio sul modello dell'esperienza di un associazionismo che in Italia è molto presente e che ha dato risultati importanti. Da questo punto di vista, ha ragione d'essere la separazione, proprio per restituire ai consultori quel ruolo di primario impegno nell'aiuto alla famiglia, alla donna e alla vita.

PAOLA BIRAGHI, Membro del Comitato direttivo dell'UICEMP. L'idea della separazione non mi trova tanto d'accordo, mentre condivido l'idea che sarebbe giusto avere il maggior raccordo possibile con le altre istituzioni (nel caso nostro, questo già avviene). Purtroppo, è facile citare dei numeri, quando questi si riferiscono ai dati sugli aborti; è difficile, invece, quando si parla di qualità. Se la dottoressa ha conosciuto donne che hanno strappato il certificato per l'interruzione di gravidanza, significa che esse non avevano ricevuto un aiuto preventivo: in altre parole, nel momento in cui è stato rilasciato il certificato di gravidanza, evidentemente non hanno ricevuto una consulenza professionale. Naturalmente, ci fa piacere che una donna trovi le condizioni per non abortire.
I dati sull'andamento delle interruzioni di gravidanza andrebbero incrociati, a mio avviso, con altri dati e con altri avvenimenti: penso, ad esempio, al passaggio dei consultori dai comuni alle ASL e ai numeri che riguardano le donne immigrate. Sappiamo infatti che gli aborti praticati dalle donne straniere rappresentano una grossa fascia delle interruzioni di gravidanza. In certe realtà, ad esempio a Milano, si registrano tentativi di mediazione presso gli ospedali, ma sicuramente è un discorso difficile, considerando anche la differenza culturale.
Francamente mi aspetterei che ci fosse meno demagogia in questa Commissione, perché il problema vero è quello di aiutare le donne a non abortire. A mio avviso, bisogna puntare sulla prevenzione, potenziando l'informazione nelle scuole e nei consultori sul territorio, ma anche usufruire dei servizi esistenti.

LAURA OLIMPI, Membro esecutivo nazionale dell'AIED. In primo luogo, devo sottolineare che, quando si opera tutti i giorni nel campo della prevenzione delle interruzioni di gravidanza, ci si trova davanti a donne in carne e ossa, ma alla fine mi sembra che si trasformino in numeri e che vi siano prese di posizione ideologiche. Francamente è un po' penoso sentirvi parlare in questo modo.
Ricordo che ho consegnato un documento, che contiene, tra le altre risposte, in particolare quella alla domanda: cosa fate per garantire l'autonomia della persona? Ho citato la carta di Firenze, che rappresenta un punto fermo recente, sul quale deve basarsi la relazione tra l'operatore sanitario e il paziente.
Non può esserci un intervento giudicante, né una presa di posizione ideologica. Posso assicurare che, di fronte alla donna che si rivolge a noi per rappresentare il proprio problema, dimentichiamo la nostra posizione - è evidente che ognuno di noi ne ha una - e ci poniamo vergini rispetto al problema stesso.
Quando si parla di numeri di donne che, dopo la consulenza, hanno rinunciato all'aborto, posso dire che curo i bambini di alcune donne che si erano presentate all'AIED per interrompere la gravidanza. Tuttavia, quello che è importante, a mio avviso, è che la donna possa compiere liberamente la propria scelta, che possa rappresentare quella meno dannosa per lei, e che abbia un percorso per il futuro che non sia troppo penalizzante e le consenta di evitare le recidive.
Qualcuno ha rilevato che, dopo una fase di calo del numero degli aborti, assistiamo a una sorta di stabilizzazione del dato. Non bisogna trascurare, al riguardo, il discorso relativo all'aumento delle donne straniere che ricorrono alle interruzioni di gravidanza.
L'obiezione di coscienza va garantita, ma sicuramente le strutture dovrebbero garantire anche la presenza di medici non obiettori. Insomma, il singolo è libero di obiettare, ma non la struttura.
I servizi per gli extracomunitari sono effettuati a macchia di leopardo. Alcune realtà locali hanno risorse, altre no. In fondo, la devolution l'avete fatta voi!

LUIGI CERSOSIMO, Presidente nazionale dell'A.GI.CO. Per quanto riguarda la funzionalità del consultorio, nel lontano 1997 abbiamo pubblicato delle linee guida, in una conferenza di consenso che si è svolta a Pisa, e le abbiamo inviate a tutte le autorità politiche e istituzionali interessate. Possiamo inviarne una copia alla Commissione, unitamente ad altra documentazione in nostro possesso. In particolare, mi riferisco ai risultati emersi dal simposio A.GI.CO. del 2005, che si è svolto nell'ambito del congresso della SIGO. In quell'occasione, abbiamo messo a confronto le varie istituzioni europee simili e sembra che l'istituzione italiana sia la migliore di tutte, seguita dalla Finlandia. L'Italia, dunque, dal punto del family planning è quasi al primo posto. I consultori, dunque, funzionano, come ha sostenuto nella scorsa audizione il dottor Grandolfo. Certamente però devono essere migliorati. Hanno bisogno di determinati aggiustamenti; occorre un potenziamento, una distribuzione omogenea, l'accorpamento di alcune strutture - che a volte rappresentano solo una fonte di spesa sanitaria - e una razionalizzazione della spesa dei consultori per quanto riguarda gli operatori.
A mio parere, il consultorio deve avere come suo punto di riferimento prima di tutto la parte medica. Peraltro, il ginecologo inserito nelle strutture consultoriali ha una preparazione diversa da quella del ginecologo ospedaliero e ambulatoriale, essendo specializzato in problemi di tipo sociale e psicologico, grazie all'attività di A.GI.CO. in questi venti anni.
Riteniamo, sulla base della nostra esperienza, che se il consultorio familiare fosse privo della parte sanitaria sarebbe un presidio inutilizzato. Nessuno si rivolge ai consultori negli orari in cui manca il medico. Se si vanno a visitare le strutture consultoriali quando non c'è il medico, non si trova nessun utente.
Infine, è stato chiesto se riteniamo necessaria la presenza di un'eventuale associazione di volontariato all'interno dei consultori. Personalmente ritengo che non lo sia, mentre considero opportuno che i consultori si attivino per avviare attività di collaborazione con associazioni per la tutela della maternità, per cercare di evitare l'aborto.

UGO BRASIELLO, Vice presidente nazionale dell'A.GI.CO. Chiudo con una risposta di tipo trasversale. Abbiamo sentito parlare di prevenzione dell'aborto. Credo che dobbiamo imparare a distinguere la prevenzione dalla dissuasione. La prevenzione dell'aborto è solo una, e consiste nell'educazione sanitaria, nell'informazione e nella contraccezione. Da questo punto di vista, credo che i consultori abbiano svolto il ruolo predominante in tutta l'area sanitaria del nostro paese.

PRESIDENTE. Vi ringrazio. Anche oggi abbiamo ascoltato argomentazioni molto interessanti. Di certo, c'è molto lavoro da fare. A mio avviso, le strutture possono essere migliorate, senza che ci si schieri da una parte o dall'altra. In questo caso, evidentemente, si è dalla parte dell'assistenza alla donna, alla famiglia e ai figli. È ovvio che faremo tesoro dei suggerimenti e della documentazione consegnata, che cercheremo di sfruttare al meglio e per i quali vi ringraziamo.
Dichiaro conclusa l'audizione. La seduta termina alle 16,30.


COMMISSIONE XII
 AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA

Seduta di mercoledì 21 dicembre 2005

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,20.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Ricordo che, ai sensi dell'articolo 65, comma 2, del regolamento, la pubblicità dei lavori della seduta è assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. Ne dispongo pertanto l'attivazione.
(Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato per la giustizia, onorevole Santelli.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione del sottosegretario di Stato per la giustizia, onorevole Santelli.
Penso che il Ministero della giustizia sia interessato a questo argomento, con particolare riferimento all'applicazione della legge nei riguardi dei minori. In diverse occasioni è stato, infatti, fatto riferimento anche in questa sede al cosiddetto aborto clandestino.
Do ora la parola al sottosegretario di Stato per la giustizia, onorevole Jole Santelli.

