Ritorna a RIFORMA DEI SERVIZI SOCIALI


Relazione Signorino e dibattito, in occasione dell'approvazione - 2000

(dai resoconti parlamentari)


ELSA SIGNORINO, Relatore per la maggioranza.
Onorevoli colleghi, il testo unificato che la XII Commissione presenta all'Assemblea costituisce la legge quadro di riforma degli interventi in materia di assistenza e rappresenta uno dei tasselli fondamentali della innovazione dell'attuale sistema di welfare.
Un sistema socio-economico civile e pluralistico richiede che l'ordine economico non sia separato da un ordine sociale capace di perseguire nel concreto le esigenze della cittadinanza sociale di riconoscere, insieme al merito, protezione in particolare per i più deboli. Protezione, come sinonimo di un moderno concetto di solidarietà, come forma di "Stato sociale", che opera meccanismi correttivi dei fattori di distorsione del sistema sociale, promuove inclusione e lascia spazio allo spirito di impresa anche all'interno dello stesso welfare, trasformandolo in organizzazione non burocratica, flessibile, contenuta nei costi e misurabile in termini di efficacia e di qualità.
I maggiori studiosi del welfare individuano lo Stato sociale secondo la interrelazione di tre parametri: benefici occupazionali, benefici fiscali, benefici in servizi. La loro combinazione ed assunzione a carattere normativo definisce le forme di Stato sociale adottate da un paese.
In base a tali presupposti, e in risposta alla crisi di efficacia e fiscale dei sistemi di welfare nell'ultimo quinquennio, gli Stati dell'Unione europea hanno avviato e portato a termine processi di riforma sia sul versante dell'assistenza sanitaria che della previdenza e dei servizi alla persona.
Anche in Italia ha preso avvio un importante processo di riprogettazione del welfare caratterizzato dalla riforma del sistema pensionistico del 1995, dalla recente approvazione riforma ter del servizio sanitario, dalla disciplina del federalismo amministrativo di cui alle leggi Bassanini, dalla sperimentazione di misure innovative sul versante delle politiche sociali e di contrasto della povertà.
Portare a compimento tale processo è condizione necessaria ed indispensabile per rendere più equa e competitiva la società italiana.
A questo obiettivo risponde la presente proposta di riforma.
Essa intende ridefinire il profilo complessivo delle politiche sociali superando in radice i fondamenti categoriali su cui, ancor oggi, si regge, nel nostro paese, il sistema delle prestazioni socio-assistenziali.
Con la legge in esame si vuol segnare il passaggio da una accezione tradizionale di "assistenza", quale luogo di bisogno che possono essere discrezionalmente soddisfatti, ad una accezione di protezione sociale attiva, luogo di esercizio della cittadinanza. Il tutto secondo i principi di un moderno universalismo selettivo orientato alla costruzione di un sistema integrato di servizi e prestazioni, un sistema a più protagonisti, istituzionali e della solidarietà, caratterizzato da livelli essenziali di prestazioni, accessibili a tutti, in particolare a chi vive in condizioni di fragilità, un sistema finanziato per il tramite della fiscalità e partecipato nei costi dai cittadini secondo criteri di equità sostanziale. Un sistema capace di mettere in campo un ventaglio di opportunità, connotato da un equilibrio più avanzato fra servizi e trasferimenti economici, con percorsi flessibili e personalizzati a misura delle persone e delle loro famiglie. Un sistema non più residuale, e perciò stesso più capace di dar risposte anche alle esigenze peculiarmente tutelate dal dettato costituzionale di cui all'articolo 38.
Se il necessario processo di riprogettazione del welfare nel nostro paese nasce anche dalla necessità di realizzare maggior equità fra le generazioni e fra i sessi, non di contrapposizione tra "padri" e "figli" c'è bisogno, bensì della costruzione di un nuovo patto di solidarietà. La proposta in esame ha, anche da questo punto di vista, rilevanti implicazioni, contribuendo alla costruzione di un sistema di welfare più simmetrico.
In una società a forte tasso di invecchiamento con acuti processi di denatalità, la definizione di moderne politiche di sostegno all'esercizio delle responsabilità di cura è decisiva ai fini della realizzazione di pari opportunità per le donne e per i più giovani. Peraltro, un maggior investimento nei servizi alla persona, anche per il tramite dello sviluppo delle nuove forme di imprenditoria sociale, rappresenta una straordinaria occasione di nuova occupazione e di sviluppo, in particolare nel sud del paese.
La regolazione del settore rinvia, nei suoi fondamenti, alla legge Crispi del 1890. Il decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 ha introdotto importanti modificazioni nell'accezione di assistenza e beneficenza pubblica derivata dagli articoli 38 e 117 della Costituzione, in particolare per quanto concerne il concetto di "servizi sociali".
La legge n. 59 del 1997 ed il decreto legislativo n. 112 del 1998 hanno ulteriormente perfezionato il processo con la riconduzione della nozione di servizi sociali alla più ampia definizione di servizi alla persona e alla comunità.
La legge in esame costituisce il naturale completamento dell'evoluzione normativa già in corso e la condizione per il definitivo superamento della disciplina del 1890.
Dal punto di vista dello stato degli interventi socio-assistenziali in atto, anche per effetto del prolungato vuoto normativo nazionale, si registra, nel nostro paese, una situazione caratterizzata, innanzitutto, da un'accentuata disparità dei sistemi locali quanto a erogazione di prestazioni e modalità di accesso alle stesse, con l'effetto di rendere il luogo di nascita o di residenza fattore discriminante per la soddisfazione dei bisogni sociali.
In secondo luogo, si registra una situazione caratterizzata da prestazioni erogate in ragione dell'appartenenza ad una categoria con effetti di difformità di risposte a parità di bisogni anche nel versante dei trattamenti economici continuativi derivanti da invalidità, età, mancanza di reddito.
Si rileva, poi, un accentuato squilibrio, nel sistema delle prestazioni, tra trasferimenti economici e servizi pressoché inesistenti in intere aree del paese.
Esiste, inoltre, una situazione di frammentazione ed incertezza nella titolarità delle competenze istituzionali, disseminate a livello centrale su più ministeri, con effetti di diseconomicità e inefficacia per l'intero sistema.
Si rilevano, infine, interventi non sempre e non ovunque capaci di misurarsi con aspettative e bisogni mutati, anche in relazione alle trasformazioni demografiche e alle nuove strategie di convivenza familiare, segnate da una sempre più difficile conciliazione fra impegni di cura e impegni professionali, all'origine dello scarto crescente fra desideri e decisioni procreative.
La situazione descritta trova riscontro nella composizione della spesa sociale che, quanto a incidenza percentuale sul prodotto interno lordo, si caratterizza per un dato inferiore alla media europea.
Al suo interno la spesa sociale in senso stretto, che ammonta a circa 30 mila miliardi, si caratterizza per una netta prevalenza degli impieghi per trasferimenti economici a scapito dei servizi, che ammontano solo al 10 per cento dell'ammontare complessivo. Di tale quota il 70 per cento è a carico dei comuni, il 20 per cento delle regioni, il 10 per cento dello Stato. Gli emolumenti per l'invalidità ammontano a circa 16 mila miliardi.
Ulteriore elemento di riflessione è rappresentato dalla spesa pro capite, pari ad 85 mila lire a livello nazionale, con punte di 205 mila lire nella provincia di Trento e di circa 21 mila lire in Calabria.
Crescente è il livello della spesa sostenuta direttamente dai cittadini per l'acquisizione di prestazioni, stimata per difetto intorno ai 10 mila miliardi annui.
In conclusione, la quantità della spesa sociale propone l'esigenza di una diversa composizione della spesa complessiva per il welfare nel nostro paese; la sua qualità interna postula processi di ricomposizione, riordino e qualificazione ai quali intende dare risposta la legge in esame.
Con la riforma in oggetto, si intende creare la condizione per qualificare la spesa già esistente, accrescerne - in relazione alle compatibilità complessive di bilancio - l'incidenza sul prodotto interno lordo, fare della spesa sociale pubblica un volano capace di mobilitare altre risorse (fondazioni bancarie, risorse dell'Unione europea, terzo settore, patrimoni IPAB e risparmio privato).
Veniamo alle politiche sociali come fattore di sviluppo e di nuova occupazione. Il grado di sviluppo di un paese si misura sul versante dei tradizionali indicatori economici, ma anche, e non meno, in relazione alla sua dotazione di servizi, siano essi scolastici, formativi al lavoro o sociali.
In epoca di straordinarie innovazioni tecnologiche e grandi mutamenti nell'organizzazione del lavoro e della vita quotidiana, diventa dirimente la capacità di coniugare insieme il binomio libertà-equità, con l'abbattimento delle barriere che a tutt'oggi ingessano la società italiana a discapito dei più giovani e delle donne, ma anche e contestualmente con la promozione di nuove reti di solidarietà e di inclusione. La coesione sociale appare sempre più non solo un segno distintivo e irrinunciabile della nostra civiltà, ma anche uno straordinario fattore di competitività economica. In questo quadro, il presente progetto di legge di riforma si inserisce, a pieno titolo, nelle strategie di promozione della qualità sociale e dunque dello sviluppo complessivo del paese. Essa ha, come già detto, forti implicazioni sul versante della promozione di nuova occupazione.
Già il piano Delors individuava nell'imprenditoria sociale uno strumento per accrescere, a fronte dei mutati bisogni delle persone, l'offerta di servizi, stimando la possibilità di creare, per questa via, circa 3 milioni di nuovi posti di lavoro nei paesi dell'Unione europea.
Una ricerca del CNR rivela che in Italia, negli ultimi anni ottanta, le iniziative del terzo settore hanno determinato una crescita dell'occupazione pari al 39 per cento, mentre per l'intera economia il dato registrato è stato pari al 7,5 per cento.
Da un'indagine condotta nei sette paesi più industrializzati emerge che il non profit negli altri paesi concorre al PIL per il 4,6 per cento, mentre in Italia tale concorso non supera l'1 per cento.
Il più forte investimento nella produzione di servizi, che è e resta, in primo luogo, una misura di efficacia, concepita per accrescere le opportunità di vita delle persone più fragili e delle loro famiglie, intende, come già detto, anche aprire spazi nuovi di iniziative nell'economia sociale. In questa direzione si muovono anche gli indirizzi per le agevolazioni fiscali per le spese di cura per bambini ed anziani non autosufficienti e le norme di raccordo e integrazione della mutualità integrativa socio-sanitaria contenuta nel presente progetto di legge.
Passando ad illustrare i principi e contenuti del testo unificato, dirò innanzitutto che oggetto della presente proposta di riforma è la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, un sistema di protezione attiva, capace di mettere in campo più opportunità - servizi, trasferimenti economici, buoni servizio - a sostegno delle persone e delle famiglie. Il progetto di legge disegna un sistema di welfare comunitario, caratterizzato da una forte opzione federalista.
Poiché i diritti sociali devono poter essere esercitati in condizioni di pari opportunità sull'intero territorio nazionale, la legge, fermo restando il principio dell'autonomia organizzativa dei sistemi locali, mette in capo allo Stato l'individuazione di livelli essenziali di prestazioni, da definirsi per il tramite del piano sociale triennale.
Ai comuni, in virtù della capacità propria dei governi locali di mobilitare attorno alla costruzione del sistema di protezione sociale le risorse dell'intera comunità, viene attribuito un ruolo di governo, o meglio di "regia", anche per il tramite di una compiuta ricomposizione in capo ad essi di tutte le competenze in materia.
Sono previsti, altresì, a fini di efficacia ed economicità, incentivi per l'associazionismo fra comuni, e la conferma del ruolo di programmazione in capo alle regioni con modalità concertate con gli enti locali.
Se è vero che esiste una correlazione stringente fra welfare comunitario e federalismo, essa postula anche, senza alcun dubbio, un'accezione di sussidiarietà cosiddetta "orizzontale".
È acquisizione largamente condivisa quella per la quale la titolarità delle funzioni pubbliche non comporta necessariamente la gestione delle stesse in capo ai pubblici poteri. In sintonia con tale assunto il progetto di legge indica, fin dall'articolo 1, quali attori fondamentali e insostituibili del sistema di protezione sociale, i soggetti del terzo settore, del privato sociale, le forme di autorganizzazione dei cittadini. Se la titolarità pubblica diventa, dunque, prevalentemente una titolarità di governo, essa si esplicita, in primo luogo, nell'esercizio di funzioni di regolazione. Di regole condivise, di qualità e di controlli di efficacia ha bisogno il sociale; deve trattarsi di regole a tutela dell'effettivo esercizio dei diritti di cittadinanza sociale, in particolare per le persone più fragili. Ma di regole condivise e di qualità ha bisogno anche la concertazione fra pubblico, terzo settore, soggetti della solidarietà. Il progetto di legge in discussione indica nella concertazione, nella partnership, un'autentica risorsa per la costruzione del sistema di protezione sociale. Ma l'accezione di sussidiarietà orizzontale che la legge propone è impegnativa ed esige una reciproca assunzione di responsabilità, propone nuovi compiti per i pubblici poteri non meno che per i soggetti della solidarietà, propone nuove sfide agli uni e agli altri. È un'accezione diversa rispetto a quella più povera che teorizza il ritrarsi del pubblico chiamato al più a intervenire a posteriori sul versante della sola copertura della spesa. Il progetto di legge sceglie un'accezione di sussidiarietà orizzontale ricca in sintonia con il convincimento che un nuovo welfare si costruisca anche su un equilibrio più avanzato tra diritti e doveri di cittadinanza.
Le norme in esame, nel definire il profilo del sistema integrato di servizi e prestazioni sociali, prevedono, per il tramite di una delega al Governo, il riordino degli emolumenti economici di natura assistenziale, in coerenza con il principio di separazione tra assistenza e previdenza. Posto che le prestazioni economiche assistenziali costituiscono diritti soggettivi esigibili, che è assoluta, e diversamente non potrebbe essere, la salvaguardia dei diritti acquisiti e che le norme sul fondo sociale garantiscono specifica finalizzazione, nonché capienza adeguata alla copertura degli emolumenti in parola, il riordino si prefigge l'obiettivo di ridefinire la missione degli emolumenti e di superare le disparità di trattamento ad oggi presenti.
Di natura dichiaratamente programmatica sono le previsioni sul reddito minimo di inserimento come misura di contrasto della povertà.
Il progetto di legge anticipa i tempi della verifica della sperimentazione già in atto ai sensi del decreto legislativo n. 237 del 1998, in vista dell'adozione a regime dell'istituto, nelle forme e nei modi che risulteranno opportuni anche a seguito delle risultanze dell'esperienza in corso.
Il progetto di legge persegue, altresì, come già detto, l'obiettivo di potenziare l'offerta di servizi alla persona, anche in relazione alle nuove domande sociali.
In questa direzione si muovono, in particolare, le norme sulla destinazione annuale di risorse del fondo sociale per la realizzazione di servizi di assistenza domiciliare agli anziani non autosufficienti. Norme tanto più significative perché correlate e aggiuntive rispetto agli impegni a carico del fondo sanitario nazionale derivanti dall'assunzione, nei livelli essenziali della sanità, delle prestazioni ad alta integrazione di cui al decreto delegato adottato ai sensi della legge n. 419.
Una forte e significativa rilevanza il testo riserva, poi, allo sviluppo delle politiche familiari, tese a promuovere e a sostenere, in sintonia con i nuovi impegni e le nuove strategie di convivenza familiare, la condivisione della responsabilità di cura.
Il ruolo e le responsabilità delle famiglie vengono valorizzati in termini propositivi come interlocutori attivi del sistema di protezione, promotori di coesione sociale, di mutuo aiuto e cooperazione, nonché come "produttori" di progetti per l'offerta di servizi.
In particolare, si prevede il riconoscimento del ruolo svolto dalle famiglie impegnate nella cura dei bambini, nella cura dei non autosufficienti e ancora nell'accoglienza, nella forma dell'affido, di persone in stato di abbandono. Sono previsti, allo scopo, specifici benefici di carattere economico, ivi compresa la possibilità di detrazioni fiscali a compensazione di carichi familiari gravosi, e servizi di sollievo e sostegno domiciliare per integrare il carico assistenziale sostenuto dai componenti del nucleo familiare. Da ultimo, sono previsti prestiti sull'onore per agevolare, per le famiglie monoparentali con figli o per le gestanti in situazioni di disagio, il superamento di stati di difficoltà temporanea.
Altresì rilevante, nelle disposizioni in esame, è la riforma delle IPAB.
L'obiettivo di costruire il sistema integrato di servizi e prestazioni sociali postula la necessità di una piena valorizzazione di tutti gli attori sociali.
Le IPAB sono, per storia e tradizione, un rilevante attore sociale. Dal censimento avviato dal ministro per la solidarietà sociale emergono dati significativi: il loro numero è, ad oggi, ancora rilevante, sono circa 4.200, con patrimoni stimati in 37 mila miliardi, gestiscono servizi residenziali per anziani pari a circa un terzo dei posti letto, per un totale di 67 mila utenti, hanno entrate per prestazioni di servizio derivate per il 44 per cento dai bilanci pubblici, sono amministrate per circa due terzi da amministratori di nomina pubblica.
Il progetto di legge intende fare uscire le IPAB da quella sorta di zona "grigia" nella quale hanno finito per essere confinate per effetto del perdurare di una normativa - la legge Crispi - assolutamente datata.
I princìpi direttivi per l'esercizio della delega al Governo, resasi necessaria per la difficoltà di normare in legge, in dettaglio, un universo complesso e differenziato al suo interno, si fondano sul binomio: pieno inserimento delle IPAB nella rete locale di servizi e messa in valore della loro autonomia. E ciò anche per il tramite dell'adozione di profili istituzionali e modalità di gestione mirate alla produzione efficiente di servizi. Si segnalano, fra gli altri, per le loro implicazioni innovative, i principi direttivi sulle IPAB che gestiscono esclusivamente patrimoni, quelli sulle IPAB inattive, sulla possibile separazione della gestione dei patrimoni dai servizi, sulla previsione di adeguate forme di controllo. L'assunto di fondo è che i patrimoni finanziari e di competenza delle IPAB devono essere compiutamente finalizzati, nel rispetto della volontà dei fondatori, alla produzione di servizi di qualità, all'interno della rete locale di interventi e servizi sociali.
Una notazione sulla legge in riferimento alla disciplina delle professioni sociali è d'obbligo. Tale disciplina appare necessaria, direi indispensabile; addirittura dirimente, ai fini della qualità delle prestazioni, è l'individuazione della formazione continua degli operatori come funzione permanente.
Per il tramite della valorizzazione delle tecniche del servizio sociale professionale, considerato uno dei livelli essenziali di assistenza che ogni ambito territoriale deve assicurare ai cittadini del proprio territorio, si è infine inteso riconoscere alla figura dell'assistente sociale una sorta di ruolo "chiave", di vera centralità nella costruzione della rete.
Da ultimo, una legge che intende mettere in campo più opportunità per le persone e le famiglie non può esimersi - è questo il senso di più disposizioni - dal normare, in termini adeguati, moderni strumenti di garanzia per i cittadini.
Onorevoli colleghi, giunge oggi all'attenzione dell'Assemblea un testo che è frutto di un ampio e impegnativo lavoro istruttorio condotto dalla XII Commissione. Abbiamo iniziato il 1 ottobre 1996; l'istruttoria ha preso avvio e si è sviluppata sulla base di proposte di legge di iniziativa parlamentare; da ultimo, nel maggio del 1998, è giunto il contributo del Governo.
Voglio sottolineare questo tratto peculiare dell'iter giacché corrisponde alla volontà tenacemente perseguita dall'intera Commissione di procedere in un ambito così arduo e complesso per il tramite di una legge ordinaria. C'è in questa scelta, diciamo così, un punto di onore per tutti noi; un onere e un onore comuni: dimostrare la capacità di questo Parlamento di condurre in porto per vie rigorosamente ordinarie un'importante legge di riforma.
Non riprendo in questa sede, rinviando alla relazione scritta, le tappe del nostro lavoro che mi limito a rammentare per titoli: l'ampia indagine conoscitiva che è stata condotta; il convegno che è stato fatto in collaborazione con il CNEL, nell'aprile del 1998; le missioni nei paesi europei che più stanno innovando i loro sistemi di welfare. Il progetto che ci accingiamo a discutere è, come abbiamo già detto, ambizioso ed è dunque legittimo interrogarsi a fondo sulla sua sostenibilità economica.
Ho ritenuto opportuno allegare alla relazione la nota illustrativa inviata dal Governo alla V Commissione. Per parte mia mi limito a ribadire, in questa sede, che compito della normativa in discussione è creare le condizioni per il riordino, la qualificazione e l'incremento della spesa pubblica nel settore. Ma compito di questa legge è anche fare della spesa pubblica uno straordinario volano moltiplicatore di tutte le risorse a diverso titolo presenti nel comparto sociale (da quelle comunitarie alle fondazioni bancarie).
Il DPEF adottato dal Governo indica nel finanziamento della legge una priorità per il prossimo triennio ed esiste l'intendimento dichiarato dal Governo di dotare questa legge, con la prossima finanziaria, di risorse per mille miliardi, rigorosamente aggiuntive e finalizzate alla realizzazione della rete.
Onorevole ministro, ci sono dunque le condizioni per procedere con lo sguardo rivolto alle disposizioni che la prossima legge finanziaria metterà in campo. Ho già detto quanto ampio e costruttivo sia stato il confronto in Commissione. Poiché tutti conveniamo che quello in esame è un provvedimento di legge di civiltà necessario, l'auspicio che rivolgo ai colleghi è che si possa giungere, nel più breve tempo possibile, alla sua definitiva approvazione (Applausi dei deputati dei gruppi democratici di sinistra-l'Ulivo, dei popolari e dei democratici-l'Ulivo e comunista).

ALESSANDRO CÈ, Relatore di minoranza
Signor Presidente, colleghi, dopo aver ascoltato la relazione per la maggioranza dell'onorevole Signorino, non posso far altro che confermare le impressioni che ho avuto durante tutto il lunghissimo dibattito svoltosi in Commissione.
Nessuno può non condividere l'intento di questo provvedimento; mi sembra che, da un punto di vista descrittivo e programmatico, si tratti di un testo scritto bene, ma che, come al solito, presenta l'impronta demagogica e la caratteristica virtuale alla quale ci hanno ormai abituato le leggi presentate da questa maggioranza. In caso contrario, non avrei ritenuto opportuno presentare un testo alternativo che, partendo dall'analisi approfondita svoltasi in Commissione, si prefigge l'obiettivo di essere più concreto e pragmatico, non delineando solo i grandi obiettivi, ma mettendo a punto una legge che riesca realmente a tradurli in concreto.
Iniziamo parlando dell'incongruenza di alcuni dati contenuti nell'impostazione del testo presentato dall'onorevole Signorino, innanzitutto per quanto riguarda il diritto di accesso. È chiaro che quando si affronta il discorso relativo all'assistenza e quando si parla di livelli essenziali (come definiti dal piano nazionale, sulla base delle indicazioni generali contenute nell'articolo 22 relativo alla rete integrata dei servizi sociali) si deve tener conto di chi avrà diritto ad accedere a questo sistema di servizi. L'impostazione del testo presentato dal relatore per la maggioranza tiene in considerazione le esigenze universalistiche di tutti i cittadini italiani. Crediamo sia senz'altro un'impostazione condivisibile, ma che non possa essere concretizzata perché non disponiamo delle risorse finanziarie per poter ottenere realmente questo risultato. E proprio in chiusura del discorso dell'onorevole Signorino ne ho avuto conferma, laddove si dice che probabilmente vi saranno risorse aggiuntive di mille miliardi: anche in questo caso, pensiamo che ciò sia difficilmente realizzabile, considerato il continuo contenzioso che caratterizza il rapporto tra i membri del Governo sul documento di programmazione economico-finanziaria. Ma cosa sono mille miliardi per coprire esigenze finanziarie che si attestano attorno ad almeno 80 mila miliardi? Dunque, quando parliamo di diritto d'accesso dobbiamo fare un riferimento preciso all'articolo 38 della Costituzione, garantendo che almeno per questi soggetti i diritti siano realmente esigibili e non solo parole "buttate" su un testo normativo che non farà altro che - e questo si legge ancora tra le righe del testo stesso - sollevare rivendicazioni che i cittadini non vedranno esaudite. Quando nel testo, onorevole Signorino, si parla di tutela delle posizioni soggettive e non si dice che si tratta di diritti esigibili, appare chiaro che non si ha nessuna intenzione di dare una risposta concreta e corretta a tutti i soggetti, per lo meno a quelli indicati dall'articolo 38 della Costituzione. Sono piccolezze, ma si notano in questo testo e sono frutto, appunto, della demagogia che guida il testo stesso. Quando parliamo di diritto d'accesso diamo la sicurezza di usufruire di questi servizi e di queste prestazioni economiche ai soggetti dell'articolo 38, ma nel contempo prevediamo che possano essere erogati interventi e servizi sociali aggiuntivi che saranno eventualmente garantiti da risorse aggiuntive rispetto a quelle stanziate dal fondo sociale, altrimenti - lo ripeto - non facciamo altro che demagogia.
Per quanto riguarda le modalità di finanziamento, nell'articolo 22, che concerne la definizione della rete integrata di servizi e che rimanda all'articolo 18 (in cui si stabilisce espressamente che in rapporto alle risorse disponibili di anno in anno verranno fissate le caratteristiche dei livelli essenziali di assistenza), di fatto, non ritroviamo una specificazione di questi livelli essenziali. Si tratta, ancora un volta, di una norma di tipo programmatico, di indirizzo, che non dà origine a diritti realmente esigibili. Nel nostro testo, proprio perché alternativo, abbiamo fissato invece, all'articolo 18, alcuni punti che debbono costituire livelli essenziali, che abbiamo definito non riducibili, che debbono essere concretizzati e verso i quali il cittadino ha un diritto esigibile vero e proprio. Poiché riteniamo che il
livello assistenziale debba essere garantito e assicurato dalla fiscalità generale e che questo compito debba essere assolto dallo Stato, abbiamo anche rapportato l'elencazione dei livelli essenziali non riducibili - cioè i diritti esigibili - al fondo sociale nazionale.
Un altro aspetto del testo presentato dall'onorevole Signorino che non ci convince assolutamente riguarda le modalità di valutazione del fondo sanitario nazionale, che dovrebbero essere basate sull'analisi della struttura demografica, del reddito e dei livelli occupazionali. Crediamo invece che questa valutazione debba essere basata sul numero degli anziani, dei disabili e dei minori presenti percentualmente sul territorio di ogni singola regione.
L'altro parametro che deve essere tenuto in considerazione è unicamente quello del reddito, in quanto il livello occupazionale si traduce automaticamente in reddito personale. Peraltro, anche per quanto riguarda il reddito abbiamo introdotto un criterio fondamentale di giustizia e di non discriminazione, ossia che il reddito venga calcolato sulla base del costo reale della vita, valutato secondo indici di consumo a livello provinciale.
Anche per quanto concerne le modalità di ripartizione crediamo che gli stessi parametri che ho indicato prima, quelli che caratterizzano... Scusa, collega Fioroni...
GIUSEPPE FIORONI. Scusa, hai ragione.
ELSA SIGNORINO, Relatore per la maggioranza. Chi di chiacchiera ferisce, di chiacchiera perisce!
ALESSANDRO CÈ, Relatore di minoranza. È una questione di educazione!
ELSA SIGNORINO, Relatore per la maggioranza. Alessandro, prima parlavi anche tu. Lo dicevo solo per le pari opportunità!
ALESSANDRO CÈ, Relatore di minoranza. Forse io non denigravo il tuo intervento. La differenza è questa.
ELSA SIGNORINO, Relatore per la maggioranza. Neanche lui. Stava parlando di altro!
GIUSEPPE FIORONI. Stavo parlando di altro.
ALESSANDRO CÈ, Relatore di minoranza. Scusate, ma un po' di educazione non guasta.
PRESIDENTE. Onorevole Cè, continui.
ALESSANDRO CÈ, Relatore di minoranza. Le modalità di ripartizione del fondo, la struttura demografica, il reddito ed i livelli occupazionali di cui al testo presentato dall'onorevole Signorino ci sembrano insufficienti e discriminanti nei confronti, in particolare, delle regioni che qui rappresentiamo. Crediamo che un indice di ripartizione migliore possa essere costituito invece, per quanto riguarda il finanziamento del 50 per cento del fondo sociale nazionale, dal numero di abitanti, nonché dal numero di minori e di anziani presenti in quel determinato territorio. Riteniamo altresì che il restante 50 per cento vada ripartito secondo il trattamento di cui agli articoli 24 e 25, riguardanti il reddito minimo e la delega per il riordino delle pensioni di invalidità civile per i ciechi e i sordomuti, in modo però che ogni singola regione non possa ricevere una ripartizione di fondi superiore di oltre il 50 per cento rispetto alla media nazionale degli emolumenti distribuiti sul territorio della singola regione. Perché questo? Perché crediamo che tale maniera di prefigurare la ripartizione dei finanziamenti possa introdurre un automatismo virtuoso che faccia terminare, una volta per tutte, un modo di erogare gli emolumenti basato su pratiche, ancora abbastanza diffuse, di tipo clientelare.
Mi rendo conto che, purtroppo, il tempo a mia disposizione è già scaduto; proseguirò per un paio di minuti, come avevo chiesto al Presidente. Per quanto riguarda la distribuzione dei poteri, la sussidiarietà verticale, noi crediamo che nel testo della maggioranza sia ancora presente una invadenza dello Stato nei confronti dei compiti delle regioni, che la normativa sia troppo dettagliata e che i criteri guida che dovrebbero essere alla base della ripartizione delle competenze in una giusta prospettiva di sussidiarietà verticale - ai sensi della quale il livello a cui assegnare la competenza deve essere quello che sa svolgere meglio il compito e non deve mai esservi coincidenza fra il livello decisionale e quello di controllo - non sempre vengano rispettati. Tra l'altro, nella nostra proposta rivalutiamo il ruolo delle province.
Un solo accenno al terzo settore. Crediamo che l'impostazione seguita nel testo della maggioranza non sia convincente, perché il ruolo assegnato al terzo settore, con particolare riferimento alla programmazione, è ancora troppo debole; il non profit non viene autorizzato alla gestione diretta dei servizi e si prevede ancora, purtroppo, il finanziamento diretto da parte delle istituzioni. Contestiamo tale impostazione del non profit perché crediamo che dia origine a pratiche clientelari.
L'altro aspetto che non ci convince è rappresentato dai meccanismi di assegnazione degli appalti che, nel testo della maggioranza, riteniamo essere troppo discrezionali; nella nostra proposta, invece, abbiamo precisato parametri oggettivi nell'assegnazione degli appalti. Abbiamo detto "no", poi, al finanziamento istituzionale del terzo settore ed abbiamo detto "sì" al pieno riconoscimento ed alla valorizzazione del terzo settore stesso, cosa ben diversa dalla promozione. Abbiamo sottolineato, inoltre, la parità fra privato e privato sociale, che è assente nel testo della maggioranza, ed abbiamo attribuito al terzo settore una funzione concorrenziale in materia di programmazione.
Potrei dire molte altre cose ma mi fermo qui, perché non voglio abusare del tempo che mi è stato concesso dalla Presidenza, anche se pensavo di averne di più; ne discuteremo, comunque, durante l'esame dell'articolato. Chiedo solamente che il testo alternativo venga votato, ad eccezione degli articoli 25 e 30, sotto forma di emendamenti interamente sostitutivi di ciascun articolo, in base all'articolo 87, comma 1-bis, del regolamento, e che, quindi, venga inserito nel fascicolo degli emendamenti.

