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Elena Gianini Belotti, Prima della quiete. Storia di Italia Donati, Rizzoli 2003, p. 240

 

Elena Gianini Belotti è nata a Roma dove vive. Dal 1960 al 1980 ha diretto il Centro Nascita Montessori di Roma. Per molti anni ha insegnato in un Istituto professionale statale per assistenti all'infanzia. Collabora con quotidiani e periodici


 

 

Emanciparsi dai vincoli della propria classe, superare i limiti imposti al proprio sesso: una doppia sfida nella quale prova a cimentarsi Italia Donati, una giovane maestra elementare cresciuta in una poverissima famiglia di contadini nella Toscana del secondo Ottocento. È lei a contribuire al sostentamento dei genitori indeboliti dagli stenti, del fratello e delle nipoti orfane di madre; è lei che - tra l'invidia dei compaesani - trova la forza di costruirsi un destino diverso, usando la conoscenza e l'istruzione come scudi contro la fame e la miseria.
Nel borgo dove insegna ai figli dei contadini, Italia non deve misurarsi soltanto con la penuria di mezzi e strumenti tipica della scuola pubblica dell'epoca. L'assenza di inchiostro e libri di testo, la sporcizia della stanza, le assenze dei bambini alle prese con le scadenze del lavoro dei campi sono poca cosa rispetto ai veri nemici della maestra: la tracotanza del sindaco, un borioso signorotto che le impone di vivere nel suo palazzo al pari delle sue numerose conquiste femminili, la malafede della gente del posto, che la ostracizza come donna di malaffare, il disperato egoismo dei familiari, che non vogliono sottrarla alle continue umiliazioni per non privarsi delle entrate derivanti dal suo pur misero stipendio.
Italia combatte, con tutte le sue forze: con l'amore che sente per i suoi scolari, con la caparbietà con cui tiene testa al sindaco, con la fiducia che ripone nelle persone che crede possano comprenderla e aiutarla.
Combatte fino all'ultimo giorno, quando fornisce con tutta la disperazione di cui è capace la prova incontrovertibile della sua integrità fisica e morale.
Una storia vera, trasferita in uno splendido romanzo di gusto manzoniano, capace di restituire con sapienza gli odori e i sapori della campagna toscana di fine Ottocento, ricostruendo con delicatezza e rispetto il tragico ritratto di una donna speciale, vissuta in un'epoca in cui non era ancora possibile sfidare il destino, e che è caduta - assieme a tante altre maestre, al nord come al sud - sul campo dell'emancipazione femminile.
Il romanzo ha conquistato il secondo posto al Premio Stresa Narrativa 2003.


 

LA TRAGICA STORIA DI ITALIA DONATI, SUICIDA IN NOME DELL’ “ONORE”
Chi parlerebbe ancora di Italia Donati e ne ricorderebbe la tragica fine, se Elena Gianini Belotti, con penna amorevole e sapiente, non ne avesse ricostruita, attraverso uno studio scrupoloso e attento, la commovente storia?
Possiamo leggere, dunque, in «Prima della quiete» (Rizzoli) la vita tribolata e l’ingiusta fine della giovane maestra nel nuovo romanzo dell’autrice romana, nota al pubblico per i suoi premiati saggi e romanzi, fra cui ricordiamo: «Dalla parte delle bambine» (1973); «Amore e pregiudizio» (1988- Premio Donna Città di Roma); «Adagio un poco mosso» (1993). «Voli» (20001- Premio Rapallo Carige, finalista Premio Elsa Morante); «Prima le donne e i bambini» (1980 e 1988); «Non di sola madre» (1983); «Il fiore dell’ibisco» (1985 - Premio Napoli).
Di Italia, dell’infelice maestrina – dicevamo – non sapremmo nulla e la sua vicenda resterebbe ormai sepolta sotto la polvere degli anni, anche perché, nata nel 1863 a Cintolese e morta a Porciano nel 1886, rappresenta valori etici lontani dalla morale d’oggi, specchio di tempi più permissivi e in cui la donna ha fatto passi da gigante nel guadagnare nuove e meritate postazioni nel vivere sociale.
Sulla base di dati rigorosamente storici, ricercati col fiuto e il puntiglio della saggista, la Gianini Belotti, confortata anche dalle cronache del tempo, uscite sulle pagine del “Corriere della Sera” dalla penna del “redattore viaggiante” Carlo Paladini, è riuscita abilmente a ricucire gli avvenimenti realmente accaduti, quale sfondo al ritratto della protagonista, tratteggiato con rara finezza psicologica.
Tanto che ci sembra di vederla questa figlia diligentissima di un misero “granataio”, favorito dalla materia prima che può trarre dai luoghi paludosi, densi di canneti in cui vive con la famiglia, ma che di favori dalla vita non ne ha ricevuti certo altri, straziato da una miseria angosciante e perseguitato dalla malattia. Aiutata da un generoso insegnante, Italia riesce, con immenso sacrificio, a superare gli esami di privatista, conseguendo il diploma di maestra, vessata sempre da invidia e diffidenza di una comunità malevola che non sa gioire dei suoi successi. Finalmente le viene assegnato il posto di lavoro a Porciano e qui inizia la parte più truce del suo calvario. Siamo ancora in epoca in cui l’assegnazione dei posti per l’insegnamento era affidata ai sindaci, non sempre onesti nelle loro pretese. E alla sprovveduta esordiente ne tocca proprio uno dei peggiori, costretta a vivere nella lussuosa casa del prepotente che tiene sotto il medesimo tetto convivente e amante, con relativi figli, dando esempio di una singolare famiglia “allargata”. Insidiata, Italia, riesce a tener testa con mite garbo alle pretese del sindaco, ma le malelingue si scatenano perverse e una lettera anonima l’accusa pesantemente di aver abortito per nascondere la sua colpa.
Ormai la giovane è entrata dentro una tagliola senza scampo: prepotenza, protervia e ignoranza dei suoi persecutori la violenteranno con una crudeltà da cui conseguiranno la diffamazione e l’isolamento. La bella ragazza che in un ritratto dell’epoca appare dotata di «gentilezza e ritrosia, sensibilità e timidezza», ha un destino segnato, chiusa come è ormai tra la stretta del bisogno di lavorare per la sopravvivenza sua e della sua famiglia e l’orgoglio dell’onestà. Togliersi la vita, in maniera così drammatica, è l’unica scappatoia che le resta, l’estrema strada che pensa di poter ormai percorrere, aperta verso la riabilitazione e il riscatto.
Scrivendo questo commovente romanzo, Elena Gianini Belotti non ci ha offerto solo la ricostruzione della vita di Italia Donati, ma ha tracciato un quadro più ampio della situazione delle maestre nell’Ottocento. A conforto del suo pensiero, l’autrice riporta anche un articolo di Matilde Serao in cui «redige un elenco delle vittime nei paesucoli del nord come del sud: la giovane insegnante che per disperazione si butta dal campanile della chiesa; quella che si avvelena con i vescicanti; quella che muore di fatica e di fame per tornarsene a piedi dalla famiglia (…)Giovani donne cadute sul campo dell’emancipazione. Dietro queste drammatiche storie ci sono quasi sempre odiose calunnie inventate da un pretendente respinto, spesso un loro superiore…»
Un romanzo – questo – dalla forte valenza sociale, ricco di riflessioni psicologiche e splendide descrizioni paesistiche.

Grazia Giordani