JOLE SANTELLI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Ringraziandovi anticipatamente dell'attenzione accordatami, spero di non essere eccessivamente prolissa. Per quanto riguarda il ruolo del Ministero della giustizia, è noto che quest'ultimo predispone una relazione annuale, che viene inviata al Parlamento, e nella quale vengono riportati i dati in nostro possesso.
Relativamente all'anno in corso, i questionari sono stati inviati all'inizio di dicembre; immaginiamo quindi che le risposte possano ritornare entro la metà di febbraio. Pertanto, non potrò che riferirmi ai dati di cui già siete a conoscenza, cercando di compararli con quelli relativi all'anno precedente.
Per quanto riguarda gli aspetti di competenza del Ministero della giustizia, le rilevazioni del fenomeno si appuntano, da un lato, sui dati relativi alla repressione delle violazioni e, dall'altro, sulla richiesta di autorizzazioni rivolte al giudice tutelare e provenienti da minori o da soggetti interdetti.
Il monitoraggio interessa complessivamente 1.230 uffici giudiziari. Dall'esame dei dati acquisiti dagli uffici giudiziari e relativi agli ultimi cinque anni in particolare, il fenomeno, dal punto di vista penale, ha avuto un andamento pressoché costante. Considerando il periodo degli ultimi dieci anni, dal punto di vista della distribuzione geografica, occorre dire che mentre per i procedimenti l'area più interessata è da sempre il Nord d'Italia, per quanto riguarda invece le persone coinvolte, queste sono, generalmente provenienti dal Sud d'Italia.
Quanto al tipo di reato contestato, sempre nel periodo dal 1995 al 2004, le persone tendono a violare le disposizioni di cui agli articoli 17, 18 e 19 della legge n. 194 sostanzialmente in eguale misura. Negli ultimi dieci anni, peraltro, rilevante è la quota di persone - il 30 per cento - che commette reati connessi a quelli stabiliti dalla legge.
Una prima rilevazione di qualche interesse, in ordine al fenomeno dal punto di vista della giurisdizione penale, attiene alla constatazione della mancata tendenza alla professionalizzazione dell'aborto, ossia della mancata, o comunque bassa, tendenza delle persone coinvolte ad associarsi, eseguendo l'aborto in modo organizzato presso strutture pubbliche o private. Si deve tuttavia sottolineare che in alcuni anni (sostanzialmente negli anni 1997, 1999 e 2001), con particolare riferimento all'interruzione di gravidanza operata senza osservare le disposizioni di legge sull'aborto clandestino, l'autorità giudiziaria ha individuato alcune associazioni di consistenti dimensioni.
Un altro punto di interesse emerso negli ultimi due anni - questo per la ragione che soltanto per gli ultimi due anni è stata inserita una specifica voce nel questionario relativo alle procure - è rappresentato dall'incidenza degli stranieri sul totale delle persone coinvolte (sebbene dal 2003 al 2004 si sia registrata una lieve diminuzione).
Con particolare riferimento ai delitti dolosi - articoli 18 e 19 della legge -, l'incidenza degli stranieri risulta essere stata mediamente superiore al 50 per cento, denotando, quindi, una maggiore propensione da parte degli stranieri rispetto agli italiani.
Un altro dato acquisito è quello relativo ai procedimenti definiti dagli uffici giudicanti con provvedimento definitivo. Negli ultimi dieci anni, la percentuale relativa alle persone destinatarie di decreto di archiviazione è altissima: in media, si tratta di circa il 60 per cento, percentuale dovuta verosimilmente, da un lato, all'infondatezza di molte notizie di reato e alla fisiologica difficoltà di ricercare elementi di imputazione durante le indagini preliminari; dall'altro, alla lentezza stessa dei processi presso gli uffici giudicanti, con conseguente aumento dei soggetti in attesa di giudizio. Sempre con riferimento ai dati provenienti dagli uffici giudicanti, il numero di persone coinvolte nei procedimenti trattati che esercitano la professione di medico e paramedico è tendenzialmente decrescente - dal 44 per cento nel 1996, al 25 per cento nel 2004 -, mentre aumenta il numero di persone che esercitano altre professioni.
Vorrei sottolineare che, a differenza degli anni passati, l'informazione non viene più richiesta alle procure; questo per evitare di attendere tempi più lunghi bensì direttamente agli uffici giudicanti.
In ambito penale non sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale, né sono state sollevate difficoltà interpretative o applicative della legge.
Vorrei ora a riferire alcune informazioni (o note) che provengono direttamente dagli uffici giudiziari. Secondo alcuni, una parte degli stranieri coinvolti non è a conoscenza dei meccanismi amministrativi, sanitari e penali della legge. Si propone quindi di adeguare i consultori pubblici istituiti con legge in relazione al loro bacino di utenza, che risulta modificato a seguito del crescente fenomeno dell'immigrazione; questo al fine di evitare il verificarsi di carenze informative.
Si rileva, inoltre, che un'altra parte di stranieri non osserva intenzionalmente le previsioni della legge, operando in ambienti criminali ed in particolare nell'ambiente della prostituzione. In tal modo essa istiga e favorisce l'aborto clandestino.
Da parte di alcuni procuratori, si è fatto notare come nell'ambito del territorio di propria competenza, grazie all'introduzione della legge, l'aborto clandestino si sia verosimilmente ridotto; da parte di altri, si è invece rilevato che gli aborti rimangano nascosti, anche perché la forza di pubblica sicurezza è massicciamente impegnata, soprattutto al Sud, su altri fronti investigativi.
Passando, invece, all'esame del secondo gruppo di dati oggetto del monitoraggio da parte del Ministero della giustizia, riguardante la verifica del numero di richieste di autorizzazioni del giudice tutelare da parte di soggetti minorenni, i quali non hanno potuto ottenere, per vari motivi, l'assenso delle persone che esercitano la potestà o la tutela di persone interdette, nonché l'esame di alcune variabili utili al monitoraggio del fenomeno, soprattutto per identificarne le cause - quali, l'età dei richiedenti, il luogo di nascita, i motivi di mancata consultazione degli esercenti la potestà, nonché le motivazioni addotte dalle minorenni per l'interruzione della gravidanza -, se non risultano richieste da parte di donne interdette, può dirsi che il fenomeno è senz'altro consistente per le minorenni (mediamente 1.330 ogni anno). L'area maggiormente interessata è sempre quella del Nord d'Italia. Circa il 50 per cento sono diciassettenni, mentre le percentuali di richieste decrescono con il diminuire dell'età.
Negli ultimi tre anni, peraltro, l'età media delle minorenni sta leggermente diminuendo: nel 2004 era infatti di 16 anni e 9 mesi circa.
Un profilo d'interesse delle rilevazioni effettuate al riguardo è quello relativo alle motivazioni addotte dalle minorenni nel richiedere l'interruzione di gravidanza. Il motivo preponderante è quello psicologico, seguito da quello economico, a fronte di una marginale frequenza dei motivi di salute. Sebbene le prime motivazioni siano addotte congiuntamente, nella maggior parte dei casi quella psicologica risulta avere un maggior peso nella decisione.
Per quanto riguarda le minorenni nate all'estero, oltre ai casi nei quali mancano i punti di riferimento, ve ne sono altri in cui la minorenne preferisce abortire per non essere allontanata dalla famiglia o della comunità di appartenenza, per motivi di ordine etnico-culturale.
In linea generale, i dati confermano che gli ambienti in cui le minorenni maturano questa decisione sono caratterizzati da gravi disagi sociali ed economici in cui versa la famiglia d'appartenenza. Nella maggior parte dei casi, poi, i rapporti con il padre del concepito sono labili ed occasionali, e non apportano alcun sostegno morale né materiale alla minorenne, aggravando ulteriormente la situazione di disagio.
Quanto alle persone che vengono consultate dalla minorenne prima di rivolgersi al giudice tutelare, la madre risulta essere il principale punto di riferimento (un terzo), sebbene risulti esservi una preponderanza di casi nei quali la minorenne non interpella nessuno, o per timore di perdere la stima e la fiducia dei genitori, o per timore di essere allontanata, ovvero per gravi motivi familiari (quali genitori violenti, in conflitto fra loro, o in gravi condizioni di salute), ovvero per mancanza di dialogo o per lontananza.
Anche in questi casi, la percentuale di minorenni straniere è piuttosto in crescita - nel 2004 siamo ad oltre il 25 per cento - e l'incidenza è diversificata fra le aree geografiche, passando nel 2004 dal 4 per cento al Sud d'Italia ad oltre il 40 per cento al Nord.
La propensione di oltre cinque volte rispetto alle italiane è forse giustificabile per via del fatto che esistono profonde differenze economiche e culturali fra le ragazze straniere e quelle italiane, e da oggettive circostanze, quali la lontananza dei genitori, che impediscono di ottenere l'assenso. In merito alle richieste del giudice tutelare, il Ministero della giustizia, dall'esame diretto dei provvedimenti e dalle osservazioni formulate nelle lettere di accompagnamento dei provvedimenti, ha potuto constatare come vi siano interpretazioni della legge discordanti ed osservazioni circa difficoltà applicative della medesima, relative in primo luogo alle competenze del giudice tutelare. È stato osservato come la legge non colleghi la competenza del giudice tutelare ad alcun requisito specifico della richiedente, potendo questa presentare la richiesta in qualsiasi struttura operante nel territorio nazionale, e conseguentemente scegliere il giudice che desidera. La scelta del giudice non è assolutamente indifferente, in considerazione del fatto che il provvedimento è immediatamente esecutivo e non reclamabile. Si sono verificati casi in cui le minorenni, a conoscenza dell'orientamento di un giudice che invitava i giovani ad informarne i genitori, si siano indirizzate ad altra struttura del territorio, probabilmente sperando di ottenere l'autorizzazione. Le anomalie più frequentemente riscontrate sono le seguenti: a parità di condizioni, i giudici possono provvedere in modo diverso; alcuni giudici sono costretti a carichi di lavoro superiori a quelli previsti in relazione alla loro competenza territoriale.
Quanto alla legittimità e al merito dell'azione del giudice tutelare, questi conserva sempre un certo margine di discrezionalità. La sua decisione, infatti, oltre a basarsi sulla documentazione inviata dalla struttura a cui si è rivolta la minorenne, si fonda anche sul colloquio con la diretta interessata. A tal proposito, esistono divergenze interpretative. Da un lato, vi sono giudici che suggeriscono di approfondire i motivi addotti; dall'altro vi sono giudici che suggeriscono, invece, di confrontare le conseguenze psicologiche dell'interruzione di gravidanza con quelle della prosecuzione, e di valorizzare il periodo ancora disponibile per permettere una valutazione più ponderata della scelta.
In merito ai motivi addotti dalla minorenne per richiedere l'interruzione della gravidanza e a quelli relativi alla mancata consultazione degli esercenti la potestà o la tutela, esistono due orientamenti differenti. Da un lato, vi è chi ritiene corretto entrare nel merito delle risposte della minorenne per valutare se concedere o meno l'autorizzazione. Si ritiene, cioè, che se fosse sufficiente il semplice disagio personale a far ritenere sussistente il pericolo per la salute psichica della donna, allora si dovrebbe concludere che in tutti i casi in cui la minorenne non abbia informato i genitori l'aborto dovrebbe essere autorizzato.
Quanto, poi, ai motivi relativi alla mancata consultazione dei soggetti esercenti la potestà, il mero timore di una censura non rientra fra quelli ritenuti seri che, in forza della legge, non consigliano la consultazione. Questa andrebbe decisa a seconda che rafforzi o meno la libertà morale della minore.
Dall'altro, vi sono giudici che, invece, ritengono corretto soltanto un sostegno volto ad integrare la volontà non del tutto formatasi. Sarebbe sufficiente quanto affermato dalla richiedente e, verificata la sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa, il giudice dovrebbe solo controllare che la scelta sia libera da coercizioni morali.
Infine, occorre esaminare i compiti delle strutture. Mentre alcuni giudici hanno espresso soddisfazione per il lavoro svolto dalle strutture, in particolare dai consultori, altri rilevano come questi ultimi debbano farsi carico di verificare quanto affermato dalla minorenne. In alcuni casi, si lamenta la carenza delle relazioni, soprattutto con riferimento ai medici di fiducia (che per alcuni non dovrebbero rientrare fra i soggetti legittimati).
Discordi, infine, i pareri anche sugli effetti positivi in relazione agli aborti clandestini. Vi è chi attribuisce gli effetti all'attività dei consultori e chi, invece, ne critica il mancato apporto psicologico.
Nella relazione si è cercato di svolgere un esame comparativo, dei dati al fine di fornire qualche ulteriore suggerimento ai dati già in vostro possesso. Devo aggiungere che svolgono un ruolo difficoltà di carattere geografico, ma soprattutto l'impostazione culturale del magistrato. Pertanto si registra il caso di chi sostanzialmente ritiene il passaggio giudiziale una situazione esclusivamente formale; così come quello di chi lamenta addirittura una mancata corrispondenza fra il diritto del concepito ed il diritto della donna. Dico questo semplicemente per chiarire che i dati sono poi interpretati da quella che è l'esperienza umana e culturale di ciascun magistrato.

PRESIDENTE. Vorrei ringraziare il sottosegretario Santelli per la relazione, che oltre a fornire molti dati, ha introdotto evidentemente anche alcuni spunti di riflessione, con particolare riferimento alle esperienze umane e culturali del giudice tutelare.
La «migrazione» da un luogo dove vi è un giudice tutelare più «rigido» ad uno dove vi è un giudice tutelare più «aperto», trattandosi di libera scelta, può evidentemente causare delle discrasie.

GRAZIA LABATE. Vorrei ringraziare il sottosegretario Santelli per il supplemento di dati e di analisi fornito rispetto alla relazione che era in nostro possesso. La mia prima domanda è relativa ai reati che riguardano la giurisdizione penale prevista dalla legge. Al di là della tendenza che lei ci ha comunicato relativamente agli ultimi dieci anni, sarebbe interessante per noi comprendere, in ordine alle violazioni che vengono commesse rispetto alle previsioni della legge n. 194/78 - lei ha riferito il dato delle minori che si rivolgono al medico, il quale potrebbe incorrere in un reato, laddove commetta un reato legato all'esercizio della professione o al ricorso di metodi associativi -, in quali aree è maggiormente concentrato il reato (da giurisdizione penale) e su quali quote di immigrati stranieri.
In sostanza, occorre comprendere in quali aree del paese si verifica maggiormente questo reato e, nel caso in cui oltre il 25 per cento delle persone sia da riferire a residenti extracomunitari, a quale tipo di organizzazioni criminose e a quali nazionalità è possibile fare riferimento.
Vorrei soprattutto ragionare sul tema che riguarda la giurisdizione volontaria. Stiamo riflettendo sul fatto che 1.334 minori vi chiedono l'interruzione volontaria di gravidanza, laddove esiste un conflitto tra chi esercita la potestà sul minore e la volontà del minore stesso; quindi, ragioniamo di 1.334 casi di minori che si rivolgono al giudice tutelare.
Una percentuale del 25 per cento ed oltre è costituita, in questi casi, da minori stranieri; tuttavia, vorrei «restringere» la domanda al quadro italiano. Ragioniamo, dunque, di circa 850-900 casi italiani, nei quali si registra una difficoltà nell'espressione di una volontà che, quantomeno, può presupporre un conflitto tra chi desidera l'interruzione volontaria di gravidanza e la propria famiglia di appartenenza o i propri genitori.
È importante capire che la prima motivazione è psicologica; la seconda è di ordine economico e la terza può essere di altra natura. Vorrei, tuttavia, sapere se il Ministero della giustizia sia in possesso di dati che, in qualche modo, rilevino la motivazione del dissenso. Si tratta di capire se esiste una valutazione difforme tra chi esercita la potestà ed il richiedente - e di quale natura sia tale valutazione - o se, invece, risulta esservi soltanto una motivazione di carattere individuale.
Mi riferisco al caso in cui una minore si presenti davanti ad un giudice tutelare e comunichi la volontà di interrompere la gravidanza, e intendendo procedere senza il consenso dei suoi genitori: ebbene il Ministero della giustizia è in possesso di dati al riguardo? In definitiva, vorrei conoscere le motivazioni che generano conflitto e in base alle quali ci si rivolge al giudice tutelare.
Inoltre, in che termini lo spostamento di queste minori che trovano nella loro giurisdizione un parere non conforme alla loro volontà? Qual è il trend? Da dove si sposta questa fascia di popolazione minorile? Più precisamente: da quale luogo a quale luogo?
Infine, il sottosegretario Santelli ha parlato dell'esistenza di diverse tendenze ed opzioni anche culturali dei magistrati. Ebbene, ritengo interessante che il Ministero della giustizia ci possa fornire anche un quadro degli attuali uffici giudiziari - gradire anche sapere qualcosa circa l'età dei giudici tutelari - che sono preposti a concedere questa autorizzazione.
Ad esempio, nella mia giurisdizione, si sono registrati tanti casi di dinieghi; quando tuttavia il giudice tutelare che li aveva espressi è andato in pensione, le cose sono cambiate. Quei dinieghi erano determinati non solo da una concezione personale del tutto legittima, ma la particolare recrudescenza delle decisioni era dovuta in particolare anche all'età del giudice, il quale trovandosi di fronte un minore fungeva quasi da pater familias e non svolgeva, invece, una funzione del tutto obiettiva rispetto a dati riscontrabili o alla volontà estrinsecata.
Quelle che ho riassunto sono le tre questioni sulle quali gradirei un approfondimento. Analizzando la vicenda, è emerso in maniera del tutto evidente che se un minore o un adulto si rivolgono al consultorio trovano una risposta maggiormente esaustiva.
La questione del medico di fiducia apre problematiche anche sui casi generali. Tuttavia, non so - non l'ho compreso dalla relazione dell'onorevole Santelli - se il Ministero sia in possesso di dati che rivelino il numero delle minori che si rivolgono al medico di fiducia, e non al consultorio, oppure ad un medico specialista ginecologo.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Vorrei Innanzitutto ringraziare il sottosegretario di Stato per la giustizia Santelli per la relazione che ha riportato i dati raccolti dal Ministero della giustizia e che rappresenta per noi l'occasione utile allo svolgimento di una riflessione su alcune questioni.
Vorrei svolgere alcune considerazioni soprattutto per quanto riguarda gli aborti clandestini. Abbiamo appreso che il loro numero è ancora molto alto e che costituiscono circa il 20 per cento del totale. Ascoltando la relazione, mi è parso di capire che il numero maggiore di aborti clandestini si verifica nell'ambito della prostituzione e dei minori. Non so, poi, quale tipo di percentuale leghi la prostituzione ai minori (ma questa è un'altra questione). Quale popolazione femminile si rivolge, in particolare, all'aborto clandestino? Esiste un dato preponderante che riguarda la prostituzione, i minori, ed in particolare i minori che si prostituiscono?
Per quanto riguarda i consultori familiari, non ho ascoltato nella relazione il dato che concerne i giudici che si avvalgono dei consultori familiari. A parte il medico di famiglia, è opportuno che siano coinvolte le strutture consultoriali per offrire un sostegno nella fase in cui il giudice deve concedere o meno l'autorizzazione? A mio parere, in questa fase l'apporto del consultorio familiare potrebbe essere determinante.
Mi rendo conto che è difficile, soprattutto per i minori e nell'ambito della prostituzione, decidere di portare a termine la gravidanza, per motivi facilmente immaginabili. Il giudice tutelare riesce qualche volta ad evitare l'aborto? Sono disponibili dati che si riferiscono a questo particolare ambito? Del resto, l'obiettivo della legge è quello della tutela della maternità, oltre che delle donne che decidono di abortire.