GIUSEPPE FIORONI
Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto rivolgo un sentito ringraziamento al relatore e ai colleghi del Comitato dei nove per il lavoro preparatorio che è stato svolto sul testo che oggi arriva in aula e per lo sforzo di sintesi che ci consente di avviare un dibattito e di arrivare - mi auguro rapidamente - all'approvazione di un testo che definisce la nuova legge sull'assistenza, che sostituirà - ricordiamocelo - la legge Crispi sull'assistenza e la beneficenza pubblica vigente dal 1890.
La legge si propone come obiettivo fondamentale, a nostro avviso, quello di superare la concezione di un'assistenza come intervento riparatorio nei riguardi degli "ultimi" e degli indigenti. Afferma, invece, il forte rafforzamento di uno Stato sociale che, attraverso la promozione oggettiva dell'autosufficienza della persona, determina un welfare delle pari opportunità e degli eguali diritti.
Lo sforzo è quello di procedere realmente ad un cambiamento sostanziale della cultura dei servizi in questo paese, conservandone comunque il patrimonio e le esperienze migliori, focalizzando gli interventi in maniera concreta sulla persona, sburocratizzandoli e soprattutto rendendoli più flessibili e mirati alla persona che ha necessità.
Il testo si sforza di creare, nell'ambito dell'impegno sociale, una vera ed operante cultura della responsabilità, che investa tutti, le istituzioni (lo Stato, le regioni, i comuni, le province), gli operatori dei nostri servizi, il privato sociale, il privato, ma direi la comunità tutta, coinvolgendo in essa la famiglia in primo luogo. Una legge che finalmente, nel ricercare standard omogenei di assistenza da garantire su tutto il territorio nazionale, ne definisce i livelli di qualità, perché l'erogazione faccia sentire il cittadino sicuro e garantito di avere ovunque, a prescindere da dove nasce, lo stesso tipo di servizio, a cui ha diritto e soprattutto ne prevede le modalità di verifica e di controllo. E questo vale anche nel campo della formazione, per la quale si dettano criteri di omogeneità rispetto a linee di programmazione e di intervento nazionale.
Il testo - mi soffermerò solo su questo - coglie alcuni aspetti ritenuti essenziali per il gruppo dei popolari, evidenziando una concezione moderna del servizio alla persona, ma saldamente radicata nei principi di solidarietà e sussidiarietà.
Il testo afferma il principio che debbono essere garantiti in modo omogeneo ed universale su tutto il territorio nazionale servizi sociali essenziali. L'universalità di fruizione di detti servizi da parte di tutti i soggetti si basa sul diritto soggettivo che ogni persona ha in virtù del diritto di cittadinanza, che rende esigibili tali livelli di assistenza. Per tutelare l'universalità e l'omogeneità, i soggetti pubblici - Stato, regioni, province e comuni - debbono essere titolari della programmazione e dell'organizzazione di un sistema di interventi e servizi sociali che non può che essere integrato.
La garanzia della erogazione dei servizi sociali si basa sulla istituzione di un fondo sociale nazionale da ripartire fra le varie regioni e da queste, tramite criteri omogenei, certi e trasparenti, che limitino ogni forma di discrezionalità, ai comuni per i progetti e gli interventi che presenteranno. È necessario che detto fondo non sia solo la risultante delle scarse provvidenze fino ad oggi esistenti, suddivise per settori diversi tra i diversi ministeri, ma sia anche dotato di risorse aggiuntive in grado di supportare una corretta programmazione. Appare peraltro del tutto evidente che un passaggio di fondi generalizzato tramite le regioni, senza aggiunta da parte di queste di risorse suppletive, come segno tangibile di una volontà di entrare all'interno dei servizi e degli interventi sociali da erogare, le relegherebbe ad un ruolo di mero tesoriere.
I soggetti pubblici chiamano a concorrere alla programmazione, alla organizzazione e alla gestione le ONLUS, gli organismi della cooperazione, le associazioni, gli enti di promozione sociale, le fondazioni, gli enti di patronato e quant'altro. Tutti questi soggetti ovviamente partecipano all'offerta dei servizi e alla loro gestione. Il testo della legge attiva quindi una vera promozione della solidarietà sociale, valorizzando le iniziative delle persone, delle famiglie e delle forme di autoaiuto.
Non può sfuggire a nessuno come questa impostazione realizzi un vero e autentico principio di sussidiarietà, evitando ogni forma di speculazione e di estemporaneità nel campo dell'assistenza e soprattutto esaltando il ruolo di quel mondo silenzioso che nella storia e nella tradizione del nostro paese ha erogato servizi ed interventi sociali con spirito di gratuità e di donazione.
La famiglia viene riconosciuta come soggetto essenziale nella formazione e cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale, nella cooperazione e mutuo aiuto. Il ruolo della famiglia, quindi, viene potenziato con una politica che riguardi non più solo la famiglia povera, ma la generalità delle famiglie. Questo ruolo e questa funzione non vengono solo teoricamente riconosciuti nella legge ma concretamente sostenuti ed incentivati: infatti, è valorizzato il ruolo attivo delle famiglie nella formazione di proposte e progetti per l'offerta dei servizi ed anche per la valutazione dell'efficienza e dell'efficacia degli stessi.
La maternità e paternità responsabili sono concretamente sostenute; inoltre si privilegiano, rispetto a generiche forme di contributi "a pioggia", quegli interventi che concretamente favoriscono l'erogazione di servizi a chi ne ha diritto, quali assegni di cura, una seria politica di conciliazione tra tempo di cura e tempo di lavoro e, soprattutto, concrete prestazioni di aiuto a sostegno delle famiglie che si assumono in proprio compiti di accoglienza e cura di disabili, di anziani, di minori in affido.
Vengono anche individuati servizi di sollievo per i membri della famiglia impegnati nella cura di soggetti deboli, si consente ai comuni di prevedere agevolazioni fiscali e tariffarie per le famiglie che assumono specifiche responsabilità di cura. In tal modo la famiglia diventa soggetto privilegiato e primo attore delle politiche sociali favorendo e stimolando assunzioni di responsabilità nel campo dell'assistenza e dei servizi sociali. La riforma sancisce e definisce per i comuni un ruolo forte, da una parte, chiamandoli a concorrere alla programmazione regionale e, dall'altra, rendendoli titolari della funzione di programmazione locale, ma soprattutto di progettazione, di gestione e di verifica dei servizi sociali operanti nel territorio: progettazione e gestione di servizi che il comune potrà affidare mediante forme certe e trasparenti di accreditamento ai soggetti del privato sociale e del privato. Le regioni potranno delimitare gli ambiti territoriali della programmazione sociale con la attiva partecipazione dei comuni. Gli ambiti territoriali ovviamente sono da riferirsi ai comuni che vorranno associarsi tra loro, e di norma sono coincidenti con i distretti sanitari.
Il testo di legge, definendo accuratamente il ruolo delle regioni e delle province, recepisce la priorità del comune nel campo dei servizi sociali come prima linea di interlocuzione per le esigenze del cittadino e di pronta risposta. In questo modo si sovverte la precedente impostazione, che vedeva il comune responsabile delle sole attività amministrative nel campo dei servizi sociali con assunzione diretta di responsabilità nel rispondere al soddisfacimento dei diritti del cittadino, senza alcuna responsabilità nella programmazione e soprattutto senza alcuna certezza di natura economico-finanziaria.
La riforma dell'assistenza delega il Governo a disciplinare le IPAB con indirizzi e principi chiari e definiti. Le IPAB pubbliche mantengono la propria natura giuridica, avendo però assicurata la propria autonomia statutaria, amministrativa, contabile e gestionale. Per tutte le altre IPAB è prevista, a domanda, la trasformazione in associazioni o fondazioni di diritto privato, nel completo ed assoluto rispetto delle proprie volontà statutarie. Entrambe le IPAB avranno una separazione tra la gestione dei servizi e quella dei patrimoni. Per quelle IPAB che da due anni risultano inattive, è previsto lo scioglimento ed il passaggio del patrimonio ad altre IPAB.
In tal modo, è garantita totalmente la gestione dei servizi che le IPAB offrono in materia socio-assistenziale, educativa, formativa e ricreativa. Il testo attuale può ritenersi sostanzialmente soddisfacente, perché consente non un formale ma un sostanziale rispetto di queste istituzioni, delle loro finalità, della loro storia, della loro cultura e tradizione, non dimenticando mai che si tratta di istituzioni sorte da donazioni di privati.
La legge parte dall'idea che la garanzia delle prestazioni dei servizi sociali debba essere necessariamente in accordo con quelle di natura sanitaria e con quelle di istruzione e di accesso al lavoro. In merito all'integrazione socio-sanitaria, la legge assimila quanto il decreto Bindi ha previsto in questo ambito. Si chiarisce definitivamente che le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono previste a carico del fondo sanitario nazionale; con un successivo decreto del ministro degli affari sociali, sentita la conferenza unificata, verranno individuate le prestazioni socio-sanitarie con rilevanza sanitaria da porre a carico dei comuni.
Altro elemento peculiare nella politica dell'integrazione socio-sanitaria è rappresentata dalla definizione di percorsi personalizzati per l'integrazione dei soggetti disabili nell'ambito dei piani di zona elaborati dai comuni in accordo con le ASL. Il combinato disposto del decreto Bindi e della riforma dell'assistenza dà assoluta certezza e garanzia ai cittadini che hanno diritto a prestazioni integrate di avere, al di là delle alchimie legislative e di bilancio, soggetti pubblici definiti e certi, responsabili di garantire prestazioni realmente integrate.
È stato chiesto al Governo di verificare la sperimentazione del reddito minimo di inserimento e nel fondo sociale vi sono garanzie di stanziamenti per gli anziani non autosufficienti. Anche il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e sordomutismo, insieme agli interventi di revisione dell'accertamento dell'invalidità civile, dà in maniera concreta, a nostro avviso, due garanzie: da una parte, uno snellimento delle procedure burocratiche, unito a certezza e rigorosità nella attestazione delle certificazioni di invalidità, dall'altra, per i portatori di invalidità, quella tutela e quell'aiuto che uno Stato moderno e solidale non può far mancare ai propri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).

MAURA COSSUTTA
Signor Presidente, il provvedimento in esame era molto atteso e, come ha detto la relatrice, l'iter è stato lungo e travagliato. Abbiamo pertanto fatto bene a decidere di predisporre un progetto di legge di origine parlamentare perché abbiamo avuto l'opportunità di fare un dibattito ampio. In Commissione si sono svolte audizioni con diversi operatori, rappresentanti degli enti locali e delle associazioni; credo si tratti di un percorso importante perché sono stati forniti contributi di merito legati all'esperienza di lavoro, che sicuramente rappresentano una risorsa inesauribile di democrazia.
Non credo si possa fare alcuna riforma del welfare - la riforma dell'assistenza è una parte fondamentale di quella del welfare - se non si attivano la partecipazione e il controllo, ossia queste grandi e diffuse risorse democratiche.
Vi era bisogno di un provvedimento del genere per colmare e mettere ordine nel vuoto che si era creato; si pensi alla legge Crispi, al decreto del Presidente della Repubblica n. 616 e, voglio aggiungere, alla cultura dello Stato liberale e del regime fascista, che aveva collocato l'assistenza nella cultura della beneficenza o della tutela condizionata all'ordine sociale, una questione di polizia. Ogni regione rischiava di agire per proprio conto e vi erano già alcuni segnali preoccupanti; inoltre, gli enti locali agivano nella totale discrezionalità. Era necessario un provvedimento come quello in esame per colmare i vuoti di intervento e risolvere alcune questioni. Pensiamo, ad esempio, che nei comuni persino dieci interventi socio-assistenziali sono ancora differenziati per destinatari e addirittura per i parametri impiegati per l'orientamento degli interventi medesimi. Ancora, persisteva la differenza tra redditi di lavoro dipendente e lavoro autonomo ed il sistema dei controlli era praticamente inesistente perché molto carente. Per quanto riguarda i dati, venivano messi in funzione molti osservatorii, ad esempio sull'immigrazione, sugli ex carcerati, sull'AIDS. Vi era bisogno del provvedimento in esame soprattutto perché, nel tempo, si erano consolidati elementi di forti iniquità, in primo luogo territoriale, come ricordava la relatrice; essere nati in una determinata regione, infatti, poteva costituire un privilegio o una penalizzazione.
Resta quindi ancora aperta la grande questione meridionale, soprattutto per quanto riguarda la sanità e l'assistenza. Nel nord la spesa sociale corrente rappresenta il 56 per cento del totale, al centro il 21 per cento e al sud il 23 per cento; la spesa sociale per investimenti al nord è il 64 per cento del totale, al sud è il 18 per cento; la spesa pro capite al nord è doppia rispetto al sud. Ricordo che il Friuli-Venezia Giulia, che occupa il primo posto, spende 182 mila lire e la Campania, all'ultimo posto, 43 mila lire. Anche la spesa per investimenti pro capite al nord è quadrupla rispetto al sud. Si erano inoltre consolidati elementi di iniquità, nonché di autoreferenzialità. Si tratta di una questione seria, lo abbiamo visto in tutti i servizi sociali di prevenzione, vale a dire quelli mirati verso le fasce a rischio. La prevenzione, infatti, spesso veniva attuata soltanto nella popolazione che ne rappresentava l'utenza spontanea, senza raggiungere nella realtà le fasce di popolazione a rischio. Si tratta di un vizio di autoreferenzialità che abbiamo voluto correggere con il provvedimento in esame. Dai dati del forum degli assessorati si rileva che per il 90 per cento i servizi per gli anziani non vengono utilizzati perché, mancando l'informazione, non viene garantito l'accesso.
Tale problema viene affrontato nel testo proposto e, a mio avviso, l'accesso ai servizi è una questione attuale e centrale per quanto riguarda i diritti e i poteri. Personalmente ritengo che la stessa dizione di diritto esigibile, di uguaglianza di diritto non possa essere garantita se non viene garantito l'accesso. Esso resta l'indicatore migliore per la qualità e l'efficienza di un servizio, ma soprattutto per la sua efficacia. Non può essere efficace né equo, infatti, un servizio che non garantisce l'uguaglianza nell'accesso.
Era necessario, dunque, potenziare quantità e qualità dei servizi, standard e uniformità delle prestazioni, quindi considerare non più residuale il sociale. Il provvedimento era molto atteso anche dopo la cosiddetta riforma Bindi - come ricordava l'onorevole Fioroni - con la quale credo si sia consolidata una parte importante della riqualificazione dello Stato sociale. Con la riforma dell'assistenza risolviamo una questione storica: l'integrazione socio-sanitaria.
Negli anni, da una parte per il problema delle compatibilità - i parametri di Maastricht e la loro lettura troppo rigorosa -, dall'altra per l'aziendalizzazione, si è determinato un vizio che ha prodotto disuguaglianze ed iniquità. Si sono scaricati sull'assistenza i soggetti più fragili, la risposta ai cui bisogni non faceva fatturato e non rientrava nei DRG dell'azienda. Questi bisogni sociali sono diventati, invece, un terreno fruttuosissimo per il mercato privato. Credo che vi fosse un rischio serio di rottura del patto sociale: dietro all'idea dell'inclusione, in realtà, si erano escluse le fasce più fragili e deboli.
È bene, quindi, che, dopo il decreto Bindi, vi sia questo testo di riforma dell'assistenza per garantire i bisogni complessi, sia sanitari, sia socio-assistenziali. Vi è, infatti, un fondo certo per quanto riguarda la competenza sanitaria e quella sociale.
Credo che rispetto alla questione, soprattutto per quanto riguarda gli anziani cronici non autosufficienti, fosse necessario - e come maggioranza ci siamo assunti la responsabilità di farlo - dare un messaggio forte e chiaro che arrivasse in modo diretto a milioni di famiglie, perché probabilmente la questione è presente in ogni famiglia italiana. Si tratta di anziani cronici, non autosufficienti; troppo spesso abbiamo visto che nelle case di riposo essi sono considerati soltanto come ospiti, senza assistenza sanitaria, quando in realtà il 30 per cento ha gravi patologie acute, il 70 per cento ha necessità di terapia iniettiva e il 28 per cento di medicazioni.
Credo sia stata data una risposta complessiva e globale, prima con la riforma Bindi e poi con la riforma dell'assistenza oggi in discussione, che finalmente non lascia soli, spesso di fronte a lunghissimi ed estenuanti ricorsi, gli anziani e le loro famiglie.
Credo si tratti anche di un'occasione per discutere - avremo modo di farlo durante l'esame dell'articolato e degli emendamenti - e, probabilmente, anche per dare una risposta all'annosa questione delle rette, degli alimenti, del mantenimento. Anche in questo caso si è creata una situazione illegittima per cui tante case di riposo e strutture sanitarie socio-assistenziali hanno obbligato gli ospiti a firmare per chiedere gli alimenti ai parenti fino al terzo grado, che sono stati costretti a pagare rette altissime, che hanno portato tantissime famiglie ad indebitarsi pesantemente. Credo vada ribadito che sono ancora in vigore gli articoli 433 e seguenti del codice civile, in base ai
quali non si possono chiedere contributi economici a titolo di alimenti: solo il soggetto in stato di bisogno può agire in giudizio verso i parenti. Quindi, bisogna impedire alle case di riposo, alle RSA di obbligare gli ospiti a firmare.
Credo che questo messaggio possa essere dato con coerenza e immediatezza all'interno di una riforma quadro sistematica, come quella dell'assistenza.
Ma, come ho detto, il provvedimento era atteso e necessario soprattutto perché è parte determinante della riforma dello Stato sociale. Credo che a questo proposito vi sia un punto di fondo su cui si giocano i diversi progetti e le diverse culture di riferimento fra la destra e la sinistra, fra un Governo di centro-sinistra ed una maggioranza di centro-destra.
Vi è stata una grande discussione in questi anni e credo che troppo spesso abbiamo ascoltato soltanto i dati statistici: vi era un pullulare di tali dati forniti dagli uffici studi di enti istituzionali, come l'ISTAT o il CNEL, ma anche di Mediobanca, di tante fondazioni e della Confindustria. Spesso attraverso i dati statistici si volevano suggerire cosiddette soluzioni tecniche, oggettive, vere. In realtà, sono state avanzate ipotesi e proposti progetti.
Credo che l'esame di questo provvedimento costituirà l'occasione per discuterne: dietro ad ogni progetto vi è una cultura di riferimento ed io sono convinta che dietro a quest'idea di riforma dell'assistenza, a questo progetto di ridefinizione di un pezzo dello Stato sociale vi sia, giustamente, una cultura di riferimento, che rivendico con il mio percorso di appartenente alla sinistra e a questa maggioranza di centro-sinistra ed anche con il mio percorso di donna. Lo dico perché ci sono alcuni punti su cui bisognerà riflettere, ma ne parlerò in seguito.
La riforma è necessaria: ne parlano tutti e credo che debba farlo innanzitutto una maggioranza di centro-sinistra.
Il problema è capire quale sia la riforma che vogliamo ottenere. Rispetto alle trasformazioni in atto occorre procedere con una lettura oggettiva, raccogliendo le sfide che ci vengono lanciate dai processi innovativi e dalla complessità della società in cui viviamo. Mi riferisco alle trasformazioni demografiche e a tutta quella serie di problemi oggettivi che vanno interpretati e dai quali bisogna partire. Quando parliamo di riforma del welfare, di riforma dell'assistenza, dobbiamo fare riferimento alla storia dello Stato sociale nel nostro paese che, a mio parere, deve essere letta come storia dei rapporti di forza. Rispetto alla Germania, alla Francia e all'Inghilterra è Stato costruito uno Stato sociale diverso; nel nostro paese sono state raggiunte conquiste sociali di grande rilievo grazie anche ad una cultura di riferimento democratica, di sinistra, progressista; sono stati affermati diritti sociali e diritti civili di libertà. Penso alla riforma sanitaria e alla legge n. 194, penso alla riforma della scuola e al diritto di famiglia: si tratta di diritti sociali e diritti civili di libertà, diritti delle persone contemporaneamente conquistati.
L'altro aspetto fondamentale che ha caratterizzato la costruzione dello Stato sociale nel nostro paese è il nesso strettissimo, che mai si è perso, tra questione sociale e democratica, tra diritti e poteri. Non è un caso che negli anni settanta, nell'onda alta della costruzione dello Stato sociale, vi sia stata una spinta forte verso il decentramento, verso la cultura delle autonomie locali. Ciò ha significato l'affermazione di diritti e poteri e di poteri e controlli.
La discussione odierna è strettamente legata a quello che abbiamo fatto tempo fa nella Commissione bicamerale. Troppa poca attenzione è stata riservata a questo nesso strettissimo tra riforme istituzionali e riforma dello Stato sociale. È un argomento molto importante del quale avremo modo di occuparci in maniera più dettagliata in sede di esame degli articoli.
Il testo approvato in Commissione contiene un punto qualificante, quello relativo al concetto di sussidiarietà verticale che affida agli enti statali (regioni, province, enti locali) la titolarità delle funzioni pubbliche. Le attività di pubblica utilità garantite dal mercato sociale, dal non profit del terzo settore, sono all'interno della programmazione e dell'organizzazione fissata da questi soggetti istituzionali.
Si tratta di un punto molto importante perché consente di valorizzare ogni risorsa legata al territorio e di costruire una rete di solidarietà composta da più soggetti. Occorre però contemporaneamente fare resistenza contro una certa retorica antistatalista. Sono sempre più convinta - questa è la risposta alle sfide della modernità - che lo Stato nelle sue articolazioni rimanga l'unico terzo soggetto tra gli interessi del mercato e la necessità di favorire il benessere sociale. Su questo tema si discute da tempo: penso al dibattito all'interno del CNEL, ai lavori della commissione Onofri, in un primo tempo messi da parte ed ora ripresi con maggiore attenzione. Occorre esaminarli con un nuovo spirito, scegliendo la cultura di riferimento in cui vogliamo collocare questa riforma dell'assistenza e la strategia della riforma dello Stato sociale. Nell'articolo 1 del testo in discussione tale questione è stata risolta, a mio parere, nel modo più corretto.
Mantengo tuttavia alcune preoccupazioni di cui avremo modo di discutere in futuro perché nel documento di programmazione economico-finanziaria sono contenuti alcuni accenni, per la verità un po' confusi, alla necessità di rafforzare il settore dei servizi.
Sono convinta che occorra attivare un modello di consumi e di liberalizzazione dell'offerta, ma non sono tanto ottimista su una eccessiva liberalizzazione. Nel documento di programmazione economica e finanziaria si afferma che la liberalizzazione dell'offerta tende a rafforzare la libera concorrenza e la tutela dell'utente.
A mio giudizio, la tutela massima dell'utente rimane quella della responsabilità pubblica verso il benessere sociale. Talvolta, dietro certe dichiarazioni si cela l'idea - quasi virtuosa - del mercato come soluzione per lo sviluppo ed il benessere. Tuttavia, vi sarà tempo - in occasione della discussione sul documento di programmazione economica e finanziaria e sulla legge finanziaria per il prossimo anno - di correggere quelle che, a mio parere, sono impostazioni non completamente corrette.
È necessaria, dunque, una riforma. È già in atto un processo, cui precedentemente si è riferito l'onorevole Signorino: la legge Bassanini e la discussione della Commissione bicamerale; occorre, dunque, procedere con coerenza e con rigore scegliendo una strategia ed una cultura di riferimento.
Personalmente, sono soddisfatta, perché alla base del provvedimento di riforma dell'assistenza sociale vi è l'idea che l'anomalia italiana non sia rappresentata dall'aumento delle pensioni, bensì dal basso livello della spesa sociale. Pertanto, la riforma dello Stato sociale non può significare tagli alla spesa sociale.
Sono soddisfatta, inoltre, perché sono stati stanziati 1.000 miliardi aggiuntivi e perché il fondo sociale - che negli ultimi anni è Stato già elevato, in occasione delle leggi finanziarie - verrà finalmente collocato nella tabella C della legge finanziaria: si tratterà, dunque, di un fondo certo.
Torniamo all'anomalia del nostro paese riguardo alla spesa sociale: ci troviamo sotto di parecchi punti rispetto alla media europea. Di conseguenza, se di riforma dobbiamo parlare, dovremo aumentare la spesa sociale ed entrare nel merito delle voci sottostimate e sottodimensionate nella definizione dello Stato sociale.
Sottolineavo, poco fa, l'importanza di far riferimento ad una cultura politica; lo ribadisco, per il mio percorso di donna di sinistra. Come donna, sono convinta che le voci relative alla maternità, alle famiglie e alla disoccupazione rechino vizi di iniquità e limiti cui è Stato soggetto l'attuale modello di welfare State: un'organizzazione di Stato sociale costruita sullo status di lavoratore dipendente maschio, che garantisce i diritti di cittadinanza erga omnes. Si tratta di una cultura di riferimento che guarda in modo ambivalente allo Stato sociale, tanto sul versante delle conquiste, tanto su quello dei limiti.
Occorre, quindi, ripartire dall'origine, con un'analisi e con una riflessione approfondita e critica, per giungere ad un aumento di risorse per le voci rispetto alle quali il nostro Stato sociale è carente.
Occorre, tuttavia, fare alcune precisazioni. Cominciamo con il tema della maternità: sono convinta che la maternità debba essere una scelta strategica nella definizione stessa dello Stato sociale. Se vi è Stato un limite nella costruzione del welfare State nel nostro paese, è Stato proprio quello di non mettere al centro della definizione dello Stato sociale la questione della riproduzione sociale e, quindi, della maternità.
La centralità della questione della maternità è assolutamente scardinante rispetto alle regole di uno sviluppo basato soltanto sul profitto. La maternità, a mio giudizio, è l'obiettivo più cogente e coerente della piattaforma di Pechino, che nessun paese occidentale ha finora realizzato: non vi è Stato alcun finanziamento finalizzato alla realizzazione di quegli obiettivi.
A mio giudizio, la voce della maternità nello Stato sociale è sicuramente una voce moderna, da finanziare con risorse certe. Anche in questo caso, tuttavia, non si deve fare ideologia.
Troppo poco tempo è passato dalla discussione devastante che si è svolta sulla riproduzione assistita per non correre il rischio che di essa vi sia un'eco anche nella discussione sul testo che stiamo esaminando. Allora, maternità sì, politiche sociali di aiuto alla vita concreta delle famiglie sì, ma senza ideologie: non tutela di una maternità vista come unico ruolo sociale della donna, ricacciata nell'ambito domestico e familiare; non "familismo", cioè quell'ideologia sostitutiva della rete di servizi e di prestazioni alle persone, ma famiglia come luogo di relazioni e di affetti, come luogo di vita, di soggetti che hanno diritti e bisogni differenziati. È una questione modernissima quella del riconoscimento del ruolo dell'attività di cura, ma questa nella costruzione dello Stato sociale è stata svolta fondamentalmente con il lavoro non retribuito delle donne: quindi non si tratta di riconoscere il ruolo dell'attività di cura svolta dalle famiglie, ma di quella effettuata dalle donne all'interno delle famiglie. Credo siano necessarie, appunto, meno ideologie e più politiche concrete, aderenti ai problemi, portatrici di risposte.
L'altra voce che, oltre a quelle di "maternità" e di "famiglia", deve essere adeguata alle necessità è quella della disoccupazione. È questo un punto delicatissimo: sono convinta che ci sarà da discutere e probabilmente ci saranno anche delle critiche, perché è davvero un punto molto delicato. Vi è la questione dell'aiuto al reddito delle famiglie: ormai sono più del 10 per cento le famiglie italiane povere e la prima causa di povertà rimane comunque la disoccupazione, mentre la seconda è il numero dei figli. Certamente, quindi, le questioni della disoccupazione e dell'aiuto al reddito sono modernissime: credo siano coinvolte in esse le grandi trasformazioni del mercato del lavoro ed i nuovi rapporti sociali tra le classi e tra i generi. Si tratta, comunque, di questioni che vanno collocate nel modo giusto.
Come risolverle e, soprattutto, con che tipo di strumento? Con uno strumento inserito all'interno o posto accanto alla riforma degli ammortizzatori sociali, in un'area intermedia tra l'assistenza ed il lavoro e che non è, oggi, soltanto assistenza sociale, per cui deve essere garantita da un fondo certo e finalizzato per incentivare le imprese ad assumere, per far emergere il lavoro nero, per evitare la "passivizzazione". Credo che tutte queste cose siano importanti ed utili e penso che il fondo di tutela sociale sia strettamente connesso alle risorse finalizzate alle politiche attive per il lavoro, ma la questione è, appunto: con quali risorse? Sono convinta che lo strumento studiato non potrà avere piena efficacia finché non vi sarà una programmazione certa e finalizzata delle risorse.
Sono preoccupata per una discussione che non è entrata nelle aule parlamentari, ma che è presente laddove ci sono gli interessi veri, forti. Qualche mese fa Il Sole 24 Ore, facendo i conti in tasca al Governo, affermava che per garantire la cassa integrazione guadagni ed il reddito minimo di inserimento, contro la disoccupazione di lunga data, mancavano 20 mila miliardi. Allora, faceva presto i conti Il Sole 24 Ore: 10 mila miliardi si possono prendere dalle pensioni di anzianità, 8 mila miliardi dalle indennità di accompagnamento. Questa non è stata la scelta voluta con il presente testo ed io ne sono soddisfatta, ma credo che dobbiamo continuare a monitorare con grande attenzione le scelte che si stanno compiendo. Bisogna discutere di questi temi, anche perché avremo a che fare con la questione della riforma dei ministeri. L'accorpamento del Ministero per la solidarietà sociale con quello del lavoro e della previdenza sociale se può avere una forte logica, visto lo stretto collegamento tra lo sviluppo ed il potenziamento della tutela sociale e quello delle politiche attive per il lavoro, può essere rischioso perché ci porterebbe a costruire più workfare e meno welfare, quindi con tutele residuali minime.
So che queste non sono le scelte e le proposte avanzate dalla relatrice né da questo Governo. Tuttavia, sono convinta che bisognerà discuterne. La discussione sulla riforma dell'assistenza costituirà un'occasione per rimettere insieme i pezzi della riforma dello Stato sociale.
Come dicevo, il lavoro svolto in Commissione è stato appassionato e di ciò ringrazio la relatrice, perché i temi sul tappeto erano importanti e con forti elementi di innovazione. Mi permetto solo di dare un suggerimento. Oltre a questa legge quadro - che è di natura generale - cerchiamo di dare segnali diretti e concreti alla gente. È bene quindi sottolineare che sono stati tutelati i diritti soggettivi delle persone di cui all'articolo 38 della Costituzione e ribadire che la nostra priorità è rappresentata dagli anziani non autosufficienti, ai quali devono essere garantiti le rette e gli alimenti. Deve essere inoltre ribadito che siamo contrari all'istituzionalizzazione, ma siamo altresì contrari a quegli istituti per anziani ormai divenuti cronicari: è assolutamente indecente, oltre che illegittimo, permettere l'esistenza di istituti che ricoverano fino a 700, 800 o 900 anziani.
Bisogna dare un segnale chiaro sulla questione concernente le IPAB. So bene che vi è stata una sentenza della Corte costituzionale al riguardo e che l'articolo 10 del provvedimento è formulato in maniera molto articolata. A mio parere, è giusto prevedere che, dopo due anni, le IPAB che non svolgono alcuna attività debbano essere sciolte, ma lo scioglimento deve essere in favore delle aziende comunali di servizi. Infatti, l'immenso patrimonio delle IPAB deve rimanere pubblico; i comuni saranno poi liberi di affidare la gestione di tali patrimoni ad altri enti, ma, lo ripeto, la titolarità deve rimanere pubblica.
Credo che questi siano i segnali chiari e coerenti che dobbiamo dare. Mi auguro, pertanto, che la discussione sul provvedimento sia ampia e che, insieme alla riforma del ministro Bindi, anche questo provvedimento possa costituire una parte importante della riforma dello Stato sociale. Ma soprattutto mi auguro che esso porti il Governo ad agire al fine di aumentare la spesa e la protezione sociale rendendo sistematico il rapporto con le politiche attive per il lavoro.