ANNA MARIA LEONE. Vorrei ringraziare il sottosegretario Santelli per la relazione svolta. Per quanto riguarda le minorenni clandestine, vorrei sapere se ne conosciamo la fisionomia, ovvero se sono anche queste prostitute, e da chi sono mandate (e via dicendo). Vorrei scusarmi perché probabilmente questo passaggio mi è sfuggito; credo tuttavia che sia un progetto importante, considerato il numero rilevante di minorenni che si rivolgono al giudice.

PIERGIORGIO MASSIDDA. Vorrei associarmi ai ringraziamenti al sottosegretario Santelli per aver svolto una relazione molto esauriente. Al di là delle domande che hanno già posto i colleghi, alle quali mi associo, mi interessa in particolare comprendere come ci si avvale della funzione dei consultori.
Questa indagine, del resto, serve anche a capire qual è l'utilizzo dei consultori, considerando che la legge che ne regola le funzioni risale al 1975. Dal momento che ciascun magistrato ha una sensibilità personale ed una propria capacità di incidere, mi interessa sapere se esiste un qualche atto di indirizzo dell'azione giudicante.
Ho parlato con talune minorenni che hanno avuto questo problema e qualcuna di queste mi ha segnalato il fatto che ci sono magistrati che portano avanti una funzione strettamente burocratica. Qualcuno, invece, confrontandosi naturalmente con il medico ed il consultorio, cerca di favorire il più possibile il prosieguo della gravidanza. È già una risposta il fatto che non ci possa essere un atto di indirizzo, perché le differenze sono, non dico abissali, ma fortemente avvertibili.

PRESIDENTE. Il problema riguarda le minori che si rivolgono al giudice da sole, e non accompagnate da chi ne ha la patria potestà, oppure vengono indirizzate dal consultorio. Quello che mi chiedo è se qualcuno del consultorio - magari l'assistente sociale o la psicologa - accompagni queste ragazze, le aiuta in questo passaggio, parla con il magistrato? Oppure la ragazza si rivolge da sola al magistrato? È evidente che la ragazza che è accompagnata dalla madre ha già un aiuto naturale, fisiologico, ma quella che non ha questo sostegno familiare si ritrova da sola.

CARMELO PORCU. Signor presidente, la sua osservazione è molto stimolante per illustrare la presumibile solitudine e la debolezza della minore che si accinge a chiedere di abortire. Tuttavia, vorrei soffermarmi su un altro aspetto, ricordando ai colleghi, ed anche a me stesso, che l'aborto clandestino è un reato di difficile perseguimento e di ancor più difficile accertamento. Evidentemente, questo fenomeno non potrà mai essere indagato, come dovrebbe essere, attraverso dati statistici; inoltre, i dati in nostro possesso rappresentano presumibilmente la punta di un iceberg.
Non darei eccessiva importanza, quindi, all'aspetto penalistico della questione, perché mi sembra che sia inutilizzabile anche in maniera puramente statistica. È da approfondire, invece, la tematica dell'intervento del giudice tutelare in collaborazione con i consultori e con le strutture ospedaliere. Trattandosi di giurisdizione volontaria e quindi non essendo sottoposta ai vincoli della giurisdizione penale - al riguardo, vorrei ricordare il divieto posto dalla Costituzione nei confronti del potere esecutivo di emanare una direttiva per incidere sull'azione penale che, come sappiamo, in Italia è soggetta soltanto alla coscienza dei pubblici ministeri -, mi sembra che sia il caso di adoperarsi perché vi sia un maggiore interessamento e coinvolgimento del Ministero della giustizia nei confronti degli uffici che, esercitano questa volontaria giurisdizione, al fine di sensibilizzarli il più possibile anche rispetto a quegli accorgimenti di carattere comportamentale rimarcati dal Presidente.

JOLE SANTELLI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Mi sembra che le domande poste vertano quasi tutte sugli stessi argomenti; pertanto, se mi è consentito cercherò di distinguere i due ambiti.
Per quanto riguarda la parte penalistica, è evidente che esiste un'ampia zona «grigia», che è costituita dalle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico della prostituzione. In questo ambito, stando ad indagini delle quali siamo a conoscenza, l'aborto clandestino è praticato in larghissima misura, come d'altronde è comprensibile. Effettivamente, in questo caso possiamo dire che i dati statistici rappresentano la punta di un iceberg. In altre parole, laddove viene sgominata l'organizzazione, si può rintracciare, all'interno dei vari reati contestati, anche quello dell'aborto clandestino. Il resto sfugge evidentemente ad un tipo di controllo che - occorre tenerne conto - è successivo. Stiamo parlando infatti del sistema giudiziario; non sono in grado dunque di fornirvi dati investigativi che, invece, potrebbero essere in possesso del Ministero dell'interno. Il dato che vi riferisco, chiaramente, è stato «sgrossato».
Per quanto riguarda le aree di provenienza, è molto forte il dato riguardante l'immigrazione dell'Est Europa. La popolazione proveniente dall'area maggiormente interessata da questo punto di vista. Relativamente allo sfruttamento delle minori straniere, non abbiamo numeri esorbitanti, ma rientriamo nel discorso della tratta, dal momento che qui si parla comunque di clandestinità. Altro discorso è opportuno fare non appena ci si sposta sul versante civile e su quello tutelare.
Non abbiamo dati di riferimento rilevanti circa i conflitti fra i genitori e i figli. Abbiamo i casi di ragazze che si presentano generalmente da sole, che in un numero rilevante di casi non provengono da un'esperienza di autorizzazione negata, ma da una mancata richiesta di autorizzazione, che giustificano o con la presenza di un conflitto con i genitori, o con la volontà di evitare una brutta figura. In realtà, non vi sono dati di riscontro; pertanto, dobbiamo basarci su quello che ci riferiscono le ragazze.
Per quanto riguarda lo spostamento da un'area di giurisdizione all'altra, chiarisco che il giudice tutelare è posizionato presso ogni tribunale della Repubblica. Non vi sono, dunque, distanze geografiche enormi. È possibile registrare una totale difformità di giudizio da un tribunale all'altro (quindi anche nel breve spazio di trenta chilometri). È evidente che è agevole, se esiste una rete informativa, venire a sapere quale sia il tribunale più opportuno al quale rivolgersi.
Si tenga conto che, essendo il giudice tutelare considerato come giudice di primo grado, è difficile che si tratti di persone anziane. Un giudice tutelare generalmente è quindi abbastanza giovane.
Il problema vero, che spero di aver evidenziato nella mia relazione, è un altro: come è noto, è impossibile per il Ministero fornire indicazioni sull'interpretazione di una legge. Purtroppo, dai dati che vi ho riferito si evidenzia un'interpretazione della legge estremamente difforme da una sede all'altra. È stata posta la seguente domanda: «Chi aiuta la ragazza?». Ebbene, ci sono alcuni giudici tutelari che ritengono che il passaggio presso il tribunale sia un passaggio esclusivamente burocratico, e che la ragazza abbia già in sé la maturità della decisione. Assumendo questo tipo di impostazione culturale, questi giudici non ricercano una spiegazione che possa aiutare le ragazze in difficoltà.
In altre situazioni, ci si può trovare dinanzi a un giudice che, al contrario, interpreta il proprio ruolo in maniera più «attiva» e, che, cercando di conoscere motivazioni, si fa egli stesso parte attiva di un dialogo.
Una delle difficoltà maggiori che abbiamo rilevato è che la legge, al fine, lascia spazio ad interpretazioni molto difformi, che verranno da tribunale a tribunale. Siamo, dunque, nelle mani di chi è chiamato ad applicarla. Questa è la triste realtà! PRESIDENTE. Nel ringraziare il sottosegretario Santelli, vorrei aggiungere che, del resto tutte le leggi sono interpretabili; in ogni caso faremo buon uso dei suggerimenti del sottosegretario, che peraltro lascia agli atti la sua relazione.
Dichiaro conclusa l'audizione. La seduta termina alle 15.


COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA

Seduta di giovedì 22 dicembre 2005

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 14,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Ricordo che, ai sensi dell'articolo 65, comma 2, del regolamento, la pubblicità dei lavori della seduta è assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso. Ne dispongo pertanto l'attivazione.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dei medici e operatori dei consultori (Società italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), Ordine degli Psicologi, Ordine Assistenti Sociali, Sindacato Unitario Nazionale Assistenti Sociali) e della Federazione Italiana Medici di Famiglia (FIMMG).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione di rappresentanti dei medici e operatori dei consultori (Società italiana di ginecologia e ostetricia, Ordine degli psicologi, Ordine assistenti sociali, Sindacato unitario nazionale assistenti sociali) e della Federazione italiana medici di famiglia (FIMMG).
Avverto che la Federazione italiana dei medici di famiglia ha comunicato di non poter partecipare all'audizione. I nostri primi interlocutori sono i rappresentanti dell'Ordine nazionale degli psicologi. Saluto il dottor Pietro Angelo Sardi, presidente nazionale dell'Ordine nazionale degli psicologi e il dottor Mario Sellini, segretario nazionale dell'Associazione unitaria psicologi italiani, il sindacato di categoria.
Conoscete i motivi che hanno portato all'avvio di questa indagine conoscitiva e i problemi che sono stati sollevati e affrontati nelle audizioni precedenti, nelle quali abbiamo parlato dei consultori e delle strutture ospedaliere presso le quali si effettuano le interruzioni volontarie di gravidanza. È evidente che, con particolare riferimento alle IVG, l'indagine è stata voluta per capire come la legge possa essere applicata nella sua interezza e quale funzione possano e debbano svolgere i consultori, nell'ambito dell'applicazione della legge stessa.
Conseguentemente, è importante per noi ascoltare coloro che lavorano in prima linea, nei consultori e nei servizi ospedalieri dove si praticano le IVG - oltre ai ginecologi, gli psicologi, gli assistenti sociali e le ostetriche -, vale a dire coloro che, in maniera specifica, dovrebbero attuare nel migliore dei modi questo servizio.
Ricordo che, solitamente, le audizioni si svolgono secondo il seguente ordine: dopo la relazione degli auditi, che possono anche lasciare documentazione scritta che rimane agli atti della Commissione, in modo che possano prenderne contezza anche i colleghi assenti -, i parlamentari presenti, se lo ritengono, pongono delle domande e l'audizione si conclude con la replica dei soggetti auditi.
Do la parola al dottor Pietro Angelo Sardi, presidente nazionale dell'Ordine nazionale degli psicologi.

PIETRO ANGELO SARDI, Presidente Ordine nazionale degli psicologi. Ho portato con me una memoria e un documento che riguarda il ruolo importante svolto, all'interno dell'équipe consultoriale, dagli psicologi. Sicuramente siete in possesso di molti dati sull'applicazione della legge n. 194, anche per quel che riguarda il nostro ruolo. Ho portato anche un report che un nostro collega - uno psicologo consultoriale che è anche consigliere segretario dell'Ordine nazionale degli psicologi - ha consegnato alla sua regione, la Puglia. Il documento descrive chiaramente la funzione dello psicologo di prevenzione della IVG, sia nella fase iniziale - il primo contatto con la donna che avanza questa domanda - sia nelle due fasi successive, quando la donna viene accompagnata alle strutture di secondo e di terzo livello (il consultorio è ovviamente di primo livello) e, in seguito, per prevenire il problema delle recidive.
Credo che, nel primo e nell'ultimo momento, la funzione meramente preventiva dello psicologo sia chiarissima. È meno chiara la funzione dello psicologo durante l'interruzione volontaria di gravidanza. Questo è un equivoco che ci accomuna a moltissimi altri operatori. Basti pensare all'avvocato che difende un cliente o al sacerdote che non collabora con il giudice nel momento in cui gli si chiede di rivelare quello che ha ascoltato in confessione.
Tempo fa il ministro Castelli ci ha definiti «amici di Caino», per il rapporto che ci lega alle persone che si trovano in difficoltà, anche con la legge.
È ovvio che il lavoro dello psicologo, nella fase dell'interruzione di gravidanza, deve obbedire al nostro codice deontologico, che ci obbliga a non imporre le nostre convinzioni ideologiche, religiose, personali all'utente. In questo senso, certamente lo psicologo non punta a colpevolizzare ulteriormente la persona durante la fase dell'interruzione di gravidanza. Non vorremmo che il lavoro di assistenza e di col lateralità, che lo psicologo deve condurre in questi casi, venisse male interpretato. Nella memoria che lascio agli atti ho citato gli articoli del nostro codice che regolano il nostro intervento professionale. Spero che tutto sia chiaro e che non si creino altri equivoci sulla nostra figura e sul nostro intervento.
Dal punto di vista operativo, faccio presente che alcuni consultori sono diretti dallo psicologo. È un lavoro d'équipe, e qualunque componente - a volte anche lo psicologo - può essere il direttore del servizio. In ogni caso, è evidente la nostra funzione preventiva. L'interruzione volontaria di gravidanza costituisce comunque e sempre un danno psicologico, e come tale, per definizione, viene contrastato dallo psicologo. Non si tratta, dunque, di una scelta ideologica, ma innanzitutto di una scelta professionale.
Noi ci auguriamo che questa indagine conoscitiva contribuisca a potenziare i nostri interventi e riduca, in questo senso, il danno psicologico che subiscono le donne che decidono di abortire.
Consegno alla Commissione i documenti che abbiamo preparato insieme ai colleghi che lavorano nei consultori.

MARIO SELLINI, Segretario generale dell'AUPI. Sono il segretario generale del sindacato degli psicologi del Servizio sanitario nazionale. Come organizzazione sindacale di categoria, conosciamo concretamente il lavoro svolto dai nostri colleghi nei consultori familiari.
Vorrei aggiungere a quanto ha appena detto il nostro presidente alcuni elementi concreti, con i quali ci capita di doverci confrontare. Non mi riferisco solo a noi psicologi, ma a tutti gli operatori che lavorano nei consultori familiari. Non credo, infatti, che si possano porre distinzioni eccessive, in quanto parliamo di un servizio all'interno del quale diverse professionalità operano in équipe.
Forse non è questa la sede più opportuna per farlo, ma consentitemi comunque di esprimere una considerazione. Questa indagine conoscitiva, che considero opportuna, ha reso però un servizio piuttosto negativo, in termini di immagine, ai consultori familiari e ai loro operatori. Sembra quasi che chi lavora nel consultorio non abbia a cuore la difesa della vita. Credo, invece, di poter confermare e ribadire con forza che gli operatori dei consultori sono sicuramente in prima linea e i dati a disposizione del ministero della salute e delle regioni lo confermano.
Ovviamente, all'interno dei consultori di problemi ce ne sono molti. Tuttavia, vorrei far notare che il consultorio familiare non è l'unica struttura sanitaria attraverso la quale passa l'interruzione volontaria della gravidanza. Focalizzare tutta l'attenzione sul consultorio familiare, da questo punto di vista, credo che sia assolutamente riduttivo. Una donna, infatti, può tranquillamente rivolgersi ad un medico di fiducia per ottenere la certificazione.
Non tutte le strutture sono dotate del personale idoneo per supportare la donna in difficoltà. Un altro problema importante, con il quale ci confrontiamo tutti i giorni, è che in una situazione generale per cui il servizio sanitario nazionale ha risorse economiche definite (sono quelle e non sono espandibili), anzi in un momento in cui si deve ridurre la spesa, si tende a risparmiare sui servizi territoriali, e in particolar modo sul consultorio familiare.
In molte regioni - non credo sia il caso di citarle, comunque potremo sicuramente fornire i dati -, il personale dei consultori è sempre più precarizzato. Si tratta sempre più di personale che lavora ad ore e sempre meno incardinato nei servizi. Questo, ovviamente, riduce la funzionalità dei servizi stessi. Come il consultorio familiare non è la sede unica alla quale la donna si rivolge per l'interruzione di gravidanza, così non vorremmo farlo apparire come il luogo in cui viene meno l'attenzione verso la donna e verso la maternità. La legge n. 194 assegna compiti ben precisi e specifica che il consultorio deve informare la donna su tutti i servizi territoriali ai quali essa può rivolgersi. Ebbene, se i servizi territoriali non ci sono o non svolgono il proprio ruolo, non credo che questo debba essere attribuito alla responsabilità dei consultori e dei loro operatori. Il consultorio familiare deve svolgere un ruolo di connessione e di raccordo fra i problemi della donna e il territorio nel quale vive. Addossare a questa struttura anche la responsabilità di eventuali carenze degli altri servizi territoriali, a dir la verità, mi sembrerebbe eccessivo.
Sono convinto che gli psicologi dei consultori e tutti gli operatori svolgano appieno il proprio ruolo. Credo che un intervento più incisivo da parte delle regioni, che adesso hanno la responsabilità ultima dell'organizzazione sanitaria, possa sicuramente migliorare l'attività e la capacità di risposta rispetto a quello che noi consideriamo un vero dramma, quello delle donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza.

PRESIDENTE. Nel dare ora il benvenuto al professor Arisi e al dottor Carlo Maria Stigliano, membri del direttivo della SIGO, nonché alla dottoressa Giuseppina Zanella e alla dottoressa Clelia Capo del Sindacato unitario nazionale assistenti sociali, ripeto che questa indagine non ha un carattere ispettivo. L'obiettivo è quello di fotografare, meglio di quanto fa la relazione annuale, la situazione attuale dell'applicazione di questa legge, individuando eventualmente come e in quale ambito possa essere meglio attuata e incentivata. Per questo motivo abbiamo invitato tutti soggetti interessati, e tra questi le diverse associazioni. Tra le domande che vi poniamo, infatti, è se voi ritenete opportuna la presenza, all'interno dei consultori o delle strutture ospedaliere, di associazioni di qualunque tipo (laiche, cattoliche e via dicendo), per una collaborazione finalizzata all'attività di prevenzione. Fermo restando che nessuno di noi vuole assolutamente incentivare le interruzioni di gravidanza, deve rimanere saldo il principio del rispetto delle decisioni della donna.
Ecco, vogliamo capire se vi sono state o meno richieste in tal senso e se, ove questo risultasse, la collaborazione tra le diverse componenti possa migliorare l'applicazione della legge n. 194 nel suo insieme. Probabilmente, infatti, una parte della legge è applicata meglio, una parte meno bene. Questo non significa un atto di accusa nei riguardi dell'attività dei consultori, né dei servizi ospedalieri, ma le difficoltà potrebbero essere di natura logistica.
Questa è la finalità della nostra indagine. Lo ripeto, non vi è nessun atto di accusa nei confronti di alcuno. Se dai giornali traspare qualcosa di diverso, vi assicuro che non coincide con il pensiero e con le intenzioni di questa Commissione, né dei richiedenti. A quasi 30 anni dall'approvazione della legge n. 194 e dall'istituzione dei consultori, si intende solo creare uno spazio di riflessione - qualcuno lo definisce rapido, qualcuno tardivo e qualcuno inutile -, per capire come si può migliorare la legge n. 194 nella sua applicazione integrale, se non in questa, nella prossima legislatura.
Questa è la premessa, che vale per tutti. Nei giorni scorsi qualcuno ha lamentato di sentirsi indagato. Non è questo il principio che ci ispira, sia chiaro per tutti Non stiamo conducendo un'inchiesta, anche perché indagare non rientra nelle nostre funzioni. Do ora la parola al dottor Carlo Maria Stigliano o al dottor Emilio Arisi, della Società italiana di ostetricia e ginecologia.

CARLO MARIA STIGLIANO, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Faremo un intervento a due voci. Innanzitutto, per gli atti, desidero precisare che la SIGO, la Società italiana di ginecologia e ostetricia, rappresenta tutta la ginecologia italiana - il professor Palumbo lo sa bene - ed è, quindi, l'interfaccia dell'ufficialità scientifica e rappresentativa dei ginecologi italiani.

PRESIDENTE. Di tutti.

CARLO MARIA STIGLIANO, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Sì, veramente di tutti, non solamente di un settore.
In questa veste, siamo stati delegati a rappresentare la posizione della ginecologia italiana, che evidentemente non può che essere composita; tale posizione, dunque, non può essere preconcetta, né nei confronti dell'applicazione della legge n. 194 - che riteniamo una buona legge - né nei confronti di questa iniziativa del Parlamento.
Riteniamo, tuttavia, che questa indagine potrebbe essere interpretata come una sorta di forzatura nei confronti dell'attività degli operatori sanitari, dei ginecologi e di tutte le altre figure professionali che collaborano all'applicazione di una legge dello Stato. Questa, evidentemente, è una grossa preoccupazione.
Consideriamo che sia fondamentale dissipare - come credo stesse già facendo il presidente - ogni dubbio nell'opinione pubblica riguardo al fatto che possa trattarsi, più che di un'indagine conoscitiva, quasi di un'indagine il cui obiettivo è quello di esprimere un giudizio.

PRESIDENTE. Non abbiamo questi poteri.

CARLO MARIA STIGLIANO, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Certo. Insomma, è importante chiarire che non si intende esprimere un giudizio sull'attività di quanti quotidianamente svolgono un lavoro impegnativo in condizioni difficili.
In questo senso, esprimiamo una censura nei confronti di chi si è ricordato - sia ben chiaro, non parlo di parti politiche - dei consultori familiari soltanto in questo momento. I consultori familiari, come ben sanno tutti gli operatori, sono sottofinanziati, hanno problemi di personale che impediscono loro di svolgere serenamente un lavoro difficile, che comunque svolgono, di counseling e al tempo stesso prestazioni sanitarie.
È pur vero, tuttavia, che la legge viene applicata con grande correttezza: lo riporta anche la relazione del ministro Storace al Parlamento, che tutti abbiamo letto. In linea generale, come Società italiana di ginecologia e ostetricia - il collega Arisi riferirà meglio di me dal punto di vista tecnico - riteniamo che bisognerà riflettere sul fatto che soltanto una parte delle donne che si rivolgono alle strutture socio-sanitarie per l'interruzione della gravidanza accedono ai consultori.
Questo non è giusto, perché i consultori avrebbero la possibilità di offrire soluzioni alternative e di indicare opportunità diverse alla donna, mentre una struttura puramente sanitaria, qual è quella ospedaliera, non può fare altrettanto, considerate le condizioni in cui è costretta ad operare. Pertanto, se si vuole una più puntuale applicazione della legge, perlomeno nello spirito della prevenzione, occorre mettere mani alla tasca: intendo dire che i consultori devono essere potenziati o, quantomeno, deve essere assicurato a queste strutture ciò che non hanno.
Sono responsabile di una serie di consultori, per conto della mia azienda sanitaria, in Calabria, e posso testimoniare le enormi difficoltà nel garantire, con il sacrificio degli operatori, il normale lavoro delle strutture consultoriali. Questo accade perché, purtroppo, non possiamo assumere personale per i noti vincoli di bilancio, e non abbiamo nemmeno il personale previsto in pianta organica.
Gli strumenti di propaganda, che pure sarebbero opportuni per quanto riguarda un'ottimale limitazione del ricorso all'aborto, non siamo nelle condizioni di attivarli.
In conclusione, siamo perfettamente disponibili a collaborare con un'indagine conoscitiva, a patto, però, che si tratti di un'indagine virtuosa, che porti prima di tutto a rendersi conto che la legge viene applicata, e anche molto bene. È possibile, certamente, che ci siano delle sbavature, ma non per responsabilità degli operatori, quanto piuttosto a causa delle difficoltà oggettive derivanti dalla carenza di mezzi e, a volte, anche di strutture.
Un'ultima annotazione, riguarda le associazioni di volontariato. Ne esistono tante, alcune ottime, e possono svolgere un ruolo importante. Tuttavia, considerato che abbiamo già difficoltà strutturali nel muoverci nelle nostre realtà socio-sanitarie, è bene evitare di correre il rischio di introdurre figure che non hanno una competenza specifica o che potrebbero portare una visione di parte - o, comunque, non oggettiva - del problema, creando situazioni conflittuali e di tensione, che finirebbero per ripercuotersi inevitabilmente sulle donne che si rivolgono a queste strutture socio-sanitarie. Pertanto, raccomando di affrontare questo discorso con molta cautela.
Esistono tempi, opportunità e luoghi deputati ad un'azione di sostegno sociale alle donne in difficoltà. Non è detto che questa azione debba avvenire all'interno di strutture che hanno compiti ben precisi, riconosciuti dalla legge e ben conosciuti dagli operatori.

PRESIDENTE. Vi pregherei di leggere, per opportuna conoscenza, i resoconti delle audizioni che abbiamo svolto in precedenza, che spesso contraddicono alcune vostre affermazioni, ad esempio sul problema della collaborazione con enti o associazioni di volontariato. Lo dico per una questione di chiarezza, perché le idee non sempre collimano.

CARLO MARIA STIGLIANO, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Non sono le mie idee, ma quelle dell'associazione.