MARIA BURANI PROCACCINI
Signor Presidente, signor ministro, stiamo discutendo un progetto di legge il cui esame si trascina ormai da più di due anni e che è necessario approvare nel più breve tempo possibile.
Infatti, si tratta di un provvedimento che cerca di fare chiarezza in un settore che è stato da sempre lasciato, in Italia, all'improvvisazione e alla buona volontà non solo di questo o quel legislatore, che cercava di porre rimedio qua e là, ma anche di questa o quell'altra associazione o di questa o quell'altra istituzione che, di volta in volta, cercavano di supplire a quello che lo Stato italiano non era in grado, non voleva o non poteva fare.
Pertanto, la necessità di approvare una legge quadro che regolamenti il settore dell'assistenza è da tutti noi sentita come improrogabile. È per questo motivo che nel corso della discussione in Commissione l'opposizione, che rappresento insieme a colleghi di altri gruppi, non ha sentito il bisogno di porre ostacoli, ma è stata costruttiva nel corso dell'esame degli articoli e dei vari emendamenti.
Abbiamo avvertito la necessità di far fronte comune dinanzi a questo Stato sociale italiano che da sempre è risultato carente, messo nell'angoletto degli interessi della comunità politica e considerato da questo o quel comune, da questa o quella provincia o regione, un posto dove andare a pescare consensi elettorali. Il che non può più essere consentito.
Abbiamo cercato di collaborare responsabilmente con la relatrice, onorevole Signorino, che ringraziamo per il lavoro di coordinamento che ha cercato di svolgere senza porsi su una posizione, diciamo, d'imperio che non avremmo potuto accettare. Abbiamo dimostrato il nostro apprezzamento anche astenendoci sul mandato al relatore a riferire sul provvedimento in Assemblea, lasciando così aperta una porta per introdurre ulteriori miglioramenti in una normativa che sta "muovendosi" in maniera accettabile ma che ha bisogno di integrazioni più significative. Questo punto è stato accettato dalla relatrice e dal Governo, tuttavia noi vorremmo che fosse chiara fin dall'inizio quale sia la nostra posizione su un aspetto che riteniamo ormai imprescindibile. In fondo questa è una legge necessaria e improcrastinabile anche perché la nostra società subisce violente trasformazioni che molto spesso, purtroppo, creano situazioni di pregiudizio sociale in settori sempre più ampi della popolazione che, per motivi di età o di disagio determinato da malattie (soprattutto invalidanti), vede calpestata la propria dignità.
Pur riconoscendo che sono stati compiuti grossi sforzi da parte della relatrice e del Governo, noi riteniamo che il punto cardine da affrontare sia quello legato al cosiddetto principio della sussidiarietà orizzontale. Abbiamo apprezzato il fatto che molti aspetti (sui quali peraltro concordiamo pienamente) della cosiddetta sussidiarietà verticale, che poi coincide con il federalismo, siano stati recepiti.
Il principio della sussidiarietà orizzontale si manifesta nel settore dei servizi sociali anche attraverso gli interventi degli enti locali che devono però agire come organi integrativi, di coordinamento e di controllo delle attività. Di fatto tali attività vengono svolte ormai da soggetti diversi, in particolare dalle organizzazioni di volontariato, dalle organizzazioni di utilità sociale (tra le quali ricordo le ONLUS, che sono state oggetto di una recente normativa approvata dal Parlamento), nonché da altri soggetti quali le società di servizi sociali. Si tratta di nuove figure che sono destinate a potenziare l'efficacia degli interventi in un settore dove lo Stato sta necessariamente compiendo quel passo indietro dinanzi alla insostenibilità del welfare così come era stato pensato e forse anche un po' programmato, ma non certo realizzato, negli anni passati. Si è infatti visto che quel tipo di welfare non è più possibile attuarlo nella società del 2000, anche perché i suoi costi sono insostenibili e il privato sociale ha manifestato una sorprendente capacità nello studiare metodi innovativi e nel fare programmazioni altrettanto innovative, prevenendo le esigenze e i bisogni che di volta in volta emergono da una società che si evolve rapidamente.
Lo Stato è, invece, lento nel recepire e sviluppare i sistemi per affrontare particolari bisogni della persona che si manifestano a volte all'improvviso e dei quali, fino a poco tempo fa, non si aveva assolutamente contezza. Pertanto, succede di trovarsi di fronte a necessità che il privato sociale ha saputo, in parte, persino prevenire. Vorremmo che ciò fosse chiaro fin dall'articolo 1 dove abbiamo, purtroppo, riscontrato una certa timidezza nell'affermare con chiarezza la necessità di mettere in primo piano il principio della sussidiarietà.
Abbiamo lavorato insieme sull'articolo 5, nel quale il terzo settore viene riconosciuto come fattore di programmazione e non semplicemente come elemento cui affidare servizi: ciò è un fatto estremamente positivo.
Altri punti positivi - cui anche noi abbiamo contribuito - riguardano la funzione delle province: gli enti locali sono regolatori di quell'incontro tra domanda ed offerta e non semplicemente gestori in toto dei servizi come in precedenza. Si tratta di una novità inserita nell'articolo 6 e dovuta anche all'accoglimento di alcuni nostri emendamenti da parte della relatrice. Sempre all'articolo 6, sottolineiamo l'approvazione dell'emendamento che stabilisce che il comune non deve realizzare un modello unico di realizzazione dei servizi stessi, ma garantire la polarità degli stessi servizi in un quadro generale di riferimento; si estende così la visuale del comune a una rete di servizi che finalmente viene considerata in maniera ampia come una rete di sostegno interagente che va dalla regione alla provincia e dalla provincia ai comuni. Questa sorta di rete è finalmente finalizzata al sostegno della persona e dei suoi bisogni che - lo ripeto - talvolta sono gli stessi di 2000 anni fa, talaltra sono legati alle necessità di sviluppo della società attuale.
Riteniamo positivo anche l'accoglimento dei nostri emendamenti sulle IPAB che nel testo sono state trasformate da istituzioni in associazioni o fondazioni di diritto privato o in istituzioni di cui all'articolo 22 della legge n. 142, tenendo conto delle loro originarie finalità quali risultano anche dalle tavole di fondazione delle stesse IPAB.
Riguardo all'articolo 11, avvertiamo la necessità di prevedere - proprio nell'ottica dell'articolo 5 relativamente al nuovo ruolo del terzo settore riconosciuto in questa legge e che vorremmo fosse chiaramente espresso fin dall'articolo 1 - il riconoscimento e l'autorizzazione, in via sperimentale, di servizi e strutture sociali e socio-sanitarie che non corrispondono a standard già prefissati, ma che si configurano come nuovo modo di rispondere ai nuovi bisogni della persona. Proprio per quanto ho detto prima, è molto importante che il Governo accolga questo diverso punto di vista in base al quale abbiamo chiesto la delega sulle IPAB. È chiaro che l'attività del Governo deve essere un lavoro in progress, deve cioè adattarsi all'evolversi della situazione sociale. Proprio per questo, però, chiediamo che vi sia una particolare attenzione verso la possibilità che alcuni servizi siano presi in considerazione ed inseriti, anche se in via non definitiva ma sperimentale, nell'ambito della programmazione generale.
All'articolo 16 è stato finalmente accolto - questo ci è sembrato veramente innovativo - quanto chiedevamo sul nuovo ruolo da attribuire alle famiglie, da sempre ammortizzatori sociali, da sempre considerate una sorta di refugium peccatorum, in cui i giovani si trattengono perché non trovano casa né lavoro, dove gli anziani vengono "parcheggiati" e i bambini trovano mamme, nonne e zie che possano fornire quel supporto alla maternità che non viene assicurato altrove a causa della cronica carenza degli asili nido, delle infrastrutture e di tutto quel supporto sociale che invece nel provvedimento viene riconosciuto, così come viene riconosciuto il ruolo della famiglia e dei consorzi di famiglie. Si tratta di quella novità alla quale tendevamo, perché è importantissimo che alla famiglia venga riconosciuto anche dalla legge, visto che è stata rivestita per anni di un compito sociale di intervento e di ammortizzatore, un ruolo di programmazione e proposta e che lo Stato possa svolgere anche in questo caso la sua funzione di controllo, dando però una nuova valorizzazione anche, ad esempio, al tempo delle famiglie. Questa è una novità da sottolineare.
Il tempo delle famiglie non è un dato futile. Il tempo è quello del lavoro. Il fatto che una famiglia che abbia, ad esempio, un handicappato in casa possa dedicarsi al lavoro in piena serenità, sapendo che questo giovane, bambino o anziano non è abbandonato a se stesso, o magari relegato in qualche servizio di infimo ordine, è importantissimo. È ovvio infatti che lavorare - anche partecipando alla gestione ed alla erogazione di rette, insieme all'intervento del pubblico - è possibile solo se il pubblico viene incontro alle famiglie rispettando il tempo del lavoro. Questo è un aspetto che forse viene poco sottolineato, mentre chi è a contatto con la realtà del sociale sa quanta disperazione vivono le famiglie non potendo dedicare al malato, all'handicappato, alla persona bisognosa un tempo che necessariamente deve essere sottratto loro per il lavoro. Penso, ad esempio, all'handicap psichico, una delle gravi piaghe che abbiamo in Italia e che il provvedimento in esame comincia a risolvere, anche se da solo non basterà. Vi è dunque necessità di intervenire a fianco della famiglia, il cui ruolo deve essere riconosciuto.
Concordo anche sul fatto che finalmente la spesa sociale esorbiti dal rapporto ridicolo con il PIL che aveva in Italia, rendendoci veramente un paese da terzo mondo. Il fatto che questi mille miliardi siano al di fuori di quanto lo Stato già spendeva per il sociale è un dato senz'altro positivo - lo definirei doveroso - che finalmente ci fa fare un piccolo passo in avanti nell'ambito di quella civiltà dei servizi che veramente ci mancava. Magari abbiamo bellissime leggi a sostegno della maternità, che altri Stati si sognano, ma, poi, la maternità viene abbandonata a se stessa nell'affrontare i bisogni reali. È importante che, finalmente, vi siano soldi da spendere, è importante affermare il concetto che spendere nel sociale non significa buttare risorse in un calderone; non è più pensabile l'elemosina fatta una tantum, alla famiglia bisognosa, a chi ha tre figli, a chi ha in casa un handicappato e così via. Valorizzare il lavoro della famiglia all'interno del servizio sociale, chiamare a raccolta le associazioni, le società che stanno sorgendo, le cooperative sociali, eccetera, per costituire una rete di servizi è, da parte dello Stato, scelta saggia, coraggiosa e - per usare un termine ecclesiastico - "buona e giusta", perché veramente se ne avvertiva la necessità.
In conclusione, per quanto riguarda il nostro atteggiamento, in generale dell'opposizione e senz'altro del gruppo di forza Italia, questa legge "si ha da fare", è un provvedimento necessario al quale non ci si può sottrarre; non ci siamo sottratti a due anni di lavoro e siamo pronti a lavorare ancora in Assemblea, a migliorare il testo, ad affermare con estrema chiarezza il principio di sussidiarietà. È importante, infatti, che in un provvedimento che affronta finalmente il tema fondamentale dell'assistenza, tale principio venga proclamato fin dalle prime note.
Non si tratta di un arretramento dello Stato, è lo Stato che diventa moderno, che non è più il carrozzone tipico che gli italiani hanno sempre odiato e trovato obsoleto, nemico, burocratico, elefantiaco ed oppressivo, al quale solo gli amici degli amici potevano accedere attraverso i gangli della raccomandazione, maledetti gangli della raccomandazione! Finalmente, ci troviamo di fronte ad uno Stato che concepisce il cittadino nell'ottica di una partnership: il cittadino finalmente si sente partecipe, deve operare perché ha imparato a farlo e questo suo operare è a vantaggio e non contro lo Stato.
Vogliamo che ciò venga affermato a chiare note, con coraggio, senza infingimenti; non vi è arretramento ideologico. È questa, veramente, la fine delle ideologie e l'inizio di un'epoca nuova. Le ideologie sono ormai nei cassetti, fanno parte di bandiere obsolete che nessuno di noi vuole più considerare, ad eccezione, naturalmente, della bandiera del nostro Stato, che, per tradizione, è stato sempre favorevole all'accoglienza; lo è stato da sempre, fin dall'epoca latino-romana, figurarsi quando il cristianesimo ha dato all'accoglienza medioevale quelle caratteristiche che adesso ci vengono sottratte da una terminologia inglese, riferita al terzo Stato. In fondo, il terzo Stato lo abbiamo inventato nei nostri liberi comuni, nelle cooperative chiamate "le misericordie" o in altro modo, ma che allora avevano già imparato ad operare nel sociale, svolgendo i compiti ai quali i comuni non attendevano, perché non di loro spettanza.
In un certo senso, quindi, torniamo alle nostre radici per andare verso il nostro futuro (Applausi).

VASCO GIANNOTTI
Signor Presidente, onorevoli colleghi, come già detto dalla relatrice e da altri deputati intervenuti, il dibattito che si sta svolgendo nell'Assemblea della Camera dei deputati, per certi aspetti, si connota come un momento di portata storica: era dal 1890, ossia da ben centonove anni, che il Parlamento non interveniva in maniera così organica, innovativa e riformatrice in uno di quei settori che toccano da vicino, molto da vicino, la vita quotidiana delle donne, degli uomini, dei bambini, degli anziani e, soprattutto, di coloro i quali sono meno garantiti e più deboli, ossia di coloro che sono più poveri.
Portando all'esame dell'Assemblea questo provvedimento - ripeto - organico, coraggioso e innovativo, ci assumiamo dunque una responsabilità importante.
Decidiamo di intervenire in un altro dei nodi decisivi dello Stato sociale e lo facciamo nel segno - questo è il valore della proposta - dello sviluppo di una cittadinanza sociale, della universalità dei diritti sociali, dello sviluppo di un sistema di protezione sociale che poggia sulla responsabilità dei cittadini, delle formazioni sociali e delle istituzioni.
Se siamo giunti a questo, grande merito va senz'altro riconosciuto al lavoro della relatrice, onorevole Signorino, alla sua intelligenza, alla sua tenacia, all'attenzione che ella e noi tutti - come facciamo d'altra parte anche in questa occasione - abbiamo dedicato agli argomenti degli altri, compenetrandoci - e lo faccio anche qui dopo aver ascoltato, ad esempio, l'intervento dell'onorevole Burani Procaccini - negli argomenti dei colleghi e delle colleghe, con lo scopo di arrivare ad una soluzione migliore. È merito dunque della relatrice e della Commissione tutta aver dato questa dimostrazione di capacità di ascolto, di capacità di "mettersi nelle ragioni degli altri" - anche in quelle dell'onorevole Battaglia, che anche in questa occasione fa sentire la sua voce, come ha fatto tante volte in Commissione, magari in questa occasione con meno autorevolezza (nel senso che non hai la parola...!) - per cercare, come abbiamo fatto, di crescere insieme.
Ebbene, tutto questo ha portato dei risultati. Ho ascoltato con attenzione la relazione di minoranza dell'onorevole Cè e non vi ho trovato, come d'altra parte l'onorevole Cè ha detto, una proposta alternativa sul terreno dell'impianto culturale, politico, legislativo. È stata una relazione che ha evidenziato problemi, preoccupazioni, timori, con cui sarà nostra cura misurarci anche in questo dibattito in aula.
In questo dibattito, Presidente, come lei ha sentito, ed è un fatto molto importante, non c'è scontro: c'è confronto e ricerca di sintesi. Il merito è anche del Governo, che è stato molto attento affidando interamente al Parlamento il suo vero ruolo. Il testo che qui discutiamo nasce da proposte dei gruppi parlamentari, da quasi tre anni di lavoro che hanno animato intensamente l'attività della Commissione affari sociali e il Governo, anche se a volte lo avrebbe potuto fare, non ha mai chiesto deleghe in materia. Si è inserito con una sua proposta, che ha sicuramente arricchito la nostra discussione. Tutto questo ha aiutato, come ha aiutato il fatto che in questi tre anni il Governo e il ministro della solidarietà sociale si siano mossi con grande coerenza rispetto agli obiettivi che qui, in questo momento, stiamo discutendo.
Prima di tutto, lo voglio sottolineare, il Governo si è mosso con grande coerenza sul terreno delle risorse. In questi anni, se il ministro non mi smentisce, sono stati stanziati ben 1.500 miliardi in più per le politiche sociali. Non sono stati anni di ordinaria amministrazione: sono stati anni di tagli pesanti, molto pesanti, per cercare di portare il nostro paese in armonia con i parametri di Maastricht. Questi tagli sono avvenuti ed i cittadini ne hanno sopportato le conseguenze: li abbiamo fatti nel segno dell'equità e della giustizia, ma soprattutto, questo è il miracolo, aumentando la dotazione di spesa sociale. È un merito importante, che non ascrivo solo al Governo ed alla maggioranza, perché su questi temi, anche nella nostra Commissione, abbiamo sentito tante volte una sintonia di accenti; è un fatto molto importante ed ora, con il documento di programmazione economico-finanziaria, vi sono ancora mille miliardi che, come giustamente ha sottolineato la relatrice, sono aggiuntivi. Sono mille miliardi in più, per cercare di far sì che questo provvedimento - che anch'io mi auguro possa essere approvato in tempi molto rapidi - possa poi concretamente operare ed iniziare a dare risposte.
Anch'esso, infatti, è figlio della tenacia e della coerenza con le quali tutti insieme, anche se da sponde diverse, abbiamo cercato di affrontare i problemi della riforma dello Stato sociale. Tutto questo - consentitemi di dirlo - fa giustizia di alcuni luoghi comuni, che abbiamo letto e sentito anche in questi giorni: sono polemiche, in questo caso sì davvero demagogiche, che sono state alimentate con riferimento a ciò che bisognava fare con il documento di programmazione economico-finanziaria. Troppo spesso, però, si contraddiceva la realtà: quando si parla di welfare, si parla di tagli! Ma non è stata questa la storia degli ultimi anni: troppo spesso si riduce tutto ad un capitolo, seppure importante, che si chiama pensioni, dimenticando tra l'altro, anche in questo campo, il coraggio di una riforma che ha corretto alcune ingiustizie nel segno dell'equità.
Anche a proposito di pensioni, vi sono elementi di errore quando si ritiene che affrontarne i problemi corrisponda ad apportare tagli. So bene che vi è chi pensa - ne abbiamo sentito la voce in questi giorni - di procedere soltanto con le forbici per i tagli: non è, però, la nostra posizione e mi auguro che non sia la posizione della maggioranza in questo Parlamento. Anche sulle pensioni, se necessario, si dovrà intervenire, in coerenza con quanto è stabilito dalla legge di riforma, se è possibile per liberare risorse, ed il tema fondamentale è: per fare che cosa di tali risorse? Per destinarle a cosa? Ebbene, credo vi sia una sola strada: destinare queste ed altre risorse - soprattutto quelle aggiuntive - nella direzione di elevare la qualità sociale e di dare più risposte alle esigenze delle persone. Certo, se l'impostazione deve essere (lo dico brutalmente) del tipo meno pensioni più soldi alle imprese, va detto che non è questa la strada che ci porta sul terreno della competitività, perché, come giustamente ha osservato l'onorevole Signorino, la competitività corrisponde anche alla qualità dei sistemi sociali; ebbene, non vi è qualità di sistema e sviluppo economico senza un grande equilibrio tra i fattori economici e quelli sociali.
Innovazione e conservazione sono due punti sui quali dobbiamo misurarci: dobbiamo cioè decidere se difendere ciò che esiste, anche laddove questo significhi ingiustizie o privilegi (e mi sembra che abbiamo scelto un'altra strada), o se invece dobbiamo coraggiosamente riformare ed innovare, come stiamo facendo.
Possiamo farlo nel segno della solidarietà o del liberismo: occorre scegliere se ciò che si risparmia intervenendo, rinnovando e riformando, eventualmente colpendo dove esistono privilegi, lo si vuole destinare ad altri scopi, oppure ai bisogni elementari delle persone, al fine di migliorare la qualità della vita. Ecco allora il coraggio della proposta che stiamo discutendo in questa sede, ecco la filosofia che sta al centro della riforma che ci ha presentato l'onorevole Signorino: intervenire per rinnovare, anche con il coraggio di passare da un sistema di trasferimenti monetari ad un sistema di reti integrate di servizi. Certo, occorre farlo con equilibrio, anche difendendo i legittimi interessi costituiti in tutti questi anni, sapendo bene che interveniamo in situazioni molto delicate. Non si parla, infatti, della parte elevata della società, ma di famiglie, di cittadini, di uomini e di donne che, a volte, hanno il minimo indispensabile per sopravvivere, ma nonostante ciò occorre avere il coraggio di passare dai trasferimenti monetari, che rappresentano l'80-85 per cento, quindi troppo nell'economia della spesa sociale, alla dotazione nei territori di reti integrate di servizi.
Possiamo realizzare tutto ciò risparmiando dove si può, ma soprattutto investendo e destinando altre risorse e poi investendo nuovamente, vale a dire attivando un volano che può consentire di mobilitare ancora nuove risorse per il perseguimento degli obiettivi. Si tratta di utilizzare risorse dell'Unione europea, cosa che non sempre siamo riusciti a fare, delle fondazioni bancarie, delle IPAB e - perché no? - anche di orientare con coraggio la spesa privata. Penso, ad esempio, al tema delle detrazioni, delle deducibilità; di recente abbiamo approvato, proprio in quest'aula, il collegato ordinamentale fiscale nel quale, all'articolo 1, si conferisce al ministro la delega per rivedere tutto il sistema. Mi auguro che il Governo proceda coerentemente con quanto abbiamo deciso insieme in questa sede con l'ultima legge finanziaria, quando, seppure con una cifra molto modesta, abbiamo affermato - ad esempio - il principio che i cittadini possono detrarre anche le spese per l'assistenza nei casi di persone non autosufficienti. Si tratta di una scelta che, a mio avviso, deve essere irreversibile perché va nella giusta direzione: orientare la spesa privata verso consumi sociali. Quale altro consumo sociale può essere più importante di quello di assistere un non autosufficiente o una persona che ha bisogno di assistenza socio-sanitaria? In questo modo si cerca di fare emergere ciò che è sommerso anche in questo settore; una politica che non incentiva a volte costringe ad intervenire, appunto, con strumenti sommersi.
Ecco perché ascolto con attenzione la critica, anzi la preoccupazione manifestata dall'onorevole Cè quando ci dice di fare attenzione perché la legge individua un percorso condivisibile e obiettivi condivisibili, ma le risorse troppo limitate ci possono mettere nella difficoltà di alimentare aspettative alle quali, forse, non potremo dare risposte. Si tratta di un'obiezione con la quale dovremo fare i conti, e all'onorevole Cè desidero dire che c'è del vero in quanto ha detto; anche io nutro la stessa preoccupazione, ma la direzione individuata e proposta è giusta e coerente.
La coerenza è anche nella sussidiarietà verticale, che con questa legge, ma soprattutto con la legge Bassanini n. 59, abbiamo cercato, appunto, di mettere in pratica. Lo Stato, le regioni, i comuni, nella chiarezza delle loro responsabilità, cooperano anche al fine di ottimizzare quello che già c'è, di spendere al meglio le risorse già disponibili.
La direzione è quella giusta, anche perché si sollecita la responsabilità e - badate - non solo quella del settore pubblico, del comune, della regione, dello Stato, ma anche e soprattutto quella delle persone, delle famiglie e delle loro formazioni sociali. La responsabilità attiva, cioè la crescita della società civile, può e deve fungere anche da strumento di controllo, perché si spenda in modo efficace ed efficiente.
Quindi, la strada è quella di alimentare una grande moltiplicazione di risorse e di energie; quando parlo di risorse, non mi riferisco soltanto a quelle finanziarie, ma anche a quelle professionali ed umane e lo strumento per mobilitare le risorse umane è sicuramente la sussidiarietà orizzontale.
L'onorevole Burani Procaccini ha detto che il discrimine di questa legge si basa sulla risposta che saremo in grado di dare su questo punto: in che modo si renderà cogente il principio di sussidiarietà, che deve significare appunto mobilitazione di energie e di risorse?
Ho sentito nei toni e nelle parole dell'onorevole Burani Procaccini una posizione non molto distante da quello che abbiamo cercato di fare con questa legge, la quale, secondo me, rappresenta un punto di equilibrio molto importante, positivo e prontamente innovativo, anche se si può continuare a discutere e, per quanto mi riguarda, sono disponibile a farlo.
La legge, così come è stata pensata, è prima di tutto - mi preme dirlo - uno strumento contro lo statalismo e ciò che esso significa: inefficienza e burocratizzazione. Non mi piace continuare a parlare di Stato: dobbiamo parlare di pubblico, che promuove e sollecita, che invita e lascia fare anche alle persone, alla società civile, alle famiglie, al volontariato, all'associazionismo, alla cooperazione.
Ha ragione l'onorevole Burani Procaccini quando dice che ciò significa seminare in una realtà ottimale come quella italiana, perché forse in nessun altro paese d'Europa - sicuramente non in altri continenti - esiste una realtà così ricca, che affonda le sue radici nella storia di grandi comunità e di grandi idee e ideologie, che si chiamano volontariato, associazionismo e cooperazione.
Proprio da questo mondo, in questi anni, abbiamo visto nascere quello che tanti chiamano il terzo settore, un sistema di economia civile che è capace di competere, anche imprenditorialmente, in termini economici, ma soprattutto di qualità delle risposte alle persone.
Questa legge dà una risposta al tema della sussidiarietà e lo fa in maniera molto precisa, là dove, appunto, chiede al terzo settore, al privato sociale di essere corresponsabile nelle scelte di programmazione. Può darsi che mi sbagli, ma credo sia la prima legge che fa assurgere il terzo settore a questo importantissimo ruolo. Il settore pubblico opera la programmazione insieme al privato sociale, così come la coprogettazione e la gestione dei servizi sono effettuate insieme al privato sociale ed anche a quel settore privato che ha bisogno di regole e deve essere costretto a rispettarle.
Mi sembra un passo in avanti molto importante anche perché consente di raggiungere un altrettanto importante risultato. Quando parliamo di sistemi integrati di servizi, noi facciamo riferimento al territorio, alla municipalità, concetto quest'ultimo che affonda le proprie radici nella storia e nella cultura del nostro paese. Riscopriamo la dimensione municipale anche come accezione del welfare: si tratta della direzione giusta da seguire per favorire lo sviluppo economico e sociale. Numerose scuole di pensiero affermano che lo sviluppo nasce dai sistemi locali integrati, che per favorire lo sviluppo economico occorre l'equilibrio e la partecipazione dei soggetti nell'ambito dei sistemi economici locali. Se tutto ciò è vero, occorre anche ripensare al modo con cui vengono fissati i patti territoriali o gli altri strumenti di concertazione: troppe volte i patti territoriali sono stati concepiti - se mi è consentita l'espressione - in modo industrialista, nel senso che non si è tenuto conto che lo sviluppo di quel sistema locale passava attraverso le fabbriche e le imprese, oltre che attraverso una rete integrata dei servizi capace di essere essa stessa impresa e di ottimizzare le risorse.
Ho cercato di porre in evidenza tutti gli aspetti a favore del testo illustrato dall'onorevole Signorino ma anch'io, come hanno fatto le onorevoli Maura Cossutta e Burani Procaccini, vorrei aggiungere una sottolineatura: di fronte a noi vi è un problema al quale il progetto di legge cerca di dare una prima importante risposta, un problema che però deve rimanere sotto l'attenzione costante del Governo e del Parlamento. Mi riferisco al tema della non autosufficienza, giustamente ricondotto all'orientamento complessivo di una legge quadro, come quella in discussione. Dobbiamo essere coscienti che per affrontare questo tema occorrono risorse in misura molto maggiore. Nei casi di persone non autosufficienti non si dovranno più abbandonare le famiglie alla drammatica alternativa di fronte alla quale oggi si trovano: fare fronte sul piano organizzativo e finanziario al carico davvero insopportabile ovvero abbandonare il familiare non autosufficiente in una corsia di ospedale o in una residenza protetta. L'alternativa deve essere un'altra: mi riferisco alla famiglia, non intesa in senso ideologico. Intendo dire che bisogna garantire alla famiglia quegli aiuti che le consentano di mantenere al suo interno, nel suo habitat culturale e sociale il familiare non autosufficiente. Solo così si potrà garantire una vita degna di questo nome.
Come ho già detto, il testo in discussione rappresenta un primo passo in tale direzione, anche se su questo terreno dovremo fare molto di più. La nostra deve essere una risposta di civiltà, quella risposta che dobbiamo a quella parte della popolazione italiana che purtroppo è costretta, a seconda dei casi, a fare i conti con questo drammatico problema.