PRESIDENTE. Lei naturalmente può dire tutto quello che vuole. Lei ha parlato anche di personale, e qui è stato messo spesso in rilievo che la mancanza di personale è legata anche a un problema di obiezione di coscienza. Se disponete di dati a questo riguardo, vi prego di riferirceli. Se, ad esempio, solo due ginecologi su trenta non sono obiettori, è chiaro che si verifica una carenza di personale. Non so quale sia la situazione del personale per quanto riguarda gli psicologi e gli assistenti sociali.
Prego, dottor Arisi.

EMILIO ARISI, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Innanzitutto ringrazio il presidente e questa Commissione per aver inserito anche la SIGO tra i soggetti da ascoltare in questa indagine conoscitiva.
Aggiungerò solo alcune note sintetiche a quanto hanno già riferito i miei colleghi. Come sa il presidente Palumbo, mi sono sempre interessato di questi argomenti, di conseguenza mi sforzerò di chiarire alcuni punti. Il problema dell'obiezione di coscienza, a cui anche il presidente accennava, è decisamente ingravescente con il passare del tempo. Credo che si debba mettere in conto un disinteresse rispetto alla problematica da parte delle nuove generazioni di ginecologi che, ahinoi, non sono maturate nel momento in cui il problema era più cogente e, di conseguenza, non vogliono assumersi la responsabilità di agire in termini socialmente importanti, in alcuni casi forse proprio per bieca comodità personale.
Come tutti sappiamo, la coscienza è talmente elastica che ciascuno di noi può farvi entrare e uscire tutto quello che gli pare. Mi sembra che questo sia un aspetto da tener presente. Questa è la mia personale sensazione, quella di chi si interessa di questi argomenti da tanto tempo e si guarda intorno, volgendo lo sguardo anche a reparti diversi da quello che ci riguarda più da vicino. Si tratta, peraltro, di una sensazione precisa, sebbene ovviamente non posso conoscere nel dettaglio i nomi delle singole persone interessate da questo discorso.
Possiamo dire - parlo a nome della SIGO - che i ginecologi, come tutti gli altri soggetti che operano nei consultori, lavorano con consapevolezza e onestà professionale. È possibile che si incontrino difficoltà di non facile soluzione, perché non è sempre facile avere un rapporto immediato con chi risolve i problemi sociali. Ad esempio, se si ha bisogno della casa, non è pensabile che si trovi subito, di fronte al consultorio, il tizio...

PRESIDENTE. O il lavoro.

EMILIO ARISI, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Esatto. La Società italiana di ginecologia e ostetricia si è data da fare, in questi ultimi anni, in questa direzione, ma credo che un nodo fondamentale sia quello della conoscenza e dell'informazione. Se esiste l'aborto, esiste anche la possibilità di limitarne il numero, e questo obiettivo lo si può raggiungere attraverso l'informazione nell'ambito della prevenzione e, in particolare, attraverso una diffusione della conoscenza e dell'utilizzo della contraccezione sicura. I due fenomeni, evidentemente, si incrociano: in diverse relazioni, come sa il professor Palumbo, ho rappresentato due frecce che si incrociano, che simboleggiano l'una l'aborto che cala, l'altra la contraccezione sicura.
Noi consideriamo l'esempio della contraccezione orale, perché è un dato sul quale abbiamo elementi di conoscenza certa (basta verificare il numero di pezzi venduti in farmacia per rendersi conto di quanto viene usata). I due fenomeni si incrociano in modo vicendevole: del resto, è perfino ovvio che se il 100 per cento delle donne in età fertile utilizzasse una contraccezione sicura al 100 per cento (cosa che non può essere, ovviamente), nessuna di queste rischierebbe di avere una gravidanza non desiderata.
Come tutti sanno, almeno nel 50 dei casi, in media, le gravidanze non desiderate si concludono con un aborto volontario. Purtroppo per noi, questo dato raggiunge il 70-80 per cento quando si tratta di adolescenti. A maggior ragione, in questo caso è cogente l'impegno per l'informazione, dal momento che queste ragazze hanno davanti una prospettiva riproduttiva più lunga. In altre parole, se abortisce una quarantacinquenne - senza offesa, per carità - le sue prospettive...

TIZIANA VALPIANA. Ne abbiamo molti di più...

EMILIO ARISI, Società italiana di ginecologia e ostetricia. È innegabile, tuttavia, che se nel problema incorre l'adolescente le prospettive riproduttive e le possibili difficoltà sono più rilevanti.
Per questo motivo, credo che il vero problema sia quello dell'informazione. Facciamo quello che vogliamo, diciamo quello che vogliamo, ma aiutiamo ogni operazione di prevenzione che passi attraverso un'informazione seria e corretta. La nostra Società ne sta portando avanti un esempio concreto, attraverso un sito di informazione, che non cito per non fare pubblicità.

PRESIDENTE. Ma è la SIGO, non è un fatto privato.

EMILIO ARISI, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Va bene. Il sito si chiama www.sceglitu.it. Credo che sia evincibile dalla lettura di tutti i dati sull'aborto in Italia, in particolare di questi anni, che sono due i target fondamentali dell'informazione: le donne immigrate e le donne giovani. Se è vero che, negli ultimi anni, abbiamo assistito a un aumento degli aborti tra le donne più giovani, è anche vero che questo dato è influenzato dalla presenza crescente delle donne immigrate, che si riproducono più precocemente e in maniera più cospicua - in media, 4-5 volte in più - delle nostre. Se dobbiamo fare prevenzione attraverso l'informazione, è opportuno focalizzare l'attenzione su questi due elementi nodali.
Vi ringrazio per avermi ascoltato.

PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Arisi, anche per la brevità. Ricordo che purtroppo alle 16,00 i deputati saranno impegnati in aula.

FIORELLA CAVA, Presidente del Consiglio nazionale Ordine assistenti sociali. Sono presidente da pochissimo, quindi potremmo parlare di un debutto. A dire il vero, parlerei più opportunamente di ritorno, dal momento che alcuni anni fa sono stata consigliera nazionale. Colgo l'occasione per ringraziare la Commissione dell'invito che mi ha rivolto e per presentare la collega Luisa Spisni, già vicepresidente, che ha seguito la questione in altre occasioni.
Credo di poter dire che quanto è stato riferito da chi ci ha preceduto è largamente condivisibile. Vorrei sottolineare che la questione dell'organizzazione dei consultori e della competenza delle regioni - certamente più incisiva di prima - rispetto all'organizzazione del settore sanitario, così come di quello sociale, è un punto nodale. Parlare di organizzazione significa, per noi, parlare anche di qualità del personale: intendo con ciò riferirmi alla qualifica professionale e alla qualità della stessa. Anche questo è un punto centrale, che riguarda, tra l'altro, il nostro sud, più che il nostro nord.
Il dottor Stigliano ha parlato delle difficoltà della Calabria, ma a noi risulta che anche in Puglia la rete consultoriale è molto fragile. Tale situazione riguarda, comunque, molte regioni, sia dal punto di vista della strutturazione che della presenza di personale. Mi corre l'obbligo di rimarcare spesso l'assenza di personale della parte sociale, quella che dovrebbe e potrebbe contribuire incisivamente alla fase di prevenzione che prevede l'informazione. Sto parlando di un'informazione capillare, che non dovrebbe fermarsi alla divulgazione, ma includere anche il recepimento delle informazioni, altrimenti non si spiegherebbe il fenomeno delle recidive. È chiaro che anche l'informazione ha i suoi limiti, se non è recepita e introiettata come tale.
La seconda sottolineatura che voglio fare riguarda l'apporto delle associazioni di volontariato. È chiaro che, al di là della strutturazione e della presenza oggettiva di personale del settore sanitario e del settore sociale, l'attività consultoriale nel campo della prevenzione e dell'informazione prevede un lavoro di rete.
Nell'ambito di un'organizzazione e di un progetto di una parte pubblica - in questo caso un consultorio - strutturata con compiti ben precisi, il volontariato sicuramente può avere un ruolo e supportare certe attività. Se, invece, si pensa di supplire con il volontariato a una carenza di personale e, a volte, a una carenza di obiettivi e di organizzazione, il suo apporto può risultare addirittura dannoso. Oggi, con le leggi vigenti, l'apporto del volontariato è possibile, a patto che non si pensi di renderlo una presenza fissa.
Non mi dilungo, per dare a tutti i presenti la possibilità di intervenire.

PRESIDENTE. Nessuno ha parlato di una presenza del volontariato stabile e definita per legge. Si è detto che, ove ce ne fosse la richiesta, l'opportunità e le condizioni, si potrebbe prevedere questa presenza. Nessuno ha sostenuto la necessità di collaborazione.
Nel corso delle audizioni che abbiamo svolto, alcuni soggetti hanno riferito di aver collaborato proficuamente con associazioni di volontariato, evidentemente - come ha detto bene la dottoressa Cava - strutturate in rete. In assenza di tale strutturazione, sono d'accordo nel ritenere che una collaborazione non avrebbe senso, anzi potrebbe costituire un intralcio al lavoro dei consultori. Il problema è capire se si può attuare un'azione organica.

FIORELLA CAVA, Presidente del Consiglio nazionale Ordine degli assistenti sociali. Forse ho calcato la mano parlando di previsione legislativa della presenza del volontariato. Volevo semplicemente rimarcare che tale presenza in ospedale è già possibile. Tuttavia, per individuare dove manca e dove potrebbe essere utile, sarebbe più opportuno parlare in termini di organizzazione e di eventuali anelli mancanti. Fino a quando non si definisce la cornice entro la quale si può identificare un anello mancante, a mio avviso, l'apporto di altri soggetti può addirittura essere deleterio.

LUISA SPISNI, Consiglio nazionale Ordine degli assistenti sociali. Aggiungo poche parole all'intervento della dottoressa Cava, per sottolineare la necessità che il consultorio venga considerato come uno spazio importantissimo per le donne, soprattutto per le fasce più a rischio e più fragili. Dico questo perché il consultorio dovrebbe essere un luogo dell'integrazione, intendendo per integrazione un intervento allargato, che garantisca alla persona in difficoltà una presa in carico del problema a 360 gradi. Questo è l'aspetto principale.
Devo rimarcare che gli aspetti relativi alla prevenzione, forse perché non hanno un ritorno immediato, spesso vengono trascurati. Gli effetti della prevenzione non si vedono, se non in tempi lunghi. Adesso si sottolinea tanto la necessità della prevenzione, ma dobbiamo ammettere che questa è stata disattesa per tanto tempo. I consultori, è innegabile, sono stati dimenticati a lungo.
Il personale sociale - forse la fascia più debole - spesso viene attinto dai distretti, ma mancano figure fisse all'interno dei consultori. Bisogna dare modo agli operatori di svolgere questa attività di prevenzione, che non può avere risultati se non è sostenuta da azioni continuative, che possono incidere nel tempo.
Per quanto riguarda la collaborazione con le associazioni di volontariato, devo dire che in alcune città della Toscana questa esperienza è già realtà, attraverso la stipula di convenzioni, e mi risulta che ci siano anche esperienze positive. Il problema sostanziale è che ognuno deve fare la sua parte. Dobbiamo ammettere, dottor Palumbo, che il discorso è nato intorno a un problema ben preciso, altrimenti non saremmo qui a discuterne. Sono ben felice, tuttavia, che si sia colta questa occasione per puntualizzare la questione.
Laddove il mandato preciso dell'istituzione pubblica viene mantenuto, allora è probabile che le strutture di volontariato entrino comunque all'interno del programma. Ad ogni modo, è giusto che si considerino le esperienze di collaborazione proficua, ma si dovrebbe anche verificare che i ruoli siano mantenuti, che le associazioni di volontariato intervengano solamente qualora esista la richiesta, l'utente sia informato, e via dicendo. Non è e non deve essere un passaggio obbligatorio, ma deve necessariamente prevedere la disponibilità della persona interessata. Proporrei, dunque, di valutare le esperienze già in atto, in alcuni casi addirittura codificate attraverso delle convenzioni.

CLELIA CAPO, Sindacato unitario nazionale degli assistenti sociali. Ringrazio la Commissione dell'invito, che costituisce l'occasione per parlare della legge n. 194 e dei consultori. Non posso non trovarmi d'accordo con tutto quello che è stato detto finora riguardo alle azioni del consultorio che, attraverso progetti integrati tra sociale e sanitario, si muovono nella direzione del pieno rispetto della dignità della donna - direi meglio della coppia - e della sua riservatezza.
Condivido, altresì, l'analisi che rivela un aumento delle interruzioni volontarie di gravidanza nella fascia delle donne immigrate, delle nomadi e delle adolescenti.
È certamente importante svolgere un'indagine sul personale dei consultori. A parole si ribadisce da più parti la necessità di potenziare i consultori, ma nei fatti essi presentano per lo più una preoccupante carenza di personale. Per quanto riguarda la collaborazione delle associazioni di volontariato, è giusto che questa ci sia, ma prevedendo adeguati strumenti.
Al riguardo, posso riportare un'esperienza che a me sembra positiva. Lavoro in un consultorio della Campania, dove collaboriamo con le associazioni di volontariato, ma attraverso la stipula di protocolli di intesa.
Siamo sempre noi a prendere in carico la donna e la famiglia e, con azioni integrate, sempre nel rispetto dei bisogni della donna, possiamo avvalerci degli aiuti delle associazioni di volontariato. Come dicevo, operiamo attraverso protocolli di intesa, nei quali chiariamo preventivamente chi deve intervenire, quando deve farlo, e via dicendo.
Vorrei sottolineare l'importanza della prevenzione. Io lavoro presso un consultorio e in uno spazio adolescenti. Quando ci rechiamo nelle scuole, non ci rivolgiamo ai ragazzi attraverso semplici relazioni, ma lavoriamo insieme a loro; con un metodo esperienziale, cerchiamo di portare i ragazzi ad una maturazione rispetto alle scelte da compiere e di indurli a riflettere su quanto si sentano pronti ad iniziare una vita sessuale, facendo presente che questo implica una responsabilità da parte loro.
Oltre alla prevenzione, è importantissimo il ruolo dell'informazione, possibilmente in lingue diverse, considerato l'aumento delle donne straniere.
In conclusione, vorrei sottolineare la carenza di personale sociale che, come prevede anche la legge n. 328, dovrebbe lavorare in rete con i servizi del comune, con i servizi del volontariato...

FIORELLA CAVA, Presidente del Consiglio nazionale Ordine degli assistenti sociali. Personale stabile, non con contratti a trenta giorni!

CLELIA CAPO, Sindacato unitario nazionale degli assistenti sociali. Sicuramente. Personale stabile, che dovrebbe sostenere la donna e contrastare le recidive. Credo che già il rappresentante degli psicologi abbia riferito che le donne che hanno avuto diverse esperienze di interruzioni volontarie di gravidanza vengono invitate presso i consultori e aiutate ad elaborare questo loro vissuto.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire.

RICCARDO TAMBURRO. Signor presidente, desidero innanzitutto far presente che molti colleghi del gruppo di Forza Italia sono assenti perché, come lei sa, sono al funerale di un collega. Mi scuso con gli intervenuti e cercherò di rappresentare anche la posizione dei colleghi assenti.
Ho ascoltato con molta attenzione i diversi interventi e, proprio considerando lo spirito della nostra indagine, mi preme porre alcune domande. È chiaro che questa indagine ha un senso se, alla sua conclusione, riusciremo ad individuare insieme azioni da compiere o, al contrario, da evitare per migliorare l'attuazione della legge, che si traduce, ovviamente, in una riduzione del numero degli aborti.
Come abbiamo ascoltato, soltanto un terzo delle donne che si trovano ad avere una gravidanza indesiderata e decidono di interromperla si rivolgono ai consultori, mentre i restanti due terzi compiono scelte diverse. Questo è un dato che mi preme approfondire, poiché mi interessa capire quali sono le motivazioni che inducono la donna a bypassare il consultorio. Potremmo pensare che la rete dei consultori sia insufficiente, e forse in qualcuno degli interventi che abbiamo ascoltato questo dato è emerso; potrebbe anche darsi che il consultorio non offra la giusta immagine di sé, dunque non infonda le giuste sicurezze e garanzie, oppure che molte delle donne che si trovano in queste condizioni abbiano già le idee chiare in proposito, quindi ritengono di bypassare questa rete. Tuttavia, è importante rispondere a questa domanda e approfondire questo dato, per capire se, in questa direzione, è necessario prevedere degli investimenti e, nel caso, come attuarli.
Vorrei, altresì, che la risposta a questa domanda fosse accompagnata da una riflessione su un altro dato. Mettiamo da parte, per un momento, le grosse aree metropolitane e concentriamoci sulle piccole realtà. Andando a confrontare - riporto una mia esperienza -, in un dato ospedale, in una data area, in una data ASL, la residenza delle donne che decidono di praticare l'interruzione volontaria di gravidanza, ho scoperto che per la maggior parte si tratta di donne che risiedono in luoghi molto distanti dall'ospedale, spesso addirittura fuori regione. A mio parere, questo è un dato che deve far riflettere.
La mia interpretazione è che la donna, al fine di tutelare la propria privacy, preferisca praticare l'IVG in un ospedale lontano dal luogo in cui risiede, dove quindi non è conosciuta. Partendo da questa riflessione, che peraltro scaturisce dall'esperienza che ho citato, mi chiedo - e vi chiedo - se non sia necessario migliorare, nei consultori, la tutela della privacy.
A me risulta strano che i due terzi delle donne decidano di rinunciare ad un servizio gratuito, e comunque professionale. Se questo accade, una motivazione deve pur esserci. Vi prego, dunque, di riflettere su questo aspetto, che a mio avviso è molto importante.
Per quanto riguarda le recidive, nel momento in cui la donna presa in carico dal consultorio decida comunque di procedere con l'interruzione di gravidanza, assume una decisione consapevole, ma accade che, nel tempo, ripeta questa esperienza. Ebbene, vorrei capire qual è la percentuale di donne che, nonostante il passaggio all'interno del consultorio, nonostante la consapevolezza che esistono alternative quali la contraccezione, ricadono nello stesso errore di trovarsi ad affrontare una gravidanza indesiderata.
Se il fenomeno è di una certa entità, che cosa possiamo fare?

GRAZIA LABATE. Anch'io rivolgo un ringraziamento sostanziale e assolutamente non formale ai soggetti intervenuti, la cui audizione rappresenta per noi un momento molto importante, trattandosi degli operatori professionali di una struttura - il consultorio - tanto amata e tanto accusata. Mi dispiace di non aver potuto ascoltare gli interventi dei rappresentanti degli psicologi (ero impegnata in un'altra Commissione), ma ho letto gli appunti del collega Giacco.
Si rafforza ogni giorno di più la convinzione che questa indagine conoscitiva abbia una natura strumentale. Le argomentazioni che abbiamo ascoltato in questa sede fanno parte già di un bagaglio molto alto di conoscenza nel nostro paese. Attraverso internet, tutti i documenti della SIGO, dell'Ordine nazionale degli assistenti sociali e dell'Ordine nazionale degli psicologi, sono noti da anni.
Il Senato, ad esempio, a differenza di quanto abbiamo fatto noi, ha compiuto una poderosa indagine conoscitiva sul tema della maternità pubblicata in due volumi. Quanto da voi affermato oggi fa già parte di un bagaglio di conoscenze, ma credo chiami in causa la coerenza delle istituzioni e della politica.
Questo mi sembra che emerga, e tutti quanti dobbiamo constatare, ad ormai oltre trenta anni dalla entrata in vigore della legge istitutiva dei consultori, che l'obiettivo di uno ogni ventimila abitanti non è stato raggiunto.

FIORELLA CAVA, Presidente del Consiglio nazionale Ordine degli assistenti sociali. Giusto trenta anni!

GRAZIA LABATE. Esatto, dal 1975 al 2005. Purtroppo, l'obiettivo previsto dalla legge non è stato raggiunto. Con il professor Arisi si studiò, che il rapporto ottimale per offrire tutta la gamma di funzioni, che abbiamo chiamato di frontiera tra il sociale e il sanitario, doveva essere almeno di un consultorio ogni ventimila abitanti, pena il fatto che la struttura avrebbe prodotto non per la totalità delle funzioni che deve esprimere, ma per una parzialità.
Cogliendo l'occasione della presenza dei rappresentanti della SIGO, degli psicologi e degli assistenti sociali, vorrei porre alcune domande. Voi ci dite che c'è una scarsità di completezza delle figure professionali, che quando c'è questa è precaria ed avviene con forme di convenzionamento, gettonamento o quant'altro, che sull'esperienza dei ginecologi, che è un po' più strutturata, incide l'obiezione di coscienza, e in molte realtà regionali si deve fare un contratto particolare per garantire il servizio; ebbene, fatta questa premessa, vengo alle domande.
La nostra indagine conoscitiva ritaglia solo un pezzo del problema, ma noi sappiamo che la funzione consultoriale è molto più vasta, anzi, se dovessi parlare in base alla mia esperienza istituzionale, direi che i consultori hanno più affrontato il tema della maternità (progetti nascita, preparazione al parto, eccetera) che non il tema della contraccezione o dell'informazione. Vi domando, quindi, se siete d'accordo con questa mia affermazione. In tutta Italia noto una grande quantità di progetti nascita, di corsi di preparazione al parto, una grande quantità di collegamenti territorio-ospedale per produrre, anche sul parto, modalità diverse, ma la contraccezione mi sembra rimasta un po' la Cenerentola del problema, tanto che i dati ce lo confermano in termini di recidività o di giovani che non vengono raggiunte da una corretta politica informativa e di controllo della propria fertilità.
Dai vostri discorsi ho percepito che questo è il tema, ma chiederei alla SIGO e agli psicologi se è vero quanto si dice, e cioè se questa struttura ha subito un processo di sanitarizzazione forzata. La dottoressa Cava ha chiaramente esposto non la sua opinione, ma lo spirito della legge. Vedete, questa indagine conoscitiva ci sta portando una quantità di informazioni che, a me personalmente, rendono convinta che i dati e la conoscenza al riguardo già c'erano e che, a fine legislatura, è brutto fare un'indagine conoscitiva che poi non trova la necessaria coerenza. Tuttavia, la stiamo facendo e con questo spirito voglio andare avanti.
Vi domando, pertanto, in base alla vostra esperienza quotidiana, quanti casi a voi risultano su questo delicatissimo tema dell'applicazione dell'articolo 2 della legge n. 194. Ovviamente, non voglio un numero scientificamente provato, ma vorrei fare anch'io come le assistenti sociali, nel senso che è molto più importante basarsi sulla esperienzialità, trattandosi di materia tanto delicata.
Mi piacerebbe conoscere da voi, in base alla vostra esperienza, se i casi di buona collaborazione tra struttura pubblica e rete dell'associazionismo e del volontariato vi hanno portato a considerare che c'è un ripensamento della decisione da parte delle donne. Ve lo chiedo perché nelle audizioni precedenti è stato affermato un dato, non so quanto scientificamente corretto - e per questo lo chiedo a voi che fate un'esperienza quotidiana -, in base al quale, in realtà, laddove c'è questa buona collaborazione, ci sarebbe un 5 per cento della remissione della decisione iniziale di interrompere la gravidanza.
Per me si tratta sempre di un risultato positivo quando, ovviamente, non è una coazione della volontà ma è la soluzione di un problema di ordine economico, sociale o psicologico. È molto rilevante riuscire in questo intento, a patto che non vi sia suasione o coazione, ma rispetto della volontà e incrocio di possibili risposte. Mi piacerebbe molto ascoltare se davvero la vostra esperienza vi dice che, laddove collaboriamo bene, in effetti, le cose vanno meglio. Se vanno meglio, infatti, vuol dire che se, ad esempio, ho il problema della casa qualcuno mi ha aiutato a risolverlo, o se, ancora, ho un problema di lavoro precario qualcuno vi ha posto rimedio.
Dai nostri dati ufficiali e dalle relazioni ministeriali viene fuori la fascia di età, con la recidività delle giovani. Anche ieri abbiamo ascoltato il rappresentante del ministero della giustizia, e non ci pare, dai dati ufficiali, che la decisione di interrompere la gravidanza giunge perché il 99 per cento delle motivazioni sono dell'ordine di quelle di cui parlavo prima. Sarei, quindi, dell'idea di andare fino in fondo, in modo da eliminare ideologismi e strumentalità. Mi piacerebbe moltissimo capire, dalla vostra esperienza, quanto questo accade e se, effettivamente, porta dei risultati, posto che starà poi a noi tirare le conclusioni.
Mi auguro che la conclusione principale - ma purtroppo non ci riesce da cinque anni, con nessuna legge finanziaria - sia quella di incrementare le risorse economiche e le figure professionali intorno a questi servizi di frontiera che o si affermano, oppure tutto rischia di rimanere un problema insoluto a causa della mancanza della volontà delle istituzioni di affrontare, nel merito, servizi moderni confacenti ai bisogni umani, sociali e di salute che hanno i cittadini e le cittadine italiane.

TIZIANA VALPIANA. Anch'io volevo ringraziare i nostri ospiti e, nello stesso tempo, scusarmi per essere arrivata in ritardo, ma, purtroppo, i lavori parlamentari spesso si accavallano in sedi diverse. Mi scuso, quindi, per non aver ascoltato le relazioni. Fortunatamente, di questa indagine conoscitiva abbiamo il resoconto stenografico, per cui sarà mia cura leggere e apprendere le considerazioni, sicuramente interessanti, che avete svolto.
Al di là di questo, sono molto contenta dell'incontro di oggi, anche se appare bizzarro che chi, come noi, non ha partecipato alla votazione per l'avvio di questa indagine conoscitiva, astenendosi, poi partecipa di più a questi incontri e più cerca di apportare le proprie competenze e le proprie conoscenze.

PRESIDENTE. L'altro giorno ci sono stati tutti.