DOMENICO GRAMAZIO
Signor Presidente, onorevole ministro, ci troviamo ad esaminare una proposta di legge di grandissima rilevanza, il cui esame inizia questa sera e che qualche esponente della maggioranza - mi riferisco all'onorevole che mi ha preceduto - ritiene possa concludersi in tempi brevi, addirittura entro il corrente mese di luglio. Sperare che entro il 29 luglio si arrivi a concludere l'iter di questa proposta di legge - come di numerose altre che attendono l'approvazione da parte del Parlamento - mi sembra un'ipotesi da favola. Mi sembra eccessiva, inoltre, la volontà politica di fare tutto così di corsa.
Il gruppo di alleanza nazionale si è più volte espresso a favore di una proposta di riforma dei servizi sociali, pur non condividendo appieno il metodo con cui si è condotto l'iter.
Ritengo, in ogni caso, che vada rivolto un ringraziamento al relatore, onorevole Signorino, per il lavoro svolto e per la possibilità di dialogo che si è avuta in Commissione. Voglio esprimere, inoltre, un ringraziamento al Governo, per l'attenzione dimostrata con la presenza in aula del ministro per la solidarietà sociale. Rivolgo, dunque, un ringraziamento al ministro Turco per la sua particolare attenzione e per la sua volontà di partecipare ai nostri lavori. Altri provvedimenti non hanno suscitato la medesima attenzione da parte del Governo e dei ministri competenti. Li ringraziamo, quindi, per l'attenzione - dimostrata con la partecipazione ai lavori della Commissione e con la presenza del ministro per gli affari sociali in aula - conferita alla proposta di legge in esame.
In ogni caso, alcuni aspetti vanno sottolineati. Il Comitato per la legislazione, per bocca del suo presidente, l'onorevole Anedda, pur condividendo le finalità della proposta di legge in esame, esprime forti perplessità sul linguaggio legislativo contenuto nel testo. In particolare, esprime perplessità sull'utilizzazione, all'articolo 1, comma 1, dell'espressione "non discriminazione", in luogo di una più semplice che faccia riferimento alla uguaglianza e alla riduzione delle condizioni di disabilità. Ciò lascia intendere che nel testo, nella sua preparazione, nella volontà che vi è sottesa e nelle dichiarazioni rese dal relatore riguardo all'articolo 30, vi è un tentativo di rincorrersi.
Abbiamo ribadito, per bocca del nostro collega - l'onorevole Porcu - la necessità e l'utilità di una legge di riforma dei servizi sociali. Tuttavia, esprimiamo il timore che essa, conferendo competenze specifiche agli enti locali, non preveda anche gli strumenti per poter operare correttamente: il confluire sugli enti locali di altre responsabilità, in questo momento, andrebbe correlato ad un aumento degli stanziamenti dei fondi, sebbene - come qualcuno poc'anzi ha ricordato - non mi sembra che nella fase attuale vi possa essere un tale ulteriore contributo.
La necessità di un riordino del sistema degli interventi e dei servizi sociali è fortemente sentita non solo dagli addetti ai lavori, ma dall'intera opinione pubblica. Chi ha partecipato - come me ed altri colleghi qui presenti - alla manifestazione dell'Associazione nazionale dei mutilati ed invalidi civili sa quanta attenzione, da parte delle associazioni e di coloro che vivono ogni giorno sulla propria carne la necessità di un servizio efficiente, è rivolta all'esigenza di una tale riforma.
Credo abbia fatto bene il ministro - mi permetta la battuta - a non essere presente quel giorno alla manifestazione, ma a farsi rappresentare dal collega Battaglia, che si è dimostrato capacissimo nel tentativo di parare in parte quel malumore che esiste e che il ministro conosce. Credo, infatti, che dagli incontri, dalle conversazioni, dalle lettere, dalle sollecitazioni abbia compreso perfettamente che alcuni diritti acquisiti non vanno toccati e che va difeso il modo in cui fino ad oggi numerose di queste associazioni (e per questo ricordo l'associazione nazionale mutilati ed invalidi civili) hanno condotto la loro azione a tutela degli interessi della categoria.
Il riordino a nostro avviso si rende necessario per evitare odiose disparità di trattamento tra i cittadini in stato di bisogno, che spesso vedono riconosciuti i loro diritti dopo il passaggio attraverso le baronie, le personalizzazioni. La legge che ci accingiamo a varare dovrà umanizzare questo tipo di rapporto, superandone l'arbitrarietà ("il sussidio te lo do oppure non te lo do; te lo posso dare o te lo voglio dare; vedremo..." e così via). Si possono constatare, territorio per territorio, comune per comune, le diversità: addirittura, a volte, nei grandi comuni vi sono differenze notevoli tra circoscrizione e circoscrizione.
Riteniamo che in questo progetto di legge siano state introdotte novità positive, anche perché il relatore ha sentito la necessità di confrontarsi con le opposizioni in Commissione e spesso e volentieri ha accolto - di questo riteniamo di dover dare atto - gli emendamenti da esse presentati; ha accettato, quando erano necessarie e valide, le proposte, le sollecitazioni di alleanza nazionale e del Polo per le libertà. Di ciò siamo particolarmente contenti, perché riteniamo di dover lavorare nell'interesse di quanti non possono essere posti ai margini o chiusi negli steccati, ma devono ricevere la giusta considerazione.
Parlavo della necessità - che per noi rappresenta un punto fondamentale - di umanizzare il rapporto, ove possibile anche di personalizzare gli interventi di sostegno, superando quel burocratismo antipatico, quell'atteggiamento pietistico ed assistenzialistico per forza, che porta a trasformare i cittadini bisognosi in veri e propri vassalli di chi ha gestito o vuole gestire l'assistenza ed i servizi. Vi sono amministratori senza scrupoli che spesso hanno comportamenti tali da trasformare, ripeto, l'assistenza in vassallaggio, per cui quella che dovrebbe essere la legittima rivendicazione dei propri diritti da parte dei cittadini viene invece snaturata e mutata in supplica ed il riconoscimento del diritto viene trasformato in concessione, in favore da parte degli amministratori stessi.
Riteniamo vada sottolineato quanto sia rilevante il ruolo che anche nel nostro paese viene svolto dalle organizzazioni che operano nel volontariato. Il testo unificato della Commissione segue solo parzialmente queste linee, che noi di alleanza nazionale riteniamo invece prioritarie. Dobbiamo tuttavia riconoscere che il testo oggi in esame è stato largamente innovato, anche grazie all'accoglimento, ripeto, di significativi emendamenti del Polo e di alleanza nazionale, volti soprattutto ad una maggiore precisazione delle finalità. Un richiamo specifico va fatto agli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione, per quanto riguarda in particolare la lotta alle condizioni di disabilità. È stato introdotto, su proposta delle opposizioni, un preciso richiamo al principio di sussidiarietà, anche se la maggioranza non ha accolto la nostra proposta di far partecipare le organizzazioni del terzo settore e le associazioni degli utenti al momento della programmazione degli interventi.
Bisognerà insistere per correggere le insufficienze che ancora esistono nella normativa, coinvolgendo le famiglie e gli utenti in questo tipo di rapporto.
La richiesta di delega al Governo contenuta nell'articolo 10, concernente le IPAB, finisce con il sottrarre al Parlamento l'esame di una materia che, al di là degli aspetti tecnici, è di indubbia rilevanza; era forse auspicabile una maggiore attenzione da parte dell'Assemblea che non si può limitare semplicemente ad indicare i margini di manovra del futuro decreto che "espone" questa delicata materia alle attenzioni e agli obiettivi di contingenze politiche poco prevedibili.
La proposta di legge Signorino ha creato un grande allarme tra le associazioni dei disabili che temono la possibilità, vista la formulazione non proprio chiarissima della normativa, di una modifica delle prestazioni di cui attualmente beneficiano gli invalidi.
Alcuni parlamentari ricorderanno che nel corso di una manifestazione cui erano presenti vi erano cartelli su cui era scritto: "I diritti acquisiti non si toccano!" e "Vogliamo garanzie!"
ELSA SIGNORINO, Relatore per la maggioranza. Ho mandato una lunga lettera!
DOMENICO GRAMAZIO. Credo che il Parlamento debba dare delle garanzie. L'amico e collega Porcu mi diceva che queste garanzie vanno rispettate, vanno ampliate e sottolineate, non da una parte politica ma dall'intera Commissione, dal relatore, dal Governo, dal Parlamento!
Gli attuali trattamenti non possono essere ridotti, anzi, noi riteniamo che si debba sempre assicurare il necessario sostegno, anche economico, ai disabili, tenendo conto delle condizioni di disagio vero e proprio e di disagio anche di altra natura; riteniamo altresì che debbono essere avviate ulteriori iniziative.
Qualcuno ha ricordato i tanti lager, che ogni volta vengono "sbattuti" sui giornali, e le case non autorizzate nelle quali vengono messi i vecchietti. Spesso si scopre che le unità sanitarie locali competenti per territorio e i comuni non hanno indagato e non sono intervenuti. Fino a quando non vi è una denuncia da parte di un parente, nessuno scopre o nessuno sa che in un quel posto esiste, per esempio, un lager per vecchietti. E quando penso a questo tipo di lager penso anche a quanta speculazione c'è stata e c'è in questo campo.
Penso poi alle denunce che spesso fanno, nel periodo estivo, i direttori sanitari delle più grandi strutture ospedaliere: si prende il proprio parente anziano, lo si ricovera in ospedale per poi "fuggire" verso la stagione estiva! Quante di queste denunce appaiono ogni giorno sui giornali! Quante volte la direzione sanitaria di questa o quella struttura deve denunciare che quella persona anziana, non affetta da alcuna malattia, viene ricoverata soltanto perché non ci sono altre strutture dove ospitarla! Forse quel vecchietto dà fastidio alla propria famiglia.
Certo, noi dobbiamo legiferare, ma dobbiamo anche favorire lo sviluppo di una mentalità più umana con riferimento anzitutto all'assistenza e alle strutture.
Vanno garantiti e difesi gli interessi dell'uomo; al centro di questa legge ci deve essere un uomo che riceva l'attenzione degli operatori del settore non soltanto perché paga.
Per anni abbiamo presentato interrogazioni parlamentari per denunciare comportamenti discriminatori; siamo intervenuti per difendere i ragazzi portatori di handicap che non possono raggiungere la propria scuola perché non ci sono i mezzi per aiutarli.
Con questo progetto di legge dobbiamo sottolineare il diritto-dovere di assistere tutti, non solo quelli che lo chiedono, ma anche coloro che per vergogna non lo fanno o non hanno la capacità di farlo. Lavoreremo in aula per garantire i diritti di tutti e per approvare, se necessario, il provvedimento nel mese di luglio, compiendo così un passo in avanti nell'assistenza dovuta a quanti ricorrono al sistema pubblico perché pensano che il privato sia troppo oneroso. C'è, infatti, chi non può permettersi l'assistenza privata e, nel periodo estivo, finisce nei lager di cui ho parlato.
In questa sede rappresento il lavoro svolto dal collega Carmelo Porcu in Commissione per gli interessi di quanti hanno bisogno di una legge più moderna possibile. Lavoreremo in questa direzione con emendamenti e suggerimenti e, se il relatore avrà l'amabilità di procedere in quel rapporto costruito in Commissione, continueremo a collaborare con le stesse modalità anche nelle prossime settimane.

TIZIANA VALPIANA
Signor Presidente, anch'io penso che il provvedimento che inizia oggi il suo iter in aula rappresenti un passo fondamentale non solo per questa legislatura e per questo Governo, ma anche per il nostro paese.
Mi rivolgo all'onorevole ministro, alla relatrice e ai colleghi per dire che, nonostante il lungo ed approfondito lavoro che si è già svolto in Commissione, non auspico un iter né veloce né facile. Credo che una legge di questo tipo debba richiedere tutto il tempo, le attenzioni e le riflessioni necessarie perché riguarda un tema e una realtà così complessa e perché da essa dipenderanno le sorti del nostro paese per molti anni o forse - se succederà come per la legge Crispi - anche per i secoli a venire.
Le politiche sociali dello Stato italiano si sono strutturate fin dall'origine intorno alla concezione liberale dell'assistenza sociale come diritto residuale e come variabile dipendente dalle compatibilità economiche e dai bilanci pubblici e anche - ricordiamocelo - come politiche complementari alle politiche della sicurezza sociale. È questa una concezione che ha frantumato e ridotto il diritto di universalità delle prestazioni ai destinatari confinandolo ad una serie di interventi settoriali per categorie di soggetti, come per esempio la frammentarietà e il particolarismo delle leggi per la tutela di invalidità con cui anche oggi ci troviamo a dover fare i conti. Si tratta di una legislazione che, dal 1890 ad oggi, si è sviluppata per interventi successivi e sovrapposti, dando risposte di natura clientelare a bisogni sociali organizzati o a problemi insopprimibili al di fuori di ogni considerazione di equità sociale.
In questo secolo il sistema si è complessivamente retto su un intreccio perverso tra politiche clientelari da parte dello Stato e politiche a forte ispirazione riparatoria proposte dagli enti territoriali che, in assenza di una legge-quadro nazionale e dei relativi finanziamenti finalizzati, hanno strutturato le politiche sociali intorno all'articolazione territoriale del sistema produttivo, ai rapporti di forza tra capitale e lavoro e alla configurazione istituzionale espressa da tali rapporti, riproducendo un sistema fondato su grandi iniquità sociali e di genere e sul ruolo di supplenza oblativa esercitato gratuitamente dalle donne nelle famiglie; un sistema corporativo e frammentario che si è frammentato ulteriormente negli ultimi decenni sotto la spinta di legislazioni regionali diversificate e di normative degli enti locali che si sono articolate su due direttrici fondamentali: da una parte, si è ampliata a dismisura l'area dei servizi sociali per farvi entrare politiche di parziale riparazione per le classi e le categorie più deboli dei danni conseguenti ai tagli della spesa pubblica, abbattutisi come una scure sulle politiche sanitarie, del lavoro, dei trasporti, per la casa, sulla scuola, sulla formazione professionale; dall'altra, la mancanza di servizi è stata scaricata sul lavoro di cura e di riproduzione assolto dalle donne e nella famiglia, integrandolo con scarsi interventi assistenziali a carattere economico.
La forte e permanente iniquità territoriale e di genere, che ha caratterizzato le politiche sociali in Italia anche e ben prima delle restrizioni richieste dai vincoli monetaristi di Maastricht, imponeva urgentemente una riforma che tentasse di arrestare la devastazione dei rapporti sociali e la degenerazione delle culture politiche accelerata dalla supremazia e dall'assolutizzazione dell'economico sul politico, con un progressivo disimpegno pubblico che ha portato - e sempre più porterà - alla radicalizzazione ed alla moltiplicazione degli squilibri.
Per ristabilire un minimo di giustizia sociale ci sarebbe bisogno invece, secondo noi, di un maggiore e più significativo intervento pubblico nell'economia, per garantire almeno una redistribuzione del lavoro e delle risorse tra aree territoriali. Invece, dal complesso di leggi e di regolamenti approvati negli ultimi anni possiamo ben comprendere come il trend generale entro cui anche questa proposta, secondo noi, si colloca, sottolinea una tendenza completamente inversa. Si tenta di allargare l'ambito degli interventi senza aumentare le risorse complessive investite per garantirli, negando così il principio di universalità dei diritti sociali fondamentali; si orientano le priorità su misure minime ed aleatorie di integrazione del reddito e su interventi marginali di contrasto della povertà; si dismettono i servizi pubblici e si privatizzano i servizi sociali e alla persona.
Anche il testo oggi alla nostra attenzione rinuncia definitivamente alla funzione redistributiva dello Stato, per realizzare un sistema ispirato al principio di sussidiarietà dello Stato rispetto alle diverse iniziative private.
La sussidiarietà - che noi speravamo fosse trascinata con sé dal fallimento della bicamerale - è il criterio che ispira la proposta, in una triangolazione tra Stato, mercato e terzo settore, con particolare attenzione al volontariato ed all'autoaiuto su base familiare, che sono benvenuti ed encomiabili quando non siano costretti o implementati per tamponare falle dovute alla dismissione dei servizi sociali, promuovendo un vero e proprio mercato dei servizi sociali rivolti non alla persona, ma alla persona nella famiglia, che diventa così un cuscinetto obbligato ad assorbire problemi individuali e contraccolpi sociali.
Si smantellano i diritti universali della persona conquistati in un secolo di lotte e si promuove un'offerta di servizi rivolti alle famiglie, integrati da misure specifiche per le famiglie povere. Si sbandierano la libertà di scelta, l'articolazione di una più vasta offerta di servizi, la valorizzazione della famiglia come nucleo sociale fondamentale ed altro non si fa che ridurre e svalorizzare le famiglie da luogo degli affetti ad unità economica e di servizi, alla quale si affida il compito di assorbire e risolvere i problemi creati da un'organizzazione sociale e produttiva iniqua, lasciando alle politiche pubbliche il compito di regolazione del mercato dei servizi e di erogazione dei trattamenti minimi nei confronti delle fasce più colpite dai processi di ristrutturazione economica e sociale.
L'ideologia familista viene assunta in toto per nascondere il nesso tra modello di sviluppo e condizioni sociali. Si tace il fatto che sia il modello socioeconomico scelto a determinare l'esclusione e la marginalità sociale di un sempre maggior numero di persone in tutto il mondo cosiddetto sviluppato e si scaricano le inadeguatezze personali in famiglia. Una concezione questa che rovescia il principio di solidarietà, secondo cui tutti debbono concorrere, attraverso un'imposizione fiscale progressiva, a promuovere risposte ai bisogni sociali, aggravando la stratificazione sociale su base classista e sessista, per cui la famiglia in difficoltà deve provvedere a se stessa o essere assistita sulla base della somma dei redditi dei suoi componenti.
Nella famiglia povera che accede al reddito minimo donne e uomini si distribuiscono povertà e lavori precari e flessibili, incluso quello di riproduzione e lavori di cura. La previsione di assicurazioni integrative per coprire i rischi legati a condizioni di non autosufficienza, dopo aver trasferito i non autosufficienti dalla sanità all'assistenza, completa il quadro, spostando a carico del reddito da lavoro, già pesantemente colpito, un'altra quota di spesa sociale, che diventa così individuale. Gli assegni di cura, poi, si affiancano e si sostituiscono a servizi e ad assistenza domiciliare, chiedendo così alle donne di ritirarsi dal lavoro produttivo, donne che, purtroppo, non vengono mai esplicitamente nominate nel testo, come nel caso del provvedimento sulla procreazione assistita; in tal modo, si nega nelle leggi una differenza biologica, sociale e culturale oggettivamente esistente, il che ha creato e crea equivoci e falsità. Si tratta di leggi che non rispecchiano la realtà e che, alla fine, allontanano le donne da una politica che non le nomina.
Dicevo, appunto, che con gli assegni di cura si chiede alle donne di ritirarsi, totalmente o parzialmente, dal lavoro produttivo e di moltiplicare all'infinito il proprio lavoro e la propria dedizione, segregando nelle case le persone non autosufficienti e quelle che le assistono. Si disgregano la famiglia, la società, la vita di relazione, si avvilisce il ruolo delle donne, si tolgono dalla vista della società bambini, malati, anziani, disabili, riempiendosi la bocca di proposte apparentemente aperte e progressive.
Anche il terzo settore, sbandierato, nominato e apparentemente valorizzato nell'intero testo, viene in realtà schiacciato tra mercato, Stato e volontariato, svilendo le importanti ed innovative esperienze costruite dentro la pratica dell'auto organizzazione sociale come modello antagonista a quello del mercato, costringendolo a competere con i soggetti privati e le fondazioni, in particolare quelle bancarie, sul mercato dei servizi sociali. Si contribuisce, così, a dissolvere dalla maggior parte delle esperienze la carica realmente innovativa di alternativa alle logiche del mercato capitalistico con cui le realtà del terzo settore si erano presentate nel sociale, per ridurle ad imprenditoria sociale, cioè a basso costo, a vantaggio del mercato e a spese dei soci lavoratori, spesso sottopagati ed autosfruttati.
Visto che ho esaurito il mio tempo, signor Presidente, chiedo di poter consegnare considerazioni integrative del mio intervento affinché siano pubblicate in calce al resoconto della seduta odierna.
Per concludere, ribadisco le nostre grandi perplessità sull'impianto e sul contenuto del provvedimento, al quale abbiamo cercato di opporci e continueremo a farlo con la nostra attività sia istituzionale - anche se i sei minuti che abbiamo a disposizione per l'esame degli emendamenti non ci avvantaggeranno - sia, anzi soprattutto, nella società civile, nelle aggregazioni politiche e sociali, promuovendo rivendicazioni e mobilitazioni. Ciò nonostante, desidero segnalare, in senso positivo, la grande competenza, la dedizione, l'intelligenza e l'ambizione dimostrate dalla relatrice nello svolgimento di un lavoro sicuramente non facile, considerata la complessità della materia; sottolineo, poi, la serietà con la quale la Commissione e il Governo hanno lavorato anche se, a nostro avviso, il risultato non è altro che un caposaldo della distruzione dello Stato sociale e della costruzione di un mercato dei servizi sociali che, purtroppo, sottolinea la sempre più marcata distanza di impostazione tra questa sinistra di Governo e la sinistra alternativa.