TIZIANA VALPIANA. Era una constatazione. Così com'era nata questa indagine conoscitiva e com'era stata dipinta sui giornali, essa voleva essere più una messa sotto accusa dei consultori familiari, piuttosto che una serie di audizioni che portassero dei risultati. Addirittura, da parte del ministro, era stato detto che, in realtà, i consultori non sono altro che dei centri di distribuzione di certificati per l'interruzione volontaria della gravidanza e che, quindi, questo ruolo era da ridiscutere, riabilitare e rinobilitare con l'inserimento dei volontari.
Quello che, invece, vedo oggi, e che mi fa molto piacere, è che finalmente riusciamo a capirci, almeno sui termini, nel senso che abbiamo discusso dell'importanza fondamentale della prevenzione per la riduzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza e abbiamo detto che la prevenzione è la contraccezione sicura.
Potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è stato, ad esempio, durante l'audizione con il ministro, il quale ci ha è detto che la sicurezza nella contraccezione - e riferisco le testuali parole del resoconto stenografico - lui la vede solo per quello che riguarda il preservativo per la prevenzione dell'AIDS e che tutto il resto non lo considera prevenzione. L'unica vera prevenzione che lui vede per l'aborto, invece, è il differenziale tra le donne che si recano alla richiesta del certificato per interrompere la gravidanza e quelle che ne escono senza, questa è la sua prevenzione. Un limite estremo, che molte volte credo che sia più una coercizione della coscienza che una risoluzione dei problemi reali.
La mia domanda, pertanto, è esattamente sulla contraccezione. Mi sembra, avendo lavorato nei consultori negli anni '70, che oggi, su questo aspetto, si sia invece tornati indietro, che ci sia molta meno diffusione - e penso alle scuole e ai luoghi dove le giovani generazioni si incontrano - delle conoscenze e delle informazioni sulla contraccezione, e questo mi fa molta paura.
Come potremmo pensare di incrementare questo aspetto? Quali professionalità, quali qualifiche, quali competenze sono necessarie?
L'altro aspetto su cui vorrei soffermarmi è quello, famoso, dell'apporto del volontariato. La parola volontariato a me non è mai piaciuta, nel senso che, spesso, il volontario offre ciò che volontariamente ritiene di dover dare e non è, invece, la richiesta dell'utenza e delle persone che porta all'offerta di ciò di cui c'è necessità.
Preferisco parlare, invece, come poi dice la legge, di associazioni, di gruppi di promozione sociale, che sono delle realtà associative di tipo strutturato e che possono garantire un apporto continuativo nel tempo. Mi piacerebbe poi che ricordassimo che non esiste solo il volontariato cattolico ma che esistono molte associazione laiche, e dire, anzi, che su questi temi sono esistite prima le associazioni laiche. L'ho già ricordato quando abbiamo sentito l'AIED, ma è stata proprio da un'audizione dell'AIED in questa Commissione, negli anni '70, che è nata l'ipotesi di introduzione del personale volontario all'interno dei consultori. Lo spirito, però, era completamente diverso e opposto, lo spirito cioè di chi, lavorando da vent'anni su quei temi - l'AIED ha aperto i primi consultori nel '53 -, si era messo a disposizione per fare da tramite ed aiutare questa nuova struttura pubblica a crearsi una filosofia di lavoro, una conoscenza, un know how, per poi scomparire, come effettivamente deve fare il volontariato.
Vi chiedo, pertanto, quale ruolo nuovo vedreste per il volontariato, e non certo quello di entrare all'interno dei consultori pubblici che, lo vediamo e l'abbiamo sentito anche oggi, hanno già competenze e capacità e hanno solo bisogno di fondi e di personale per poter lavorare, oltre ad un numero diverso di consultori, uno ogni ventimila abitanti, come appunto è previsto nella legge n. 34 del 1996. E mi piace ricordarlo, dato che quello era un mio emendamento ed è una delle poche cose buone che ho fatto durante la mia carriera parlamentare.
Che ruolo potrebbe avere, quindi, il volontariato, per indicare nuovi servizi, per aprire strade nuove rispetto alle nuove necessità?
Faccio due brevi esempi. Io vengo dal Veneto, una regione in cui, da molti decenni, ad esempio, i consultori AIED avevano convenzioni con la regione per l'attività consultoriale. Nelle ultime due legislature, con l'avvento del presidente Galan, le convenzioni sono state scisse e sono subentrati i finanziamenti a progetto, quindi andando a togliere la continuità del lavoro e non permettendo il lavoro in rete con i consultori pubblici; questo perché finanziando i progetti, si va a perdere la continuità di lavoro.
L'altra esperienza che vorrei citare è quella del centro Melograno di Verona, associazione di promozione sociale, che ha gestito lo spazio mamma-bambino nel campo nomadi della città. Un'esperienza estremamente interessante, poi conclusasi per altri aspetti legati alla politica locale, in cui, pian piano, il lavoro è stato proprio quello di aiutare le donne nomadi, attraverso la mediazione culturale, a recarsi al consultorio familiare, ad avvicinarsi a questa struttura, a farle entrare nei corsi di preparazione alla nascita, quelle incinte, a fare un discorso sulla contraccezione che non può essere, con loro, solo di tipo sanitario, ma assolutamente di tipo sociale e culturale, proprio perché molto lontano dalla loro cultura.
Io credo che il ruolo che le associazioni esterne possono avere rispetto ai consultori pubblici è quello di buttarsi un pochino in avanti, di aprire le strade, di essere tramite rispetto ai nuovi bisogni che il consultorio indica, mantenendo il consultorio pubblico come capofila e come aiuto.
L'ultima domanda - alla quale credo sia stata data già una risposta - riguarda il discorso sull'obiezione di coscienza. Io credo che l'obiezione di coscienza, che è un diritto che va garantito al singolo, non può essere un diritto della struttura. Non possono esistere strutture che fanno obiezione di coscienza. Nella mia regione, invece, ci sono, nel senso che si qualificano come mancanza di servizio pubblico che, invece, la legge garantisce, una legge a tutto tondo com'è la legge n. 194.
Come possiamo, quindi, trovare una soluzione a questo problema, dato che il servizio pubblico deve essere offerto nella sua interezza, indipendentemente dalle scelte del singolo?

LUIGI GIACCO. Per quanto mi riguarda considerati i tempi a disposizione, porrò solo due domande.

PRESIDENTE. Ne faccia una sola.

LUIGI GIACCO. Va bene, ne farò una su due aspetti. Innanzitutto quello l'aspetto della focalizzazione della prevenzione e contraccezione; da questo punto di vista penso che sia estremamente importante la funzione del consultorio, che invece viene visto in maniera negativa, o che svolge solo una funzione di certificazione.
Da questo punto di vista, ritengo che il consultorio debba sempre più avere una rivalutazione rispetto alle finalità legislative. Chiedo, quindi, ai vari operatori, psicologi, assistenti sociali e medici, come riuscire a far sì che questo avvenga. Per quanto riguarda gli assistenti sociali, chiaramente, vorrei conoscere se, effettivamente, nei consultori c'è più una prevalenza, chiamiamola così, sanitaria rispetto a quella sociale.
Un secondo aspetto riguarda il fatto che, soprattutto negli ultimi tempi, si sono verificati delle situazioni eclatanti anche dal punto di vista massmediatico, come ad esempio l'abbandono dei bambini nei cassonetti o quant'altro. Si tratta di dare la possibilità, di conoscere come la legislazione italiana permetta l'anonimato nel momento in cui si fa nascere un bambino. Da questo punto di vista il Ministero delle pari opportunità, anche dietro sollecitazione di diverse mie interrogazioni, ha già intrapreso un percorso.
Chiaramente, c'è bisogno di mediatori culturali e quant'altro per far conoscere questa situazione.

ANNA MARIA LEONE. Siccome sono una delle firmatarie della richiesta dell' indagine conoscitiva, credo di dover dare delle risposte. Anche oggi è emersa questa falsa interpretazione delle motivazioni che ci hanno portato a chiedere l'indagine. Al di là del fatto che si sia, o meno, a fine legislatura, credo che i risultati possano diventare motivo di ulteriore approfondimento, come poi dirò a conclusione del mio breve intervento, e possono altresì diventare motivo di partenza per la prossima legislatura. Faccio mie le parole del dottor Sardi, se me lo consente, quando dice che il codice deontologico degli psicologi prevede di non obbligare l'utente, la persona che a loro si rivolge, piegandola all'idea o alle convinzioni dell'operatore. Ecco, è questo lo stesso obiettivo che noi abbiamo voluto. Noi, gli esponenti della mia parte politica ma anche altri, abbiamo dei consultori, dell'applicazione della legge n. 194, un'idea di volontà di rispetto verso una legge dello Stato. E, allora, comincia a disturbarmi questa volontà di continuare a dire che noi abbiamo voluto l'indagine per scopi diversi da quelli che sono nella realtà. L'interpretazione autentica, e che chiedo che venga accettata definitivamente, è quella di fare in modo che la legge n. 194 sia applicata in tutte le sue parti.
Quanto sta emergendo da queste prime audizioni è un fatto inconfutabile: riguardo ai consultori ci sono posizioni diversificate, riguardo all'applicazione della legge ci sono diversità di interpretazione, che anche oggi sono emerse. C'è chi dice che funzionano, pur ammettendone i limiti, e questo è uno degli aspetti positivi che sta cogliendo l'indagine. Per una serie di motivi, dal 1975 in poi, i consultori sono diventati la parte povera dei finanziamenti, dei progetti, anche dei legislatori, e probabilmente anche in questa legislatura.
È da poco che sono in questa Commissione, ma non ho ancora capito, eppure l'ho letto con molta attenzione, quel progetto del quale mi ha parlato la collega Labate. Ancora non capisco perché non è stato finanziato, parlo del progetto dell'aiuto alla maternità. Indubbiamente, ci possono essere state delle inadeguatezza e non abbiamo dato delle risposte positive.
Oggi, però, emerge che anche relativamente al funzionamento dei consultori, a monte, queste contraddizioni portano a dover spiegare perché - qualche collega l'ha già posta, e io mi ritrovo in questa domanda - le donne saltano il passaggio dei consultori, e perché si cerca di tagliare i finanziamenti. Forse perché, dopo trent'anni, i consultori hanno bisogno di una rimotivazione della loro utilità e validità. Forse perché abbiamo voluto ideologizzare troppo e abbiamo voluto - chi non era d'accordo - eliminarli, o - chi invece li voleva tenere - indirizzarci solo verso un'unica direzione.
Avrei una serie di domande da porre però, purtroppo, non c'è più tempo.
Ieri, l'onorevole sottosegretario Santelli, nella sua relazione - dico questo perché è collegato con quanto detto in alcuni interventi, in più di uno, legato alle adolescenti e alle minorenni - diceva che l'80 per cento delle motivazioni che le adolescenti pongono al giudice tutelare per avere l'autorizzazione all'interruzione di gravidanza sono di ordine psicologico. Che cosa può essere effettivamente fatto - e qui mi interrogo e vengono meno tante certezze che avevo - per un'educazione alla procreazione, alla sessualità? Un'ultima domanda: quanto il passaggio alle ASL ha favorito la sanitarizzazione del consultorio?

PRESIDENTE. Non mi è ancora chiaro il rapporto tra struttura ospedaliera dove si pratica l'aborto e struttura consultoriale. Lo dico ancora in maniera più chiara: non capisco se voi preferireste che i consultori rientrino nell'ambito dell'ospedale. Quello che si evidenzia spesso è una distanza tra la struttura consultoriale e la struttura clinica, chiamiamola così. Infatti, solo un terzo delle donne passano dai consultori, due terzi no. Questi due terzi, però, sono quelli, almeno per quello che si sta evidenziando finora, per i quali, probabilmente, la prevenzione viene attuata di meno.

CLELIA CAPO, Sindacato unitario nazionale degli assistenti sociali. È la legge lo consente!

PRESIDENTE. Invito a dare una risposta organica a questi quesiti.