DINO SCANTAMBURLO
Signor Presidente, signor ministro, colleghi, il testo del provvedimento di riforma dell'assistenza sociale, dopo un lungo, approfondito e per molti aspetti condiviso dibattito in seno alla XII Commissione, è stato elaborato anche a seguito di un confronto vivo con numerose realtà istituzionali, centrali e periferiche, e con le componenti sociali del non profit e del volontariato; si è proceduto ad una diretta presa di conoscenza di sistemi di welfare applicati da altri Stati, con il tentativo di innovare il sistema, coniugandolo con l'ascolto, l'attenzione e il consenso maggiore possibile delle parti sociali.
Sono questi i tre elementi portanti del cammino del provvedimento in esame, che ha visto avanzare proposte anche da parte dei popolari, oltre al confronto collaborativo, attivo e positivo con il Governo, in particolare con il ministro Livia Turco, e al lavoro complesso, attento ed efficace svolto dalla relatrice, onorevole Signorino.
Il provvedimento in esame rinnova integralmente il sistema dell'assistenza sociale, rimasto ancorato alla legge Crispi del 1890, e si inserisce appieno nella riforma dello Stato sociale che, del resto, è all'ordine del giorno dei Governi di tutti i paesi sviluppati, con motivazioni che vanno dalla grande esaltazione del liberismo, con la sua carica di competitività, al crescente peso della spesa delle pensioni sul PIL, ai rischi di comportamenti di dipendenza dai sussidi per l'assistenza economica, all'esigenza di razionalizzare un insieme di prestazioni sviluppatesi al di fuori di un quadro organico.
Pur con diverse ispirazioni, tutti convergono sull'obiettivo di ridurre la spesa sociale, ma non può essere trascurato il fatto che il sistema di welfare del nostro paese, oltre ad essere incompiuto, appare inadeguato e superato rispetto ai cambiamenti prodotti dalla società postindustriale, riferiti al lavoro che si trasforma sempre più da dipendente in autonomo in forme nuove e che perciò presenta domande diverse di tutela e comunque di una sicura inclusione nel sistema di welfare.
Dalla società vengono le specifiche segnalazioni dei cambiamenti economici, sociali e culturali, le segnalazioni delle conseguenze delle trasformazioni in corso in termini di domanda di nuove tutele e di attenzione ai fenomeni di nuova povertà e di esclusione sociale, i quali si sommano alle domande inevase di fasce estese di figure deboli per povertà, età, malattia, non autosufficienza, disabilità, immigrazione.
A noi pare che i grandi obiettivi della nuova legge debbano essere quelli di individuare ed offrire delle risposte mirate ed efficaci ai bisogni sociali di oggi, i quali sono mutati e mutano di quantità e qualità rispetto ad un passato anche recente, e di riequilibrare le risorse finanziarie, umane, organizzative e progettuali oggi disponibili ed approntarne di aggiuntive, investendo di più nei servizi sociali alla persona, alle famiglie, alla comunità.
La capacità di utilizzo delle risorse deve divenire più equilibrata e corretta tra le grandi voci della previdenza, della sanità e dell'assistenza.
È anche da aggiungere che il quadro degli interventi legislativi e normativi sulla materia è molto ampio, per cui occorre operare in modo coerente e unitario riordinando la eterogeneità delle prestazioni, evitando differenze sostanziali o sovrapposizioni. Sono infatti in vigore le anticipazioni delle leggi finanziarie 1998 e 1999, con il fondo per le politiche sociali, il reddito minimo di inserimento, il raggruppamento degli interventi previsti da singole leggi per l'infanzia, per i soggetti portatori di handicap, per i tossicodipendenti e per l'assistenza agli anziani. Ci sono le leggi Bassanini con i provvedimenti attuativi. Il decreto legislativo n. 112 definisce i soggetti autori delle politiche degli investimenti sociali. Sono pure vigenti i provvedimenti sulla disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale. È stato emanato il decreto legislativo sulla riorganizzazione del servizio sanitario nazionale, che, in tema di integrazione socio-sanitaria, consente di non creare sistemi paralleli e non comunicanti di servizi, allo scopo di dare risposte contestuali e unitarie alle persone destinatarie. È stato presentato un importante e interessante disegno di legge del Governo e le regioni, nel vuoto della riforma e nell'attesa della sua approvazione, hanno legiferato con notevole diversità tra loro.
Entro questo variegato contesto noi siamo chiamati ad intervenire. Oggi constatiamo la grande variabilità nella quantità, nella qualità, nel tipo di interventi socio-assistenziali erogati a livello locale; diversità dei livelli di erogazione, dei soggetti beneficiari, delle soglie di reddito per ottenere benefici.
Il bisogno di formazione iniziale e poi nel corso della vita da parte di ciascuna persona, l'accesso al lavoro o l'interruzione dello stesso, la denatalità, il crescente processo di invecchiamento, la diminuzione della presenza giovanile, la fragilità di molte famiglie per i rapporti interni più difficili e per le situazioni di isolamento sociale, le separazioni e i divorzi, che producono nuovi bisogni personali e sociali: a fronte di tutti questi mutamenti, che incidono nella vita quotidiana delle persone, nei loro stili di vita, nell'organizzazione di servizi, strutture e attrezzature, nella organizzazione anche della sanità ospedaliera e territoriale, nella predisposizione di un'articolata ed efficiente organizzazione di servizi sociali, come si pone lo Stato?
È anche da evidenziare che si registra la compresenza di realtà molto avanzate e innovative e di realtà più tradizionali, come evidenziato anche dai dati della commissione di indagine sulla povertà e sull'emarginazione; una compresenza resa possibile anche dalla mancanza di una legge-quadro aggiornata sull'assistenza e perciò di un contesto legislativo di riferimento omogeneo.
Noi popolari conveniamo sulla necessità che il Parlamento approvi presto una nuova legge in sostituzione della legge Crispi, per garantire un sistema di protezione sociale capace di prevenire, eliminare, ridurre le condizioni di bisogno e di disagio sociale legate, come previsto dall'articolo 1, ad inadeguatezza di reddito, difficoltà umane e sociali, condizioni di non autonomia.
Si esce dalla beneficenza di tipo caritativo ed assistenziale favorendo un sistema di servizi di promozione della cittadinanza individuale e sociale in favore di diritti concretamente esigibili; si promuove così l'effettiva autosufficienza della persona e la solidarietà fra i gruppi in linea con le tendenze fortemente emergenti nella società, all'interno della quale si sta rafforzando la presenza del privato sociale. Noi popolari riteniamo che il testo da oggi all'esame dell'Assemblea contenga un impianto ed un'articolazione notevolmente condivisibili e sostenibili, in quanto abbiamo attivamente collaborato a costruirlo e perché il provvedimento risponde in larga parte a quelle garanzie per ogni persona, per le famiglie e per i soggetti più deboli che devono essere assicurate dallo Stato, in una logica di solidarietà ed anche di sussidiarietà, ma anche nel riconoscimento del ruolo attivo del volontariato e del privato sociale.
Affermiamo anche noi il principio di universalità dei servizi essenziali, anche con riferimento ai soggetti fruitori ed all'accesso ai servizi stessi. Se vogliamo assicurare un sistema di servizi essenziali omogenei per ciascuna persona, al di fuori di logiche liberiste di mercato e di pura competizione, che lascerebbero certamente a margine numerose persone meno dotate e meno capaci, non può che essere il soggetto pubblico a porsi il problema del dovere di intervenire. Consideriamo pertanto necessario il significativo passo in avanti per il quale sia lo Stato sia l'ente locale devono programmare e realizzare un sistema di servizi sociali, di pari dignità ed incidenza rispetto agli interventi esercitati in altri settori della vita dei singoli e delle comunità.
Ciò che non accetteremmo in alcun modo sarebbe la pretesa dello Stato di divenire l'unico soggetto che accentra, che si ritiene titolare esclusivo di detti servizi. Esso dovrà programmare e realizzare il sistema dei servizi, ma dovrà far concorrere alla programmazione e consentire la gestione degli stessi da parte di tutti quei soggetti del volontariato, del privato sociale ed anche del privato, i quali, in base a regole precise e su indicatori di qualità ed efficacia, dimostrino di essere in grado di farlo. Lo Stato deve divenire un regolatore, avvalendosi dello strumento del piano nazionale degli interventi nei servizi sociali, nel quale indicherà, compatibilmente con le risorse economiche del fondo per le politiche sociali, i livelli essenziali di prestazione dei servizi, i criteri per l'attuazione dei servizi in rete, le priorità di intervento, gli indici per valutare il rapporto costo-efficacia dei servizi.
Il comune acquista la titolarità, nel proprio territorio, della progettazione e gestione, ma non può pretendere di esserne l'unico depositario. Le innovazioni legislative e normative prodotte in questo decennio hanno rimesso al centro della politica la dimensione amministrativa comunale, che diviene misura immediata di efficacia e di umanità della presenza dello Stato, motore di sviluppo locale economico e sociale, regista della concertazione territoriale. Il decreto legislativo di riordino del servizio sanitario nazionale ha accresciuto la competenza comunale in materia sanitaria: è pertanto doverosa la titolarità dei comuni, che divengono più capaci di applicare il criterio della sussidiarietà, avvalendosi correttamente dell'apporto di quella straordinaria risorsa del volontariato e del privato sociale che spesso è arrivata prima laddove il pubblico non è arrivato, o dove difficilmente arriva.
Non si può non ricordare la grandissima azione, estremamente positiva, esercitata dalle opere pie, dalle IPAB, dalle istituzioni private non aventi scopo di lucro, dalle associazioni del volontariato diffuso, che hanno creato sensibilità e cultura, hanno stanato situazioni di emarginazione umana e sociale, hanno costretto il pubblico ad aprire gli occhi e ad acquisire una cultura politico-amministrativa capace di generare comportamenti doverosi ed appropriati a favore della piena inclusione sociale.
Occorre, pertanto, offrire ampio spazio ai soggetti sociali aventi storia e tradizione di volontariato e di gratuità nel donarsi, come pure alle strutture attive nel sociale che non perseguono obiettivi di lucro e che erogano servizi di qualità. I comuni, pertanto, concorreranno alla programmazione regionale e saranno titolari delle funzioni di programmazione e di gestione dei servizi per le proprie comunità, avvalendosi del privato sociale mediante le forme di accreditamento. La partecipazione dei cittadini diviene così più concreta ed efficace perché avviene a livello di comune e di distretto e contribuisce a rinsaldare il senso di responsabilità, le relazioni sociali, la stessa efficacia dei servizi. Gli ambiti territoriali di programmazione e di gestione dei servizi sociali saranno decisi dalle regioni e dai comuni, e quindi sarà bene che siano di norma coincidenti con i distretti delle aziende sanitarie locali, anche per non creare ulteriori organismi, tenuto conto che i distretti o sono già in funzione o, comunque, dovranno essere attivati.
L'organizzazione dei servizi deve basarsi sul piano di zona e sul distretto, entrambi devono garantire i servizi essenziali a fronte delle priorità stabilite e delle risorse disponibili, rivolgendo particolare attenzione alle famiglie con difficoltà economiche, di relazioni o con gravi carichi assistenziali. Nel piano di zona vengono affrontati anche i problemi di integrazione con gli altri servizi, in particolare con la scuola, il lavoro, la sanità e l'educazione.
A nostro avviso, un altro tema merita un'attenzione particolare ed è quello affrontato dall'articolo 16, cioè le politiche per la famiglia, l'istituto sociale riconosciuto e tutelato dalla Costituzione, che non è unità di coabitazione di individui e neppure unità di coabitazione alla quale comunque sono assicurate garanzie per i diritti individuali della donna, del bambino, dell'anziano, ma istituto con specifiche, accentuate identità di relazione tra i suoi componenti. Non ci si può più rivolgere alle famiglie cosiddette povere, servono politiche per la famiglia in genere, per il sovraccarico di funzioni di responsabilità che, oggi, competono anche alla famiglia tipica. La famiglia singola e associata ha titolo per partecipare come tale sia alla formazione della domanda e al controllo dei servizi offerti sia all'offerta di interventi e servizi sociali che saranno previsti dalla nuova legge.
Un altro tema riguarda la cura delle persone anziane non autosufficienti; una quota dei servizi è da destinare a tali persone per favorirne l'autonomia e per sostenere il nucleo familiare nell'assistenza domiciliare. L'obiettivo principale rimane quello di aiutare la permanenza a domicilio dell'anziano per il tempo più lungo possibile, sia per soddisfare il suo desiderio prevalente sia per ridurre la spesa da ricovero in istituto.
Il tema dell'assistenza domiciliare integrata con la sanità richiede programmi coordinati in rete fra soggetti pubblici e privati. Per quanto riguarda le competenze, occorrerà precisare molto bene che cosa intendiamo per prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, previste a carico dei comuni.
Sulle IPAB occorre dire che condividiamo sostanzialmente il testo dell'articolo 10 perché esso ne riconosce e conferma il rispetto delle volontà statutarie, inserisce gli istituti nella rete della programmazione regionale dei servizi, rendendoli soggetti che partecipano all'elaborazione dei piani di zona, ne prevede l'autonomia statutaria, amministrativa e gestionale per quelle pubbliche e, per quelle che lo chiedono, la trasformazione in associazioni e fondazioni di diritto privato, con la fruizione delle agevolazioni stabilite per le ONLUS. La gestione dei patrimoni dovrà essere trasparente, controllata, fruttifera a favore degli assistiti.
È da ricordare che le sentenze della suprema Corte in termini di depublicizzazione non possono che venire applicate. Con la riforma noi ci rivolgiamo a tutte le IPAB, sia a quelle con funzioni socio-sanitarie sia a quelle con funzioni educative o di altro genere. Nel caso di necessario scioglimento di una IPAB, il suo patrimonio, proprio per il rispetto delle volontà istitutive dell'istituto, non potrà che essere destinato ad IPAB che perseguono scopi identici o più affini possibile.
Il riordino degli emolumenti economici, oggi caratterizzati da separatezza e dispersioni, deve salvaguardare i cosiddetti diritti acquisiti, come è stato ripetutamente affermato - ad esempio, i diritti acquisiti di invalidi e disabili -, ma deve pure prevedere l'applicazione di criteri di equità e puntare a costruire un equilibrio più avanzato tra servizi e trasferimenti economici per offrire risposte mirate ed efficaci alle persone che vivono in condizioni di fragilità. A tale proposito, appare importante la riduzione da sedici a quattro dei livelli di intervento.
In ogni caso, tutto ciò non deve comportare alcuna diminuzione rispetto agli attuali trattamenti: ce lo siamo detto più volte e mi pare che abbiamo concordato su tale posizione. Noi chiediamo che si arrivi subito a risorse aggiuntive rispetto a quelle attualmente disponibili: il documento di programmazione economico-finanziaria, così come la prossima legge finanziaria, costituiranno la sede appropriata per testimoniare l'impegno effettivo del Governo e, a tale proposito, conosciamo l'impegno tenace del ministro Turco.
Il fondo sociale nazionale, cofinanziato dai vari soggetti istituzionali coinvolti, dovrà avere un finanziamento certo e permanente che veda, quindi, un aumento complessivo della spesa sociale, pur nella modifica della sua composizione, senza dover intervenire a tale scopo sulla previdenza.
Un altro aspetto significativo è quello relativo al reddito minimo di inserimento, la cui messa a regime va preceduta da un'attenta verifica dei risultati della sperimentazione in corso, affinché esso non divenga un normale sussidio, sulla scia dell'assistenzialismo, ma sia finalizzato, là dove vi sono le condizioni, ad un percorso mirato per l'inserimento lavorativo del soggetto beneficiario.
È urgente operare il riordino complessivo delle funzioni assistenziali, oggi distribuite tra numerosi Ministeri, in quello specifico della solidarietà sociale, affinché esse siano esercitate in modo coordinato, unitario e più efficace.
La carta dei servizi sociali dovrà essere adottata e resa pubblica da parte dei soggetti erogatori dei servizi, allo scopo di garantire gli utenti sulla qualità di ciò che viene offerto e di informarli sui servizi disponibili.
Credo che dobbiamo anche essere attenti, nella scelta delle priorità, a non assumere le rivendicazioni delle categorie cosiddette forti, privilegiando, invece, le fasce deboli di cittadini, i non garantiti, quelli senza rappresentanza. In tale ambito, vanno definiti gli spazi dello Stato, quelli della solidarietà e quelli delle scelte autonome dei cittadini, con una maggiore articolazione e flessibilità delle prestazioni ed una forte responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti.
La legge Crispi era stata pensata per regolare in modo positivo la beneficenza pubblica nella società di fine ottocento. In quell'epoca la cultura dei diritti sociali non era ancora nata. L'avvento dei diritti sociali e la concezione solidaristica dello Stato hanno via via sollecitato la costruzione delle condizioni necessarie per renderli operanti.
La via concreta più credibile e che qualifica la spesa sociale è quella di realizzare sistemi di servizi alle persone capillarmente diffusi: ciò che è stato fatto per la salute e l'istruzione può essere fatto con una riforma dell'assistenza sociale che dia forma ad un nuovo sistema di servizi per le persone e per le famiglie.
Lo Stato non è abbastanza sociale se non riesce a garantire un sistema di opportunità per il pieno sviluppo delle persone e delle famiglie. La società non è solidale se non riesce ad esprimere le potenzialità e le responsabilità delle sue diverse componenti: imprenditoriali, associative, di volontariato organizzato ed individuale.
Concludo, dicendo che sono convinto che, accanto ai principi di efficienza, di efficacia e di omogeneità dei servizi, dal testo della legge e poi dalle azioni di chi l'applicherà, deve scaturire quell'ispirazione forte di solidarismo, di sussidiarietà e di partecipazione dei cittadini, che sono anche tra i principi sostenitori del nostro progetto politico.

GIOVANNI ALEMANNO
Signor Presidente, signor ministro, i colleghi del Polo intervenuti prima di me hanno già sottolineato l'importanza che attribuiamo a questa legge di riforma che, pur essendo stata meno pubblicizzata dai dibattiti sulle pensioni e dalle indagini macroeconomiche sugli equilibri del welfare, per i problemi che evoca, per il significato culturale e per il tentativo di dare una sistemazione complessiva al settore dell'assistenza, è sicuramente molto più importante di altre maggiormente evidenziate dal dibattito giornalistico e politico. Rivolgiamo quindi grande attenzione e nutriamo il massimo rispetto per il lavoro svolto dalla Commissione di merito e nello stesso tempo diamo atto della disponibilità manifestata dalle forze di maggioranza nei confronti delle proposte dell'opposizione.
Fatta questa premessa, ritengo che vi sia ancora un lungo e duro lavoro per l'Assemblea perché ancora non ci troviamo, a nostro giudizio, su un terreno soddisfacente, nel senso che il testo approvato dalla Commissione non contiene paletti sufficientemente saldi che consentano quel salto di qualità, quel cambiamento strutturale, a parole invocato da tutti ma che non si ritrova in termini chiari - ma solo declamatori - all'interno del testo di riforma.
L'onorevole Signorino ha parlato di un welfare comunitario come principio ispiratore della riforma, sottolineando - questo tema è stato ripreso anche dai colleghi della maggioranza - lo sforzo teso a superare i vecchi schemi dello statalismo. Sicuramente all'interno di questo provvedimento vi è il superamento dello schema dello statalismo ma ancora non vi sono garanzie chiare rispetto al superamento degli schemi del dirigismo. Anche il riferimento ad un welfare comunitario è ancora troppo labile. Richiamo alcuni passaggi fondamentali sui quali l'opposizione deve esercitare il suo potere di emendamento, nella speranza di trovare presso la maggioranza un'adeguata attenzione. Il welfare comunitario è possibile solo attraverso un'applicazione seria e complessiva del principio di sussidiarietà, non tanto in senso verticale quanto in senso orizzontale; anzi la sussidiarietà verticale ha una logica se diventa strumento per realizzare la sussidiarietà orizzontale, cioè quella che rimanda ai corpi della società civile.
Vediamo cosa afferma in materia il testo in esame. Se leggiamo il capo I concernente i principi generali del sistema integrato di interventi e servizi sociali, l'espressione "principi di sussidiarietà" è contenuta nell'articolo 3, dove si parla di sussidiarietà verticale, ma non si ritrova nell'articolo 4, dove si dovrebbe parlare di sussidiarietà orizzontale e invece si fa riferimento al ruolo delle ONLUS e in generale del non profit. Un ulteriore riferimento al principio di sussidiarietà si ritrova nell'articolo 5, comma 1, ma solo in rapporto all'azione che Stato, regioni ed enti locali devono attuare nel sostegno e nella qualificazione dei soggetti che operano nel terzo settore.
Ecco perché riteniamo che il testo non contenga sufficienti garanzie per il terzo settore e quindi per il principio di sussidiarietà. Infatti si fa riferimento solo al sostegno e alla qualificazione delle realtà che operano nel terzo settore. Lo stesso vale allorché si afferma che bisogna coinvolgere queste realtà nell'opera di programmazione, oltre che di gestione, delle attività di assistenza. Sono affermazioni nelle quali rinveniamo ancora una capacità di potere e di decisione sostanzialmente accentrata attorno a coloro i quali rappresentano la pubblica amministrazione ed il potere politico. Se si delega in modo generico un comune a decidere, a promuovere o a coinvolgere, rispetto ai rischi paventati dal collega Gramazio, non vi sono sufficienti garanzie attorno alla figura degli "assessori padroni", cioè quegli assessori che ingeriscono, che discriminano, che decidono, all'interno del terzo settore, chi siano i buoni e chi i cattivi.
Non basta dire che gli enti locali debbono promuovere i servizi ed essere coinvolti nella programmazione; occorre specificare le garanzie per il terzo settore e le possibilità di intervento autonomo degli enti locali nella programmazione e nel controllo. È necessario, quindi, un elemento in più, che guidi la definizione degli statuti comunali e delle leggi regionali sul terreno del riconoscimento di poteri autonomi al terzo settore: se non vi è potere autonomo, non vi è reale sussidiarietà.
Il professor De Rita nell'ultimo rapporto del CENSIS afferma che il termine "sussidiarietà" copre, in realtà, il termine "poliarchia": se non vi è distribuzione del potere, di organizzazione, di controllo e di verifica, non si realizza un'effettiva sussidiarietà nel rapporto tra chi rappresenta il potere politico e la pubblica amministrazione e chi rappresenta l'autonomia, l'organizzazione e la partecipazione alla società civile.
Ritengo - come suggerito anche nella proposta di legge di iniziativa dell'onorevole Burani Procaccini - che sia necessario definire almeno in termini embrionali e delegandone la realizzazione alle regioni ed agli enti locali, gli organi di espressione diretta del terzo settore; organi che abbiano la funzione di contraltare, di controllo, di dialogo e di interferenza con l'operato della pubblica amministrazione e del potere politico. Vi è la necessità che l'insieme - tra l'altro, già esistente spontaneamente - delle consulte e delle strutture presenti sul territorio e negli enti locali venga rilevato in qualche modo dalla proposta di legge; la necessità che esso venga promosso e sancito come una realtà già presente ed operante. La legge deve fissare alcuni paletti, deve creare elementi di certezza per il terzo settore, nel momento in cui lo chiama a fornire la propria opera di assistenza. Diversamente, vi sarebbe il rischio che il welfare mix - che è il vero dato ispiratore della proposta di legge e non il welfare comunitario - sia realizzato con una parte che domina e con una che subisce tale dominazione.
Vi è un altro aspetto da approfondire e che rappresenta un elemento di garanzia rispetto al rischio del dirigismo. Si afferma nella proposta di legge che i diritti dell'utente dovranno essere stabiliti dalla carta dei servizi sociali. Tuttavia, quando con il comma 2 dell'articolo 13 si definisce il contenuto della carta dei servizi sociali, ci si limita a dire che in essa sono definiti i criteri per l'accesso ai servizi, le modalità del relativo funzionamento, le condizioni per facilitarne le valutazioni da parte degli utenti e dei soggetti che rappresentano i loro diritti, nonché le procedure per assicurare la tutela degli utenti. A mio giudizio, si tratta di disposizioni eccessivamente generiche rispetto al rischio dell'utente di subire la catena delle decisioni che vengono prese sopra la sua testa, al rischio di non poter scegliere il proprio accesso ai servizi.
Alcuni giorni fa mi trovavo a parlare con il sindaco di Parma; si tratta di uno di quei sindaci che da tempo - o più recentemente, come a Bologna - si misurano con il modello amministrativo emiliano, partendo da posizioni di centro-destra; ebbene, è in corso un conflitto tra quel sindaco e la regione Emilia-Romagna sulla possibilità di scelta per l'utente di rivolgersi ad una realtà di non profit, privata o pubblica, per l'erogazione di un servizio assistenziale. Ancora oggi, all'interno degli enti locali, vige il principio di affidare concessioni secondo il seguente sistema: gli appalti vengono distribuiti tra le varie cooperative sociali; quindi l'utente deve far parte della cooperativa sociale che viene scelta per erogare un determinato servizio su quel territorio. Occorre, dunque, inserire nella proposta di legge un elemento ulteriore: quello della possibilità di scelta per l'utente, in maniera che vi sia una competizione che parte dal basso, dalla possibilità per l'utente di rivolgersi a vari erogatori dei servizi sociali. Questo punto deve essere sancito nella carta dei servizi: se non vi è possibilità di scelta da parte dell'utente, pur all'interno di un mercato tutelato e protetto, si rimane in una logica che vede i destinatari del servizio subire le decisioni prese da altri.
La proposta di legge al nostro esame ha indubbiamente alcuni meriti: è un provvedimento atteso e necessario; un provvedimento ambizioso che può, però, incorrere nei rischi evidenziati dal collega della lega nord ed il rischio principale è quello di essere una legge che, nella sua aspirazione universalistica, finisce per conseguire alcune insufficienze di bilancio e per riscontrare alcune astrazioni nella propria definizione.
Di fronte alle ambizioni manifestate, crediamo che il salto di qualità vi sarà se, attraverso meccanismi di partecipazione e nuove forme di rappresentanza del terzo settore, cioè dando voce all'autonomia della società civile, si introdurranno effettivamente elementi di controllo incrociato. Se, alla fine, saranno i rappresentanti del potere politico, a livello centrale e periferico, a decidere tutto sull'assistenza, a decidere tutto su chi coinvolgere nel terzo settore, si lascerà una pericolosa porta aperta non solo al dirigismo di cui parlavo prima, ma anche ad una assoggettazione del terzo settore al potere politico, cosa che noi non vogliamo. Rischieremmo, insomma, di passare da un orgoglioso terzo settore, che ancora mantiene capacità di autonomia e di autorganizzazione, ad una sua totale sudditanza rispetto al potere pubblico. È un rischio che si corre ogni qualvolta si chiudono i contatti e si agganciano direttamente il potere pubblico e la realtà del privato sociale. È allora necessario inserire, nelle formulazioni, nelle affermazioni di principio, nei comandi imperativi che vengono dati agli enti locali ed alle regioni, paletti tali da garantire la partecipazione della società civile organizzata.