CARLO MARIA STIGLIANO, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Credo che, intanto, occorra acquisire un dato «forte», e cioè che le donne italiane sono molto più mature di quanto si possa immaginare, nel momento in cui a chiunque possa venire in mente che, a secondo del posto dove vanno, esse abortiscono, non abortiscono, o abortiscono di meno.
Il ricorso all'aborto, in linea di massima - non insegno ovviamente niente a nessuno e men che meno al Presidente -, è un ricorso ad un rimedio estremo. Poco incide, o può incidere, l'interfaccia rispetto a questo problema. Non si può pensare che se ci fossero strutture diverse, o se la gestione di questo problema avvenisse in un posto anziché in un altro si avrebbero risultati eclatanti in un senso o nell'altro, perché evidentemente se pensassimo questo faremmo torto alle donne italiane. Non credo che i nostri illustri rappresentanti possano minimamente pensare ciò.
Per le limature, che pure possono esserci, questo dipende, intanto, dalla competenza e preparazione del personale, dalle strutture, come ho già detto, ed anche dalla possibilità di dare una maggiore disponibilità di tempo - è il discorso degli operatori - e una maggior riservatezza.
Per quanto riguarda il discorso sul ricorso all'alternativa «zonale» per l'interruzione volontaria di gravidanza, questo risponde, ovviamente, a scelte individuali che riguardano non soltanto il posto in cui, materialmente, si opera, ma anche dove si effettua la richiesta e la messa in moto della procedura. In centri piccoli, ovviamente, è aumentato il ricorso ad una struttura diversa. Anche per chiedere un prestito ad una banca uno non va nella banca di fronte casa, ma magari va in una più in là.
Per quanto riguarda i dati, forse ci si riferiva ad un'indagine molto limitata, perché i dati ufficiali dell'ISTAT non confermano quella percezione. Attraverso i dati dell'ISTAT, letti dal ministro, l'88 per cento delle donne ricorre all'aborto nella propria provincia, quindi non c'è un grosso spostamento, c'è soltanto uno spostamento fisiologico.
Circa la richiesta del presidente per quanto concerne il discorso dell'integrazione, le aziende sanitarie e le ASL sono nate proprio per favorire questa integrazione. Laddove questo manca, la causa è un'altra. Chi vi parla porta una testimonianza, nel senso che io sono un medico ospedaliero che, da qualche anno, non è più tale, in quanto sono passato al cosiddetto territorio e dirigo il consultorio in una struttura di ginecologia preventiva, quindi faccio da trait d'union. Come diceva qualcuno, le idee camminano sulle gambe delle persone, ebbene laddove questa tradizione di integrazione territorio-azienda sanitaria-azienda ospedaliera manca, inevitabilmente c'è una dicotomia.
In questo senso si può sicuramente lavorare, ma dando anche contesti legislativi certi, che oggi mancano. Non è prevista, per esempio, una qualche corsia preferenziale - e basterebbe poco per prevederla, signor Presidente - per le donne che vengono non solo per l'aborto, ma anche per il parto. Non c'è. Non esiste nulla di codificato che avvantaggi le donne che provengono dalla struttura consultoriale, di qualunque colorazione sia, rispetto a quelle che provengono dall'ospedale. Anzi, laddove la medicina privatistica, o perlomeno l'interpretazione privatistica della medicina, come per esempio nelle regioni meridionali, è più forte, le donne che provengono dai consultori si sentono anche svantaggiate rispetto a quelle donne che provengono da studi professionali privati di professionisti che operano in ospedale.
È un compito che voi dovreste svolgere agevolmente, quello cioè di emettere regolamenti, anche semplici, di integrazione tra le strutture territoriali e quelle ospedaliere. E questo è facile da fare, rapido e a costo zero. Questa, per esempio, è un'utile ricaduta di questo tipo di incontri.
C'è, infine, un ultimo aspetto, relativo alla sanitarizzazione. Io ho rapporti con le psicologhe, con gli assistenti sociali che mi rinfacciano una certa prevalenza della struttura sanitaria. Non so se questo è, ma tutto è possibile. Attenzione, però, che se anche i consultori fossero in grado di svolgere già soltanto all'80 per cento l'aspetto sanitario, oltre che quello sociale, sarebbe comunque una conquista, nel nostro paese di una medicina pubblica, sociale, realmente vicina ai bisogni della gente. Quindi, non è un fatto negativo, anche se va bilanciato e organizzato.

EMILIO ARISI, Società italiana di ginecologia e ostetricia. Credo di dover dare tre risposte telegrafiche. Innanzitutto, essendo padre fondatore di circa 2 mila consultori italiani, vale la pena che dica qualcosa a proposito.
Io ho sempre detto una cosa molto importante. Il consultorio non basta che venga aperto, ma, con una buona operazione di marketing, esso deve continuamente dare segno di sé, proporsi e riproporsi. Questo è fondamentale, perché la gente se ne dimentica. È quanto succede, senza offesa, per qualsiasi negozio o qualsiasi impresa. Mi pare molto importante che si attui, o si faciliti, questa riproposizione continua di questa presenza sul territorio.
Rispetto al discorso delle residenze e delle recidive volevo tranquillizzare i colleghi. È già stato detto, ed io mi fido di quel che si dice nella relazione: è poca cosa, e addirittura le recidive sono meno di quanto ci si dovrebbe aspettare in termini di riproduttività biologica, basale delle nostre popolazioni.
Volevo dire, invece, una sola ultima cosa su come incrementare quel rapporto inverso tra contraccezione e aborto. Al riguardo ho scritto tante cose, il mio amico e collega Palumbo lo sa, e posso anche mandare qualcosa, se può essere di qualche interesse; dopodichè credo che sia molto importante, a mio modo di vedere, influenzare l'educazione sessuale nelle scuole, perché è lì che bisogna intervenire. Qualunque cosa si dica, purtroppo, è in quell'ambito che ci sono le difficoltà.
Io sono Presidente dell'UICEMP, che fa parte dell'IPPF - una nostra rappresentante è venuta nei giorni scorsi -, ebbene, le associazioni federate nell'IPPF, nel nord Europa, hanno fatto un'operazione di questo tipo, proponendosi di agire sull'educazione sessuale negli adolescenti, e hanno valutato nel tempo, sul campo, come l'abortività negli adolescenti si riduca, e mi ricollego a quanto detto prima.
Ci sarebbero, poi, altre cose interessantissime a cui rispondere, ma non voglio rubare tempo ai colleghi.

PIETRO ANGELO SARDI, Presidente Ordine nazionale degli psicologi. Vi vorrei, intanto, ringraziare per le precisazioni fatte, perché, visto l'andazzo giornalistico, riferirò volentieri ai colleghi che non si trattava di una inquisizione, nel modo più assoluto. I problemi sono emersi, come ad esempio quello della riservatezza, di quel 70 per cento che non si rivolge ai consultori, eccetera.
In questo senso, visto che l'indagine è veramente utile in questo senso, vorrei mettere a disposizione la struttura ordinistica, dove pure ci sono problemi di riservatezza. Sul problema della pedofilia e degli abusi, ad esempio, stiamo collaborando, come ordine, con il Ministero delle pari opportunità, per fare emergere i problemi che anche negli studi privati dei nostri colleghi alla fine vengono conosciuti.
A volte, ad esempio, si sa come è andato un aborto dieci anni dopo, perché dieci anni dopo viene fuori un sintomo che ritorna, e il fenomeno può essere ridescritto a posteriori.
E questo, se credete, si può fare senza oneri. Noi, come ordine, lo stiamo facendo senza oneri in collaborazione con le organizzazioni sindacali che possono, invece, essere più utili sulle disfunzioni del rapporto con le altre organizzazioni di volontariato, e sui problemi che emergono.
Si può dare una risposta a tutte le bellissime domande che abbiamo ricevuto, veramente interessanti, se si raccolgono tutte, vanno a finire in un questionario, che molto banalmente l'ordine pubblica sul suo bollettino, l'intera classe - in questo caso dico degli psicologi, ma penso anche agli assistenti sociali, ai ginecologi e agli altri colleghi - raccoglie le risposte, ebbene a questo punto, davvero, questa indagine sarebbe un grosso passo in avanti. Certamente, meriterebbe più tempo; nel caso della pedofilia, ad esempio, abbiamo avuto bisogno di parecchio tempo per convincere i colleghi a rispondere, ma quel che viene fuori alla fine è nuovo e diverso, e non viene fuori dalle indagini sociologiche, né dalle statistiche.

MARIO SELLINI, Segretario generale dell'AUPI. Volevo semplicemente rispondere alla domanda che ci ha rivolto il presidente dopo l'intervento, e cioè cosa pensiamo della collaborazione con il volontariato, domanda che è stata riproposta, successivamente, in altri interventi.
In primo luogo, la legge n. 194 credo che dica già chiaramente che tutto questo è possibile, non solo, ma viene realizzato laddove la realtà sociale consente di operare in questo modo. In realtà sociali dove, però, non esistono queste risorse, diventa pura fantasia operare un'integrazione di questo tipo.
Il volontariato, laddove esiste, credo debba intervenire, anche e soprattutto, all'esterno del servizio. Questo perché la donna chiede di interrompere la gravidanza per motivi importanti, in relazione al suo stato di salute, in relazione alle condizioni economiche, sociali, o familiari.
Le risposte a questo tipo di problematiche non sono risposte che può dare il servizio consultoriale, sono risposte che deve dare il contesto sociale nel quale si opera. Se, però, c'è una riduzione dei servizi sociali nei comuni, nelle realtà locali, per problemi oggettivi, che sono quelli economici, credo che non sia un'operazione corretta riportare queste tematiche all'interno del servizio, solo perché non si riesce a dare risposte fuori dal servizio. Creeremmo, cioè, un posto dove riportare tutti i problemi, senza risolverne nessuno. Ben venga, quindi, la collaborazione, laddove il volontariato esiste ed esiste bene. Non ci sono preclusioni di nessun tipo.
Non facciamo l'errore, però, di sostituire il consultorio con il volontariato, o di integrare con il volontariato quelle figure professionali, o quelle attribuzioni che la legge attribuisce al consultorio e che questo non presenta: faremmo un'operazione che non risolve i problemi.

PRESIDENTE. Nessuno vuole che il consultorio si carichi di questioni che spettano ai comuni, ai servizi sociali o ad altri. Si tratta di aiutarli, eventualmente, anche nell'indirizzo da dare.

FIORELLA CAVA, Presidente Consiglio nazionale Ordine assistenti sociali. Visti i tempi e le sollecitazioni a chiudere, vorrei essere brevissima, ma sulla linea della propositività. Intanto, l'idea che è stata lanciata del questionario, possibilmente anche congiunto, è da vedere, anche eventualmente insieme ad uno slogan, ad un questionario parlamentare. So che non è possibile, potrebbe essere frutto di un'intesa o di un accordo, ma mi sembra che i tempi dell'indagine siano molto ristretti. Probabilmente si tratterà, se c'è la disponibilità...

PRESIDENTE. Può essere un indirizzo che dà l'indagine.

FIORELLA CAVA, Presidente Consiglio nazionale Ordine assistenti sociali. La prima fase dell'indagine potrebbe prevedere, se la Commissione è d'accordo, l'invio di un documento.
Per quanto riguarda, invece, il maquillage dei consultori, l'appetibilità dei consultori sul territorio...

PRESIDENTE. Il documento sarà pubblicato...

FIORELLA CAVA, Presidente Consiglio nazionale Ordine assistenti sociali. Sto dicendo che c'è la necessità, non solo per i consultori ma per qualsiasi attività, di un rinnovo di motivazioni, di un rinnovo organizzativo, di un potenziamento di obiettivi, di tutta una serie di questioni.
Effettivamente, per un bel po' di tempo, si è verificata, ma spero si stia superando, una certa sanitarizzazione dei consultori. Il fatto stesso che l'attività consultoriale è stata l'ultima ad essere passata dall'ente locale al servizio sanitario nazionale, la può dire lunga, quindi, c'è anche questo aspetto di cui tener conto. Bisogna considerare, inoltre, che se il consultorio ha lo spirito, la funzione, l'obiettivo di un consultorio, esso deve funzionare da consultorio, altrimenti non lo è, e ci diciamo, con buona pace di tutti, che l'Italia non può consentirsi il sopravvivere dei consultori.
Così, però, non è, poteva probabilmente avviarsi in questo senso, ma c'è stata una iniezione, a nostro parere, di rivitalizzazione, con tutto il fiorire e il potenziale delle cosiddette leggi a progetto, fra cui anche quella sui minori, la legge n. 285. E non è poco importante rilevare che la legge n. 328, che purtroppo presenta luci, ombre, lacune e quant'altro, comunque dà la possibilità, a chi vuole e a chi può, di fare il maquillage anche al consultorio, con i piani di zona.
Quello è il luogo principe dove si vedono le linee programmatiche sanitarie, le linee programmatiche sociali, si incrociano le risorse e si attiva, anche a livello di programmazione, il volontariato. Secondo noi, quindi, il pensiero di fare ulteriori linee per immettere nuova linfa - vedi i consultori - potrebbe essere già esistente, già operante, e magari, forse, dare un avvio migliore all'implementazione della legge n. 328.

LUISA SPISNI, Consiglio nazionale Ordine degli assistenti sociali. Per ciò che riguarda la scarsa affluenza delle donne al consultorio, direi che va dato per scontato che esiste già una percentuale di donne che non ricorrono al consultorio perché hanno già le loro idee. Il consultorio, come dice la parola stessa e come deve essere, è un luogo dove si può affrontare un problema che, probabilmente, può avere anche uno svolgimento diverso, proprio perché ci sono tanti interlocutori possibili. Io suppongo, però, che ci sia già un numero di donne che ha le idee chiare che vanno rispettate.
L'altra questione è quella del maquillage. Io credo che il consultorio, in certe realtà, sia rimasta una specie di orfanella con i vestiti un po' logori. In questo caso va sicuramente rivisitato, anche attraverso nuovi strumenti, come internet e quant'altro. Si tratta semplicemente di volontà politica, e non altro.
Per quanto riguarda il personale è già stato detto tutto quel che si poteva dire, aggiungerei che è importante che non venga assolutamente superata l'idea di questo spazio. Il consultorio può essere veramente uno spazio importante per le donne, prima di tutto per quelle che hanno veramente bisogno di potervi accedere e di sentirsi accolte. Non accettiamo, per il solo fatto che ci sono dei problemi, il pensiero che il consultorio non vale. Sicuramente va rivisto, anche perché trent'anni, signori, sono tanti, ed anche perché sono intervenuti fenomeni nuovi e nuove tecnologie che vanno considerate.

PRESIDENTE. A me non rimane che ringraziare tutti gli intervenuti per il contributo offerto e augurare buon Natale e un felice anno nuovo.

La seduta termina alle ore 16,25.