GIUSEPPE LUMIA
Signor Presidente, è vero, si tratta di una legge di importanza storica. La relatrice e la Commissione consegnano all'Assemblea un testo che aiuta molto il nostro paese a smitizzare il dibattito attuale sul tema della previdenza, a collegarlo con le giuste esigenze rappresentate dai nuovi diritti di cittadinanza, così diffusi nella vita della nostra società. Aiuta il nostro paese a mettere al centro del dibattito politico-istituzionale un tema vero, che riguarda milioni di cittadini, che crea speranze vere, organizzate, strutturate, che dà alla politica la possibilità di collegarsi con la vita reale di milioni di famiglie, che ci mette finalmente in condizione di non piangere di fronte ai drammi delle vecchie e nuove povertà, ma di dare risposte progettuali, moderne, strutturate. Finalmente! Sì, finalmente, perché nel nostro paese si è aspettata per troppo tempo questa legge. Sussurriamo quasi la data del 1890 della legge-quadro Crispi, ma essa andrebbe ricordata con forza, perché troppi anni ci separano da quella data. Certo, è ancora presto per cantare vittoria, nessun tono trionfalistico può essere ancora usato, perché siamo appena all'inizio dei lavori in Assemblea, ma è chiaro ormai che si sta facendo sul serio.
Il Governo D'Alema con il ministro Livia Turco, la maggioranza di centro-sinistra con il lavoro svolto dalla Commissione e ben rappresentato dalla relatrice in questa legislatura vogliono lasciare il segno. Troppi anni ci separano dal 1890, per tanti anni abbiamo macerato le coscienze di migliaia di operatori pubblici che nel loro lavoro quotidiano avvertivano la necessità di fornire il nostro paese di una legge-quadro capace di rappresentare i bisogni, i servizi, i diritti di cittadinanza nel campo delle politiche sociali. Lo stesso ragionamento vale per il mondo del volontariato e del privato sociale: quante speranze mortificate, quante amarezze provate quando ci si faceva carico delle drammatiche condizioni di bambini, di anziani, di disabili, di uomini e donne in condizioni di disagio sociale, di povertà, nelle vecchie e nuove forme in cui questa si esprime!
Certo, nel frattempo si è andati avanti, nei comuni si è innovato e lo stesso cammino hanno fatto le regioni. Ecco, anche, perché è importante questa legge: perché ha saputo mettersi in sintonia con il lavoro più maturo presente nel nostro paese. È un buon punto di partenza, che predispone l'Assemblea a compiere un buon lavoro.
Per i democratici di sinistra questo provvedimento pone il nostro paese di fronte alla possibilità di scegliere cosa fare dello Stato sociale. È difficile pensare che possa prevalere, con questa maggioranza, la classica soluzione di un suo netto smantellamento, secondo ricette già sperimentate drammaticamente, soprattutto in passato, in altri paesi considerati, come il nostro, avanzati.
L'altra possibilità su cui ci siamo avviati è quella di riformare e rinnovare profondamente lo Stato sociale, potenziandolo e mettendolo al servizio dei moderni diritti di cittadinanza. La sfida di oggi e di domani è, pertanto, sempre più quella di trasformare, riformare e non distruggere lo Stato sociale: una sfida difficile e complessa, ma, al tempo stesso, entusiasmante. È difficile e complessa perché lo Stato sociale, così com'è, non va decisamente bene, anche se vanno evitati superficiali interventi di rimozione dei suoi più profondi significati. Esso ha avuto senz'altro grandi meriti storici, in quanto ha conferito dignità a milioni di uomini e donne, ragazzi e ragazze, adulti e pensionati, ed ha saputo, in sostanza, arricchire la democrazia di valori e contenuti carichi di solidarietà e di crescita della persona e del bene comune. Non è azzardato sostenere che lo Stato sociale è riuscito a fare entrare nella vita quotidiana la convivenza e le virtù della democrazia, tanto che molti studiosi indicano in esso il segno più innovativo di questo secolo che volge al termine.
Tuttavia, adesso lo Stato sociale mostra troppe rughe, troppe falle. Dove è stato realizzato rischia eccessi di burocratizzazione, di distacco dai problemi posti dalle vecchie e nuove povertà ed un allontanamento dai nuovi bisogni dei cittadini e della comunità. In altre regioni, soprattutto nel sud, del nostro paese si è invece concretizzato in uno Stato assistenziale in cui molti bisogni sono stati via via trasformati in privilegi piuttosto che in diritti ed i privilegi si sono legati allo scambio clientelare, per cui non hanno preso piede servizi qualificati e accessibili a tutti.
È allora più che mai necessario rinnovarsi, aprendo piste nuove. Dobbiamo guardare avanti facendo memoria di quanto di positivo si è realizzato per raggiungere nuove mete di crescita civile e sociale. Certamente, questa è una sfida ambiziosa, ma è importante tener conto che non dobbiamo procedere al buio. Infatti, abbiamo alle spalle esperienze straordinarie sparse in molte realtà del paese, sia nel pubblico sia nel privato sociale. Il nostro paese è pertanto nella condizione di far bene e di rendere l'obiettivo del miglioramento dello Stato sociale un momento di reale crescita partecipata e condivisa della nuova democrazia.
Sul versante delle scelte strategiche, questo progetto di legge ci pone di fronte ad una scelta: riorganizzare lo Stato sociale in un mix di nuovo welfare State, cioè di un pubblico aperto, sburocratizzato, relazionale e partecipativo, non più massicciamente impegnato a realizzare fini e a gestire in proprio, ma più responsabilizzato a garantire servizi avanzati, per la parte che ancora gli compete direttamente, e, soprattutto, orientato a dare indirizzi e ad incentivare la presa in carico della comunità, nonché a controllare e a tutelare pienamente l'esigibilità dei diritti; anche un welfare della società, con una maggiore presenza, cioè, in tutti i settori, dei diritti di cittadinanza del privato sociale o del terzo settore con una funzione progettuale, quindi coprogrammatrice dei servizi, e con una funzione marcatamente gestionale, in grado anche di sperimentare, stimolare e anticipare il ruolo del pubblico, da un lato, e del cittadino, delle famiglie, delle comunità locali, dall'altro.
Con il presente progetto di legge si è evitato di spingere il mondo del privato sociale verso il riparatorio, verso il puro risparmio, delegato solo a recuperare i guasti di una società organicamente e strutturalmente ingiusta. Nello stesso tempo, si è evitato di sbagliare rinunciando anche al ruolo gestionale del terzo settore, seppure in chiave innovativa.
In questo progetto di legge, proprio all'articolo 5, il ruolo del terzo settore si ridefinisce in favore del principio di sussidiarietà. Gli enti locali, le regioni e lo Stato devono promuovere il sostegno e la qualificazione dei soggetti del privato sociale, che devono poter esprimere pienamente la propria progettualità. Le regioni dovranno adottare specifici indirizzi per la regolamentazione del rapporto fra enti locali e terzo settore. Vengono altresì disciplinate le modalità per valorizzare l'apporto del volontariato e del privato sociale nell'erogazione dei servizi.
In questo welfare mix vi è anche il ruolo del welfare comunitario, cioè un orientamento in cui la famiglia ed il cittadino partecipano non come utenti passivi di servizi sociali calati dall'alto, ma come protagonisti dell'ideazione, della progettazione e, in molti casi anche, della gestione della verifica delle politiche sociali. I giovani, gli adulti, i pensionati, le famiglie possono essere, in sostanza, coinvolti e resi direttamente partecipi delle nuove politiche sociali e la carta dei servizi è solo uno strumento che aiuta e facilita la possibilità dei cittadini di partecipare alla progettazione, alla organizzazione e alla verifica delle politiche sociali.
Con questo provvedimento di legge si compie dunque un salto di qualità; con esso si chiarisce finalmente il problema delle risorse e si ha il coraggio di dire alcune importanti verità. Nel nostro paese la spesa complessiva dello Stato sociale è quasi pari a quella sostenuta nei paesi avanzati dell'Europa. Dobbiamo allinearci alla media europea, riqualificare e aumentare la spesa sociale; è lì che bisogna investire! Nel campo della previdenza, della scuola, della sanità sono stati compiuti notevolissimi passi in avanti, ma il tema vero e attuale è quello di confrontarsi con il tema delle politiche sociali. Ci sono i margini per raggiungere un doppio obiettivo, quello di una riqualificazione e quello di un maggiore investimento. Ecco perché i 1.500 miliardi già spesi da questo Governo, con la tenacia, la forza e l'intelligenza del ministro Livia Turco, e i mille miliardi che è riuscita a fare aggiungere nel DPEF garantiscono la capacità di evitare che ci si concentri soltanto sulla previdenza, sottovalutando il vero nodo del welfare nel nostro paese, quello di riqualificare e investire nel campo delle politiche sociali.
Ma vi è anche un'altra scelta molto importante, quella della territorialità. I tre livelli di organizzazione delle politiche sociali, che ho prima citato, quelli di un nuovo welfare State, di un forte welfare sociale e di un innovativo welfare comunitario, dovranno realizzarsi soprattutto nelle regioni e nei comuni. È infatti questo il livello su cui dobbiamo puntare, in termini tanto di risorse quanto di decisioni.
Le esperienze migliori ci indicano sempre più che le politiche sociali debbono "vivere" nel territorio perché più se ne allontanano e più rischiano di essere improduttive e burocratizzate.
I comuni saranno titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorreranno alla programmazione regionale; le regioni avranno invece un ruolo di programmazione, di coordinamento, di tutoraggio, così come lo Stato dovrà anche svolgere un ruolo di indirizzo e di promozione di livelli uniformi per evitare che i diritti e i servizi siano squilibrati tra territorio e territorio, tra regione e regione. Insomma, c'è una moderna idea della territorialità e lo stesso principio di sussidiarietà non è più di tipo ottocentesco, ma è visto in connessione con i moderni diritti di cittadinanza e con i soggetti del privato sociale che sono sempre più in grado di rappresentare questi moderni diritti di cittadinanza.
Vi è poi un'altra scelta che a me preme sottolineare, quella di superare il maledetto approccio delle categorie. Si gettano le basi per deistituzionalizzare le politiche sociali. Insomma, con questa legge si rompe lo schema secondo il quale gli anziani, le donne, i minori, gli handicappati, gli immigrati sono visti come categoria e non come cittadini. Inoltre, si creano le condizioni per non separare più le persone e le famiglie dal contesto sociale in cui vivono.
Occorre puntare sulla personalizzazione delle risposte. Ecco la novità importante di questo intervento legislativo! Con esso, infatti, si liberano dai recinti delle categorie i cittadini, soprattutto quelli in difficoltà. I minori, gli anziani hanno bisogno di una legislazione che favorisca l'integrazione e la promozione dei livelli ordinari della vita sociale, come le famiglie o tutte le altre forme relazionali sostitutive.
Per tutti esistono differenze, peculiarità che vanno assolutamente rispettate, sempre all'interno di una dimensione ampia e che inserisce la vita delle persone nella società: come cittadini e non come categorie da assistere!
È inoltre necessario promuovere forti e qualificati percorsi di "deistituzionalizzazione" delle persone, particolarmente quelle in difficoltà e lavorare, diciamo così, per la rimozione del disagio.
Basti pensare che sono più di 40 mila i bambini in istituti; analoga situazione vivono molti portatori di handicap, disagiati psichici e anziani. Anche quando gli istituti sono ben puliti e ben gestiti, guidati da profonde motivazioni etico-religiose, producono una dinamica emarginante e penalizzante per le persone che ci vivono. L'istituzionalizzazione è una risposta da evitare perché inevitabilmente porta con sé la logica della separazione dalla famiglia, dal contesto sociale e dalla vita normale. Certo, è necessario costruire alternative con la promozione della cultura e della pratica dell'affido, delle case famiglia e delle piccole comunità alloggio. La rete integrata dei servizi contenuta nella proposta di legge ci pone nella condizione di farci carico, in modo responsabile, di questa nuova stagione di diritti sociali.
Ecco perché dobbiamo guardare con interesse a questo provvedimento; ecco perché l'Assemblea può far compiere un salto di qualità alle disposizioni in esso contenute; ecco perché i democratici di sinistra hanno dato molto a questa legge: la ritengono, infatti, una legge storica, importante e in grado di mettere in connessione le istituzioni con i cittadini, nonché di restituire dignità alla politica ponendola a servizio del bene comune.

AUGUSTO BATTAGLIA
Credo che tutti noi consideriamo quella odierna una data importante perché, dopo tanti tentativi nel corso di queste legislature, giunge in aula una riforma rilevante, una legge attesa da molto tempo che per anni è stata definita la riforma dell'assistenza. In primo luogo, vorrei dire che non è un caso: oggi siamo qui perché il Governo considera questo tema come un obiettivo prioritario della sua azione e perché vi è una maggioranza che ha lavorato per perseguire la finalità di mettere ordine in un sistema che finora si è sviluppato in maniera poco organica, con competenze divise tra diverse amministrazioni centrali e periferiche: i tanti ministeri, le regioni (a partire dagli anni settanta con i decreti delegati), gli enti locali, i comuni, le province, le IPAB, in cui queste competenze non erano mai chiarite fino in fondo e non avevano coerenza al loro interno. Poteva capitare - e capita tuttora in alcune zone del nostro paese - che un minore in stato di difficoltà fosse assistito dal comune, se era un minore povero, o dalla provincia, se illegittimo. Tanti avevano competenza, ma nessuno l'aveva per davvero, o per lo meno, sotto un certo profilo, non vi erano certezze finanziarie né strumenti per pianificare le risorse: nessuno disponeva dello strumento delle linee guida, né doveva fare un piano per le politiche sociali. Ciò ha provocato forti squilibri: laddove vi sono state regioni in grado di determinare con le proprie risorse e capacità politiche programmate nel territorio, abbiamo servizi che a volte raggiungono livelli di eccellenza sul piano europeo; laddove ciò non è accaduto, vi sono aree del paese in cui i comuni non hanno ancora l'assistente sociale e dove non si può parlare di servizi perché ne manca il presupposto minimo. Ecco l'importanza della proposta di legge quando parla di livelli essenziali di assistenza: attraverso di essa dobbiamo ridefinire non solo il quadro istituzionale, ma anche garantire che, in ogni angolo del paese, le questioni essenziali che interessano le politiche sociali siano effettivamente affrontate in tutti i territori. Oltre tutto, arriviamo a questo appuntamento in un quadro più generale di riforma dello Stato, sulla scia della legge Bassanini che ha messo in atto un processo profondo di cambiamento, di razionalizzazione, ammodernamento e trasformazione dello Stato, individuando già nell'ultimo decreto le competenze e il ruolo sia dello Stato sia delle regioni.
In queste ultime settimane, le regioni stanno già lavorando nella prospettiva della riforma dell'assistenza, per perfezionare i propri strumenti d'intervento e per mettere gli enti locali, in particolare i comuni, nelle condizioni migliori per operare. Sarà poi infatti proprio nel comune, nel territorio - questa è la seconda novità vera ed importante - che il provvedimento individuerà l'ambito privilegiato dove costruire la risposta al bisogno sociale. Dobbiamo realizzare nel territorio quella che viene definita la comunità del benessere, che non è fatta soltanto di interventi dello Stato - quelli tradizionali: la pensione, il sussidio, il ricovero -, ma trova corpo in una molteplicità di apporti e di servizi, nel volontariato, nella cooperazione sociale ed anche in disponibilità individuali e collettive che si sviluppano appunto in un territorio, in azioni positive.
Questo modello non viene proposto perché lo Stato non può e non deve fare tutto, cosicché, dove lo Stato non arriva stipula una convenzione con il privato ed eroga i servizi. Questa sarebbe una visione riduttiva, che non interpreterebbe la legge né il bisogno reale che dobbiamo affrontare. Quella era la visione tradizionale dello Stato, uno Stato paternalista ed autoritario in cui vi era un cittadino che chiedeva e lo Stato che rispondeva, in cui, in sostanza, si trattava di erogare il sussidio al povero e di trovare un ricovero per chi versasse in situazioni estreme di difficoltà.
Oggi viviamo in una società diversa dai tempi in cui questo tipo di Stato erogava l'assistenza sociale. Oggi ci troviamo nella società postindustriale che richiede ben altro e lo richiede anche perché povertà e disagio sociale sono cambiati profondamente e sono qualcosa di molto più complesso. Il bisogno non è solo quello materiale ed economico. Il disagio nasce spesso anche dalla povertà delle relazioni, dei rapporti significativi, non solo dalla mancanza di reddito, e le problematiche sociali oggi, in questa società così mobile e così dinamica, sono spesso trasversali.
La presenza di un anziano non autosufficiente, il quale ha bisogno di tutto, di un handicappato grave, di un giovane che cade nel tunnel della tossicodipendenza mette in crisi anche le famiglie più solide sul piano economico, psicologico, sociale, relazionale. Dobbiamo allora essere consapevoli che proprio per questo la risposta deve essere più complessa ed oggi non può essere che quella di una rete di opportunità e di servizi che dobbiamo costruire sul territorio; un insieme di servizi, di condizioni, di opportunità che devono garantire sicurezza al cittadino, supporto alle famiglie nei loro compiti assistenziali ed educativi, che devono creare condizioni di socialità nelle comunità locali, una rete su cui possano poi poggiare le politiche sociali, su cui possa fondarsi un percorso di integrazione sociale di un soggetto svantaggiato, di reinserimento sociale di un giovane tossicodipendente, in cui possano mettersi gli anziani nelle condizioni di esprimere le loro possibilità, per quanto magari limitate.
La rete, però, non si tesse da sola e in taluni passaggi di alcuni interventi ho sentito accentuare argomenti che secondo me vanno chiariti.
La collega Burani Procaccini ha parlato di sussidiarietà orizzontale. Io condivido certamente la sua preoccupazione, se intesa come giusta valorizzazione del ruolo che il terzo settore deve avere, dal momento che rappresenta una risorsa importante. Dobbiamo però essere altrettanto consapevoli che questa grande risorsa potrà esprimersi, svilupparsi e portare frutti buoni e copiosi solo se si muove in un quadro definito, solo se poggia su basi solide.
Non si tratta di dirigismo - mi riferisco all'intervento di Alemanno -, ma di creare le condizioni minime per far esprimere la solidarietà, perché i dati relativi a questo fenomeno ci dicono che la solidarietà, il terzo settore, queste organizzazioni del volontariato sono più forti ed attive dove ci sono i servizi. Dove i servizi mancano ed i territori sono dei deserti anche la solidarietà ha difficoltà ad organizzarsi e a fornire risposte. È dai servizi che dobbiamo partire se vogliamo dare al terzo settore lo spazio che merita. È dagli operatori professionali dei servizi che dobbiamo partire, perché la rete è efficace se c'è una capacità di leggere il bisogno sociale, se sa monitorare le situazioni, se sa progettare le risposte e realizzarle poi sul territorio, se sa costruire questi programmi con la gente, con i cittadini, con la società organizzata, con le organizzazioni del terzo settore. Da questi operatori bisogna partire. La domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: abbiamo gli operatori per far partire oggi questo processo? Credo di sì ma, nello stesso tempo, dico anche di no. Dico "sì" se guardiamo, in primo luogo, ai 25 mila assistenti sociali che rappresentano, oggi, il cardine delle politiche sociali nei comuni, nelle aziende sanitarie e nei servizi; si tratta degli operatori che hanno costruito il servizio nel rapporto quotidiano con l'utenza. È un lavoro pesante, in quanto l'utenza porta i suoi problemi, spesso drammatici e che richiedono un impegno notevole da parte dei servizi, degli enti locali e degli operatori.
Credo che dobbiamo essere riconoscenti per il lavoro che tali operatori hanno svolto e dobbiamo puntare anzitutto su di loro, anche se sappiamo che ce ne vorrebbero molti di più; infatti, 25 mila assistenti in servizio non sono sufficienti nel nostro paese per affrontare le tematiche sociali.
Assieme agli assistenti sociali, penso che un grosso contributo potrà essere dato dagli educatori; da poco ne abbiamo definito il profilo, anche se soltanto sul versante sanitario (dobbiamo rivederlo alla luce dell'integrazione tra sociale e sanitario). Gli stessi sociologi, poi, potranno contribuire alla costruzione del nuovo sistema.
Tornando alla domanda precedente, dico "no" quando penso che a tali operatori vogliamo dare compiti e responsabilità maggiori; la costruzione della rete, la capacità di organizzare è qualcosa di più rispetto a ciò che hanno fatto finora.
L'articolo 12 del provvedimento in esame ci dà tali strumenti, ossia la possibilità di rivisitare e ridefinire detti profili e di riesaminare nuovi percorsi formativi, che portino gli operatori al massimo livello di preparazione non solo nell'erogazione diretta del servizio, nello svolgimento della loro funzione operativa, ma anche affinché emerga una nuova leva di dirigenti dei servizi sociali. Infatti, non è possibile ciò che oggi si verifica in molti casi, e cioè che a dirigere le politiche sociali in un comune sia un dirigente che proviene dall'anagrafe, dal commercio o dal dazio. Abbiamo bisogno di una dirigenza espressa dai servizi e, allora, dobbiamo pensare a percorsi di livello universitario che formino una nuova leva di dirigenti delle politiche sociali; soltanto in questo modo avremo un sociale forte in grado di aggregare il terzo settore e il privato sociale intorno a un progetto condiviso e costruito insieme, un sociale forte che sappia integrarsi con il sistema sanitario e con quello scolastico in una condizione non di dipendenza o di marginalità, ma di pari dignità.
Nella rete che dovremo costruire dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra i servizi territoriali alla persona, alla famiglia, al territorio e gli emolumenti, anch'essi una componente importante delle politiche sociali. Al riguardo, assume rilevanza l'articolo 24 del provvedimento in esame, in ordine al quale dovremo lavorare affinché il reddito minimo di inserimento, dopo la sperimentazione, possa essere diffuso in tutto il territorio nazionale.
Allo stesso modo - non voglio polemizzare con il collega Gramazio - è importante l'articolo 25, che riorganizza il sistema degli emolumenti nel rispetto dei diritti acquisiti. Credo che se la ministra Turco avesse partecipato alla manifestazione degli invalidi civili sarebbe stata applaudita e non per piaggeria, ma perché la posizione del Governo e di questa maggioranza sul punto è stata sempre ferma e chiara. Dobbiamo riorganizzare tali emolumenti (assegni, pensioni, indennità di accompagnamento e di comunicazione), ma dobbiamo farlo a partire dai diritti acquisiti, che vanno salvaguardati, compresa l'indennità a titolo di minorazione. Occorre tener conto, però, che vi sono cose da modificare, che se vi sono persone che devono vivere con una sola pensione, forse le 380 mila lire non sono sufficienti. Dobbiamo rivedere il sistema delle indennità: un tipo di indennità può andar bene per un soggetto paraplegico ma non per una persona che ha bisogno di assistenza continuativa per tutta la vita, si tratti di un handicappato gravissimo, di un anziano assolutamente non autosufficiente, di un cieco o di un pluriminorato, che deve avere qualcosa di più perché il suo bisogno assistenziale è più elevato. Bisogna modulare gli interventi sulla base delle reali necessità dei cittadini.
Dobbiamo, poi, semplificare le procedure.
Credo che dobbiamo introdurre delle correzioni rispetto al sistema attuale, per cui vi è una sovrapposizione tra quello che fanno le commissioni medico-legali e le aziende sanitarie e le commissioni del tesoro. Ora, è importante effettuare i controlli e la lotta contro i falsi invalidi è stata una nostra battaglia da sempre, perché il falso invalido è nemico di quello vero. Però, i controlli non possono essere vessatori, per cui non possiamo ogni anno chiedere allo stesso handicappato, magari con sindrome di Down certificata dalla nascita, di riportarci la dichiarazione di essere affetto da sindrome di Down o qualcosa del genere: una volta accertata, lo è definitivamente. Si possono fare i controlli in tante maniere, ma soprattutto non ci deve essere una duplicazione: non ha senso che per avere una pensione si debba passare una visita medico-legale presso l'azienda sanitaria e un'altra presso il tesoro. Decidiamo chi la debba fare, quale sia quella vera, e sottoponiamolo solo a quella, altrimenti è uno spreco di denaro pubblico e un prolungamento dei tempi nell'erogazione di prestazioni che invece sono necessarie e di cui il cittadino ha bisogno in tempo reale.
Non voglio toccare tutti gli aspetti, ma credo che debbano essere menzionati tanti punti di questa legge, a partire dal sostegno alle famiglie. Alla famiglia chiediamo di educare i figli, di sostenere l'anziano, di farsi carico di tali realtà, di partecipare e come sosteniamo poi questa famiglia? Questa legge per la prima volta introduce servizi alla persona, servizi al nucleo familiare, agevolazioni anche fiscali: sono cose importanti, che aiutano questo fondamentale nucleo della società, anzi il fondamentale nucleo della società, ad esercitare appieno il suo ruolo.
Così come è importante la riorganizzazione delle IPAB. Sono contrario a vedere la questione IPAB soltanto sotto il profilo finanziario, perché, se fosse solo per il patrimonio, si potrebbe affrontare in tante maniere, ma nelle IPAB c'è anche una esperienza, una cultura dell'intervento sociale, ci sono professionalità. Attraverso questa riforma dobbiamo realizzare una doppia operazione: mettere queste strutture in condizione di funzionare in maniera moderna, dinamica, flessibile, perché la gestione del patrimonio finanziario sia efficace e dia effettivamente risorse, e metterle in condizione di inserirsi nella rete dei servizi pubblici.
Inoltre, ricordo i progetti individualizzati, il sostegno domiciliare agli anziani non autosufficienti, i fondi integrativi (rispetto ai quali allarghiamo in sostanza il concetto che era stato già inserito nella riforma sanitaria-ter) e la carta dei servizi come punto di forza del cittadino.
Indubbiamente, come avviene per tutte le cose, è un testo ulteriormente migliorabile - lo dico ai colleghi che hanno voluto introdurre elementi critici - e ritengo che il dibattito parlamentare, con la discussione degli emendamenti, ci darà la possibilità di farlo. Ma credo già da ora che attraverso questa legge saremo in grado di offrire ai comuni molteplici possibilità di intervento dinamico, flessibile, fortemente innovativo. Quindi, questa legge può costituire un pezzo importantissimo della riforma dello Stato sociale, che è fatta di tanti provvedimenti: la riforma delle pensioni, che abbiamo già fatto, la riforma della sanità-ter, i congedi parentali, la riforma degli ammortizzatori sociali, le politiche attive del lavoro, la formazione, la riforma dei ministeri. Stiamo costruendo un pezzo di un mosaico che darà vita ad un nuovo welfare che risponda alle esigenze reali del cittadino e della società di oggi.
Certo, c'è un aspetto che nessuno può sottovalutare: il problema finanziario. Siamo tutti consapevoli che le risorse non sono del tutto sufficienti. Però, intanto diciamo che questa legge ci consentirà di utilizzare meglio quelle che ci sono, perché prima di chiedere altri soldi dovremmo spendere bene quelli che già ci sono. Veniamo da anni in cui, pur nelle difficoltà dei tagli, nel rispetto dei parametri di Maastricht, la spesa sociale per le politiche sociali è aumentata. Partiamo dai mille miliardi in più del DPEF. Quindi, credo che andiamo nella direzione giusta. Sappiamo che dobbiamo far crescere ancora la dotazione finanziaria; se pensiamo soltanto a quello che nei prossimi anni significherà per tutto il mondo occidentale sviluppato l'assistenza agli anziani non autosufficienti, vediamo che dovremo fare nel futuro scelte coraggiose. In Germania hanno pensato ad un'assicurazione aggiuntiva: una scelta coraggiosa di lavoratori, imprese e Governo. Però, credo che possiamo guardare al futuro forti dell'impegno - che credo tutti dovremo assumere - di creare, con la gradualità necessaria, le condizioni perché si possa dar corpo ad un sistema di sicurezza sociale forte, organizzato, altamente professionale e con quel di più, quel valore aggiunto che è la passione e la disponibilità di tanti operatori, di tanti volontari, di tanti amministratori locali, che è stata in questi anni una delle caratteristiche più significative e innovative della via italiana alla riforma del welfare. È una via che ispira questa legge e che credo noi dovremo riuscire con orgoglio a portare anche in Europa.


(Replica del Governo - A.C. 332)


LIVIA TURCO, Ministro per la solidarietà sociale.
Signor Presidente, credo che sia un giorno importante quello che vede la legge-quadro sull'assistenza approdare nell'aula di Montecitorio, ma credo che ancora più importante sia il modo in cui tale provvedimento vi arriva, attraverso un percorso molto intenso - che è stato ricordato dalla relatrice per la maggioranza - di dialogo tra le forze parlamentari e con le forze sociali. Ritengo sia molto positivo che questo testo, che appartiene alla sfera del cosiddetto bene comune, abbia visto e veda un forte dialogo tra le varie forze politiche e si sia avvalso di un rapporto e di un confronto serrato con l'insieme delle forze sociali, dei sindacati, della associazioni dei disabili e del non profit, degli enti locali.
Voglio dare atto di tale lavoro, in particolare, alla relatrice per la maggioranza, che ringrazio per l'attività svolta, così come a ciascun componente la Commissione affari sociali, sia della maggioranza sia dell'opposizione. Ringrazio in particolare quelli di loro, sia della maggioranza sia dell'opposizione, che hanno riconosciuto il ruolo del Governo in merito al provvedimento in esame: è stato un ruolo impegnato e rispettoso della dialettica parlamentare. Ringrazio ancora gli onorevoli Giannotti e Scantamburlo per aver ricordato l'impegno del Governo finalizzato a stanziare 1.500 miliardi, anticipando la legge-quadro per l'assistenza, ed altresì l'impegno per mille miliardi nella prossima legge finanziaria finalizzati ad un ulteriore finanziamento della medesima legge-quadro. Credo che, se non vi fosse stato questo impegno in termini di risorse, come ricordava l'onorevole Giannotti, la nostra discussione di oggi sarebbe meno ricca, perché partiamo dal fatto che vi è già un fondo per le politiche sociali che è attivo.
Penso che il provvedimento in esame abbia molti meriti, ma non voglio soffermarmi nel descrivere la sua importanza, perché concordo pienamente con le osservazioni della relatrice per la maggioranza e con gran parte delle considerazioni svolte nel corso del dibattito. Preferisco interloquire su alcune questioni poste dai colleghi, perché credo sia importante una funzione di ascolto reciproco. Della legge voglio soltanto dare una valutazione sintetica: penso che il testo approdato in aula sia importante, perché, in qualche modo, fonda il sistema delle politiche sociali, dà identità, autorevolezza, riconoscibilità e regole alle politiche sociali. Credo che ciò possa essere riconosciuto e verificato soprattutto dagli operatori che sono in prima linea, ma anche dagli amministratori locali, oltre che dai singoli cittadini.
Ritengo sia giusto da parte mia intervenire su alcuni problemi che sono stati posti. Quello più importante, che peraltro motiva una relazione alternativa, è stato posto dall'onorevole Cè, il quale mi sembra abbia espresso una critica radicale rispetto al provvedimento notando che non è chiaro chi avrà diritto ad usufruire di quanto previsto dalla legge: essa pretende di andare oltre l'articolo 38 della Costituzione e rischia così di diventare una legge di principi, senza peraltro riuscire a concretizzare quegli stessi principi.
Il riferimento all'articolo 38 della Costituzione è contenuto - come diceva la relatrice - in uno degli articoli fondamentali e fondativi del provvedimento, vale a dire all'articolo 2; d'altra parte, il riferimento all'articolo 38 della Costituzione e, quindi, l'individuazione di diritti soggettivi esigibili è confermato dal fatto che i 60 mila miliardi oggi alla base della legge-quadro dell'assistenza sono confermati per rispondere ai diritti soggettivi di quei soggetti - scusate il bisticcio di parole - previsti proprio dall'articolo 38. In sostanza, non dirottiamo le risorse, ma
le confermiamo proprio al fine di soddisfare i diritti soggettivi delle suddette persone.
Il provvedimento in discussione non si ferma all'articolo 38, ed infatti le risorse previste sono aggiuntive; lei le definisce inadeguate, onorevole Cè, ma occorre tenere presente che la legge prevede un finanziamento per i prossimi anni proprio per finanziare quel di più che non c'è, oppure c'è come responsabilità degli enti locali: la rete integrata dei servizi.
Credo che questo duplice piano, confermare l'articolo 38 e i soggetti da esso previsti e puntare contemporaneamente alla creazione della rete integrata di servizi, che abbia un carattere universalistico, è esattamente la novità fondamentale e più importante del testo unificato. Sarebbe davvero non corrispondente ai bisogni della moderna società se noi pensassimo ed impostassimo una legge-quadro per l'assistenza operando, ancora una volta, una distinzione fra i bisognosi, i deboli e le persone cosiddette normali. Se facessimo una legge-quadro di riordino dell'assistenza rivolta esclusivamente ai soggetti bisognosi - punto sul quale la relatrice si è soffermata più volte nel corso del dibattito - non terremmo conto delle esigenze proprie della nostra società.
Qual è l'elemento fondamentale della nostra società? Sintetizzando, si può dire che è quello per cui nella vita di ciascuno di noi, anche delle cosiddette persone normali, vi possono essere momenti di criticità e si può avere bisogno di aiuto. I servizi alla persona devono essere impostati come servizi che si rivolgono alla normalità della vita quotidiana delle persone e delle famiglie e questo è il merito del testo in discussione. Occorre partire dal presupposto che la vita quotidiana oggi, molto più che in passato, è esposta a criticità, a momenti difficili, a rischi perché è molto meno facilmente prevedibile e programmabile. Cito soltanto il problema della ricerca del lavoro che, nella vita di un giovane, di una donna, in generale di una persona normale non si presenta più solo una volta, ma più volte. Di conseguenza, un moderno sistema di interventi sociali deve prevedere, ad esempio, tale possibilità e sostenere una persona normalissima che si trova ad affrontare le cosiddette criticità più volte nel corso della propria vita.
Allo stesso modo, il problema dell'esposizione al rischio di povertà e dell'esclusione sociale, come risulta dagli studi più recenti, ma anche dall'esperienza di tutti i giorni, non appartiene a categorie sociali facilmente e aprioristicamente identificabili, ma riguarda un'ampia parte della popolazione. I rischi che sono alla base della povertà e dell'esclusione sociale, infatti, sono molto diversi rispetto al passato e si chiamano: mancanza di reddito, lavoro non sufficientemente remunerato, mancanza di lavoro, formazione inadeguata, biografie difficili, carichi familiari onerosi. Penso, ad esempio, al caso di una donna che ha un lavoro, magari anche remunerato, che si separa e si trova a portare avanti da sola un carico familiare di due o tre bambini e dunque è esposta al rischio di povertà. Si tratta delle cosiddette nuove forme di povertà.
Allora, credo che sia davvero un merito grande di questa legge proporre un sistema di servizi e di opportunità che si rivolge non soltanto ai bisognosi, ma alla moltitudine dei cittadini e che, soprattutto, riguarda la normalità della vita quotidiana delle persone e delle famiglie.
Ovviamente, come ha ricordato la relatrice, nella legge si afferma molto chiaramente che la priorità della rete integrata dei servizi e degli interventi è tesa a rispondere alle esigenze delle persone che sono in condizioni di bisogno e di quelle che non sono autosufficienti. Quindi, è chiaramente identificata una priorità, ma ciò non fa venir meno l'impostazione universalistica del sistema di protezione sociale.
Ovviamente è anche importante che chi non è in condizioni di povertà e di bisogno possa accedere alle prestazioni sociali, partecipando al costo dei servizi sulla base del reddito a sua disposizione e credo che questo sia un altro punto importante della legge.
Allo stesso modo, faccio presente all'onorevole Cè che i diritti soggettivi esigibili riguardano l'articolo 38 della Costituzione, ma gli standard essenziali contenuti nell'articolo 22 del provvedimento, soprattutto al comma 3, non sono aleatori, ma costituiscono servizi molto precisi. La legge indica, infatti, un insieme di prestazioni di servizi che ciascun ente locale sarà tenuto a fornire - certamente, con gradualità - e che, pertanto, dovrà esigere. Credo, quindi, che su tale aspetto l'articolo 22, così come licenziato dalla Commissione, sia puntuale.
Vorrei dire poi all'onorevole Valpiana che ho ascoltato con attenzione il suo intervento e che mi dispiace che esprima una posizione radicalmente contraria al testo, usando espressioni come "smantellamento di un sistema pubblico" e "ideologia familista", perché questo progetto di legge, al contrario, afferma una responsabilità pubblica nei confronti di bisogni che fino ad ora sono stati troppe volte - non dico soltanto, ma troppe volte - soddisfatti da un mercato dei servizi che esiste e che credo sia importante, invece, regolare, appunto, attraverso un sistema - scusate il bisticcio di parole - di regole, così come previsto nel provvedimento.
Vorrei dire poi all'onorevole Gramazio che, per quanto riguarda il problema della disabilità, è bene porre fine ad un equivoco. Il progetto di legge è chiaro - lo hanno detto la relatrice e l'onorevole Augusto Battaglia - nel difendere pienamente i diritti acquisiti: la legge prevede un di più, che è la rete integrata di servizi e di opportunità.
D'altra parte, nel mondo della disabilità è in corso un dibattito tra le stesse associazioni: moltissime famiglie e associazioni chiedono che non ci si attesti soltanto sui trasferimenti monetari, ma che, appunto, vengano potenziati quei servizi e quelle opportunità che sono importanti quanto i trasferimenti monetari: dai servizi riabilitativi all'assistenza domiciliare, alla possibilità di integrazione scolastica e lavorativa.
Allo stesso modo, ho ascoltato con interesse il dibattito sulla sussidiarietà. Voglio dire all'onorevole Burani Procaccini che ho molto apprezzato il suo intervento, la sua attenzione ed il suo atteggiamento nei confronti del provvedimento in discussione, nonché la disponibilità a cercare le convervenze possibili, all'interno di posizioni molto limpide.
Sul problema della sussidiarietà voglio dire soltanto che, per ovvie ragioni, nel mio lavoro vengo a contatto con molte realtà del non profit e del volontariato e che vi è una questione che la stragrande maggioranza di esse ha sempre posto al Governo (ma credo a tutte le istituzioni): esse non vogliono essere sostitutive dell'intervento pubblico, né utilizzate in modo strumentale, ma vogliono poter essere coinvolte e valorizzate per quel di più che sono in grado di dare - personalizzazione dei servizi, contenuto relazionale, gratuità -, senza sostituirsi, appunto, all'intervento del pubblico, che deve essere molto netto e forte. A nome del Governo, dichiaro l'intenzione di approfondire ulteriormente l'aspetto della sussidiarietà, purché sia chiaro che il non profit, il volontariato, vuole essere valorizzato ma non utilizzato in modo strumentale all'interno di un'ipotesi di Stato sociale residuale. È un aspetto che non appartiene tanto alla nostra identità (lo ha detto la stessa onorevole Signorino), al nostro patrimonio di valori, quanto al rapporto con la realtà del volontariato che è sempre stato chiaro nell'affermare che lo Stato e le istituzioni debbono fare la loro parte.
Infine desidero fare alcune brevi considerazioni sul finanziamento della legge. Al testo in esame è stata allegata la relazione tecnica del Governo (che peraltro era stata richiesta) alla quale possono essere aggiunti altri dati relativi all'andamento della spesa assistenziale in termini macroeconomici. La relazione tecnica evidenzia le tre voci da finanziare, la prima delle quali riguarda i diritti soggettivi attinenti all'articolo 38. Questi sono finanziati dalla legislazione vigente che, in modo chiaro e netto, non è messa in discussione né viene finalizzata ad altro. La seconda voce, quella del reddito minimo di inserimento, viene rinviata, come ho avuto modo di spiegare già in Commissione, assumendo l'impegno di anticipare una valutazione della sperimentazione. È chiaro che, qualora la voce reddito minimo di inserimento dovesse entrare a regime, richiederà una propria relazione tecnica, un proprio fondo e proprie risorse aggiuntive. La terza voce da finanziare contenuta nella relazione tecnica riguarda l'articolo 22 concernente la rete integrata dei servizi.
Rinvio alla relazione tecnica perché in questo caso ci si è sforzati di entrare nel merito della questione stimando come fabbisogno essenziale per l'avvio della messa a regime della legge la cifra di mille miliardi che dovranno essere reperiti nella prossima legge finanziaria. Nell'articolo di finanziamento sono indicati 500 miliardi, e non mille, perché, essendo stato appena presentato il DPEF, per consentire il proseguimento dell'iter, abbiamo dovuto intanto reperire risorse nella legge finanziaria 1999, mentre nella legge finanziaria relativa agli anni 2000-2002 saranno espressamente indicati i mille miliardi necessari per la messa a regime della legge.
In Commissione avevo dichiarato che il Governo avrebbe dovuto essere giudicato sulla base del documento di programmazione economica che ha presentato. Voi potete valutare questo impegno perché alle pagine 12 e 21 del documento di sintesi del DPEF si fa esplicito riferimento alla legge-quadro dell'assistenza. In particolare vi sollecito a leggere attentamente a pagina 12 il riferimento agli anziani e all'infanzia che si ritrova nel capitolo che stanzia i 3.500 miliardi che appartengono al capitolo "investimenti per lo sviluppo e per le politiche sociali". Accanto ai 3.500 miliardi destinati alle politiche di sviluppo e di interventi sociali (il DPEF non può indicare la risorsa ma solo l'indirizzo del Governo) viene fatto esplicito riferimento agli anziani e all'infanzia, alla legge quadro di riordino dell'assistenza, oltre che alla legge sugli asili nido che avrebbe dovuto essere ulteriormente finanziata nel DPEF (si veda pagina 21).
In conclusione, rivolgo un forte ringraziamento alla relatrice per la maggioranza della proposta di legge, onorevole Signorino, per la sua competenza, la pazienza e l'impegno profuso nel condurre sin qui il provvedimento.
Ugualmente, voglio rivolgere un ringraziamento al presidente della Commissione affari sociali, onorevole Bolognesi, e a tutti i componenti della Commissione stessa. Infatti, ritengo sia importante ed auspico che possa proseguire nel corso del dibattito il modo in cui è stato condotto l'iter del provvedimento al nostro esame: un modo segnato dal dialogo. Se vi sarà dialogo, ritengo si potrà fare un buon lavoro in tempi rapidi. Il Governo, da parte sua, conferma il proprio impegno a svolgere un buon lavoro in tempi brevi.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

...
CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO TIZIANA VALPIANA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI SUI PROGETTI DI LEGGE NN. 332-354-369-1484-1832-2378-2431-2625-2743-2752-3666-3751-3922- 3945-4931-5541

TIZIANA VALPIANA
Il testo non definisce un quadro di diritti all'assistenza
sociale certi ed esigibili su tutto il territorio nazionale da una generalità di soggetti chiaramente identificati (mentre al centro dei dibattiti sulla riforma dello Stato sociale è da sempre la necessità di definire l'assistenza sociale come diritto socialmente esigibile), né gli organi di Governo obbligati a garantire queste prestazioni e i destinatari delle attività stesse; e perciò rischia di lasciare questi diritti sulla carta. Inoltre solo nel 2002 verrà determinato lo stanziamento complessivo del fondo nazionale per le politiche sociali attraverso il quale lo Stato finanzia i servizi sociali.
A ciò si aggiunge la costituzione di un fondo per non autosufficienti che sarà finanziato anche attraverso fondi assicurativi integrativi, rimettendo così in discussione l'universalità del sistema sanitario pubblico con l'obiettivo di trasferire gli anziani non autosufficienti dalla sanità all'assistenza, dal pubblico al privato, dai bilanci pubblici ai redditi delle famiglie.
Inoltre il testo rimanda ai piani sociali nazionali e di zona, predisposti su base triennale, l'indicazione di quali siano i livelli essenziali delle prestazioni, dei criteri, delle priorità e delle linee guida cui si ispirerà il sistema. Si ribadisce così che l'assistenza non è un diritto certo ed esigibile, ma una prestazione discrezionale definita sulla base delle compatibilità economiche.
In più vengono rilasciate ancora una volta ampie e plurime deleghe al Governo su aspetti del tutto primari come il riordino delle IPAB (su cui mi soffermerò nella discussione dell'articolato) o il riordino degli assegni e indennità per l'invalidità civile che saranno sostituiti con un reddito minimo differenziato a seconda che la non autosufficienza sia totale o parziale: il tutto, inoltre, senza definire né l'entità dell'assegno, né i criteri del riconoscimento della situazione di non autosufficienza.
A nostro parere questa legge annega in un mare di princìpi il disimpegno dello Stato nel fornire servizi certi, scaricando sulle donne il peso dei soggetti svantaggiati e aprendo alle assicurazioni private per coloro che avranno le risorse per accedervi.
In ragione di tutto questo in uno Stato che coniuga una spesa sociale tra le più basse in Europa con un tasso di evasione fiscale anch'esso senza pari in Europa (non meno di 220 miliardi annui).
Per tutto questo il gruppo di rifondazione comunista aveva presentato una propria proposta di riforma (che non è stata quasi presa in considerazione nel testo unificato) il cui principio ordinatore (intorno al quale si definivano programmazione, organizzazione e gestione delle attività e dei servizi sociali, individuando prestazioni essenziali obbligatorie su tutto il territorio nazionale e i relativi finanziamenti), era il "diritto" all'assistenza sociale per ristabilire condizioni minime di equità sociale come diritto individuale socialmente esigibile. Allora, durante la discussione in Commissione con oltre trecento emendamenti e ora, in Assemblea, con emendamenti mirati cercheremo di contrastare questa tendenza alla distruzione del poco Stato sociale che esiste in Italia.
Ciò significa cercare di introdurre alcuni punti precisi e per noi essenziali; significa la definizione di politiche per la prevenzione e il superamento dell'emarginazione e del bisogno assistenziale garantendo con finanziamenti sufficienti dedicati alle politiche settoriali quei diritti il cui mancato accesso comporta l'emergenza sociale. A tutte e a tutti vanno garantiti il diritto al lavoro e alle prestazioni concernenti la disoccupazione; alla salute con prestazioni sanitarie preventive, di cura e riabilitative per tutte le persone in stato di malattia acuta o cronica indipendentemente dall'età; all'istruzione e all'educazione fin dalla prima infanzia e iniziative di formazione professionale e lavorativa; alla casa con particolare riguardo all'edilizia residenziale pubblica; alla mobilità; a servizi culturali, ricreativi, sportivi e sociali.
La definizione dei servizi e degli aiuti economici straordinari o continuativi che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale deve puntare al superamento della soglia di povertà per le persone impossibilitate al lavoro, con prestazioni economiche; al superamento delle necessità di ricovero coatto in istituto garantendo servizi di assistenza domiciliare e di aiuto personale; all'accoglienza in comunità alloggio; alla creazione di centri diurni e di centri centri di accoglienza per stranieri e persone senza fissa dimora per donne maltrattate per adulti e anziani in difficoltà; all'individuazione dei soggetti aventi diritto alle provvidenze economiche (inabili al lavoro sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, prevedendo invece per la popolazione potenzialmente attiva l'inserimento in percorsi scolastici, formativi o lavorativi) e all'accesso gratuito ai servizi obbligatori. Occorre altresì arrivare alla definizione delle responsabilità pubbliche nella programmazione, gestione e organizzazione dei servizi obbligatori garantiti a titolo gratuito e degli aiuti economici, previa individuazione degli ambiti territoriali (comuni o consorzi tra comuni) all'interno dei quali occorrerà garantire l'integrazione con gli altri servizi sociali primari. Altrettanto necessaria è la definizione del rapporto tra soggetti pubblici titolari della funzione e soggetti privati che gestiscono servizi sociali alle persone, attraverso l'individuazione di requisiti essenziali inderogabili e validi su tutto il territorio nazionale (stabilendo che la mancanza o il venire meno anche di uno solo dei requisiti previsti comporti l'esclusione dalla convenzione con il servizio pubblico) e dei rispettivi ruoli e responsabilità.
A nostro parere va mantenuto l'istituto del convenzionamento e non sostituito, come è avvenuto in sanità, dall'accreditamento che comporta l'abilitazione di soggetti privati a gestire servizi sociali senza garantire l'accesso degli aventi diritto alla prestazione. Contrariamente a quanto da più parti sostenuto, l'accreditamento non amplia il diritto di scelta, perché si accompagna con la generalizzazione della prestazione a tariffa, selezionando i bisogni sulla base del reddito e delle risorse culturali e relazionali degli aventi diritto.
Bisogna pure arrivare alla definizione del quadro di raccordo tra il settore dell'assistenza sociale e le norme concorrenti in materia di servizi sociali, evitando di trasformare i diritti alla casa, alla salute, al lavoro, all'istruzione in interventi di tipo assistenziale riparatorio nei confronti dei soggetti marginalizzati ed esclusi dal loro godimento per mancanza di politiche settoriali corredate da finanziamenti certi e sufficienti.
Altro punto chiave dovrebbe essere il riconoscimento e la promozione di comitati di partecipazione e controllo dei cittadini e delle loro organizzazioni nei confronti degli enti pubblici titolari per ricostruire partecipazione e controllo popolare sull'organizzazione e gestione dei servizi, per invertire la rotta rispetto all'estensione anche ai servizi sociali del metodo della concertazione che tende a imbrigliare il conflitto sociale coinvolgendo organizzazioni sindacali, terzo settore e utenti nella programmazione e gestione dei servizi stessi; il che, accompagnato alla semplificazione della rappresentanza politica indotta dal maggioritario e a un sempre maggiore trasferimento di poteri dai consigli alle giunte, attutisce insieme il dibattito e i diritti.
Bisognerebbe pure prevedere in capo agli aventi diritto la facoltà di adìre il giudice ordinario per ottenere le prestazioni indebitamente negate per fare di quelli assistenziali diritti esigibili e tutelato; nonché garantire il diritto di accesso alle prestazioni e il diritto all'informazione.
Di rilievo è pure la proposta di un welfare territoriale che veda le autonomie locali come centri di autogoverno politico del territorio, con lo sviluppo di forme di autorganizzazione sociale per arricchire un sistema pubblico che non dismette la funzione sociale e non rinuncia a garantire il diritto alla soddisfazione dei bisogni primari. Si rivendicherebbe così un forte ruolo dello Stato nella ridistribuzione della ricchezza raccordato, senza delega di funzioni, con le forme di autorganizzazione: dalla cooperazione sociale, dall'associazione di tutela degli utenti, al volontariato. Tutto il contrario di una deresponsabilizzazione del pubblico cui si contrappone una responsabilizzazione della collettività, enfatizzando il ruolo del mutuo aiuto familiare e vicinale, per sostituire l'intervento pubblico e ridurre la spesa. Senza queste garanzie il testo su cui stiamo lavorando più che una legge quadro diventerà una legge "cornice", vuota, in cui non viene riconosciuta che la dimensione privata dei bisogni sociali, la loro qualificazione come diritti socialmente esigibili (che incide direttamente sulla definizione dei rapporti sociali e tra i generi) è un problema squisitamente pubblico e che tale deve rimanere.

(indice)

Da "Appunti 5/99", p. 2

Sulla riforma dell'assistenza: alcune note sul dibattito fuori e dentro l'aula
Fabio Ragaini, Gruppo Solidarietà
(indice)

La "riforma dell'assistenza", è arrivata in aula durante l'estate e dovrebbe essere approvata entro i primi mesi del prossimo anno; è sui "destinatari" e sulla "esigibilità" degli interventi che si è concentrato il dibattito sia dentro che fuori dell'aula; di seguito si offre una sintesi delle posizioni che si stanno confrontando


Lo scorso 5 luglio è approdato alla Camera dei deputati il testo unificato - predisposto dalla Commissione Affari sociali - della cosiddetta "riforma dell'assistenza" (in realtà il testo si intitola "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali"); una riforma lungamente attesa (alcune norme risalgono alla legge Crispi di oltre un secolo fa) che "rappresenta uno dei tasselli essenziali della innovazione dell'attuale sistema di welfare" (dalla relazione dell'On. Signorino in occasione della presentazione del testo).
L'approvazione della riforma rientrava tra i programmi e dell'Ulivo e lo stesso governo nel maggio 1998 aveva presentato un proprio disegno di legge confluito nel testo presentato in aula (complessivamente il testo presentato in aula riunifica 16 proposte di legge).
Nonostante l'importanza del testo in esame, molto scarsa è stata l'attenzione riservata dai mezzi di informazione al provvedimento; a conferma che all'interno della cosiddetta riforma del "welfare", "l'assistenza" assume - come peraltro nella ripartizione della spesa sociale - un ruolo assolutamente marginale. A pochi mesi dalla "riforma ter" l'approvazione di questo provvedimento viene visto come un ulteriore importante tassello nella prospettiva del "nuovo welfare" che il governo dell'Ulivo intende disegnare.
L'idea base della riforma può essere riassunta in queste affermazioni dell'on. Signorino in occasione della presentazione del testo "Con la legge in esame si vuol segnare il passaggio da una accezione tradizionale di "assistenza" quale luogo di bisogni che possono essere discrezionalmente soddisfatti, ad una accezione di protezione sociale attiva, luogo di esercizio della cittadinanza. Il tutto secondo i principi di un moderno universalismo selettivo orientato alla costruzione di un sistema integrato di servizi e prestazioni, un sistema a più protagonisti, istituzionali e della solidarietà, caratterizzato da livelli essenziali di prestazioni, accessibili a tutti, in particolare a chi vive in condizioni di fragilità sociale; un sistema finanziato per il tramite della fiscalità e partecipato nei costi dai cittadini secondo criteri di equità sostanziale (…) Un sistema non più residuale e perciò stesso più capace di dare risposte anche alle esigenze particolarmente tutelate dal dettato costituzionale di cui all'art. 38."

Il dibattito in Aula

Nel dibattito in aula una radicale critica a questa impostazione è stata fatta dal relatore di minoranza, on. Cè ("Quando parliamo di diritto d'accesso dobbiamo fare riferimento preciso all'art. 38 della Costituzione, garantendo che almeno per questi soggetti i diritti siano realmente esigibili (..) Per quanto riguarda le modalità di finanziamento, nell'art. 22 che concerne la definizione della rete integrata di servizi (..) non ritroviamo una specificazione di questi livelli essenziali. Si tratta ancora una volta di una norma di tipo programmatico, di indirizzo, che non da origine a diritti realmente esigibili"; la stessa tesi è stata sostenuta dall'on. Tiziana Valpiana, PRC, ("il testo non definisce un quadro di diritti all'assistenza sociale certi ed esigibili su tutto il territorio nazionale da una generalità di soggetti chiaramente identificati, né gli organi di governo obbligati a garantire queste prestazioni e i destinatari degli stessi"). Viene, dunque contestata l'affermazione che nel testo siano previsti diritti esigibili e quindi il mancato rispetto del 1º comma dell'art. 38 della Costituzione "Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale" al quale il testo dovrebbe dare attuazione.
Tale posizione è fortemente sostenuta dal Coordinamento Sanità e Assistenza (CSA) di Torino (vedi testo del documento in altra parte della rivista) secondo il quale la legge non rispetta il dettato costituzionale (art. 38, Comma 1) il quale non riconosce a tutti i cittadini il diritto al mantenimento e all'assistenza sociale, ma esclusivamente a coloro che non sono in grado di procurarsi da vivere in modo autonomo o, se minorenni, con l'aiuto dei propri congiunti. Si destineranno così alla generalità della popolazione servizi che dovrebbero essere rivolti a coloro che non possono lavorare (gli inabili al lavoro) e a coloro che non hanno mezzi di sussistenza necessari per vivere.

Il testo in esame ritiene invece questa impostazione "residuale" e dunque necessaria di superamento; lo stesso ministro Turco in sede di replica rispondendo all'on. Cè rivendica l'importante novità del testo ed afferma: "Sarebbe davvero non corrispondente ai bisogni della moderna società se noi pensassimo ed impostassimo una legge quadro per l'assistenza operando, ancora una volta, una distinzione tra i bisognosi, i deboli e le persone cosiddette normali. Se facessimo una legge quadro di riordino dell'assistenza rivolta esclusivamente ai soggetti bisognosi (..) non terremmo conto delle esigenze proprie della nostra società (..) I servizi alla persona devono essere impostati come servizi che si rivolgono alla normalità della vita quotidiana delle persone e delle famiglie e questo è il merito del testo in discussione". Sulla esigibilità dei diritti lo stesso ministro afferma "Gli standard essenziali contenuti nell'art. 22 del provvedimento soprattutto al comma 3, non sono aleatori, ma costituiscono servizi molto precisi. La legge indica, infatti, un insieme di prestazioni di servizi che ciascun ente locale sarà tenuto a fornire - certamente con gradualità - e che pertanto, dovrà esigere".
Sul tema dell'esigibiltà pare utile riportare, a completamento, il contenuto di un'intervista rilasciata da Livia Turco a Mario Tortello ("La stampa", 19.7.99). Alla domanda se il testo contiene diritti esigibili per i più deboli il ministro risponde: "La riforma dell'assistenza non sarà piena di 'possono'. Indicherà gli standard essenziali; individuerà le risorse, solleciterà l'aiuto alle famiglie, valorizzando gli interventi a domicilio e contro il ricovero negli istituti". L'intervistatore rilancia chiedendo: "Se gli enti locali non garantiranno gli interventi, cosa potranno fare i cittadini?" il Ministro così risponde: "Lei mette il dito sulla piaga. Lo so: faccio fatica, ad esempio, a far applicare la legge che prevede interventi a sostegno delle persone con handicap gravi. Vorrei avere maggiori strumenti impositivi. Ma non posso. Il corso della legislazione va nella direzione del federalismo; è un percorso irreversibile". Alla ulteriore domanda se i servizi essenziali per i più deboli resteranno ancora legati alla discrezionalità degli amministratori così Livia Turco conclude: "La strada da seguire non è quella impositiva. Dobbiamo sostenere gli enti locali, aiutarli nella progettazione degli interventi, far crescere i livelli di consapevolezza dei problemi e il senso di responsabilità. Certo, dobbiamo anche prevedere efficaci poteri sostitutivi, quando gli enti locali sono latitanti".

La filosofia del provvedimento anima il dibattito anche fuori dell'Aula; abbiamo già ricordato la posizione del CSA di Torino nettamente contraria a tale impostazione. Opposta è la posizione di Domenico Rosati (1), che commentando il testo di riforma, ritiene positiva la filosofia del testo licenziato dalla Commissione Affari sociali; accettando, infatti, la posizione espressa dall'on. Cè "viene a ripristinarsi la categoria dei 'poveri' come categoria sociale fissa e si restringe ad essi la protezione sociale che la Costituzione vuole per tutti i cittadini in nome del principio di uguaglianza". Lo stesso concetto è espresso, ad esempio, da Giovanna Rossi (2) "Il termine "assistenza sociale" tende a riproporre un approccio pauperistico che, ritenuto obsoleto già quasi trent'anni fa, al comparire sulla scena sociale delle istanze universalistiche proprie del welfare state di tipo istituzionale (..) pare oggi essere corroborato da esigenze minimalistiche che prefigurano uno scenario di vera e propria residualità per l'intero comparto sociale, a fronte dell'insopprimibile e irriducibile esigenza di contenere i costi relativi alla spesa sociale".
Sul banco degli imputati ritorna il cosiddetto "approccio residuale", da superare attraverso un "universalismo selettivo" (vedi art. 2 del testo unificato).
La domanda che pare opportuno porre a chi propugna un'approccio "universale" all'assistenza è se tale impostazione fa i conti a sufficienza con i contenuti del 1º comma dell'art. 38 della Costituzione; l'articolo può anche non piacere o essere anch'esso ritenuto "residuale"; ma non si può superarlo senza prima cambiarlo. Pare, inoltre, che si tenda a sottovalutare che ci sono soggetti in particolare difficoltà che richiedono "servizi aggiuntivi" certi. Si nota invece una insofferenza verso la parola "assistenza" che pare francamente esagerata; si tende a considerarla come una parola fondamentalmente negativa. Non si può non concordare con Chiara Saraceno (3) quando afferma (il riferimento è al Reddito minimo di inserimento) "E' una misura di base di garanzia del reddito per coloro che sono al di sotto di un certo livello di reddito. Quindi è una misura assistenziale e non dobbiamo vergognarci di questo termine, perché "assistenziale" in Italia è diventata una brutta parola. "Assistenziale passivo" sarà brutto, ma non vedo perché debba essere percepito come sbagliato o negativo "assistenziale" nel senso che qualcuno ha bisogno di un di più di sostegno. Recuperiamo la positività dell'azione assistenziale, altrimenti sembra che non possiamo più prestare attenzione a chi ha bisogno di un sostegno".
Certamente ogni intervento è un "servizio alla persona", ma la tendenza a scandalizzarsi quando si usa la parola "assistenza" pare poco comprensibile. Dobbiamo chiederci ad esempio che cosa rappresenta un Centro diurno per un handicappato intellettivo non avviabile al lavoro? Ovviamente un servizio alla sua persona; ma è così offensivo dire che si tratta di un intervento di assistenza sociale? Oppure se una persona o un nucleo familiare dispone di un reddito inadeguato per vivere, parlare di "assistenza economica" è così fuori luogo?
Analizzeremo, ora, il testo unificato (t.u.) in particolare in riferimento agli organi di governo e alla effettiva presenza di diritti esigibili e dunque di servizi obbligatori (4).

Organi di governo

Posta la titolarità dei comuni riguardo gli interventi sociali (art. 6), uno dei problemi più importanti connessi con la loro gestione è quello relativo alle dimensioni territoriali degli organi di governo. Le piccole dimensioni della stragrande maggioranza dei comuni (su 8.100, circa 7.500 hanno meno di 15.000 abitanti) richiedono gestioni associate (ambiti territoriali) che possono permettere il governo di reti di servizi. Vediamo ora le parti del t.u. che fanno riferimento agli organi di governo (le sottolineature sono nostre).


Art. 6 (Funzioni dei comuni), comma 1.
1. I comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale. Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini, tramite associazioni intercomunali o decentramento delle aree metropolitane, secondo le modalità previste dalle leggi 8 giugno 1990, n. 142, e 15 marzo 1997, n. 59, nonché dall'articolo 3 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

Art. 8 (Funzioni delle regioni), comma 3, lettera a.
3. Alle regioni, nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n, 112, spettano in particolare l'esercizio delle seguenti funzioni:
a) determinazione, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, tramite le forme di concertazione con gli enti locali interessati, degli ambiti territoriali, delle modalità e degli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete. Nella determinazione degli ambiti territoriali, le regioni prevedono incentivi a favore dell'esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di norma coincidenti con i distretti sanitari già operanti per le prestazioni sanitarie, destinando allo scopo una quota del fondo regionale; Art. 19 (Piano di zona), comma 1.
1. I comuni associati, negli ambiti territoriali di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a), a tutela dei diritti della popolazione, d'intesa con le aziende unità sanitarie locali, provvedono per gli interventi sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni del piano regionale di cui all'articolo 18, comma 6, a definire il piano di zona, che individua:
Art. 20 (Fondo nazionale per le politiche sociali), comma 3, lettera b.
b) prevedere quote percentuali di risorse aggiuntive a favore dei comuni associati ai sensi dell'articolo 8, comma 3, lettera a);

Art. 22
(Definizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), comma 3
3. In relazione a quanto indicato al comma 2, le leggi regionali, secondo i modelli organizzativi adottati, prevedono per ogni ambito territoriale di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a), almeno l'erogazione delle seguenti prestazioni:

Il testo di riforma (art. 8, comma 3, lettera a) assegna dunque alle Regioni (entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge) la determinazione degli ambiti territoriali che, sembrerebbero obbligatori (peraltro l'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 112/98 assegnava alle regioni il compito di individuare i livelli ottimali per l'esercizio delle funzioni assegnate ai comuni, affidandole nel contempo anche poteri sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte dei comuni stessi).
In realtà la formulazione, seppur migliorata rispetto al testo predisposto dal Comitato ristretto della Commissione Affari sociali nel novembre scorso, non fuga tutti i dubbi in merito alla obbligatorietà delle gestioni associate; non si capisce infatti, se gli ambiti sono obbligatori, perché all'art. 20 si prevedono "quote percentuali di risorse aggiuntive a favore dei comuni associati" o anche perché l'on. Signorino nella presentazione del testo alla Camera afferma che "sono previsti, altresì, a fini di efficacia ed economicità, incentivi per l'associazionismo dei Comuni".
Quello della obbligatorietà delle gestioni associate è un aspetto troppo importante e non può rimanere ambiguo; la definizione di ambiti territoriali è, infatti, condizione indispensabile per realizzare reti di servizi.

Servizi obbligatori?

Come abbiamo visto nel dibattito alla Camera, e non solo, molto si è discusso se nel testo siano stati previsti servizi obbligatori e dunque diritti esigibili; più volte nella discussione si è fatto riferimento agli articoli 2 e 22 del testo unificato che riportiamo di seguito integralmente (le sottolineature sono nostre). L'on. Signorino nella presentazione della legge così si è espressa "L'articolo 2 individua i soggetti destinatari degli interventi e dei servizi disciplinati dal provvedimento, secondo i richiamati principi di universalismo selettivo, che prevedono l'individuazione di criteri preferenziali di accesso in base a caratteristiche psicofisiche e reddituali. L'articolo 2 riconosce inoltre la natura di diritti soggettivi alle misure disciplinate dagli articoli 24 (reddito minimo di inserimento) e 25 (emolumenti economici connessi all'invalidità civile, cecità e sordomutismo). Nel contempo, la definizione di livelli essenziali di prestazioni, previsti all'articolo 22, intende garantire in generale tutte le posizione soggettive disciplinate dalla legge".


Art. 2 (Diritto alle prestazioni).

1. Hanno diritto ad usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali i cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti alla Unione europea ed i loro familiari, nonché i cittadini extracomunitari e gli stranieri presenti in Italia per motivi di lavoro e in possesso di regolare permesso di soggiorno, o in attesa di rinnovo dello stesso. Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza, di cui all'articolo 129, comma 1, lettera h) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
2. Al sistema integrato di interventi e servizi sociali, che riveste carattere di universalità, accedono tutte le persone di cui al comma 1, con priorità per quelle in stato di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale e attiva e nel mercato del lavoro, nonché per le persone sottoposte a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali. Ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, le persone di cui al comma 1 devono essere compiutamente informate dagli erogatori dei servizi sulle diverse prestazioni di cui possono usufruire, sui requisiti per l'accesso e sulle modalità di erogazione per effettuare le scelte più appropriate. 3) Al fine di assicurare la tutela delle posizioni soggettive garantite dalla presente legge sono definiti, ai sensi dell'articolo 22, livelli essenziali di prestazioni da parte del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
4) Per le finalità di cui al comma 3, i soggetti di cui all'articolo 1, commi 3 e 4, sono tenuti a realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali e a consentire l'esercizio del diritto soggettivo a beneficiare delle prestazioni economiche di cui agli articoli 24 e 25.



Art. 22 (Definizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali).

1. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche, e la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l'efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte. 2. Per garantire uniformità di offerta sul territorio nazionale, gli interventi di seguito indicati costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi, secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto anche conto delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla spesa sociale: a) misure di sostegno e promozione delle condizioni dell'infanzia, dell'adolescenza e delle responsabilità familiari, attraverso servizi, misure economiche e organizzazione dei tempi atti a favorire l'armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare; b) misure di sostegno nei confronti di minori e adulti con mancanza totale o parziale di autonomia tramite l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza; c) misure di contrasto alla povertà a favore di cittadini impossibilitati a produrre reddito per limitazioni personali o sociali; d) misure economiche per favorire la vita autonoma o la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana; e) servizi di aiuto alla persona per favorire la permanenza a domicilio di anziani, disabili e persone con disagio psicosociale, nonché iniziative per promuovere e valorizzare il sostegno domiciliare e l'integrazione sociale attraverso forme innovative di solidarietà comunitaria; f) accoglienza e socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali di anziani e disabili, con elevata fragilità personale, sociale e limitazione dell'autonomia, non assistibili a domicilio; g) informazione e consulenza alla persona e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e promuovere iniziative di auto-aiuto; h) prestazioni integrate di tipo socio-sanitario e socio-educativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale; i) percorsi integrati socio-sanitari tramite servizi e misure economiche per favorire l'inserimento sociale, l'istruzione scolastica, professionale e l'inserimento al lavoro di persone con disabilità psico-fisica.
3. In relazione a quanto indicato al comma 2, le leggi regionali, secondo i modelli organizzativi adottati, prevedono per ogni ambito territoriale di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a), almeno l'erogazione delle seguenti prestazioni: a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari; b) interventi per le situazioni di emergenza sociale, personali e familiari; c) assistenza domiciliare; d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali; e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.


L'art. 22, in realtà, elenca al comma 2, una serie di possibili interventi, specificando che gli stessi costituiscono il livello essenziale delle prestazioni erogabili "nei limiti delle risorse del Fondo nazionale sulle politiche sociali"; il comma 3 restringe, poi, il livello essenziale delle prestazioni da erogare in ogni ambito territoriale ad almeno 5 tipologie di servizi, peraltro abbastanza generici (ad esempio cosa si intende per strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali? e quando si parla di Centri diurni o residenziali a carattere comunitario?), che dovranno essere previsti nelle leggi regionali.
Ma, anche in riferimento ai servizi previsti nel 3º comma, non pare possibile affermare che si tratti di servizi obbligatori e dunque di diritti esigibili. Come afferma Salvatore Nocera "è noto a chiunque che non si può parlare di esigibilità di un diritto soggettivo se non si è in presenza di prestazioni determinate esattamente dalle norme, in modo tale che, in caso di inadempienza del soggetto obbligato possa intervenire in via sostituiva il giudice" (5). E questo il testo unificato non pare prevederlo.



(1) "E venne il tempo dei servizi alla persona", in "Italia Caritas", p. 12, settembre 1999.
"I servizi alla persona in Italia. Due itinerari per l'analisi", in "Sociologia e politiche sociali", n.1/1999, p. 9.
Intervento al seminario della CGIL "Il reddito minimo di inserimento. Un intervento integrato di sostegno al reddito e di inserimento sociale", Roma 15.1.99, in "Nuova rassegna sindacale", n. 31/99, p. 6.
Ovviamente ci sono molti altri aspetti del t.u. e che necessiterebbero di approfondimento, primo tra tutti il ruolo delle IPAB (l'on. Signorino, presentando il t.u., citando un censimento del Ministero della solidarietà sociale, ha affermato che il numero delle IPAB - che gestiscono servizi residenziali per anziani per 67.000 utenti - è stimato in circa 4.200, per un patrimonio di 37 mila miliardi) ma anche la definizione delle prestazioni che afferiranno al Fondo sociale e quelle al Fondo sanitario. Pare opportuno ricordare che in occasione della "riforma ter" (Decreto Legislativo n. 229 del 16.9.1999), le regioni presentarono (cfr, ASI, n. 18/99) emendamenti "essenziali", accolti dal ministro, volti a "sfumare" la titolarità sanitaria (dunque le spese) nelle prestazioni definite ad alta integrazione sociosanitaria di competenza delle aziende sanitarie. La parte riguardante le prestazioni "sociosanitarie" nella "riforma ter" è riportata in "Appunti", n. 4/99, p. 22. Per un dettagliato esame del "percorso" della riforma sanitaria, dal testo approvato dal Consiglio dei Ministri fino alla approvazione definitiva si può fare riferimento ai numeri 12, 14, 15, 18, 19, 20, 21, 24/1999 della rivista "ASI".
(5) "Il testo unificato della legge quadro sui servizi sociali", in "Politiche sociali", n. 6/98, p.46.



Il dibattito sulla riforma dell'assistenza
(indice)

Riportiamo di seguito alcuni interventi (ripresi dal resoconto stenografico) svolti alla Camera dei deputati durante l'esame del testo "Disposizioni per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali". Nel commento sopra riportato (cfr. anche il numero 5/99, pag. 2, di "Appunti"), avevamo dato conto delle diverse posizioni emerse. Posizioni che si sono confrontate anche nella seduta del 18 gennaio nella quale l'on. Novelli con un emendamento (poi respinto) proponeva l'obbligatorietà di alcuni interventi e servizi. I temi oggetto del dibattito riguardano in particolare l'esigibilità dei servizi e la concreta applicazione dell'art. 38 della Costituzione. Si può seguire il dibattito parlamentare sulla riforma attraverso il sito internet della Camera dei deputati (www.camera.it) facendo una ricerca per numero (332) del progetto di legge.



Diego Novelli (Democratici di Sinistra). Signor Presidente, ho presentato numerosi emendamenti, ma preannuncio subito che parlerò solo sul primo e non interverrò sugli altri. L'emendamento 1.2 riveste una particolare importanza perché distingue gli interventi ed i servizi sociali in obbligatori e facoltativi. Infatti, il comma 2 dell'articolo 1 del testo unificato prevede che l'ambito di azione degli interventi e servizi sociali sia quello previsto dall'articolo 128 del decreto legislativo n. 112 del 1998, la cui formulazione è la seguente: "Ai sensi del presente decreto legislativo per servizi sociali s'intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia".
L'emendamento 1.2 che ho presentato ha lo scopo di garantire gli interventi ed i servizi sociali a coloro i quali, se non ricevono anche le prestazioni assistenziali, non possono vivere o sono inevitabilmente condannati all'emarginazione sociale. I soggetti che necessitano anche di prestazioni di assistenza sociale sono, tra l'altro, i minori, in tutto (figli di ignoti) o in parte privi delle indispensabili cure familiari, gli handicappati intellettivi, totalmente o gravemente privi di autonomia e senza alcun valido sostegno familiare, le gestanti e madri in gravi difficoltà personali, alle quale va altresì fornita la necessaria consulenza psicosociale per il loro reinserimento e per il riconoscimento o meno dei loro nati, le persone che vogliono uscire dalla schiavitù della prostituzione, gli ex carcerati, i carcerati ed i loro congiunti, i soggetti senza fissa dimora. Vanno inoltre considerate le attività che devono essere poste in essere nei confronti dei soggetti giovani, i provvedimenti dei tribunali per i minorenni e le attività concernenti i rapporti con l'autorità giudiziaria in materia di interdizione, inabilitazione, tutela, curatela, adozione, affidamento, eccetera. Una parte delle attività suddette sono previste come obbligatorie dalla legge vigente e lo erano in base ai regi decreti del secolo scorso: si parla del 1889 o addirittura del periodo fascista, con i regi decreti del 1931, del 1934, del 1940.
Vi è dunque, a mio avviso, la necessità di prevedere che gli interventi indispensabili per la vita dei soggetti più deboli siano obbligatori e che siano facoltativi quelli per le persone che dispongono delle risorse necessarie per un'esistenza accettabile.

Maura Cossutta (Comunisti italiani). Intervengo perché ritengo che gli emendamenti proposti dal collega Novelli pongano un problema reale, di cui abbiamo discusso in questi mesi e nei lunghi anni di lavoro in Commissione. È stato un lavoro molto utile, perché ne è scaturito un testo migliore, in quanto, grazie alla relatrice, alla Commissione ed al Governo, sono state accolte alcune riflessioni critiche. Però, ritengo che questa questione sia un problema reale. Nel momento in cui parlando di rete dei servizi, si intendono non soltanto i servizi assistenziali, quelli relativi ai soggetti di cui all'articolo 38 della Costituzione, ma l'intera rete dei servizi di un sistema universalistico, è chiaro che si pone il problema della certezza del diritto esigibile per i soggetti più fragili, quelli di cui all'articolo 38. Ritengo quindi con molta lealtà che quello posto sia un problema reale. Ritengo altresì che siano state fornite risposte - sollecitate dal mio gruppo ma anche da altri e con l'approvazione del Governo - che devono costituire dei paletti. Ritengo che tale questione non possa essere accantonata considerando coloro che la propongono come i conservatori e quelli che non la propongono come gli innovatori. Non si tratta qui di riproporre una contrapposizione finta, ipocrita tra conservatori ed innovatori. Semmai, si tratta di contemperare i diritti acquisiti - che sono stati conquiste sofferte, strappate dalla lotta dei lavoratori, delle associazioni, del movimento democratico - a bisogni nuovi, quindi ad una lettura più moderna, più aggiornata dei bisogni. Ricordo, per esempio, che il problema del bisognoso non è più legato solo alla povertà da reddito, ma ai bisogni che intercorrono, transitoriamente o in modo continuativo, nella vita concreta dei soggetti che fanno parte del nucleo familiare. Mi pare che la risposta che avrebbe dovuto essere data a questo problema reale sia stata fornita da un emendamento della Commissione, che prevede alcuni paletti: innanzitutto, quello per cui accedono prioritariamente ai servizi i soggetti di cui all'articolo 38 della Costituzione e poi la riaffermazione in più punti che la conquista degli emolumenti economici rimane un diritto soggettivo e concretamente esigibile dai soggetti di cui all'articolo 38. Quindi, chiederei al collega Novelli di ritirare il suo emendamento e di convergere sul testo della Commissione.

Tiziana Valpiana (Rifondazione Comunista). Signor Presidente, i deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti hanno presentato diversi emendamenti a questo testo, forse meno di quelli che avremmo potuto presentare, proprio per non dare l'impressione di tenere un atteggiamento ostruzionistico verso un provvedimento che invece, sinceramente, vogliamo cercare di migliorare perché riteniamo si tratti di una materia nella quale, in questo momento, è fondamentale una presa di posizione concreta e, soprattutto, realistica. Nel pochissimo tempo che abbiamo a disposizione, cercherò di intervenire sui diversi emendamenti che abbiamo presentato ma, in particolare, mi premeva sottolineare che, come ha già affermato prima di me il collega Novelli, di fatto il mio emendamento 1.3 e l'identico emendamento Novelli 1.2 sono emendamenti cardine; se non sottolineassimo che tali servizi devono distinguersi in obbligatori e facoltativi e, quindi, non dessimo ad alcuni diritti il carattere di diritti soggettivi esigibili, credo che la legge-quadro che stiamo approvando rimarrebbe enunciata sulla carta, ma non diventerebbe in alcun modo praticabile ed attuabile.
Quanto affermato poco fa dalla collega Burani Procaccini, ossia che i diritti esigibili, i diritti obbligatori, sono rimasti fino ad oggi disattesi e che, quindi, riproporli corrisponderebbe ad un atteggiamento di tipo conservatore, non mi trova assolutamente d'accordo: proprio ed ancora di più per il fatto che sono stati disattesi, credo valga la pena ribadire che dobbiamo sottolineare la presenza di servizi obbligatori. Il mio emendamento 6.21, sul quale se avremo ancora tempo torneremo, individua le attività obbligatorie e, quindi, una serie di prestazioni dirette a rispondere a bisogni essenziali ed urgenti, ai quali non possiamo derogare.
Chiedo, quindi, che il mio emendamento 1.3 venga posto in votazione, anche se il collega Novelli deciderà di ritirare il suo emendamento 1.2, che è identico; infatti, credo sia fondamentale in questo momento una presa di posizione in ordine a tale distinzione, altrimenti il provvedimento in esame rimarrà evanescente.

Dino Scantamburlo (Partito Popolare). Signor Presidente, l'argomento posto dagli ultimi emendamenti merita un po' di attenzione da parte di tutti, perché riguarda uno dei principi sui quali si fonda il provvedimento. L'articolo 38 della Costituzione va rispettato ed attuato, guai se non ci ponessimo tale problema; dobbiamo anche dire, però, che approvando un provvedimento che riforma la vecchia legge approvata 110 anni fa, dobbiamo cogliere le conseguenze delle trasformazioni in corso in termini di domanda di nuove tutele e di superamento dei fenomeni di nuova povertà e di esclusione sociale, ai quali si sommano le domande inevase di figure deboli per povertà, età, malattia, non autosufficienza, disabilità, immigrazione, per un insieme di condizioni che le emargina e le trova sempre al limite della fruizione dei diritti di cittadinanza sociale. Il sistema di sicurezza sociale che noi vogliamo realizzare intende fondarsi sull'autonomia e sul benessere delle persone e delle comunità, non facendo prevalere le rivendicazioni di alcune categorie che, magari, risultano mediate solo dai vincoli di bilancio e non da quelli dell'equità e della giustizia. Gli obiettivi generali che ci proponiamo sono: il superamento della concezione di un'assistenza intesa come riparatoria nei confronti di alcuni, anche se ultimi e indigenti; la promozione dell'effettiva autosufficienza della persona; l'applicazione dei principi di sussidiarietà e di solidarietà, che sono, in particolare, i principi cardine dell'ispirazione dei cattolici democratici; l'affermazione della cultura della responsabilità in sede istituzionale e sociale; la promozione degli individui e delle famiglie - il concetto compare di frequente - da utenti passivi a partecipi ed attori, in una logica di autotutela e di autopromozione. In questo contesto, noi riteniamo che come ad ogni cittadino vengano garantiti i diritti fondamentali, ad esempio in materia di sanità e di istruzione, così la Repubblica debba garantire ad esso i diritti essenziali in materia sociale; si tratta di un'universalità, quindi, che si riferisce sia ai servizi essenziali, sia ai soggetti fruitori dei servizi stessi, il che vuol dire anche un sistema di prevenzione e di promozione. Per quanto riguarda le risorse, il Governo risponderà, però ricordo anche a me stesso ed ai colleghi che abbiamo appena approvato una legge finanziaria e di bilancio nella quale abbiamo destinato somme aggiuntive rilevanti a tutto questo settore.

Elsa Signorino (DS), Relatore per la maggioranza. I colleghi Cè e Valpiana prefigurano nei loro emendamenti, in questa e in altre parti della legge, un'ipotesi di finalizzazione esclusiva del sistema di servizi e prestazioni sociali all'articolo 38 della Costituzione. Questa finalizzazione esclusiva è presente anche nell'emendamento del collega Novelli. Sto parlando della interpretazione letterale dell'articolo 38, cioè a dire di quella interpretazione che è stata concretamente superata in tutta la legislazione regionale in materia di politiche sociali che ha visto la luce in questi anni.
Pur con motivazioni diverse, quei colleghi hanno prefigurato con i loro emendamenti un'ipotesi di Stato sociale minimo. Io non ritengo - mi appello anche alla loro riflessione - che alcuna ipotesi di Stato sociale minimo possa davvero garantire i bisogni ed i diritti delle persone più fragili. I poveri e gli inabili, di cui all'articolo 38 della Costituzione, hanno solo da temere da uno Stato sociale minimo. Solo uno Stato sociale è capace di volgere lo sguardo alle nuove fragilità che segnano questo scorcio d'epoca, è in grado di dare risposte efficaci e di qualità anche ai più poveri e agli inabili.
Colleghi Novelli, Valpiana e Cè, oggi non si nasce inabili e non si è poveri una volta per tutte! Si può nascere inabili e si può essere poveri una volta per tutte, ma si può incontrare la fragilità più volte nel corso della propria vita. La non autosufficienza degli anziani è una condizione di fragilità che può segnare ognuno di noi e, a fronte di quella condizione, anche famiglie che hanno un buon sistema relazionale e mezzi economici a disposizione non sono in grado di reggere se non interviene un sistema di servizi e prestazioni che sappia parlare anche a chi soffre quelle condizioni di fragilità. Il rischio che si corre, teorizzando l'esclusiva finalizzazione all'articolo 38 della Costituzione, non è l'emancipazione dei soggetti più deboli, ma è la produzione di ulteriore povertà e di ulteriore esclusione per chi vive le nuove condizioni di fragilità. Per questo abbiamo concepito una moderna legge di politiche sociali rivolta alla generalità dei cittadini, in grado di garantire loro livelli essenziali di prestazione. Abbiamo voluto un disegno di politiche sociali attento ai soggetti di cui all'articolo 38; ma abbiamo voluto che l'attenzione ai soggetti di cui all'articolo 38 non si concretizzasse nel profilo residuale del sistema delle politiche sociali, bensì in criteri di accesso prioritario alle prestazioni che sono stati ampiamente e puntualmente definiti e formalizzati nella riscrittura dell'articolo 2 della legge. Colleghi, dunque, i poveri e gli inabili sono in cima alle nostre preoccupazioni. Vogliamo garantire loro non servizi residuali, ma servizi di qualità... Vogliamo che quei servizi siano in grado di "parlare" alle vecchie e alle nuove condizioni di fragilità. Siamo attenti al nodo delle compatibilità economiche e per questo abbiamo voluto una legge che fosse dotata di adeguate risorse aggiuntive, ma abbiamo voluto anche - mi rivolgo ai colleghi che sono attenti a queste problematiche e in particolare al collega Cè - una legge che usasse il denaro pubblico come volano moltiplicatore di altre risorse. In altre parole, abbiamo voluto una legge che mandasse in pensione statalismo e assistenzialismo.

Livia Turco, Ministro per la solidarietà sociale. Abbiamo discusso molto di questa legge; abbiamo alle spalle tre anni di lavoro e credo sia doveroso da parte mia riconoscere il grande lavoro svolto dalla Commissione e sottolineare l'importanza che ha avuto il dialogo tra tutte le forze politiche che ci ha fatto convergere su alcuni punti importanti. Mi auguro che, nel momento in cui si arriva in aula, questi dati, che sono stati importanti, non vengano meno. L'onorevole Cè mi ha posto una questione a cui ho risposto parecchie volte in Commissione. Mi ha posto un quesito la cui risposta è allegata nel testo di legge, ma io rispondo volentieri, cioè come si finanzia questa legge.
Questa legge è composta di due parti: una riguarda i diritti soggettivi. Non è vero che questa legge non prevede i diritti soggettivi! Si tratta di una legge che prevede i diritti soggettivi riconosciuti dall'articolo 38 della Costituzione. Per questi soggetti e per questi diritti la legge stanzia l'insieme delle risorse oggi previste per l'assistenza. Quindi, questa legge si "porta in dote" nel piano nazionale per le politiche sociali l'insieme delle risorse attualmente esistenti per l'assistenza che finanziano i diritti soggettivi previsti dall'articolo 38.
Questa legge si compone anche di un'altra parte che tutti conveniamo essere la più moderna, la più innovativa e necessaria perché concernente un settore drammaticamente carente in questo paese: quello della rete integrata dei servizi. Mi pare che ci siamo resi conto tutti (persone invalide, prevenzione del disagio connesso a varie situazioni) di quanto sia importante avere, insieme al trasferimento monetario e insieme all'indennità che viene riconfermata in questa legge, il centro diurno, l'assistenza domiciliare, la RSA, la comunità alloggio. Ebbene, l'importanza di questa legge è quella di costruire la rete integrata di servizi che offra uno standard omogeneo di servizi sul territorio nazionale. Che cosa significa in termini di costi questa rete e in quanto tempo la si realizza? Onorevole Cè, lei sa benissimo che proporsi di realizzare questa rete integrata di servizi significa porsi un obiettivo programmatico e soprattutto darsi una metodologia. Si sarebbero potute stanziare risorse? Avremmo potuto fare delle stime? Certamente. Credo sia un elemento di serietà della legge, che voi stessi avevate apprezzato, prevedere una metodologia di costruzione della rete integrata di servizi. La metodologia è quella del piano sociale che viene elaborato ogni tre anni sulla base del metodo della concertazione. Il piano definisce i bisogni esistenti e stabilisce quali sono i servizi che si realizzano con il metodo della programmazione; c'è una valutazione fra bisogni stabiliti, servizi individuati e risorse stanziate nella legge finanziaria. È questo meccanismo la risposta al quesito che lei mi pone. È la risposta più seria perché come si può far dire che c'è solo bisogno di centomila comunità alloggio o di tremila asili nido? Francamente, mi pare che sarebbe una stima alquanto azzardata. È molto più serio che una legge indichi una modalità, il piano, il fondo per le politiche sociali, il rapporto tra valutazioni dei bisogni e risposte indicate nelle leggi finanziarie. Come ho detto tante volte nella discussione in Commissione, la scelta davvero innovativa e importante dal punto di vista del bilancio contenuta in questa legge è che il fondo per le politiche sociali diventa un fondo strutturale che va a finire nella tabella C della legge finanziaria che, in quanto tale, verrà alimentata in modo progressivo sulla base delle risorse esistenti. Voglio osservare, però, che il provvedimento in esame porta in dote delle risorse: in particolare, 1.500 miliardi per affermare i diritti cui faceva riferimento l'onorevole Novelli, i diritti dell'infanzia, i diritti dei portatori di handicap grave, i diritti delle famiglie. Vi sono poi le risorse che confluiranno nel fondo sociale (come lei, onorevole Cè, sa bene) con trasferimenti a favore della maternità e vi sono le risorse aggiuntive della legge finanziaria, che sono oggetto di un emendamento assolutamente chiaro. Il provvedimento, inoltre, porta in dote un altro elemento importante: la riforma sanitaria prevede che tra gli standard essenziali della sanità, dunque pagati dalla sanità, vi siano i servizi che riguardano i malati cronici, i portatori di handicap gravi e gravissimi, dunque i servizi che per ora sono considerati figliastri, che nessuno vuole riconoscere e che molte volte vanno a finire sulle spalle dei comuni. Ebbene, nell'articolo che riguarda l'integrazione socio-sanitaria del testo al nostro esame, si fa riferimento ad un provvedimento legislativo che è entrato in vigore, il quale prevede esattamente che vi siano servizi a carico della sanità.
Ecco, credo che queste siano risposte importanti, che la strada da percorrere è lunga e che bisogna utilizzare tutte le risorse disponibili per il sociale. Questo una cultura come la sua, come quella dell'opposizione, dovrebbe riconoscerlo: per il sociale, bisogna saper utilizzare bene tutte le risorse, per esempio quelle dei fondi strutturali e dei fondi sociali. Le risorse dei fondi strutturali sono ingenti: ebbene, vengano dirottate per programmi e servizi alla persona ed alla comunità; è un obiettivo che ci dobbiamo porre ed è importante che in questo ambito facciamo riferimento ai fondi strutturali. È altresì rilevante che vi sia un atto di indirizzo del ministro per la solidarietà sociale rivolto alle regioni, che invita queste ultime ad utilizzare i fondi strutturali ai fini di politiche per i servizi e per la comunità. Analogamente, è importante il patrimonio delle IPAB: vi sono 4.200 IPAB diffuse sul territorio nazionale che noi ci proponiamo di far entrare nella rete integrata dei servizi, in quanto si tratta di un patrimonio enorme. Così, se i servizi alla persona sono produttivi ed attengono allo sviluppo ed alla qualità della vita, se sono servizi che creano lavoro, allora anche le risorse dei patti territoriali devono essere investite in questo ambito ed è importante che abbiamo attivato tre patti territoriali che hanno come obiettivo quello di creare servizi alla persona. Dunque, il nodo delle risorse va assunto con questa ottica progettuale ed io credo che il merito del provvedimento in esame sia assumere questa ottica progettuale.